IANUA 4 (2003) Tipologia e collocazione del sardo tra le lingue romanze ISSN 1616-413X http://www.romaniaminor.net/ianua 6 alveopalatale (un suono intermedio , quale potrebbe essere documentato per altro nello stesso CSMB, dalle scritture Murghia (172) e venghio (174) anziché Murgiae bengiu). Queste scritture di cui diciamo (bingi, angilla, kergidore) possono insomma rappresentare proprio questi suoni intermedi ne r: nella fasemedievale tali suoni intermedi potevano confondersi con le realizzazioni palatali —non ancora alveopalatali— ć, di nk e rk originarie che evolvevano appunto verso nć e rć, dove. Insomma, nel caso delle nostre grafie bingi, angilla, kergidore, tale suono intermedio ć poteva essere realizzato come sonora per il doppio influsso della sonorità delle liquide n e r e per la assimilazione di nć e rć con i tipi da nj e rj realizzati appunto ne r. Oltre che queste grafie medievali, possono suffragare l’ipotesi in questione determinate varianti dialettali, presenti in Barbagia e in Arborea, come enna per ğenna < JENUA o iniperu per ğiniperu < JENIPERU per JUNIPERU; si tratta, come si vede, di evoluzioni inconsuete in quanto J latina non dà di regola una velare sonora , ma semmai una palatale ğ: orbene solo a partire da forme con intacco palatale ma non ancora pienamente svolte (solo cioè da forme come appunto enna o iniperu) si poteva per così dire, retrocedere a forme con la velare enna o iniperu; e, inoltre, solo nel caso che il suono con intacco palatale a partire da suono velare fosse una variante alternante col suono velare medesimo; né va poi dimenticato che le parlate meridionali rendono con č (palatale) il nesso kj degli imprestiti medievali dal toscano, p. es. aparičài, ču, ča rispettivamente da apparecchiare, vecchio, secchia: ciò si può spiegare col fatto che tale suono kj toscano andava a confondersi e a sovrapporsi all’originario suono velare con intacco palatale ć, per cui essendo quest’ultimo passato poi a č (palatale) forse proprio per influsso toscano, tanto il suono originario latino con intacco quanto quello degli imprestiti toscani con kj finirono per confluire nell’esito č palatale. Del resto i dialetti arborensi mostrano, tanto oggi quanto nella fase medievale, la rottura di una simmetria secondo la quale laddove i nessi originari latini C,T+J evolvono in > t (u/pùtu, àa/àta) si ha la conservazione delle velari (come nei dialetti logudoresi e nuoresi), mentre laddove i nessi originari latini C,T+J evolvono in ts (pùtsu, àtsa) le velari sono palatalizzate; in Arborea abbiamo invece da un lato la conservazione delle velari di tipo settentrionale, dall’altro il passaggio di C,T+J in ts di tipo meridionale. Segno questo di un conflitto diacronico, i cui particolari non v’è lo spazio perché siano qui descritti, ma che mostrano comunque come le velari logudoresi sarde non siano il supino proseguimento conservativo delle velari latine, così come le palatali campidanesi non siano il mero risultato di un influsso esogeno. Si può invece pensare a una più o meno lunga fase predocumentaria e altomedievale, in cui siano coesistite due varianti, quella velare e quella palatale, ciascuna magari con annessa valutazione sociolinguistica (forse alta per le velari e bassa per le palatali), e che ciascuna delle due macroaree del dominio sardo abbiano a un certo momento categorizzato una delle due varianti in gioco: così i dialetti settentrionali hanno optato per le velari, forse considerate di maggior prestigio o tradizione, mentre i dialetti meridionali avrebbero optato per la variante palatale, questa volta sì, si può ammettere, per propulsione del toscano, il quale dunque non avrebbe generato il fenomeno della palatalizzazione campidanese, ma lo avrebbe solo reso categorico a partire da una situazione di variabilità in cui alternavano velari e palatali; si può così spiegare, senza tema di contraddizione, il fatto che i più antichi testi campidanesi mostrino anch’essi chiara testimonianza della conservazione delle velari. Tutto ciò restituirebbe alla lingua sarda la figura di una storia più mossa e dinamica di quanto in genere non si ammetta, per cui l’idea tradizionale di un conservatorismo trasparente e lineare del sardo sarebbe quantomeno da rivedere alla luce di un andamento evolutivo complesso e non così rettilineo come si è voluto. E ancora non così trasparente e pacifica è l’opinione che vuole i dialetti logudoresi e ancor più i nuoresi sempre e comunque conservativi contro i dialetti campidanesi invece sempre innovativi e proni all’influsso straniero. Molte volte è vero invece il contrario. E non sto a