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ceramica e di zucca, per imitare campane, tam-
buri e altri strumenti a percussione, anche per il
solo gusto del ritmo.
È d’obbligo però citare i più noti e diffusi gio-
cattoli sonori: “strumenti” a fiato come fischi a
bocca libera, o con bocca e dita, e fischietti, da
una parte, e strumenti ad ancia dall’altra, a co-
minciare da un petalo e da una foglia fatti risuo-
nare col fiato nel cavo orale. Strumenti semplici
come
su frusiu
, il rombo, tavoletta rettangolare
di legno fatta girare con una cordicella che si le-
ga per un foro al centro o a uno dei lati minori,
o più elaborati come il
mumusu
o
muscone
, bot-
tone o altro piccolo disco che si fa girare per
mezzo di un filo che si arrotola e si srotola ti-
rando e mollando e così produce un ronzio
profondo.
I fischietti e i piccoli aerofoni ad ancia si ottene-
vano con materiali naturali stagionalmente rin-
venibili: un nocciolo di pesca o di prugna (camp.
su(l)ittu de pisu ’e piricoccu
, log.
ossu ’e pruna
),
svuotato del seme e bucato da ambo le parti sfre-
gandolo contro un materiale duro fino a ottenere
due buchi corrispondenti che producono un fi-
schio soffiandovi tra le labbra e i denti; come un
pezzo di stelo di grano o di avena chiuso in cima
da un nodo naturale e aperto all’altra estremità, su
cui si praticava un’ancia battente: mettendolo in
bocca e soffiando diventava una
trumbitta ’e for-
raini
(camp., «trombetta di fieno») o
ena
(camp. e
log., «avena»), con suoni differenziati se sullo stelo
a tubo si praticavano fori.
Crescendo, il ragazzo poteva ottenere una
trum-
bitta
o
sulittu
più durevole, potente e versatile,
lavorando allo stesso modo una canna palustre
fresca o secca, per ottenere un tipo vario di stru-
mento che si avvicina allo zufolo del pastore (
pi-
piolu
,
píffaru
,
sulittu
), di canna anch’esso, o di
legno di sambuco o d’altro. Un altro semplicissi-
mo aerofono giocattolo è lo
scrámia-betu
(camp.,
«grida-capriolo», log.
ischéliu
), usato anche co-
me richiamo nella caccia al cervo, cannello ad
ancia quadra, che produceva un suono simile al
bramito di un cerbiatto tagliando in quattro un
pezzo di canna nel punto chiuso dal suo nodo
naturale e soffiando dall’estremità opposta.
Una pianta versatile per i giochi sonori non solo
dei ragazzi è la zucca: la foglia fresca di zucca in-
cisa longitudinalmente fornisce il più semplice
ed estemporaneo aerofono ad ancia doppia, per
emettere suoni gravi e ronzanti (e prestazioni
analoghe si ottenevano da foglie d’edera o d’al-
loro dentro la fenditura di un ramo appoggiato
sulle labbra di lungo); la cucurbita (
croccoriga
)
si riempiva di materiale granuloso per ottener-
ne suoni ritmici da accompagnamento oppure
la si sfregava con uno stecco su tacche predi-
sposte. Sempre con un pezzo di canna, stavolta
a tubo libero ma con un’estremità chiusa da
una membrana (di solito d’intestino di bue), si
ottiene un membranofono sollecitato con le di-
ta o da uno spago in modo continuo, detto va-
riamente
tumbarineddu
,
mumusu
e altrimenti.
Il suono delle
launeddas
o dell’organo chiesa-
stico poteva essere imitato con membrane e più
recentemente con la carta velina fatta vibrare
su un pettine, così come il forse meno speri-
mentato suono del violino, come sanno i ragaz-
zini di ogni parte del mondo.
Ma qui come altrove i ragazzi hanno esercitato
tutta la loro fantasia e l’ingegno per modificare
timbro e volume della loro voce, con tubi, im-
buti, recipienti, materiali vibranti di ogni tipo,
arrivando anche alla costruzione di cordofoni
estemporanei, vista la rarità o quasi assenza in
Sardegna di giocattoli cordofoni di sicura tradi-
zione. Tuttavia i cordofoni, a parte la chitarra,
sono rari comunque nell’organologia sarda tra-
dizionale, specialmente quelli ad archetto.
I bambini sardi hanno giocato con canne fesse
sbattacchiate, con eliche a vento, di canna o
d’altro, e con tutta la serie di crepitacoli del ti-
po di quelli della Settimana Santa. Il grande
“gioco” infantile dei
toccos
lignei del triduo pa-
squale, che sostituivano le campane mute e le-
gate, era sicuramente il più grande, serio e so-
lenne tra tutti i giochi infantili: ma questa, stile
etnico a parte, era pratica comune a tutta la cri-
stianità occidentale, fino alla riforma liturgica
cattolica degli anni Sessanta di questo secolo.
Ed è qui infine utile notare come tutto l’arma-
mentario etnofonico, tutta l’organologia ludica
infantile tradizionale, più ancora di quella adul-
ta, sia divenuta rapidamente desueta
grosso mo-
do
nel corso del decennio degli anni Sessanta di
questo secolo, in coincidenza con le grandi tra-
sformazioni tecniche, socio-economiche e cultu-
rali coeve.