puntamento arriva con l’anello-sigillo: permette un tim- brino sul polso? Pare che, superato l’attimo di sorpresa, i rapitori non abbiano avuto nulla in contrario. Se tanto bastava per dare sicurezza all’emissario di famiglia, per- ché non accontentarlo? Chissà da quale film, da quale magazzino dell’avven- tura è stata pescata l’idea degli anelli. Certo è che a Me- sina, alle prese con una vicenda delicatissima che po- trebbe fargli avere la grazia o spedirlo al cimitero, piace da impazzire. Quei tre anelli avrebbe voluto farli vedere all’agente del Sid che molti anni prima l’aveva fatto cre- pare d’invidia: «La vedi questa penna? È una pistola». Nel reparto giocattoli d’una fantasia che non ha me- moria dell’infanzia (perché infanzia non ne ha, in realtà, mai avuto), gli anelli sono un innocente capriccio. Chi li porta ha l’impressione d’essere il protagonista di una grande cavalcata, piena di trabocchetti e di perfidie. A guardar bene, c’è forse anche un delirio di onnipotenza. La libertà, riacquistata dopo tanto tempo, lo scaraventa sulla ribalta di una storia che tiene il Paese col fiato so- speso. Non è bellissimo tutto questo? È la favola di un ex bandito che si trasforma in principe per salvare un bimbo rapito.