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mente fin sopra il letto di Stefano. E don Piane, tor-
nand
o indietro e sedutosi su un’antica seggiola dall’alta
spalliera a punta, s’affissò in quella striscia di luce e
s’abbandonò al suo tormentoso pensiero.
Già, quando egli si fissava una cosa in mente, fosse
ragionevole o no, fosse per improvvisa o lenta intui-
zione, nessuno avrebbe potuto convincerlo del contrario.
Era don Piane Arca una singolare figura di vecchio
oltre l’ottantina; indossava un costume fra il paesano ed
il signorile, con giubba e pantaloni di panno nero finis-
simo, corpetto accollato di velluto color bronzo
‐verda-
stro, adorno di una doppia fila di bottoncini d’argento
brunito; portava la berretta sarda, ma piccola e corta
come si usa in certi villaggi del Nuorese. Gli occhietti
e la bocca sdentata gli sfuggivano entro le profonde ru-
ghe del viso incartapecorito e raso, privo di sopracci-
glia e circondato da lunghi riccioli serpentini di capelli
d’un bianco metallico; e le piccole mani nodose, can-
dide, solcate da grosse vene verdastre, tremavano sem-
pre, facendo dondolare il rosario di madreperla bruna
avvolto int
orno all’esile polso.
Sotto il gilè, che sembrava un giustacuore antico, don
Piane celava una collana di medaglie, crocette, reliquie,
scapolari e persino un frammento di vera croce, acqui-
stato a prezzo di diamante dalla vedova di un bandito;
pregava continuamente e faceva elemosine, ma del re-
sto era avaro, caparbio, odioso, ancora circondato di ne-
mici e d’inimicizie.
Dopo aver preso tre mogli ricche e veduta sparire in-
torno a sè quasi tutta la sua generazione, aveva anche