La Civiltà Nuragica
La Civiltà Nuragica si svolge nel lungo arco cronologi-
co che va dall’Età del Bronzo Medio (1600-1300 a.C.)
all’Età del Ferro (900 a.C.), raggiunge il momento di
massimo splendore tra il XIV e il XII secolo a.C., ed
esaurisce il suo corso millenario nel momento in cui si
afferma l’incontrastato dominio cartaginese sull’isola,
che convenzionalmente si fa coincidere con la data
della battaglia navale di Alalia tra i Cartaginesi e i Fo-
cei (509 a.C.).
Le dimensioni di questa civiltà, che non conosceva la
scrittura e non utilizzava la moneta, sono veramente
ragguardevoli, come attestano circa ottomila nuraghi
distribuiti su tutto il territorio isolano, un migliaio di
villaggi, cinquecento “tombe di giganti” e numerosi
pozzi sacri; e il principale indicatore del livello tecno-
logico che essa raggiunse è rappresentato, insieme al-
la imponente capacità edificatoria, dalla perizia nella
lavorazione dei metalli, documentata dalla copiosa
produzione di manufatti in bronzo.
Alla posizione geografica, e ancor più alla ricchezza di
alcune materie prime che oggi sarebbero definite “stra-
tegiche”, anche in considerazione del loro impiego a
fini bellici (l’ossidiana del Monte Arci, il rame, il piom-
bo, il ferro e l’argento del Sulcis), si deve la varietà di
contatti e di scambi commerciali che l’isola ebbe in
quel periodo con altre civiltà dell’Egeo, del Mediterra-
neo orientale e dell’Italia tirrenica (Etruschi), come do-
cumentano (per citare i fatti più noti) i numerosi ritro-
vamenti di materiali ceramici micenei, e i lingotti di
rame a forma di pelle di bue provenienti da Cipro, ov-
vero, nella direzione inversa, le ceramiche nuragiche
ritrovate a Kommòs nell’isola di Creta.
Rispetto ad altre civiltà coeve (ad esempio, quelle insu-
lari del mare Egeo), nella Sardegna nuragica si registra
un certo ritardo cronologico nello sviluppo di alcune
tecniche di fabbricazione delle ceramiche (il tornio ve-
loce) e di lavorazione dei metalli (la fusione a cera per-
sa). La loro introduzione nell’isola avvenne nell’ambito
degli scambi commerciali con popolazioni più evolute,
probabilmente provenienti dall’Oriente mediterraneo, e
costituisce un caso da manuale (in piena preistoria!) di
cessione di materie prime (ossidiana e metalli) in cam-
bio di tecnologia. Per il tornio veloce è stata proposta
l’acquisizione dai Fenici, e per la fusione a cera persa
l’isola di Cipro, in entrambi i casi facendo riferimento ai
reperti archeologici che documentano la tipologia e
l’intensità degli scambi con quelle popolazioni.
Le indagini archeologiche negli innumerevoli siti nuragi-
ci hanno restituito una grande quantità di manufatti in
bronzo: dagli strumenti per lavorare la terra (picconi,
falci) a quelli per lavorare il legno (asce, seghe, punte-
ruoli) e i metalli (incudini, ceselli, martelli), alle armi
(punte di lancia, pugnali, spade) e, ovviamente, ad un
gran numero di ornamenti, realizzati per fusione con
matrici litiche e procedimento a cera persa. Può sembra-
re paradossale che per il periodo nuragico – certamente
più prodigo di reperti significativi rispetto al Neolitico –
non disponiamo nemmeno di un esempio di ornamento
contestualizzato: nessun bronzetto antropomorfo, infatti,
ci ha tramandato in effige un gioiello indossato da un
personaggio, maschile o femminile. Per spiegare questa
assenza possiamo ipotizzare che la funzione – come so-
stengono i più – eminentemente votiva di tali manufatti
comportasse la necessità (potremmo dire ideologica) di
rinunciare ad ogni pretesa di rappresentazione realistica
o naturalistica, e di limitare le “informazioni” agli acces-
sori strettamente indispensabili per definire il ruolo del
personaggio rappresentato (il copricapo, lo scudo, le ar-
mi, il bastone del comando etc.). Ovviamente anche
l’assenza costituisce a suo modo un’informazione, che ci
consente di ipotizzare che la funzione ornamentale dei
gioielli fosse prevalente rispetto a quella di connotare il
ruolo sociale del possessore. Quanto alle tipologie e ai
modelli, la produzione isolana di monili non si discosta
granché da quella delle civiltà dell’Egeo e del Mediterra-
neo orientale. Tra gli oggetti più diffusi ritroviamo i
bracciali in bronzo (figg. 48-49), realizzati in lamina o a
verga (quest’ultima con una notevole varietà di sezio-
ni), nei modelli a cerchio, a capi aperti, a capi sovrap-
posti o a più giri. La maggior parte degli esemplari non
presenta alcuna decorazione, ma non mancano oggetti
lavorati a punzone o a bulino, con motivi a cerchietti, a
occhi di dado, a spina di pesce, a zig-zag, a treccia o a
spirale. Gli anelli in bronzo o in rame, in lamina o (per
la maggior parte) a verga piena, riprendono gli stessi
modelli dei bracciali, e presentano una superficie liscia
del tutto priva di segni. I bottoni in bronzo, probabil-
mente utilizzati soltanto come elementi decorativi, sen-
za alcuna funzione pratica connessa all’abbigliamento,
sono di forma semisferica o conica, e presentano in al-
cuni esemplari decorazioni plastiche di non facile lettura
(probabilmente zoomorfe). Le collane offrono tipologie
abbastanza varie: le più diffuse sono quelle a vaghi (di
forma sferica o fusiforme), probabilmente tenuti insieme
da un cordoncino vegetale; altre sono costituite da sem-
plici catenelle, o da un filo semirigido con le estremità
ripiegate e guarnite da motivi decorativi a spirale o a
treccia (figg. 6-8). Accanto agli ornamenti in metallo
continuano ad essere utilizzati manufatti sostanzialmente
identici a quelli delle epoche precedenti, come le colla-
ne litiche o con zanne e denti di animali, e fanno la loro
comparsa alcuni oggetti che segnano una evidente di-
scontinuità sia sul piano delle tecniche che su quello del
gusto: i piccoli bottoni in osso, i grani di collana in cri-
stallo di rocca, corniola e steatite; per le conchiglie la
novità è rappresentata sia dal tipo utilizzato (una collana
ritrovata ad Usini, in località
S’iscia ’e sas piras
, è com-
posta da quasi duemila opercoli di
Cyclostoma elegans
),
16
2.
Collana
, sec. XVIII-XVII a.C.
conchiglie, zanne di cinghiale, dente di canide, h max della zanna
10,8 cm, Cagliari, Museo Archeologico Nazionale.
Il monile proviene da Soleminis, tomba a fossa di
Is Calitas
.