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Ti giuro che non ho toccato niente. Ma se non so
leggere!
E neppure questo era vero, perché le cartoline che
arrivavano alla famiglia portavano le impronte delle
sue dita unte: le lettere no; perché erano sempre indi-
rizzate al padrone, e con lui non si scherzava; e poi non
attiravano neppure la curiosità di Caterina. Chi poteva
scrivere a un vecchio bacucco grassone, già pelato, con
due paia di occhiali sul naso di patata in germoglio?
Anche la signora non riceveva lettere. Fu quindi un av-
venimento straordinario, un lunedì di giugno, quando
Caterina, di ritorno dalla spesa, ritirò la posta, e fra al-
cuni giornali trovò una lettera indirizzata alla signorina
Gina Martelli: proprio a lei. Busta quadrata, di quelle
grigie a ghirigori che non vogliono essere eleganti ma
neppure meschine; calligrafia chiara, minuta e un po'
angolo
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sa, come quella degli intellettuali o degli stu-
denti di matematica: (giusto, ce ne stava uno al secondo
piano del palazzo); scrittura da uomo, ad ogni modo; e
Caterina la sentiva dal fiuto, come il cane sente l'odore
del tartufo anche se non sa che cosa è.
E Caterina non sa ancora che cosa è l'amore, ma la
sua malizia va oltre questo sapere: sa che gli uomini e
le donne si vogliono bene e si sposano, e ne sono tutti
contenti: precisamente non sa perché; e vorrebbe istin-
tivamente, saperlo; come appunto forse anche il cane
ansioso vorrebbe sapere perché all'uomo piace il tubero
scavato tra le foglie fracide del bosco. Per questo ani-
malesco istinto, Caterina fa sparire la lettera nel saccoc-
cino sdrucito della sua sottoveste, e non la consegna