Teti paese famoso soprattutto per i bronzetti rinvenuti nel villaggio di Abini che si trova nei suoi dintorniIn questa tappa del nostro viaggio, riprenderemo da Austis il nostro viaggio proseguendo verso nord est nella Barbagia di Ollolai, per recerci a visitare Teti paese reso famoso soprattutto dagli importanti bronzetti rinvenuti nel villaggio di Abini, che si trova nei suoi dintorni. La regione storica della Barbagia di Ollolai La Barbagia di Ollolai (nome in lingua sarda Barbàgia ’e Ollolai), chiamata anche Barbagia Superiore, è una regione storica della Sardegna centrale. Durante il periodo giudicale ha fatto parte del Giudicato d’Arborea, nellla Curatoria della Barbagia di Ollolai, è stata poi degli Aragonesi, quindi del Ducato di Mandas. Ne fanno parte i comuni: Austis, Fonni, Dorgali, Gavoi, lodine, Mamoiada, Oliena, Ollolai, Olzai, Orgosolo, Ovodda, Teti e Tiana. Secondo molti, ed anche secondo noi, alla Barbagia di Ollolai apparterrebbe anche il comune di Dorgali, che durante il periodo nel quale la Sardegna era sotto il controllo dell’impero Bizantino e nel primo periodo del Giudicato di Arborea ne costituiva uno sbocco al mare, che è andato perduto a seguito dell’espansione, promossa dai Pisani, verso sud del Giudicato di Gallura. Secondo alcuni, alla Barbagia di Ollolai apparterebbero anche i comuni di Orani e Sarule, che noi attribuiamo, invece, al Nuorese, noto anche come Barbagia di Nuoro o Barbagia di Bitti.
In viaggio verso TetiVediamo come è possibile arrivare a Teti da Austis ed anche direttamente da Tiana. Arrino a Teti provenendo da AustisDopo la visita a Austis, prendiamo la SP4 verso nord est. La seguiamo per circa cinque chilometri ed entriamo nel borgo agricolo di Teti. Dal Municipio di Austis a quello di Teti si percorrono 5,7 chilometri. Arrino a Teti provenendo da TianaA Teti possiamo arrivare anche con la SP60 provenendo da Tiana, che si trova a sud est e che visiteremo nella prossima tappa del nostro viaggio. Dal Municipio di Tiana a quello di Teti si percorrono 5,8 chilometri. Il comune chiamato Teti Il comune chiamato Teti (altezza metri 714 sul livello del mare, abitanti 612 al 31 dicembre 2021) è un comune collinare situato nella parte centrale della Provincia di Nuoro, circondato da altopiani granitici e dalle cime aspre e rocciose del massiccio del Gennargentu, il quale si sviluppa a sud est dell’abitato. A poca distanza dal centro abitato scorre il fiume Tino, che confluisce nel lago Cucchinadorza, l’invaso artificiale diviso tra più comuni, che è il lago intermedio dei tre creati lungo il corso del fiume Taloro. Il territoriocomunale ha un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate, che vanno da un minimo di 157 a un massimo di 952 metri sul livello del mare.
Origine del nomeIl nome del paese è di probabile origine preromana, e deriva probabilmente dalla voce sarda logudorese titione, con la quale veniva chiamata, nel dialetto della zona, la liana tipica della macchia mediterranea, molto spinosa e dai tipici frutti rossi, chiamata Smilax aspera. Altre interpretazioni, ritenute però più fantasiose, sono quella che la farebbero derivare dal nome della dea Thesis alla quale forse era dedicato un Santuario; oppure dal latino Tecta, ad indicare i tetti delle case; oppure dalla voce fenicia Beth, con la quale veniva indicata la casa, ossia la dimora. Secondo alcuni studiosi, invece, potrebbe derivare il suo nome da quello del suo fondatore, ossia di Tete, antico duce degli Illesi, popolo greco discendente dalla colonia che Jolao, eroe tebano detronizzato poi da Eracle, avrebbe fondato in Sardegna, come raccontato dagli storici Diodoro Siculo, nel I secolo avanti Cristo, e Stradone, nel primo secolo dopo Cristo. La sua economiaIl comune chiamato Teti ha un’economia basata sulle tradizionali attività agricole e zootecniche. L’agricoltura è presente con la coltivazione di cereali, ortaggi, foraggi, viti, ulivi, alberi da frutta. La zootecnia con l’allevamento di bovini, suini, ovini e caprini. L’industria è modestamente sviluppata, nel settore edile e della produzione e distribuzione di energia elettrica. Il terziario non assume dimensioni rilevanti. La principale ragione di attrazione turistica della zona è rappresentata dalla sua importante zona archeologica, che ogni anno è la meta della visita di numerosi turisti. Altrettanto interessante è l’ambiente naturale che circonda l’abitato, caratterizzato dal lago artificiale di Cucchinadorza, e dal suggestivo paesaggio dell’omonima valle. Brevi cenni storiciLe origini dell’insediamento nel suo territorio risalgono all’epoca preistorica, come è dimostrato dai numerosi reperti rinvenuti, in particolare nei molti importanti siti archeologici presenti nel suo territorio. In periodo medioevale, nell’undicesimo secolo, fa parte del Giudicato d’Arborea, nella curatoria di Austis. Dopo la caduta del Giudicato arborense, viene amministrato direttamente dagli Aragonesi, che la affidano a funzionari reali spagnoli. Nel 1461, Teti con tutto il territorio di Austis viene acquistato da marchese di Oristano, e rimane incluso nel Marchesato fino al 1478, quando viene concesso in feudo a Pietro Pujades, che però muore senza eredi nel 1503. Nel 1504 Teti entra a far parte del feudo acquistato da Matteo Arbosich; però gli abitanti di Teti, insieme agli abitanti di Tiana, entrano in conflitto con gli abitanti di Ovodda per il controllo dei pascoli, scontri che costringono l’Arbosich a intervenire. Dopo vari passaggi di feudo, nel periodo della dominazione asburgica, Teti viene ereditato dopo il 1718 da Pietro Manca Guiso, la cui discendenza prosegue con il governo sabaudo, fino ad estinguersi nel 1788. Nel periodo del Regno d’Italia, nel 1821 viene incluso nella Provincia di Oristano, nel 1848 entra a far parte della divisione amministrativa di Cagliari, e nel 1859 della sua provincia. In periodo Repubblicano, del comune di Teti nel 1927, dopo la creazione della Provincia di Nuoro, viene cambiata la Provincia da quella di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, alla neonata Provincia di Nuoro. Principali perconaggi nati a TetiA Teti è nato il poeta Onorato Casula. A Teti nel 1939 nasce in una famiglia povera e numerosa Onorato Casula. Lascia la scuola dopo la terza elementare, e deve lavorare da giovanissimo in campagna, prima con con il padre e poi come servo pastore. Dopo il servizio militare, qualche breve esperienza lavorativa nel nord Italia e un brutto incidente in moto, si stabilisce a Genova dove lavora al porto per quasi trenta anni. Nel 2023 pubblica Teti in Su Coro - Scritti di emigrazione, il libro che raccoglie parte delle poesie scritte nell’arco di quasi settanta anni in sardo Tetiese, prevalentemente in ottave, quartine e sonetti, che sono tradotte in italiano per garantirne una maggiore fruizione. Da questi scritti emerge una vita di sacrifici, di rimpianti e nostalgia del paese natio e degli affetti familiari. Le sofferenze di Onorato Casula sono state lenite dalla poesia, che sembra offrirgli un’ancora di salvezza, uno strumento di conoscenza e di riscatto sociale. Le poesie sono accompagnate da due scritti, di Luigi Sotgiu e di Roberto Deidda, che aiutano a inquadrare la vicenda di Onorato Casula all’interno del mondo della poesia orale sarda e del vasto fenomeno migratorio della Sardegna.
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Le principali feste e sagre che si svolgono a TetiA Teti sono attivi il Gruppo Folk Teti ed il Coro Polifonico San Sebastiano, nelle cui esibizioni nel paese ed in altre località dell’isola è possibile ammirare il costume tradizionale del posto. A questo proposito, per quanto riguarda le tradizioni tipiche, gli abitanti di Teti nutrono un forte senso di identità, e questo li porta a partecipare, nei loro costumi tradizionali, alle feste che si svolgono durante tutto l’anno. 
Tra le principali feste e sagre che si svolgono a Teti si segnala a metà gennaio la Festa di Sant’Antonio Abate, che si svolge il 15, il 16 e il 17 gennaio di ogni anno, che prevede la celebrazione di preghiere intorno ad un grosso fuoco che viene benedetto in occasione della festa, e per il quale la sera conclusiva della festa viene anche offerta la degustazioni di prodotti tipici; le festività del Carnevale del Consorzio Bacino Imbrifero Montano del Taloro, con la cerimonia di chiusura delle festività, che si tiene il mercoledì delle ceneri, che culmina con una sfilata in maschera, durante la quale viene simbolicamente ucciso un fantoccio rappresentante il Carnevale stesso; il 5 agosto viene celebrata la Festa di Santa Maria della Neve, che è la Santa patrona del paese; l’ultima domenica di agosto si celebra la Festa di San Sebastiano presso la chiesa campestre omonima; a metà settembre anche a Teti si tiene la manifestazione Autunno in Barbagia, un viaggio sensazionale tra cultura, tradizioni e specialità enogastronomiche. 
Visita del centro di TetiL’abitato, caratterizzato da un andamento collinare, è circondato da altopiani granitici e dalle cime aspre e rocciose del Gennargentu. Entriamo a Teti provenendo da sud da Austis con la SP4 che, dopo il cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato, all’interno del paese assume il nome di corso Italia. Il Cimitero di TetiEntriamo in Teti lungo il corso Italia che, percorsi circa centocinquanta metri, compie un’ampia svolta verso sinistra e più avanti compie un’altra svolta questa volta verso destra. A circa seicentocinquanta metri dal cartello segnaletico che ha indicato l’ingresso nell’abitato, in corrispondenza della strisce pedonali, si vede alla sinistra della strada l’accesso pedonale al Cimitero Comunale di Teti, mentre una cinquantina di metri più avanti si trova, sempre alla sinistra della strada, una deviazione tutta alla sinistra in un vialetto di accesso che porta di fronte all’ingresso principale Cimitero Comunale. 
Gli impianti sportivi delle scuole secondarieProseguiamo lungo il corso Italia per circa trecento metri, poi svoltiamo a destra nella via Giuseppe Mazzini, la seguiamo per quasi un centinaio di metri poi svoltiamo a destra per proseguire lungo la via Giuseppe Mazzini, che dopo un altro centinaio di metri termina. Qui, al civico numero 1 della via Giuseppe Mazzini, si trova l’ingresso della Scuola Secondaria di Teti. 
Dal termine della via Giuseppe Mazzini, svoltiamo a sinistra nella via Renzo Laconi e troviamo, subito alla sinistra della strada, l’ingresso della Palestra della scuola secondaria, con fondo in materiali sintetici vari, senza tribune per gli spettatori, nella quale vanno praticate attviità ginnico motorie. Il Municipio di Teti Dopo l’incontro con la via Giuseppe Mazzini, proseguiamo lungo il corso Italia per circa altri centocinquanta metri, ed arriviamo al civico numero 63, dove vediamo alla sinistra della strada l’edificio nel quale si trova il Municipio di Teti, con la sue sede e gli uffici che forniscono i loro servizi agli abitanti del paese. Si tratta degli uffici della Segreteria Generale; del Settore Amministrativo Contabile, ossia il Servizio demografico anagrafe e stato civile, il Servizio economico finanziario e patrimonio, il Servizio segreteria, ed il Servizio Tributi; del Settore Tecnico Manutentivo e Vigilanza, ossia il Servizio gestione del cimitero, il Servizio impianti tecnologici e lavori pubblici, il Servizio manutenzione del patrimonio, il Servizio SUAPE ed attivit produttive, il Servizio urbanistica edilizia privata e ambiente, ed il Servizio vigilanza e presidio del territorio; del Settore Socio Culturale Pubblica Istruzione e Sport, ossia il Servizio cultura e istruzione, ed il Servizio socio-assistenziale.

Alla destra del palazzo che ospita il Municpio, un ampio spazio aperto ospita numerose sculture che riproducono alcuni dei famosi bronzetti rinvenuti nel Santuario nuragico di Abini, oltre al Monumento ai Caduti di Teti. Si tratta di un monumento a cippo, nel quale su due gradini si erge un alto plinto, rivestito da lastre di granito grigio. Sulla fronte principale è la dedicazione. Sul lato destro si trova l’elenco dei caduti della prima guerra mondiale, su quello sinistro i caduti della seconda guerra mondiale. Sopra il plinto sta una statua bronzea che rappresenta un fante, il quale, mentre incede, stringe una bandiera. Il monumento è stato eretto nel 1970 su iniziativa dell’amministrazione comunale e grazie alla generosa donazione fatta da Maria Rosa Carta, sorella di un soldato caduto. La statua bronzea del fante è identica a quella del monumento ai caduti di Villaspeciosa.
La chiesa parrocchiale di Santa Maria della Neve Percorsi altri duecento metri lungo il corso Italia, arriviamo nel centro storico del paese, in piazza del Popolo, che si trova alla sinistra della strada. Qui, al civico numero 1, si trova la Chiesa di Santa Maria della Neve che è la chiesa parrocchiale di Teti. Dal libro Storico della Parrocchia, le cui prime annotazioni sono datate 12 marzo 1909, risulta che la chiesa, dedicata a San Giovenale, fu costruita nel suo primo impianto nel 1640, cos come si evince da un blocco di pietra presente nella sacrestia, nel quale riportata l’incisione Anno domini 1640. La chiesa costituisce un complesso edilizio isolato, impiantato su un sito in forte pendenza. Il sagrato sul prospetto principale che si affaccia sulla via Dante Aligheri, e la grande piazza che si apre sul prospetto posteriore affacciato sul corso Italia, dal quale si accede alle sacrestie, hanno un dislivello di circa due metri e mezzo e sono collegati da una rampa di scale addossata al prospetto sud occidentale. La facciata, cos come gli altri prospetti realizzata in pietra locale sbozzata a vista, si presenta scandita verticalmente da due lesene in tre spazi, la parte centrale decorata con timpano sulla sommit e le due laterali che terminano con mezzi timpani. L’articolazione orizzontale data da una serie di cornici intonacate. Sul lato destro del prospetto principale addossato il campanile a pianta quadrata, che presenta le superfici intonacate nella parte inferiore e in pietra a vista nel vano terminale.

L’impianto planimetrico della chiesa costituito da tre navate, la centrale absidata e coperta a botte e le navate laterali, divise da archi a tutto sesto e con copertura piana. Le superfici interne della chiesa sono intonacate, il pavimento in lastre quadrate di marmo policromo, bianco Carrara e grigio Bardiglio. L’illuminazione interna avviene attraverso otto grandi finestre rettangolari che si aprono nella parte superiore della navata centrale, da due finestre aperte sul prospetto e dal rosone nella parte absidale, nascosto alla vista dall’altare maggiore. 
Ogni anno il 5 del mese di agosto si celebra la Festa di Santa Maria della Neve, che è la festa patronale di Teti. In segno della profonda devozione verso questa Santa, gli abitanti di Teti hanno posto un piccolo simulacro della patrona in cima alla Punta Sa Marghine, la montagna più alta del territorio comunale, a 952 metri di altezza nella catena del Marghine, dove si festeggia la ricorrenza. La festa in onore di Santa Maria della Neve inizia il giorno della vigilia con la celebrazione dei vespri solenni. Il giorno seguente si svolgono le funzioni religiose, al termine delle quali viene organizzato un semplice rinfresco a base di prodotti tipici locali. I festeggiamenti proseguono fino a tarda sera con vari spettacoli musicali e balli folkloristici. Ed il giorno della festa si svolgono anche i festeggiamenti a Teti, con la processione religiosa seguita dalla Santa messa. e da diverse manifestazioni civili. Il Museo Archeologico Comprensoriale Percorsi circa centotrenta metri lungo il corso Italia, prendiamo sulla sinistra la deviazione nella via Caserma, che seguiamo per circa cento metri, poi prendiamo a destra la via Roma. Lungo la via Roma, al civico numero 7, si trova la sede del Museo Archeologico Comprensiorale di Teti, che è molto interessante da visitare, dato che conserva ceramiche e molti altri reperti rinvenuti nel villaggio nuragico di S’Urbale, oltre a importanti reperti bronzei provenienti dal sito archeologico di Albini. Vi si trova anche la ricostruzione di una capanna del villaggio di S’Urbale, con un focolare centrale, e diversi ripostigli realizzati con lastre di pietra infisse nel terreno.

Visita dei dintorni di TetiVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Teti, sono stati portati alla luce i resti dell’insediamento protostorico di Albini con il Santuario nuragico, nel quale è presente anche il suo pozzo sacro; dell’insediamento protostorico di S’Urbale, con la sua tomba di giganti; della tomba di giganti di Atzadalai; ed anche dei nuraghi semplici Alinedu, ed Istei. A nord est dell’abitato si trova il Santuario di San Sebastiano Dal centro di Teti prendiamo verso est il corso Italia, lo seguiamo fino fuori dall’abitato, dove assume il nome di via San Sebastiano. Seguiamo la via San Sebastiano per circa un chilometro, poi arriviamo a un bivio, che a destra fa imboccare la SS128 verso Tiana, e a sinistra fa proseguire sulla SP4 verso Olzai. Prendiamo la SP4 e, dopo poche decine di metri, troviamo le indicazioni verso destra per il parco Comunale di San Sebastiano, che si trova nella valle in aperta campagna lungo la strada che unisce Teti a Olzai. Prendiamo la strada a destra e, dopo circa centocinquanta metri, troviamo alla sinistra della strada l’ingresso di un grande spiazzo ombreggiato da lecci e roverelle al cui interno, recentemente restaurati e ricostruiti, hanno sede anche diversi locali destinati a ospitare feste e cerimonie pubbliche e private.
All’interno del parco si trova il Santuario di San Sebastiano in stile tipicamente sardo, di origine medioevale, ma rimaneggiato in varie epoche. Di origine molto antica, per struttura e decorazione l’edificio è stato paragonato al più imponente e complesso Santuario di San Mauro di Sorgono, vicino anche geograficamente, entrambi infatti sono riconducibili a una matrice gotico aragonese e presentano alcune caratteristiche di ascendenza classica e manieristica. Il prospetto principale, semplicemente intonacato, nasconde una copertura con tetto a due spioventi e non manca di lasciare intravedere i contrafforti esterni di sostegno, in pietra locale. Il portale ligneo d’accesso, i cui stipiti hanno forme e stilemi gotico aragonesi, è sormontato da un arco di scarico a tutto sesto, e al centro della lunetta si apre una piccola nicchia vuota, mentre più in alto è presente anche un rosone in pietra, formato da colonnine e archi a sesto acuto. L’incisione sulla campana della chiesa indica l’anno 1737 anche se sappiamo che il Santuario risale all’epoca bizantina, non si conosce però se la dedicazione sia rimasta invariata nel corso dei secoli. 
Gli interni della chiesetta campestre, attualmente pavimentata in cotto e semplicemente intonacata, si distinguono per la grande sobrieta dell’insieme. Ha una unica aula, che in origine aveva la pianta a croce greca, con i bracci della stessa lunghezza e larghezza, ed è stata in seguito modificata in pianta a croce latina, con l’asse verticale, ossia la navata, più lungo di quello orizzontale, ossia del transetto. La copertura a botte dell’unica navata è suddivisa in tre campate che terminano nel presbiterio e, ai lati dell’ultima campata, in due ampie nicchie sovrastate da archi in pietra a tutto sesto con i conci a vista, sono presenti due altari secondari in muratura; l’altare principale, in uso, è invece in granito. Nella parete di fondo si apre un’edicola al cui interno si trova la statua di San Sebastiano che, delimitata da semicolonne e da un timpano triangolare, è affiancata lateralmente da due piccole finestre di forma quadrata che, insieme anche al rosone e al piccolo portone d’ingresso secondario, rappresentano le uniche fonti di luce naturale. 
La chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli alla statua di San Sebastiano conservata al suo interno, un’opera di fattura moderna, anche se è quesi certa la presenza in passato di una statua più antica di cui oggi però non ci sono più testimonianze. La Festa di San Sebastiano, che ha inizio l’ultimo sabato di agosto e si conclule la domenica nove giorni dopo, in passato si celebrava nella terza decade si settembre ma è stata anticipata per il ritorno degli emigrati locali e i turisti, oltre che per fattori climatici. La festa prevede la processione fino alla chiesa campestre, dove nelle Cumbessias vengono ospitate le famiglie dei fedeli che seguono il Santo. Seguono i riti sacri ed è ricca di eventi civili e folkloristici. Il complesso sportivo San SebastianoAll’altro lato della strada, ossia alla sua destra, di fronte al parco di San Sebastiano, si può prendere il viottolo che conduce al Complesso Sportivo San Sebastiano di Teti, che è stato completamente rinnovato nel 2024. 
Il complesso comprende una Palestra coperta, all’interno della quale è possibile praticare calcetto ossia calcio a cinque e tennis; ed all’esterno un Campo da calcetto; un Campo da volley, nel quale è possibile praticare pallacanestro e mini basket; un Campo da padel, sport della racchetta di derivazione tennistica; una Pista per running e Attrezzi workout, oltre agli spogliatoi. 
La diga di Cucchinadorza sul Taloro Dal centro di Teti prendiamo verso est il corso Italia, che diventa la via San Sebastiano, e la seguiamo per circa un chilometro, poi arriviamo a un bivio, che a destra fa imboccare la SS128 verso Tiana, e a sinistra fa proseguire sulla SP4 verso Olzai. Prendiamo la SP4 verso Olzai e la seguiamo per quasi sei chilometri e mezzo, e troviamo alla destra della strada la Diga di Cucchinadorza sul Taloro. Si tratta di una diga in calcestruzzo a gravità massiccia, dell’altezza di 45 metri e mezzo, realizzata su progetto dell’ingegner Aldo Maffei tra il 1961 ed il 1962. Si trova lungo il corso del Taloro, un fiume lungo 63 chilometri che nasce nel comune di Fonni dal gruppo del Gennargentu, attraversa la Provincia di Nuoro e la Provincia di Oristano, per sboccare nel lago Omodeo. È uno dei principali fiumi della regione per portata media annua, di sei metri cubi al secondo.
Il bacino artificiale di Cucchinadorza Il Lago artificiale Cucchinadorza è l’invaso artificiale intermedio dei tre creati lungo il corso del fiume Taloro, ed è ripartito fra i territori comunali di Teti nel suo lato occidentale, di Ovodda in quello orientale, e di Ollolai a nord. L’invaso di Cucchinadorza ha una capacità utile di circa 18 milioni di metri cubi di acqua, ad uso idroelettrico, ed è stato realizzato tra il 1972 e il 1978 utilizzando per il suo primo salto il dislivello esistente tra il lago artificiale di Gusana, il primo invaso artificiale sul fiume Taloro a 642 metri di altezza nel comune di Gavoi, e quello di Cucchinadorza, a 348 metri. L’impianto idroelettrico del Taloro è reversibile, cioè viene anche utilizzato, oltre che per pompare, in condizioni normali, l’acqua da quello superiore a quello inferiore, anche per pompare l’acqua dal lago a quota inferiore a quello a quota superiore, accumulando così l’energia elettrica sotto forma di energia potenziale. Il secondo salto dell’impianto del Taloro porta dal lago Cucchinadorza al lago di Benzone, a 151 metri tra il territorio di Austis e quello di Olzai, ed il terzo salto porta da quest’ultimo al lago Tirso, a 107 metri di altezza.
Nell’agosto 2013 una trota gigante ha abboccato all’amo lanciato dalla riva da un pensionato di Ollolai che, grazie alla sua passione per la pesca sportiva, ha catturato un esemplare del peso di 4,8 chili. Un esemplare veramente gigantesco, che ha sorpreso lo stesso pescatore, che ha esclamato: In tanti anni di pesca non mi era mai successo di catturare e vedere una trota di queste dimensioni. |
A sud est dell’abitato si raggiunge le Punta Sa MarghineDal centro dell’abitato prendiamo la via Giuseppe Mazzini che ci ha portati all’ingresso della Scuola Secondaria. Qui prendiamo a destra la via Renzo Laconi che, dopo una trentina di metri, sbocca sulla via Enrico Berlinguer, la prendiamo verso destra e, dopo un’altra trentina di metri, svoltiamo a destra nella via Giuseppe Garibaldi. Questa strada si dirige verso sud est e, dopo circa duecentocinquanta metri, esce dall’abitato. La seguiamo e, dopo circa un chilometro e mezzo, raggiungiamo la Punta Sa Marghine, una cima montuosa situata nella regione del Marghine, con un’altitudine di 952 metri, che si trova nella parte meridionale del Marghine, e fa parte della catena montuosa omonima. Si tratta di un un punto geodetico, con un segnale geodetico sulla sua parte pi elevata a sud di Teti. 
In segno della profonda devozione verso la Santa patrona, gli abitanti di Teti hanno posto un piccolo simulacro di Santa Maria della Neve in cima alla Punta Sa Marghine, la montagna più alta del territorio comunale, presso il quale ogni anno, il 5 del mese di agosto, si festeggia la sua ricorrenza. A sud ovest dell’abitato si inconta la Fontana di Su CantaruDal centro di Teti ci rechiamo al Cimitero Comunale e poi usciamo dal paese in direzione sud con la SP4 che collega Teti ad Austis. Dal cartello segnaletico che indica l’uscita dall’abitato, percorriamo settecntocinquanta metri, e vediamo alla sinistra della strada la Fontana di Su Cantaru, che una fontana storica situata nel comune di Teti. Si trova in una posizione strategica, a poche centinaia di metri dal centro abitato, ed è nota per la sua abbondante acqua, che da sempre rappresenta una risorsa importante per gli abitanti del paese e per i visitatori. La fontana è caratterizzata da un alto plinto in stile neoclassico, con una piccola statua proveniente dalla Lombardia e sei bocche che erogano acqua. Secondo una leggenda locale, il nome Su Cantaru che indica la fontanella deriverebbe da una cerva, in lingua sarda Sa Bita, che sarebbe stata uccisa da un cacciatore mentre si abbeverava alla fonte. La fontana è stata costruita verso la fine del 1700 e presenta lati in blocchi di calcare alternati a trachite nera. Oltre alla sua funzione pratica, la fontana di Su Cantaru ha un valore storico e culturale per il paese di Teti, essendo un punto di riferimento e un luogo di incontro per la comunità locale. Proseguendo verso sud si raggiunge il villaggio nuragico di S’Urbale Passata le fontana di Su vantaru, proseguiamo per settecentocinquanta metri, e si trova alla destra della strada uno slargo dove è possibile parcheggiare, vicino alla zona nella quale è in atto il restauro conservativo del villaggio di S’Urbale. Qui, prendendo a destra, si trova una strada bianca che porta al Villaggio nuragico di S’Urbale o di Cuccuru S’Urbale situato su una collina a 900 metri d’altitudine, che guarda da un colle verso la vallata del lago Coghinadorza, il Monte Marghine, il Monte Ballu e le colline portano verso la valle del Tirso. Il villaggio conta finora una cinquantina di capanne. I vani hanno pianta circolare e sono costruiti per la maggior parte con filari di blocchi di granito locale appena sbozzati. Spesso inglobano massi di roccia affiorante per dare maggiore stabilità alle strutture. La copertura era costituita da pali e frasche, come nelle attuali pinnettas dei pastori. Argilla e sughero venivano utilizzati come materiali isolati per le coperture e gli interni. Il villaggio, che si presenta privo di nuraghe, è stato frequentato tra l’età del Bronzo Medio e la prima età del Ferro, approssimativamente tra il 1500 e il 900 avanti Cristo.

I primi scavi, condotti nel 1931 da Antonio Taramelli, hanno portato al ritrovamento di dodici capanne distribuite sulla sommità del rilievo. Più di recente, le indagini della Soprintendenza per i Beni Archeologici hanno rimesso alla luce altre capanne che, sotto i crolli causati da un incendio divampato già in epoca nuragica, hanno rivelato la presenza di situazioni stratigrafiche intatte e restituito un gran numero di reperti. L’incendio che ha investito il villaggio, cuocendo l’argilla che legava le travi, ha inoltre permesso la ricostruzione delle copertura delle capanne, il cui peso veniva scaricato ai lati, senza l’uso di un palo centrale. Nell’area sono state documentate varie fasi edilizie, per una durata di vita di circa seicento anni. In una delle capanne del villaggio di S’Urbale, intorno al focolare quadrato di battuto d’argilla poggiante su un vespaio di pietre, sono affiorati quattro fornelli fittili a ferro di cavallo completi dei vasi che sostenevano al momento dell’abbandono dell’abitato a causa di un incendio, e nei pressi giacevano due alari. Sempre in questa capanna sono stati ritrovati numerosi oggetti d’uso domestico e, in particolare, fusaole, rocchetti, pesi da telaio, una pintadera, pestelli, macinelli e numerosi vasi, oggi conservato al Museo Archeologico Comprensoriale di Teti, che raccoglie materiali provenienti anche dai paesi vicini. 
Oltre a queste strutture abitative oggetto di scavo, l’area comprende numerose altre capanne, ancora interrate, coperte dai crolli e dalla folta vegetazione. Le più recenti campagne di scavo hanno interessato undici vani situati nella parte più alta del colle, giacché questo settore del villaggio, data l’asperità del terreno, non era stato sconvolto dai lavori agricoli e quindi offriva la possibilità di indagare situazioni stratigrafiche ancora intatte. A nord ovest raggiungiamo il pianoro di Atzadalai con la sua tomba di gigantiDal centro di Teti ci rechiamo al Civico Museo Archeologico, seguiamo la via Roma che sbocca sulla via Trento, la quale, a sua volta, prosegue sulla via Abini, che esce dal paese verso nord ovest. Percorsi circa tre chilometri e quattrocento metri lungo la via Abini, si trova la deviazione sulla destra che porta all’Agriturismo Buzzarzu. Proseguendo, dopo circa centocinquanta metri si trova una strada bianca alla sinistra che porta sul pianoro in un’area collinare in località Atzadalai, non molto distante dal paese. Qui si trova anche, a circa settecento metri di distanza, la tomba di giganti di Atzadalai, una tomba di tipo dolmenico edificata in materiale indeterminato a 800 metri di altezza, ma di questo ritrovamento rimane ben poco perché è quasi totalmente distrutta. Restano visibili soltanto quattro lastre, di cui una era la parete di fondo e le altre tre accennano quello che nell’antichità era la tomba. E nei pressi della tomba, durante lavori di bonifica, sono venuti alla luce diversi menhir in granito di tipo aniconico antropomorfo, asce di pietra, punte di freccia in ossidiana, grattatoi e una grande quantità di schegge di lavorazione, cioè scarti della lavorazione della selce. Nel pianoro di Atzadalai è stata rinvenuta la statuetta della Dea madre dormienteNegli scavi della tomba di Giganti di Atzadalai, insieme a reperti del Neolitico medio e finale, tra cui primitivi menhir antropomorfi, il ritrovamento più importante riguarda un idoletto con sembianze femminili, realizzato in roccia vulcanica. Si tratta di uno dei più antichi esempi di opere d’arte sarde, un idoletto con sembianze femminili realizzato in roccia vulcanica bruno rossiccia, ben lavorata e databile al Neolitico Medio, che si sviluppa secondo la cronologia calibrata tra il 4700 ed il 4200 avanti Cristo, e secondo la datazione tradizionale tra il 4000 ed il 3400 avanti Cristo. L’idoletto può essere interpretato come una Dea madre dormiente o anche come una Venere grassa, con gli occhi segnati con una leggera incisione asimmetrica, il naso realizzato con una piccola incisione rettangolare, e la bocca segnata da un’incisione sulla parte inferiore del viso. Le braccia, raccolte sotto il seno, sono evidenziate da una profonda incisione ad angolo con il vertice rivolto verso il ventre, ed il braccio sinistro presenta delle incisioni che probabilmente schematizzano la presenza di un bambino in grembo. I tratti somatici posteriori sono resi da una profonda incisione verticale che parte dalla spaccatura delle natiche. Più a nord si raggiunge il villaggio o Santuario nuragico di Abini dove sono stati rinvenuti i famosi bronzetti di Abini Passata la deviazione per l’Agriturismo Buzzarzu e la deviazione che porta al pianoro di Atzadalai, proseguiamo verso nord lundo la prosecuzione della via Abini. Da dove avevamo imboccato la via Abini, percorsi poco meno di tredici chilometri, prima di arrivare all’agriturismo Abini, troviamo una deviazione sulla sinistra, che ci porta al Villaggio o Santuario nuragico di Abini. Si tratta di un antico luogo di culto e pellegrinaggio delle antiche genti sarde, i cui resti sono in buona parte interrati in una vallata percorsa da un fiume che sfocia nella valle del Tirso. Il santuario, con a fianco i resti di un vasto villaggio, si trova presso un’ansa del fiume Taloro, il principale affluente del Tirso nella sua parte mediana, una posizione senz’altro strategica. La storia del rinvenimento del villaggio Santuario di Abini parte dal settembre del 1865, quando un ragazzo del luogo ha convinto alcuni contadini a scavare in un terreno dove in superficie affioravano resti di antiche costruzioni. Nel luogo del rinvenimento, all’epoca chiamato Sa Badde de Sa Bidda, ossia la valle della città, è stata portato alla luce, tra lastre di pietra, un deposito di oggetti votivi in bronzo. Il canonico Giovanni Spano ha pubblicato i materiali bronzei, che sono stati acquistati dallo studioso Efisio Timon, e donati al regio Museo di Antichità di Cagliari. Nel 1878, in un grosso recipiente in terracotta, sono stati rinvenuti altri materiali bronzei, anch’essi inviati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.

In seguito il sito è stato visitato da Filippo Vivanet, che ha individuato il recinto sacro ed il relativo tempio a pozzo, ed altri scavi, iniziati nel 1929 sotto la direzione dell’archeologo Antonio Taramelli, hanno liberato il recinto sacro insieme al tempio a pozzo. Una nuova campagna di scavo, iniziata nel 1981, ha consentito di scoprire nuove capanne circolari, collegate tra loro da edifici di forme differenti. In seguito sono state condotte nuove campagne di scavo negli anni 2000 ad opera soprattutto di Anna Depalmas anche con la collaborazione di Claudio Bulla. La fonte sacraProssima all’abitato, è presente il recinto sacro con al suo interno il Pozzo sacro, una fonte monumentalizzata con paramento in conci squadrati di basalto e trachite. Nel pozzo, privo del vestibolo e della scala d’accesso, la bocca circolare si apre a livello del piano di calpestio. Il monumento, che oggi è in rovina, doveva apparire simile alla fonte di Su Tempiesu di Orune, con atrio e camera dell’acqua voltata a tholos. Il tempio è racchiuso in un recinto ellittico gradonato con murature in blocchi poligonali di granito locale. Lo spazio era lastricato con lastre della stessa roccia locale. Il pozzo è collegato con un cortile di pianta ellittica, diviso in due settori da un tramezzo rettilineo eccentrico con larga apertura mediana. L’accesso al pozzo avveniva dal settore di minori dimensioni che non mostra caratteristiche architettoniche particolari, mentre quello maggiore è dotato di un bancone sedile. Il settore minore comunica a sua volta con un grande recinto avente forma di tre quarti di ellisse, provvisto anch’esso di bancone sedile. L’assenza, nel pozzo, di vani tradizionali dell’architettura templare nuragica, come l’atrio e la scala, e la presenza invece di altri ambienti dotati di bancone sedile, fanno ritenere che ad Abini la funzione sacra non spettasse tanto al pozzo quanto agli ambienti in cui esso era incluso. 
L’area sacra è ben conservata, protetta da un recinto con i muri di un’altezza residua ad oggi di ben due metri nella quale sono presenti panche lungo i muri ed altre infrastrutture, che racchiudeva le strutture sacre, nella quale è presente il pozzo sacro che è stato attivo dal periodo del Bronzo Recente fino all’età del Ferro. Davanti al pozzo sono state recuperate diverse lastre per offerta. All’interno si trovano numerosi conci lavorati, alcuni con la presenza di coppelle circolari, probabilmente utilizzate per deporvi le offerte votive. Il villaggio di Abini è considerato un villaggio Santuario, nel quale si incontravano i rappresentanti di diverse tribù in occasione di festività religiose comuni. L’uso religioso del villaggio era probabilmente legato al culto dell’acqua. I bronzetti di Abini realizzati nell’età del Bronzo Finale o forse nell’età del Ferro e quindi più recenti di quelli di Uta La grande quantità di oggetti in bronzo restituiti dagli scavi, attestano le abilità metallurgiche acquisite dalle popolazioni locali ed il ruolo particolarmente importante del villaggio Santuario che richiamava le popolazioni di un vasto territorio. All’interno del villaggio sono stati rinvenuti, infatti, tra l’altro, numerosi Bronzetti votivi del periodo del bronzo tardo, prodotti fra il decimo e il settimo secolo avanti Cristo, simili a quelli rinvenuti a Serri, oggi conservati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Sono bronzetti diversi da quelli rinvenuti a Uta, e vengono indicati come bronzetti in Stile popolaresco o Stile Mediterraneo, quello che viene chiamato anche lo Stile di Abini e Serri. Rappresentano guerrieri con abbigliamento ed acconciature evolute, i capelli non sono corti ma raccolti in lunghe trecce, l’elmo ha corna più lunghe, gli scudi sono più elaborati e non compaiono più alcune armi come il boomerang.

Tra i più significativi rinvenuti ad Abini, diversi rappresentano Shardana, il demone con quattro occhi e due scudi un guerriero su un’imbarcazione; ed altri guerrieri. Le spade, in questi bronzetti, hanno una fattura di tipo egeo, il che lascia intendere l’esistenza di ampi scambi culturali e commerciali. Vengono quindi ritenuti più recenti, presumibilmente realizzati alla fine dell’età del Bronzo, o forse nell’età del Ferro, dopo l’emigrazione degli Shardana seguita alla grande catastrofe del 1200 avanti Cristo, forse da parte della popolazione locale o degli Shardana rimasti sull’isola. Oppure, secondo un’ardita ipotesi di Leonardo Melis, da quei loro eredi che vi tornarono in seguito, e che i Greci chiamarono i Fenici. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, riprenderemo da Tonara la SS295 e risaliremo nella Barbagia di Ollolai. Ci recheremo a visitare Tiana detto il paese dell’orbace, e conosciuto anche per la longevità dei suoi abitanti. Possiamo recarci a visitarla anche da Teti, dove eravamo arrivati nella precedente tappa del nostro viaggio. |