Serri con il Santuario federale di Santa Vittoria nel quale sono stati rinvenuti i famosi bronzetti di Serri
In questa tappa del nostro viaggio, da Mandas ci recheremo a Serri che visiteremo con il suo centro e i dintorni dove si trova il Santuario federale di Santa Vittoria nel quale sono stati rinvenuti i famosi bronzetti di Serri. La regione storica del Sarcidano Il Sarcidano è una regione della Sardegna che si estende tra il territorio del Campidano e quello della Barbagia. Si sviluppa tra la Provincia di Oristano e la Provincia del Sud Sardegna. Elemento morfologico dominante è l’altopiano de laconi, il più grande tavolato calcareo della Sardegna. Al suo interno si estendono i due laghi artificiali del Mulargia e del Flumendosa. In Provincia di Oristano ne fa parte il solo comune di laconi, mentre in Provincia del Sud Sardegna ne fanno parte Escolca, Genoni, Gergei, Isili, nuragus, Nurallao, Nurri, Orroli, Serri, Villanova Tulo. Vi è diffusa la quercia, ma non mancano anche foreste di castagno. Il territorio del Sarcidano è costellato di numerose testimonianze archeologiche, prevalentemente nuragiche.
In viaggio verso SerriDall’abitato di Mandas usciamo verso nord est con la SS128 Centrale Sarda che seguiamo per circa quattro chilometri, poi deviamo verso sinistra sulla SP59 che, in un chilometro e duecento metri, ci porta all’interno dell’abitato di Serri. Dal Municipio di Mandas a quello di Serri si percorrono 5.8 chilometri. Il comune chiamato Serri Il comune Serri (altezza metri 617 sul livello del mare, abitanti 630 al 31 dicembre 2021) è un piccolo centro agricolo situato nella parte settentrionale della Provincia del Sud Sardegna, ai confini con quella di Nuoro, posizionato a nord est dei monti Marmilla, su una collina in prossimità della chiesa campestre di Santa Lucia, ai margini di un vasto altopiano spianato di origine vulcanica chiamato la Giara di Serri. L’abitato è raggiungibile attraverso la SS128 Centrale Sarda, il cui tracciato si snoda a un solo chilometro dall’abitato, ed ha una propria Stazione ferroviaria, posta sulla linea che collega Cagliari con Isili. Il territorio cumunale presenta un profilo geometrico irregolare, con accentuate variazioni altimetriche, che vanno da un minimo di 393 a un massimo di 662 metri sul livello del mare. L’arrivo a Serri ci fa entrare nel Nuorese, dato che Serri apparteneva alla Provincia di Nuoro prima della riforma della province del 2001.
Origine del nomeIl toponimo, attestato dal 1341, è di probabile origine preromana; oscuro è il suo etimo. Secondo il linguista Massimo Pittau, studioso della lingua etrusca, della lingua sarda e protosarda, dati che il villaggio viene citato come Seerri nelle Carte Volgari campidanesi per l’anno 1215 e come Seherri nel registro delle rendite Pisane nel Giudicato di Càralis per l’anno 1316, in virtù di queste forme è possibile che il suo nome sia da connettere coi vocaboli Sicherru ossia secco, Sihirronare ossia seccare o avvizzire, da connettere col latino Siccus ossia secco. è pertanto possibile che il villaggio abbia in origine derivato la sua denominazione dal carattere particolarmente siccitoso del sito nel quale è sorto. La sua economiaSi tratta di uomune collinare con un’economia basata sulle tradizionali attività agricole e zootecniche. L’agricoltura si basa sulla produzione di cereali, frumento, ortaggi, foraggi, uva, olive e frutta. Si pratica anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L’industria, scarsamente sviluppata, è costituita da piccole aziende che operano solo nel comparto edile. Il terziario non assume dimensioni rilevanti. Protagonisti della cucina di Serri sono i cereali, la carne e un ottimo olio, prodotto con le olive che crescono sulle colline circostanti. Tra le vie del centro storico si possono ammirare le massaie che, secondo antiche ricette e utilizzando il forno a legna, preparano pane, pasta, e dolci. A livello artigianale, non mancano gli artisti abili nel realizzare a mano cestini di paglia, intagli sul legno, macine in pietra vulcanica, disegni e ricami. Gli importanti reperti archeologici di età preistorica rendono Serri meta di un rilevante afflusso di visitatori, ai quali è offerta anche la possibilità di godere di un incontaminato ambiente naturale. Per gli amanti dell’escursionismo naturalistico molto attraente è la Giara di Serri, un altopiano molto simile a quello di Gesturi, di cui condivide l’origine geologica. Le strutture ricettive di Serri offrono possibilità di ristorazione ma non di soggiorno. Brevi cenni storiciIl territorio è abitato già in epoca nuragica, come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti sul suo territorio, tra i quali il più significativo è l’imponente Santuario nuragico di Santa Vittoria, il cui utilizzo da parte delle popolazioni locali, con diverse funzioni, inizia già nell’epoca neolitica e continua durante l’epoca punica, romana e bizantina. La tradizione riporta la sua origine alla fuga per una pestilenza degli abitanti della vicina città romana di Biora, le cui rovine sono ancora visibili nel fondo valle. In epoca medievale il villaggio appartiene al Giudicato di Càralis, alla diocesi di Dolia e alla curatoria di Siurgus. Nel 1258, alla caduta del Giudicato, passa sotto il dominio pisano, e dal 1324, dopo la battaglia di Macomer, sotto quello aragonese, che lo concede il feudo a Berengario Carroz e poi alla sua famiglia. Il comune viene poi incorporato nel Marchesato di Mandas, che nel 1603 è trasformato in Ducato, feudo dei Maza. In epoca sabauda la signoria passa ai Tellez-Giron d’Alcantara, ai quali viene riscattato nel 1839 con la soppressione del sistema feudale e diviene un comune autonomo. Del comune di Serri nel 1927, dopo la creazione della Provincia di Nuoro, viene cambiata la Provincia da quella di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, alla neonata Provincia di Nuoro. Successivamente nel 2003, con la riorganizzazione delle province sarde, il comune di Serri avrebbe dovuto essere aggregato alla neonata Provincia del Medio Campidano, ma nel 2003 si stabilisce invece che ritorna a quella di Cagliari, della quale fa parte fino alla successiva riforma del 2016, quando il paese viene aggregato alla nuova Provincia del Sud Sardegna. Le principali feste e sagre che si svolgono a SerriA Serri svolge le sue attività il Gruppo Folk Santa Vittoria di Serri, dell’omonima Associazione Culturale, costituito nel settembre 1998 grazie all’iniziativa della pro loco, che prende il nome dall’omonimo santuario nuragico sito a pochi chilometri dal paese, sull’altopiano della Giara di Serri, nelle cui esibizioni nel paese ed in altre località è possibile ammirare il costume tradizionale locale. A Serri opera anche il coro Voci in Musica, nato nel marzo 2007, che è un coro polifonico misto composto da quattro sezioni principali, ossia soprani, contralti, tenori e bassi, il cui repertorio è prevalentemente in Limba Sarda. 
Tra le principali feste e sagre che si svolgono a Serri meritano di essere segnalati, il 16 e 17 gennaio, la Festa di Sant’Antonio Abate; il 19 e 20 gennaio, la Festa di San Sebastiano Martire; il 2 febbraio, la Festa della Madonna del Rosario, che è anche la Festa de Sa Candelora; dopo i festeggiamenti del Carnevale, si svolgono i riti della Settimana Santa; la seconda domenica di maggio, la Festa di Sant’Isidoro; la terza domenica di maggio, la Festa di Santa Lucia, con la sua fiera che è la festa del Sarcidano; 13 giugno, la Festa di Sant’Antonio da Padova; il 24 giugno, la Festa di San Giovanni Battista; il secondo sabato di luglio, la Rassegna del Folclore; il secondo sabato di agosto, la Festa dell’Emigrato con la Sagra del maialetto arrosto; il primo settembre, la Festa patronale di San Basilio Magno; il 10 e l’11 settembre, la Festa di Santa Vittoria; la terza domenica di settembre, la seconda Festa di Santa Lucia, con la sua fiera che è la festa del Sarcidano; a inizio novembre, le cerimonie per la Commemorazione dei Caduti; a metà novembre, Sa Murra Serresa, ossia la competizione del gioco della morra; l’ultima domenica di novembre, anche Serri si unisce al gruppo dei paese nei quali si svolge Sa die de Is saboris antigus in Is bias de su trigu, che è la manifestazione chiamata Saboris Antigus. 
Visita del centro di Serri L’abitato di Serri, che è interessato da espansione edilizia, domina una bella vallata ricca di oliveti, dai quali si produce il suo ottimo olio, ed il suo andamento altimetrico è quello tipico delle localtà collinari. Entriamo in Serri da sud con la SP59, la quale, passato il cartello segnaletico che indica l’ingresso all’interno dell’abitato, assume il nome di via Roma. Appena imboccata la via Roma, si può vedere, alla destra della strada, sul marciapiedi, una scultura in pietra con l’indicazione del nome del paese, vicino alla quale è presente la riproduzione a grande altezza dell’immagine di un bronzetto nuragico, che porge il suo saluto a chi arriva nell’abitato di Serri.
Passata la piazza San Basilio si raggiunge il nuovo Municipio di Serri Continuiamo con la via Roma, e la seguiamo per quattrocento metri, per arrivare a un incrocio, dove a destra parte la via San Basilo ed a sinistra la via Dante, mentre dritta prosegue la via Roma. Prendiamo a destra la via San Basilio, e, dopo pochi metri, si apre, alla sinistra della strada, l’ampia piazza San Basilio nella quale è presente un Anfiteatro realizzato per ospitare manifestazioni ed eventi che si svolgono nel paese.
Percorsi centocinquanta metri lungo la via San Basilio, si prende a destra la via del Municipio che, in una cinquantina di metri, ci porta a vedere, alla sinistra della strada al civico numero 5, l’edificio che ospita il nuovo Municipio di Serri, nel quale si trovano la sua sede e gli uffici che forniscono i loro servizi agli abitanti del paese. Si tratta degli uffici dell’Area Economico Finanziaria, ossia Servizi Finanziari, Personale, Entrate Tributarie, Economato; gli uffici dell’Area Tecnica, ossia Sportello Unico per le Attività produttive e per l’edilizia, Pianificazione Urbanistica, Edilizia Privata, Lavori Pubblici, Manutenzioni Reti ed Impianti Tecnologici, Servizi Cimiteriali; gli uffici dell’Area Amministrativa, ossia Segreteria Generale, Servizi Demografici, Protocollo, Ufficio Relazioni con il Pubblico, Commercio, Sportello Unico per le Attività Produttive, Biblioteca, Servizi Sociali.
In piazza degli Eroi si trova il Monumento ai Caduti
Ritornati dalla via del Municipio verso la via San Basilio, svoltiamo a destra e prendiamo la via San Basilio che, dopo una ventina di metri, continua sulla via Aldo Moro, la seguaimo e, dopo una cinquantina di metri, svoltiamo a sinistra e, in una ventina di metri, arriviamo nella piazza Eroi d’Italia, nella quale si trova il Monumento ai Caduti, dell’altezza di due metri e ottanta, edificato tra il 1920 ed il 1925. Si tratta di un monumento in granito a base quadrata, sulla quale poggia un elemento di forma tronco piramidale che si conclude in forma di corona d’alloro. Al di sopra è presente un parallelepipedo, sul quale sono applicate le lapidi riportanti i nomi dei caduti della prima guerra mondiale, mentre sul retro un’altra lapide, aggiunta in epoca successiva, riporta i nomi dei caduti della seconda guerra mondiale. Sulla parte sommitale, modanata, sono sistemate una stella e una corona d’alloro, realizzate in bronzo. L’edificio che ospitava il vecchio Municipio Dall’incrocio della via Roma con la via San Basilio, proseguiamo verso nord lungo la via Roma, che attraversa tutto l’abitato da sud verso nord. Dopo circa quattrocentocinquanta metri vediamo, alla destra della strada, al civico numero 13 della via Roma, l’edificio che aveva ospitato il vecchio Municipio di Serri, fino all’apertura del nuovo Municipio. Il vecchio Municipio nasce nel 1875, quando il sindaco di Serri, Raffaele Caria, ottiene dall’allora re Vittorio Emanuele II, l’autorizzazione ad acquistare un edificio al fine di allestirvi la sede della Casa Comunale, importante centro di aggregazione sociale e politica. Il sindaco ha trovato un vecchio edificio che ha acquistato ed adattato a nuova sede istituzionale del Comune di Serri. L’ex Casa Comunale ha pianta rettangolare regolare, a corte retrostante su due livelli fuori terra più sottotetto, la muratura portante è in pietrame misto allettato con malta, e la copertura è a doppia falda con manto di tegole in laterizio sorretta da un’impalcato ligneo. All’interno della corte sul lato sud, unito al corpo di fabbrica principale, è presente un corpo aggiunto che si sviluppa per due livelli fuori terra, ha copertura ad una falda e struttura intelaiata in conglomerato cementizio armato. Sul lato ovest, contiguo all’edificio principale, si trova un corpo secondario a pianta rettangolare ad un livello fuori terra con copertura a doppia falda e manto di tegole in laterizio. Oggi l’edificio che aveva ospitato il vecchio Municipio viene utilizzato come magazzino.
La chiesa di Sant’Antonio AbateProseguiamo per un’altra cinquantina di metri e si apre, alla destra della via Roma, la piazza Sant’Antonio, sulla quale si affaccia la Chiesa di Sant’Antonio Abate, che stata realizzata nel centro storico di Serri non molto distante dalla chiesa parrocchiale. Costruita con grande probabilit nella seconda met del diciottesimo secolo dal rettore Giovanni Battista Cossu, e la data 1773 riportata sul portale d’ingresso ne un’attestazione. L’edificio risulta anteceduto da due gradini. La facciata presenta un piatto terminale contraddistinto da merlature, culminante centralmente con un semplice campanile a vela ad unica luce sovrastato da una croce. In alto nella facciata è presente un arco nel quale, fino al 1958, si trovava una campana in bronzo, che è stata fusa per poter riparare la campana grande che ora si trova nel campanile della chiesa parrocchiale, ed è stata rimpiazzata solo di recente, quando la piccola chiesa è stata riqualificata. L’incorniciato portale anche caratterizzato da un architrave che presenta dei motivi decorativi fitomorfi che centralmente lasciano il posto all’inserimento del probabile anno di realizzazione dell’edificio sacro. 
L’interno risulta ad unica navata coperta con tetto a capriate lignee, spartita in quattro campate da archi a tutto sesto. Illuminata da ampie aperture finestrate poste sul lato sinistro, caratterizzata da un ingresso secondario all’edificio sacro sulla fiancata destra. Recentemente la chiesa è stata restaurata ed è stato demolito l’altare per fare posto ad un altarino mobile. L’area del presbiterio, rialzata di un gradino rispetto alla pavimentazione della navata, presenta una parete di fondo contraddistinta da tre nicchie all’interno delle quali si trovano delle statue dei Santi, centralmente Sant’Antonio Abate al quale dedicata la chiesa, sul lato sinistro Sant’Antonio da Padova, mentre sulla destra posta quella di Sant’Andrea. 
A Serri la sera del 16 gennaio, alla messa nella sua chiesa, segue la processione con il simulacro del Santo per le vie del paese, con al rientro la benedizione e, nel piazzale antistante la chiesa, l’accensione de Su foghidoni, ossia del tradizionale falò, realizzato con la legna offerta dalle famiglie del rione raccolta nei boschi del paese, che è stata benedetta dal parroco. La festa si prolunga la vigilia sino a tarda notte, rallegrata dalla musica tradizionale e dal vino novello. Il giorno seguente, il giorno della Festa di Sant’Antonio Abate, viene celebrata la messa solenne, segue la processione per le vie del paese, al termine della quale viene distribuito Su pan e saba benedetto, un dolce lievitato preparato principalmente con la saba, lo sciroppo dal gusto molto intenso che si ottiene dal mosto cotto.
A Serri il 13 giugno si celebra la Festa di Sant’Antonio da Padova, con una forte tradizione che lega la spiritualit alla partecipazione popolare. La festa include momenti di culto, preghiera e processioni, con la statua del Santo portata per le vie del paese, con la partecipazione della Confraternita e con i fedeli che seguono la processione e partecipano alle messe. La festa prevede momenti di preghiera e celebrazioni religiose, con messe e altre iniziative dedicate al santo. Accanto alla chiesa di Sant’Antonio Abate il Monte Granatico Nella piazza Sant’Antonio, alla destra della chiesa di Sant’Antonio Abate, si trova l’edificio che un tempo ospitava il Monte Granatico, edificato nella seconda metà del diciottesimo secolo. Si tratta di un edificio a pianta regolare di un livello fuori terra, più sottotetto, con le mura perimetrali portanti in pietrame misto. Il solaio intermedio è in tavolato ligneo sorretto da travi lamellari. La copertura è a doppia falda inclinata con tegole di coppi sardi. Il Montegranatico rappresenta un’importante pagina della storia serrese, in quanto testimonianza di un’istituzione che favorì certamente l’economia agricola locale e il conseguente sviluppo urbano. Il Monte Granatico di Serri è un esempio di come queste strutture, un tempo di proprietà della parrocchia, siano state poi recuperate e convertite a funzioni culturali, come sede della biblioteca comunale, dopo la loro dismissione.
La chiesa parrocchiale di San Basilio MagnoProseguendo per poco più di un centinaio di metri lungo la via Roma, si apre alla sinistra della strada l’ampia piazza della Chiesa, nella quale, al civico numero 2, si vede la Chiesa di San Basilio Magno, che è la parrocchiale di Serri. Si ritiene sia stata edificata da monaci bizantini in stile romanico pisano intorno al 1100, ma il suo primo impianto dovrebbe risalire al settimo secolo, sia per l’attestata presenza di un presidio militare bizantino sull’altopiano presso il Santuario nuragico di Santa Vittoria, sia per il Santo al quale è dedicata, dato che San Basilio Magno è stato il fondatore dei monaci basiliani di rito orientale, primi evangelizzatori in Sardegna, i quali viaggiavano insieme ai militari bizantini. La chiesa è stata in seguito modificata in stile aragonese. La facciata, realizzata in pietra lavorata, è stata restaurata nel 1958, ed in particolare sono stati rifatti gli antichi merli di fatture medievale. Al centro, si apre il portone che presenta tracce di una precedente apertura a tutto sesto ed è sovrastato da un rosone che sostituisce una finestra rettangolare. Ai lati si notano due colonne tortili in pietra, ed in alto è presente lo stemma vescovile che ricorda S. Basilio Magno, datato 1771. Sul lato destro del portone c'è una porta con stipiti in pietra finemente lavorati. Unita alla chiesa, sul suo lato destro, si trova una massiccia torre campanaria in pietra, la cui cuspide, anticamente a vela, è ora di forma piramidale, con quattro archi a tutto sesto dove si inseriscono tre campane dell’Ottocento, ed una, sul lato nord, del 1996. In passato, la piazzale antistante la chiesa era chiuso da due archi merlati, che successivamente nel 1958 sono stati demoliti. 
L’interno della chiesa è caratterizzato dalla pianta a croce latina, con tre navate separate da grandi archi a sesto acuto che poggiano su basamenti quadrangolari. Il tetto, a doppio spiovente, è caratterizzato da struttura lignea a capriate sulle quali si dispone il tavolato con rivestimento di tegole. L’altare maggiore del 1761, in marmo finemente intarsiato, ospita una piccola statua in legno di San Basilio, la quale viene portata in processione solo in caso di gravi calamità. 
Sulla destra rispetto all’altare maggiore si trova la Cappella dedicata alla Madonna del Rosario, nella quale è presente un altare in legno con al centro la nicchia che contiene la statua della Madonna. Sulla sinistra rispetto all’altare maggiore si trova la Cappella dedicata a San Basilio Magno, nella quale è presente un altare in stile barocco in legno con al centro un’ampia nicchia che contiene il simulacro del Santo. Sulla sinistra, rispetto al portone centrale, la prima Cappella è dedicata a Santa Vittoria, che attualmente viene chiamata Cappella di San Giovanni Battista perché nella nicchia centrale è collocata una statua del Santo, nella quale è presente un seicentesco altare in stile barocco in legno. Degni di nota sono anche il battistero del 1782, ed il lavabo in marmo del 1754 che si trova all’interno della sacrestia. 
Presso questa chiesa, il primo settembre si celebra la Festa patronale di San Basilio Magno, la cui festa liturgica cadrebbe però il 2 gennaio. La festa è preceduta il pomeriggio della vigilia dalla processione, con la statua che si trova nella Cappella a lui dedicata, cui seguono celebrazioni religiose e manifestazioni civili, che proseguono il giorno della festività. Si celebra, inoltre, il 2 febbraio la Festa de Sa Candelora, che ripropone la cerimonia ebraica della presentazione di Gesù al tempio e della purificazione della Madonna avvenuta dopo quaranta giorni dal parto, per la quale la tradizione vuole che la Prioressa distribuisca le candele e che la popolazione porti in processione la Madonna del Rosario.
Il Cimitero Comunale Santa Maria Passata la piazza della Chiesa, proseguiamo lungo la via Roma per un’altra cinquantina di metri, ed arriviamo nel punto dove arriva da destra la via San Basilio, che avevamo preso per recarci a vedere il Municipio e che, proseguendo verso nord, arriva fino a qui. A questo punto prendiamo, alla sinistra della via Roma, la via Giuseppe Maria Gaviano Lai e, dopo un centinaio di metri svoltiamo leggermente a sinistra per rimanere sulla via Giuseppe Maria Gaviano Lai. Percorsa una settantina di metri, passato il suo muro di cinta, vediamo, alla destra della strada, al civico numero 16 della via Giuseppe Maria Gaviano Lai, l’ingresso del Cimitero Comunale Santa Maria di Serri.
Il centro sportivo di SerriPer visitare il centro sportivo di Serri, conviene che torniamo a dove eravamo arrivati nell’abitato. Presa la via Roma, dopo duecentocinquanta metri svoltiamo a sinistra e prendiamo la via Santa Vittoria, la seguiamo per quattrocento metri, poi svoltiamo a sinistra in via Umberto I, dopo una settantina di metri svoltiamo a destra nella via Regno di Sardegna, e, in meno di duecento metri, si vede, alla sinistra della strada, l’ingresso del Centro sportivo di Serri. All’interno di questo centro sportivo, è presente un Campo da Calcio con fondo in terra battuta, dotato di tribune in grado di ospitare un centinaio di spettatori. 
È inoltre presente un Campo polivalente all’aperto dotato anch’esso di tribune in grado di ospitare un centinaio di spettatori, nel quale si possono praticare, come discipline, il calcio, il calcetto ossia calcio a cinque, ed il tennis. Qui gioca le sue partite la squadra della Unione Sportiva calcio a cinque Serri. Visita dei dintorni di SerriVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Serri, sono stati portati alla luce i resti degli insediamenti protostorici di Gudditroxiu, di Santa Vittoria con il suo Santuario protostorico ed il suo pozzo sacro; i resti del nuraghe complesso di tipo misto di Santa Vittoria; dei nuraghi complessi Ladumini, S'Uraxi, San Sebastiano, Su Sciusciu, e Trachedali; e dei nuraghi semplici Coa de Pranu, Cuccuru de Zaffaranu, Cuccuru Forru, Ruinas, e S'Axrolla. A sud est dell’abitato si trova la fermata ferroviaria di SerriUsciamo dall’abitato di Serri verso sud con la SP59 e, dopo un chilometro e duecento metri, arriviamo allo svincolo dove imbocchiamo verso sinistra la SS128 Centrale Sarda in direzione di Isili. La seguiamo e, dopo quattrocentocinquanta metri, vediamo, alla destra della strada statale, l’edificio che ospitava la Fermata ferroviaria di Serri. Lo scalo viene inaugurato nel 1888 come Stazione ferroviaria contemporaneamente all’attivazione della linea che collegava Cagliari con Isili, realizzata dalla Società italiana per le Strade Ferrate Secondarie della Sardegna. Nel 1921 alla sua gestione subentra la Ferrovie Complementari della Sardegna, a cui seguono nel 1989 la Ferrovie della Sardegna, e nel 2010 l’Azienda regionale Sarda Trasporti. 
Sempre tra il 2010 ed il 2011 lo scalo viene sottoposto a lavori di ristrutturazione in contemporanea con la sostituzione dell’armamento sulla linea ferroviaria, intervento che porta alla dismissione dello scalo merci dell’impianto, alla realizzazione di una nuova banchina e soprattutto alla trasformazione della stazione in fermata, con la rimozione di tutti i binari al di fuori di quello di corsa. La chiesa di Santa LuciaA poco più di un chilometro da dove abbiamo imboccato la SS128 Centrale Sarda in direzione di Isili, all’altezza della casa Cantoniera Santa Lucia, troviamo a destra la deviazione sulla SS198 di Seui e Lanusei che si dirige verso Seui. La strada costeggia il Centro fieristico di Santa Lucia, che si trova alla sua destra, e, percorsi quattrocento metri, vediamo a detra la stradicciola in salita che, in un paio di centinaia di metri, conduce alla Chiesa campestre di Santa Lucia. La chiesa è stata costruita all’inizio del Novecento in un’area poco distante dal centro abitato di Serri, assecondando scelte architettoniche tipicamente rustiche. La facciata si presenta caratterizzata da un terminale a doppio spiovente culminante centralmente con un campanile a vela. L’incorniciato portale ad arco a tutto sesto risulta in asse con un’apertura finestrata di forma esagonale chiusa da una grata. La parte alta del prospetto presenta un oculo che costituisce anche un elemento di decoro attraverso il motivo floreale posto direttamente sul paramento murario. Sulla sua facciata esiste ancora una campanella in bronzo per richiamare i fedeli che accorrono numerosi da Serri e dai paesi vicini. 
L’interno della chiesa è caratterizzato da un’unica navata rettangolare coperta a capriate lignee. L’area del presbiterio che risulta allo stesso livello della pavimentazione del resto dell’aula, presenta un altare centrale ed è introdotta da un arco a tutto sesto che lo delimita. 
Presso questa chiesa campestre due volte l’anno, la terza domenica di maggio e la terza domenica di settembre, si celebrano la Festa primaverile di Santa Lucia e la Festa autunnale di Santa Lucia, ossia le Feste del Sarcidano che sono le più importanti festività di Serri. In queste occasioni convergono a Santa Lucia numerosi fedeli per partecipare alla festa religiosa e per gustare i prodotti locali e i prelibati torroni di Tonara e di Aritzo, sempre presenti in tali manifestazioni. Per queste feste viene portata in processione, dalla chiesa parrocchiale alla sua chiesa campestre, la statua di Santa Lucia, una statua col volto sorridente incorniciato dai capelli trattenuti da un diadema e legati alla nuca, che piega lievemente il capo sulla spalla destra e bilancia il peso del corpo sulla gamba sinistra tendendo in avanti le mani. Su una lunga tunica indossa una sopraveste chiare dall’orlo frangiato, stretta in vita da una cintura, ed un mantello annodato alla spalla. Nell’espressione leziosa del volto e nell’aggraziata compostezza dell’atteggiamento si ravvisano i modi della plastica lignea tardosettecentesca di ambito meridionale. La modellazione fine e accurata leviga le superfici delicatamente prolicomate, in alcuni tratti ridipinte, e dà ai panneggi cadenze quasi classicheggianti. Alla festa di Santa Lucia è abbinata da tempo la Fiera del bestiame di Santa Lucia, che è stata inaugurata nel 1920 e per lunghi anni è stata considerata una delle manifestazioni più importanti dell’Isola. Con l’avvento della meccanizzazione i capi bovini sono andati via via impoverendosi, fino a scomparire quasi del tutto. Oggi, quindi, la fiera del bestiame conta pochi partecipanti, e solo da pochi anni si sta cercando di ridarle un aspetto decoroso.
L’insediamento romano di Biora con i ruderi di un probabile luogo di culto chiamato Sa Cresiedda Evitando la deviazione verso Seui e proseguendo lungo la SS128 Centrale Sarda, ad un paio di chilometri da dove la avevamo imboccata sono stati rinvenuti da Giovanni Lilliu, negli anni quaranta del Novecento, pochi resti dell’antico insediamento romano di Biora. Egli aveva individuato le rovine nel vasto fondo di Sa Cungiadura Manna e negli attigui terreni di Su Mogoru, Su Cungiau Nou, Su Tancadeddu, Is Tancadeddus, e Ruinas, situati a levante della attuale SS128 Centrale Sarda. Biora era stata fondata dai Romani durante la loro permanenza nella zona del Sarcidano, ed era considerato un ponte di congiungimento tra il Campidano e la Gallura, che si estendeva, comprendendo l’area della necropoli, per ben ventisei ettari, con una planimetria irregolarmente quadrilatera. All’estremità settentrionale dell’abitato si ritene fosse presente un edificio termale, al quale si riferirebbero gli speciali laterizi per il riscaldamento del calidario. Inoltre un secondo edificio termale è, probabilmente, individuabile in quella che viene chiamata Sa Cresiedda, ossia la piccola chiesa, situata al centro della cittadina antica, in località Su Mogoru. In seguito, le poche rovine di Sa Cresiedda sono state dichiarate Bene di interesse culturale dalla Sopraintendenza archeologica della Sardegna.
A nord ovest dell’abitato si trovani i ruderi della chiesa campestre di San Sebastiano Martire Dall’abitato di Serri, prendiamo la via Santa Vittoria che conduce verso il centro sportivo, e che poi esce verso nord ovest come Strada Comunale di Santa Vittoria, dirigendosi verso la Giara di Serri. A circa un chilometro da dove avevamo preso la via Santa Vittoria, si vedono, alla sinistra della strada, i ruderi dell’antica Chiesa campestre di San Sebastiano Martire, che dominano dall’altipiano sul quale si trovano un’ampia vallata da cui si gode il panorama dell’abitato di Escolca. La chiesa occupa un tratto di un piccolo abitato romano, a pochi metri a nord ovest dell’edificio sacro, ci sono tracce abbastanza evidenti di un pozzo per la raccolta dell’acqua piovana, e tutto intorno alla chiesa sono visibili embrici e tegole frammentarie unitamente a pezzi di stoviglie. Della chiesa, che si può datare prima del 1663, si ha testimonianza fino agli ultimi decenni del secolo scorso, ma non se ne conosce né la data certa del suo abbandono, né la causa per cui sia andata in rovina.
Il paesaggio della Giara di SerriLa strada Comunale di Santa Vittoria, in salita, ci porta sopra la Giara di Serri il cui paesaggio è affascinante, anche se in estate la vegetazione è sempre completamente bruciata dal sole. Col termine Giare si indicano degli altopiani basaltici, formatisi nell’Oligocene in seguito a fenomeni vulcanici, caratterizzati da pareti molto scoscese, a scarpata, situati tra la Marmilla ed il Sarcidano. Esse sono tre in totale, la Giara di Gesturi, quella di Serri e quella di Siddi. 
La Giara di Serri, che raggiunge i 650 metri di altezza, si estend su una superficie di quattro chilometri quadrati, ma è considerata di grande importanza dagli archeologi perché ospita al suo interno il Santuario nuragico di Santa Vittoria. Nel sito archeologico di Santa Vittoria si trova la chiesa di Santa VittoriaSull’estremità sud occidentale dell’altipiano della Giara di Serri, a circa sei chilometri dall’abitato, si trova il sito archeologico di Santa Vittoria. Al suo interno è presente la piccola Chiesa campestre di Santa Vittoria, che nell’undicesimo o dodicesimo secolo i monaci Vittorini dedicarono appunto a Maria della Vittoria, sui resti di una preesistente chiesa bizantina costruita sopra i resti di un nuraghe a corridoio di tipo arcaico. Alcuni ritengono che il nome Santa Vittoria potesse forsa identificare cittadine sacre e fortificate, poste su altopiani inaccessibili che sono stati gli ultimi rifugi dell’antica religione, luoghi poi strappati con la violenza dai Cristiani ai Sardi, e ribattezzati da questi ultimi appunto con questo nome. Intorno alla chiesa, in età tardo antica e alto medioevale, sorgeva un cimitero, nel quale sono stati ritrovati croci e fermagli del sesto o settimo secolo, riferibili a sepolture di militari della guarnigione bizantina di stanza nella Giara, un luogo strategico dal quale si controllava la vasta area sottostante. 
Alla chiesa, restaurata di recente, si accede attraverso un arco a tutto sesto facente parte di un portico ormai diroccato di cui rimane, oltre all’arco sopraccitato, un basso muretto posto frontalmente alla porta d’ingresso dell’aula rettangolare che costituisce l’attuale chiesa. Il tetto, a doppio spiovente, è ricoperto esternamente da tegole, mentre all’interno è costituito da tavole in legno sostenute da sei capriate in legno di ginepro e di castagno. Su una di queste travi di ginepro si trovano incise delle lettere maiuscole con un numero, 1848, che probabilmente sta ad indicare una data. 
All’interno della chiesa si conservano, sul lato destro, quattro archi, murati ma ancora ben visibili, che in passato comunicavano con la navata laterale destra, mentre di quelli che certamente esisteva no sul lato sinistro non rimane traccia evidente in quanto la facciata del muro è stata completamente intonacata. La chiesa custodisce, nella nicchia dell’altare, una piccola statua di legno che raffigura Santa Vittoria ed è stata realizzata nei laboratori di Ortisei. Considerato il carattere sacro di tutto il complesso, si suppone che dove oggi sorge vi sia stato un precedente edificio di culto cristiano sin dai tempi antichi, forse risalente ai primi secoli del terzo millennio. 
Ancora oggi consacrata, abitualmente la chiesa è chiusa al pubblico, ma è oggetto di culto da parte dei fedeli, che vi si ritrovano in occasione della festa della Santa, comunque, ma a richiesta, rivolgendosi alla Cooperativa Santa Vittoria che custodisce l’intero complesso, è possibile visitarla. La Festa di Santa Vittoria, che si svolge ogni anno l’11 settembre, prevede una processione con cavalieri ed auto, e con le statue della Santa, sia quella antica che quella nuova, portate dalla chiesa parrocchiale di San Basilio Magno alla piccola chiesa campestre, dove si celebra la messa e manifestazioni civili con esibizioni del gruppo folk e musica trdizionale. 
Il Villaggio santuario di Santa Vittoria con il suo pozzo sacro Il sito archeologico di Santa Vittoria si sviluppa per circa tre ettari e mezzo all’estremità sud occidentale del tavolato basaltico della Giara di Serri, la quale presenta il versante sud occidentale piuttosto erto, mentre quello nord occidentale è in più lieve declivio. L’area archeologica si compone di numerosi edifici realizzati soprattutto con blocchi di roccia locale, a filari disposti a secco, prevalentemente d’età nuragica. Il sito è composto da un grande villaggio nuragico della fine del secondo millennio avanti Cristo, che si estende su un’area di circa tre ettari e mezzo, posta su un’altura in posizione dominante e difesa da alti bastioni. Si tratta di un grande villaggio, uno dei più grandi tutta la Sardegna, ed il nome di Villaggio santuario di Santa Vittoria deriva dalla presenza, all’interno del villaggio, di un’ampia zona sacra. Scrive Franco Capus che il sito si configura come un luogo alto, una vera e propria acropoli naturale, da cui lo sguardo spazia per un largo tratto della Sardegna centro meridionale. La scelta di questo luogo da parte delle genti nuragiche non è stata casuale poich la Giara di Serri è ubicata in posizione baricentrica rispetto a una serie di sistemi territoriali di età nuragica, ed era stata individuata quale punto nodale, di incontro e di aggregazione, fra le diverse comunità.
La frequentazione del pianoro, tuttavia, ha avuto inizio un centinaio di anni prima che esso assumesse la precisa connotazione di luogo di culto. Infatti nello sperone roccioso, quasi a ridosso della chiesa di Santa Vittoria, già a partire dal diciassettesino secolo avanti Cristo, è stato edificato un nuraghe del tipo a corridoio successivamente inglobato dagli edifici più recenti, che evidenzia, fin dagli inizi dell’età nuragica, la specifica vocazione strategica del luogo che controllava un importante valico verso la piana della Trexenta. Già in una fase non avanzata del Bronzo Medio questa parte del pianoro viene sottoposta a una risistemazione complessiva nella quale è possibile riscontrare le prime tracce della sacralizzazione dello spazio. Ma è solo nel Bronzo Recente, intorno al tredicesimo secolo avanti Cristo, che avviene l’attribuzione definitiva di una funzione specifica e caratterizzante in virtù della fondazione e innalzamento di numerosi edifici costruiti con la più accurata tecnica isodoma, esito di una sapiente conoscenza delle tecniche costruttive maturate durante la stagione di innalzamento delle torri dei nuraghi.
Si ritiene che il sito sia stato utilizzato fino dal settimo secolo avanti Cristo, e l’ultima fase di vita del Santuario sembra collocabile intorno al secondo secolo dopo Cristo, quando un violento incendio avrebbe posto la parola fine alla sua millenaria storia. Secondo Torquato Taramelli, che vi aveva condotto le prime campagne di scavo, si sarebbe trattato di un celebre episodio ricordato dalle fonti antiche, avvenuto intorno al 177 avanti Cristo, quando i Romani avrebbero fatto strage di locali che erano soliti riunirsi per feste comunitarie della durata di parecchi giorni. In seguito i dominatori vi avrebbero lasciato un presidio militare, che si sarebbe mantenuto fino all’età bizantina, quando è sorta la chiesa di Santa Vittoria, oggi visibile nella ricostruzione di epoca giudicale. Resti del nuraghe complesso di tipo misto di Santa VittoriaAll’interno del villaggio santuario, accanto al cosiddetto Tempio ipetrale che descriveremo più avanti, si possono vedere i pochi resti del Nuraghe complesso di tipo misto di Santa Vittoria, un nuraghe nato come nuraghe a corridoio, edificato in basalto a 591 metri, che è stato in seguito inglobato in un nuraghe complesso con almeno altre due torri, sopravissuto nel villaggio santuario con mutata funzione. Di questo nuraghe gli scavi sono stati effettuati nel 1990. 
Sulla massa di rovine del nuraghe è stata sistemata, in età romana, una scalinata in grandi lastroni di calcare bianco che immetteva in un edificio rettangolare di modeste dimensioni, che all interno ospitava un vano subcircolare con una pavimentazione in cocciopesto. Antonio Tarameli ha individuato, ipoteticamente, nel modesto edificio un sacello dedicato alla Vittoria, in memoria della violenta distruzione dell antico santuario nuragico. Titolatura che in seguito sarebbe stata ereditata dall edificio di culto cristiano posto sull estremo sperone della Giara, ossia la Chiesa di Santa Maria della Vittoria. Visita del Villaggio santuario di Santa Vittoria con il suo pozzo sacroSi suppone che nell edificio principale del villaggio si riunissero in assemblee federali i clan più potenti della Sardegna centrale per consacrare alleanze o per decidere guerre. Le strutture comuni erano organizzate in modo da far convivere momenti di festa religiosa e di festa civile, il mercato con l assemblea politica. All’interno del villaggio santuario sono identificabili quattro gruppi di edifici. La prima è l’Area sacra, costituita dal tempio a pozzo dedicato al culto delle acque. Un altro nucleo architettonico è l’Area profana, costituita del recinto delle feste, area socio commerciale per feste, affari e soggiorno dei forestieri. Un terzo gruppo di edifici è costituito dall’Area delle capanne, situata nell’estremità settentrionale del Santuario. Infine di trova un quarto complesso, che costituiva l’Area legata a riti o assemblee. Il primo nucleo architettonico è costituito dall’Area sacra, alla quale arriva dal piazzale quadrato del parcheggio con un sentiero che si snoda tra cisti e asfodeli, per circa cento metri fino all ingresso antico al complesso del Tempio a pozzo e del Tempio Ipetrale. L ingresso si apre in un robusto muro di cinta megalitico che si appoggia all’estremità nord occidentale al recinto di temenos del tempio a pozzo, mentre sul lato opposto doveva raccordarsi al parapetto realizzato sul ciglio della giara. Il muro, in blocchi basaltici subsquadrati, e sul lato che prospetta verso la zona dei templi il muraglione si presenta dotato di un sedile in lastre calcaree, conservato parzialmente per oltre dodici metri. Dal muraglione ci si muove lungo il sentiero in direzione del Tempio a pozzo che è l’edificio principale, protetto da una muraglia.

Il Tempio a pozzo, dedicato al culto delle acque, che si raccorda ad una capanna circolare, è realizzato con blocchi isodomi, bianchi di calcare e neri di roccia vulcanica. Compreso entro un temenos approssimativamente ellittico, il pozzo presenta un vestibolo di pianta quadrata, pavimentato con lastre di calcare, un vano scala con tredici ed una camera ipogeica, voltata a tholos, del diametro di due metri ed alta, attualmente, circa tre metri. Un atrio pavimentato, con bancone sedile e l’altare, e una scala gradonata conducono al pozzo sacro, con atrio coperto con tetto a doppio spiovente, scala e struttura ipogea coperta con una volta a tholos, ed infine un temenos, delimitato da un muro, suddivide lo spazio sacro da quello profano. La cosiddetta via sacra, che unisce il Tempio a pozzo con il Tempio ipetrale, è lunga una cinquantina di metri e larga tra i tre ed i quattro metri. 
Alcuni studiosi ritengono che i pozzi sacri siano, in generale, frutto di un raffinato calcolo teso a determinare l’orientamento astronomico. Uno spettacolo luminoso di grande efficacia si verificherebbe il giorno del solstizio d’estate. Si ritiene che in questo giorno la luce del sole sarebbe entrata dal foro presente alla sommità della tholos e, progressivamente, sarebbe scesa fino a raggiunge, al mezzogiorno esatto, il luogo dove si trovava il livello dell’acqua che era presente all’interno del pozzo. In alcuni pozzi sacri, nei solstizi o negli equinozi si verifica il fenomeno della Luce dal foro apicale, per il quale il sole penetra nel pozzo dal foro presente alla sommità della tholos, e va a riflettersi in questo specialissimo specchio sacro. La teoria, inoltre, afferma che ogni diciotto anni e mezzo, nel momento della sua massima declinazione, sarebbe la luna a specchiarsi nell’acqua del pozzo, facendo filtrare la sua luce. |
Vicino al pozzo sacro c’è il Tempio ipetrale, un tempio cielo aperto ossia privo di copertura, vicino al quale, a una distanza di circa otto metri, termina la via sacra. Si tratta di un tempio a pianta quadrangolare, in blocchi di basalto appena subquadrati in muratura isodoma, a filari regolari, e conci di calcare bianco. In esso due altari quadrangolari di basalto e calcare si individuano sul lato settentrionale e sul lato orientale dell’edificio. Potrebbe essere stato un bacino per immersioni rituali nell’acqua che tracimava dal vicino tempio a pozzo e vi confluiva tramite ina canaletta erroneamente eliminata durante gli scavi. Il fatto che questo edificio fosse un tempio troverebbe riscontro nella presenza di due altari, il primo più ampio che poteva essere usato per sacrifici di animali di grossa taglia, mentre il secondo, più piccolo, sarebbe stato dedicato ai sacrifici di animali di taglia più modesta. Accanto all’altare più piccolo vi è un vano rettangolare forse usato per la conservazione degli ex voto. Al tempio si accedeva dalla via sacra, ed era contornato da tre edifici. 
A nord, ad una certa distanza tra il tempio ipetrale e la chiesa di Santa Vittoria, si trova la Capanna con sedile, un edificio circolare molto ampio dotato di sedile e costruito con molta cura che sicuramente veniva utilizzato per le adunanze rituali. A sud, invece, si trova la Torre con feritoie, una torre nuragica di sette metri e mezzo di diametro esterno, dotata di feritoie strombate verso l’interno. La torre faceva parte del nuraghe polilobato che ha in seguito sostituito il protonuraghe che è stato in parte demolito per lasciare spazio ai nuovi ambienti del Santuario. Da questa torre parte un corridoio di un metro di larghezza che si sviluppa per diciotto metri, sino al muragliene di cinta che orla il margine nord occidentale della Giara. Tra questo muraglione e lo stesso corridoio si individuarono una serie di strutture megalitiche pertinenti ai resti del Nuraghe, che è posizionato a fianco del tempio ipetrale. 
Dal Tempio ipetrale, attraverso il passaggio sul lato meridionale, si può accedere alla Capanna del sacerdote o Capanna degli altarini, un’ampia capanna a pianta circolare al centro della quale è stato rinvenuto un focolare in pietra, mentre nei due lati dell’accesso erano presenti due sedili nelle cui vicinanze erano sitemati due altarini in calcare, uno cilindrico e l’altro parallelepipedo, che si ritiene fosse un luogo dedicato a cerimonie e rituali religiosi, possibilmente a carico del sacerdote o di un capo religioso. 
Più a nord si trova la Capanna del capo, un tempio a megaron dotato di un atrio e di un vano interno circolare con nicchie e copertura a tholos. Queste strutture sono considerate parte del più ampio complesso di edifici religiosi all’interno del santuario. 
Un secondo nucleo architettonico si trova nell’Area profana, ed è costituito da una serie di fabbricati disposti intorno a un ampio cortile di pianta ellittica. È questo il luogo che il Taramelli definì Recinto delle Feste immaginando che questo fosse l’ambito in cui, in precise ricorrenze forse di matrice agraria, le genti nuragiche si raccoglievano per stipulare accordi e rinsaldare patti. In questo luogo sarebbe avvenuta la contestualizzazione e ritmizzazione del tempo attraverso eventi politici e sociali che scandivano le periodizzazioni cicliche con al centro feste e cerimonie pubbliche. Il recinto costituisce l’area socio commerciale, per feste, affari e soggiorno dei forestieri, nella quale si trovano porticati, vani con banchi e sedili. Sul lato est del recinto si trova un’entrata, un’altra è disposta sul lato sud.

Partendo dall’entrata sul lato sud, in senso orario si incontra prima il Portico, per raggiungere poi a nord ovest la Capanna dei fonditori, con un grande sedile gradonato, chiamata dei fonditori per via di rinvenimenti di scorie provenienti dalla fusione del bronzo, capanna che era probabilmente destinata all’aristocrazia o agli anziani,. Dietro a questa capanna, fuori dal recinto stesso, si trova un’altra area recintata, probabilmente vi si custodivano animali. Oltre la capanna dei fondatori si trova il Mercato, costituito da nove spazi rettangolari con sedili e lastre per le merci, sul lato nord del recinto, che potevana avere la funzione di bancarelle per la vendita di beni e oggetti religiosi. 
La circonferenza del recinto si chiude con quattro capanne situate alla destra dell’entrata orientale. La prima è la Capanna dell’ascia bipenne, famosa per il ritrovamento al suo interno di un’ascia bipenne in bronzo e di un blocco in arenaria che fungeva altare, suggerendo che si trattasse di un luogo di culto. Subito accanto si trova la Capanna con sedile, probabilmente usata per riunioni. Delle due capanne più piccole non se ne conosce la destinazione. Infine, passato l’ingresso orientale, si raggiunge all’estremo sud orientale del recinto nel quale è ospitata la Cucina comunitaria. 
Dal Recinto delle Feste ci rechiamo alla Capanna dell altarino, localizzata cinque metri a sud est del muro esterno del recinto, dirimpetto alla Cucina comunitaria. La capanna ha pianta circolare, e la copertura era costituita da un armatura di travi lignee che sosteneva lastre di calcare e di basalto. A sinistra e a destra dell accesso sono due sedili delimitati da lastre a coltello. Presso il sedile di sinistra lo scavo ha individuato, sottostante lo strato d uso romano, un altarino cilindrico in calcare dotato di un canale verticale e provvisto alla base di quattro elementi cubici aggettanti esternamente. Attorno al presunto altarino si ebbero, immerse nelle ceneri, ossa di animali, valve di molluschi, un pugnaletto eneo, resti di spade ed una testina di guerriero nuragico in bronzo. Non è escluso che si trattasse di un deposito destinato ad essere irrorato da libagioni sacrificali. 
Nei dintorni dell’ingresso, all’estremo nord orientale del sito archeologico, si trova un altro nucleo architettonico, verosimilmente da interpretare come la sua Area abitativa, situata nell’estremità settentrionale del Santuario. Partenda dalla bigleiieria del sito archeologico, la prima capanna che troviamo è quella chiamata Capanna della mensa, dato che in essa, alla destra rispetto alla porta d ingresso, era sistemata una lastra che fungeva da mensa o da altare per scopi rituali. La capanna è ancora in fase di scavo, almeno esternamente. Più a sud si trova un complesso di edifici denominato l’Isolato del nuraghe altare, complesso scavato nelle campagne del 1927 e del 1928, che si compone di sei ambienti di varia planimetria raccordati da una piazza rettangolare che sfrutta come fondo la roccia naturale basaltica, convenientemente spianata, mentre altri vani hanno l accesso sul lato opposto al piazzale e paiono aggregarsi ad una piccola corte centrale.

L edificio più significativo all’interno dell’isolato è la Capanna del doppio belilo, nella quale è presente un vano subcircolare di sei metri di diametro originariamente a copertura straminea, con l’ingresso preceduto nella corte da due lastroni di calcare, supposti betili. Il pavimento dell ambiente è parzialmente in lastre calcaree che integrano il fondo naturale. Questo recinto presentava al momento dello scavo un banco di cenere con ossa di animali ed un vaso in terracotta in frantumi, restaurato in antico con grappe di piombo. 
Infine, tra le abitazioni, si trova un quarto nucleo architettonico costituito dell’Area legata a riti o assemblee. All’interno dei quest'area si segnala, per dimensioni e magnificenza, una casa a pianta circolare detta Curia o Capanna delle riunioni. Si tratta di un edificio, a pianta circolare di undici metri di diametro interno, costruito a filari di blocchi in basalto con zeppature di materiale litico più minuto, che ospitava un porticato interno ed era circondata da piccoli vani nei quali si ritiene venissero ospitati i partecipanti alle cerimonie sacre provenienti da zone anche molto lontane. La definizione datane da Antonio Taramelli, anche in seguito agli arredi rinvenuti, e il confronto con architetture simili non lasciano dubbi circa l’interpretazione di questo vano quale luogo di riunione, di incontro e di rappresentanza. In essa, forse, si riunivano in assemblea federale i capi dei vari popoli nuragici del centro Sardegna. Vi è, inoltre, da osservare la presenza delle nicchie, comune alle abitazioni civili, ma, nel caso nostro, da porre in rapporto con la conservazione di oggetti legati a pratiche rituali.

A breve distanza dalla Curia si trova il Recinto di giustizia, nel quale si suppone si tenessero i giudizi degli dei, che era una struttura circolare con tre vani, uno dei quali circolare, e altri due adiacenti, che si ipotizza potesse avere una copertura in legno e paglia. La sua funzione precisa non è del tutto chiara, ma Antonio Taramelli, in rapporto alla vicinanza della Curia, ipotizzava il carattere di Recinto dei supplizi per l edificio in esame, ossia pensava che dentro a quel brevissimo recinto venissero racchiusi gli individui colpiti dal giudizio e vi subissero la pena corporale o quella capitale, con la iugulazione o la decapitazione tra i due pilastri dell’ingresso. Sulla muraglia dell area esterna e nell ambiente semicircolare a destra sedevano gli assistenti alla esecuzione, decretata dall assemblea giudicante degli anziani, pronti a dare mano forte all esecutore della sentenza o ad attestare che essa era stata eseguita e la pena subita. Oggi, comunque, questa potesi deve cedere il posto ad una più semplice interpretazione dell edificio come abitazione a sviluppo centripeto, forse, successivamente, ingrandita con l aggiunta dei vani laterali. 
Le campagne di scavo del villaggio santuario di Santa VittoriaIl sito è stato interessato da numerose campagne di scavo: tra il 1909 ed il 1910 Antonio Taramelli con la collaborazione di Filippo Nissardi e Raffaele Pettazzoni hanno scavato la cinta muraria, il tempio a pozzo, e la capanna delle riunioni; tra il 1919 ed il 1920 ancora Antonio Taramelli ha scavato il tempio ipetrale e gli edifici attigui; tra il 1922 ed il 1929 ancora Antonio Taramelli ha scavato la capanna del capo, il recinto delle feste, gli edifici di est e sud est, ed il recinto del doppio betilo; nel 1963 Ercole Contu ha effettuato restauri e recuperi vari; ed infine nel 1986 e 1987 Maria Grazia Puddu ha scavato il recinto delle feste.
I bronzetti di Serri realizzati nell'età del Bronzo Finale o forse nell'età del Ferro e quindi più recenti di quelli di UtaDagli scavi sono venuti alla luce manufatti frutto della maestria artigiana nuragica, ossia modellini di nuraghi altari, protomi taurine, frammenti di armi, bracciali, anelli, asce, oggetti ceramici e, soprattutto, bronzetti con forme umane e animali e di mezzi di trasporto. All’interno del Santuario federale di Santa Vittoria sono stati rinvenuti numerosi bronzetti che sono conservati oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, dove li abbiamo fotografati. Sono bronzetti diversi da quelli rinvenuti a Uta, e vengono indicati come bronzetti in Stile popolaresco o Stile Mediterraneo, quello che viene chiamato anche lo Stile di Abini e Serri. Rappresentano guerrieri con abbigliamento ed acconciature evolute, i capelli non sono corti ma raccolti in lunghe trecce, l’elmo ha corna più lunghe, gli scudi sono più elaborati e non compaiono più alcune armi come il boomerang. 
Tra i più significativi rinvenuti nel Santuario di Santa Vittoria, citiamo il capotribù con l’ampio mantello e un bastone; altri capo tribù; un personaggio seduto; e, non ultimo, uno strano animale con arco. Le spade, in questi bronzetti, hanno una fattura di tipo egeo, il che lascia intendere l’esistenza di ampi scambi culturali e commerciali. Vengono quindi ritenuti più recenti, presumibilmente realizzati alla fine dell’età del Bronzo, o forse nell’età del Ferro, dopo l’emigrazione degli Shardana seguita alla grande catastrofe del 1200 avanti Cristo, forse da parte della popolazione locale o degli Shardana rimasti sull’isola. Oppure, secondo un’ardita ipotesi di Leonardo Melis, da quei loro eredi che vi tornarono in seguito, e che i Greci chiamarono i Fenici.
La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, da Serri ci recheremo ad Escolca che visiteremo con il suo centro ed i dintorni nei quali si trova il nuraghe Mogorus ancora da scavare, il villaggio abbandonato di San Simone, e su Nuraxi Mannu. |