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di sonorità, con quella di uno strumento musicale.
A Bosa, invece,
su traigolzu
è un animale mo-
struoso, cavallo e bue insieme, che, ogni notte del
1 agosto, va trascinando un carro carico di ossa.
Questo grosso carro, nero e privo di sponde, è
su
carru de sos mortos
(«il carro dei morti») o
su carru
de sa morte
(«il carro della morte»), detto anche
carru cócciu
(«cocchio» o «carrozza») o
carru drottu
.
Trainato talvolta da cavalli, ma spesso senza che
nessuno lo tiri, carico di anime dannate, è guida-
to dal diavolo (
s’aremigu
) o dalla morte stessa.
Esce a mezzanotte, producendo un sinistro ru-
more di catene, e si arresta davanti alla casa di
chi deve morire in breve tempo.
Lì, con grande frastuono, udibile però soltanto
dai parenti di colui che morirà, si sfascia, incen-
diandosi poi fra alte lingue di fuoco attorno alle
quali i folletti danzano una ridda sfrenata.
A Siniscola, dove esce il 1 gennaio, è accompa-
gnato da S. Giacomo che, con un pungiglione,
colpisce chi dovrà morire entro l’anno.
A Samassi e Villasor, dove è detto
carru accócciu
de is sogas
(«cocchio delle streghe»), fa invece la
sua comparsa a mezzanotte, presso i cimiteri, in-
cedendo con lugubre cigolio di ruote.
Nelle ore notturne, dal cimitero, dove fa quindi
ritorno, esce poi
la réula
o
sa régula
, una proces-
sione di morti salmodianti, ciascuno con in ma-
no un cero, acceso o spento, che si rivela essere
in realtà un osso umano. Sono anime penitenti il
cui numero varia da una decina fino a diverse
centinaia, ed hanno un aspetto inquietante, poi-
ché possono apparire prive della testa, vuote alle
spalle, in lunghe vesti bianche. Incontrarle, e più
ancora accettare incautamente il cero che esse
recano, è molto pericoloso, perché si può averne
un forte spavento, col rischio di ammalarsi gra-
vemente e morire. Il passaggio de
sa régula
, per
le vie del paese o per le strade di campagna, è
segnalato da un suono di campanelli.
Régula
(o
arréula
o
roda
) è però anche la ruota
di campanelli (lat.
rota cum tintinnabulis
;
rota
o
circulus nolarum
;
tintinnabula rotis
) che in talu-
ne chiese segnalava l’inizio delle funzioni religio-
se o ne sottolineava i momenti più solenni. È
una grossa ruota in legno oppure in metallo,
semplice o doppia, in alcune zone a raggi, in al-
tre piena, sulla cui circonferenza sono posti
campanelli di varia grandezza e tonalità. Fissato
su una parete del presbiterio, ad altezza di qual-
che metro da terra, lo strumento veniva azionato
mediante un’asta o una corda legata ad una ma-
novella posta al centro della ruota. Suoni di
campanelli, ma anche di zoccoli e finimenti, si
avvertono di notte, in Gallura, al passaggio della
temibile
almata di Rodas
(«armata di Erode»),
dodici cavalieri su altrettanti cavalli bianchi,
usciti dall’inferno e guidati da
Rodas
, che di-
struggono quanto incontrano sul loro cammino.
E se a Perfugas si ode il sibilo di certi spiriti bian-
chi che passano sul tetto dell’abitazione di chi do-
vrà morire di lì a breve, dileguandosi poi in can-
dide nuvole; se a Sassari vagano, per le stanze
della casa dove nacquero, gli spiriti dei bambini
morti senza battesimo (
ánimi buláttigghi
), facen-
do rumore; un po’ dovunque, in Sardegna, e in
particolare in Gallura, Goceano, Logudoro, Mar-
ghine, Planargia, Trexenta, si può avvertire, di
notte, presso i corsi d’acqua, il battere cadenzato
delle
panas
o
páiani
.
Sono, queste, le anime di donne morte di parto,
forse colpevoli di un infanticidio commesso per-
ché non sposate, condannate a lavare i panni
delle loro creature, talvolta su una tavola (
sa
daedda
), con uno stinco di morto (
su mazzuccu
),
per due, tre, sette anni.
Disturbarle, rivolgendo loro la parola e interrom-
pendone così la penitenza, che deve perciò ripren-
dere daccapo, è pericoloso: esse scagliano allora,
contro l’importuno, il panno bagnato che stanno la-
vando e la parte colpita resta macchiata per sempre
oppure va in cancrena, portando infine alla morte.
Le ore della notte però serbano anche suoni più
lieti, ma non per questo meno carichi di rischio.
Appena terminata la festa dei vivi, i sagrati delle
chiese campestri si animano di note di armoniche,
di chitarre, di canti
a tenore
: lì, ogni anno, le anime
dei morti celebrano con balli, suoni e canti, la loro
festa. Il vivo che vi capiti senza rendersi conto di
quanto sta accadendo, invitato dai morti a prendere
parte alle danze, è quasi tentato di accettare. Fra i
ballerini, però, riconosce un suo compare morto da
tempo, che lo avverte del pericolo e gli rivela le pa-
role con cui dovrà rispondere all’invito, se vorrà sal-
varsi: danzare con i morti, che non conoscono più
limiti fisici, né temporali, propri delle cose umane,
un ballo senza fine, vuol dire infatti morire.
La formula magica che farà cadere per terra i mor-
ti, presi da un irrefrenabile convulso di risa, men-
tre il vivo, allontanatosi a spron battuto, guaderà
un fiume e si salverà (i morti non possono attraver-
sare corsi d’acqua), dice così:
Ballade e cantade vois
/ chi sos ballos sun sos vostros. / Cando ana a esser
sos nostros / amus a ballare e cantare nois
(«Ballate
e cantate voi / ché i balli sono i vostri. / Quando
saranno i nostri / balleremo e canteremo noi»).
Si ribadisce, così, l’estrema separatezza di due
differenti universi. Sovente accade, però, che in-
sieme s’incontrino, nel ballo e nella musica, sal-
vezza e perdizione.