IX
“Non di manoscritti si valse infatti il Mameli, ma di stampe e di stampe non ottime [...], modificò spesso arbitrariamente il
testo preferendo alle antiche e originarie desinenze quelle dei tempi suoi e de’ suoi tempi adottò la grafia. Ciò – osservava
il grande storico lombardo – importava di già un voluto allontanamento da quella che dovea presumibilmente essere la
lezione genuina della legge: e oltre a ciò, mentre avrebbe dovuto sforzarsi di giungere ad essa attraverso le varianti e le
scorrezioni delle stampe rinunciando a qualunque arbitrio ricostruttivo, gli arbitrii non mancano e spesso il testo capric-
ciosamente modificato è diventato persino incomprensibile, né giovano a chiarirlo e la traduzione e le note, qualche volta
erudite, ma non di rado errate per una scarsa conoscenza filologica e per poca cultura storica”.
In realtà, l’edizione di Mameli ha rappresentato in qualche modo anche il punto di riferimento della nuova traduzione
della
Carta de Logu
realizzata di recente da Francesco Cesare Casula (
La “Carta de Logu” del Regno di Arborea. Tradu-
zione libera e commento storico
, Sassari 1995): “quel che noi ora proponiamo – afferma infatti Casula – è una libera ver-
sione dell’edizione del 1567, perché quest’ultima era stata tradotta alla lettera, in un difficile italiano settecentesco, da
Giovanni Maria Mameli de’ Mannelli nel 1805, e necessitava di una revisione”.
2.
La genesi della
Carta de Logu
d’Arborea
Con il termine
Carta de Logu
si intende, secondo Antonio Era, la “tipica forma che assunse la manifestazione del potere
legislativo dei giudici sardi”. La voce
carta
è sinonimo di statuto; la voce
logu
indica l’intero territorio giudicale o una
porzione di esso. Nel XIV secolo si assiste ad una certa diffusione di queste carte locali: la
Carta de logu Kallaretana
è
l’unica che ci sia pervenuta, in forma mutila (19 capitoli su oltre 100) e in una versione in volgare italiano del 1324 circa.
La
Carta de logu
del Goceano, concessa da Mariano prima del 1337, quella della Gallura, menzionata in documenti che
vanno dal 1331 al 1365, quella del villaggio di Gippi, segnalata nel 1347, quella “de Aristanis”, forse inglobata nel codi-
ce di Eleonora, sono invece andate perdute.
Nel proemio alla
Carta de logu de Arborea
Eleonora fissa i due principi fondamentali che hanno ispirato la promulga-
zione della legge territoriale del Giudicato: l’“acreximentu dessas provincias et regnos et terras” dipendono e derivano
dal diritto (“sa rexonj”) e dalla giustizia; attraverso le buone norme (“per issu bonus capidulus”) si può limitare la super-
bia dei rei e degli uomini malvagi affinché i buoni, i puri, i deboli possano vivere “in seguridadi per paura dessas penas”.
Desiderando “qui sos fedeles et subtitus nostros dessu regnu nostru de Arborea” siano disciplinati da norme e ordinamen-
ti in virtù dei quali possano vivere in “pacificu et tranquillu et bonu istadu”, per conservare la giustizia “dessu pobulu [...]
et dessas ecclesias, et regiones ecclesiasticas et dessos lieros et bonos homines et pobulu tottu dessa dicta terra nostra”,
emaniamo – afferma Eleonora – le norme e i capitoli (“fachimus sas ordinaciones et cabidulos”) che si devono rispettare
ed osservare come legge “per ciaschaduno dessu iuyghadu nostru de Arboree predictu in iudiciu et extra”.
Nel proemio Eleonora ricorda inoltre “sa Carta de Logu” emanata con “grande sinnu et provedimentu” dal giudice
Mariano IV “padri nostru”, che non era stata corretta né emendata per sedici anni: ora, sostiene la giudicessa, “cun deli-
beradu consigiu illa corregemus, ffaghemus e mudamus dae bene in megius”. Il nucleo fondamentale dell’opera di Eleo-
nora, più che in un’originale e feconda iniziativa di legislatrice, si è manifestata soprattutto nella revisione e nell’aggior-
namento di un testo normativo vigente, seppur superato e invecchiato. La
Carta de Logu
di Arborea si presenta quindi
come il risultato della collazione e della fusione di almeno tre diversi testi: la
Carta de Logu
di Mariano, emanata fra gli
anni 1367 e 1376 (o intorno al 1374, come suggerisce Ennio Cortese, che Era colloca tra il capitolo 1 ed il 129; il
Codice
rurale
dello stesso Mariano (capitoli 133-159) emanato in un periodo compreso tra il 1347 e il 1376, non compreso nel
manoscritto quattrocentesco, ma inserito nell’edizione a stampa della fine del XV secolo; le aggiunte e le revisioni di Eleo-
nora riscontrabili nei capitoli 128-132 e 160-198. Tuttavia, poiché abbiamo perso la
Carta de Logu
di Mariano, è impossi-
bile stabilire con esattezza quanto Eleonora abbia riprodotto della legislazione paterna e quanto abbia invece innovato.
Si è discusso a lungo sull’identità del probabile compilatore della
Carta de Logu
. È stata avanzata l’ipotesi (D. Scano, A.
Marongiu) che “il Triboniano del Giudicato d’Arborea” potesse essere identificato nel “dotore de decretu et de lege et
canonicu” Filippo Mameli, morto ad Oristano l’8 maggio 1349. Tale ipotesi era comprovata dal fatto che il codice arbo-
rense rivela (nel proemio e nei capitoli 3, 21, 51, 57) l’impronta di un esperto conoscitore del diritto canonico e in partico-
lare delle
Decretali
di Gregorio IX. Tuttavia la supposizione di un ruolo decisivo del Mameli non è avvalorata da alcuna
concreta prova documentaria: il canonico oristanese morì quando Mariano era stato eletto giudice da appena tre anni.
Appare quindi improbabile che abbia potuto dare un apporto considerevole alla stesura di quella redazione della
Carta
,
emanata tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta, cioè nel periodo di maggior splendore del
governo di Mariano. Non vi sono inoltre documenti (a parte la lapide nella cattedrale di Oristano, che ci conferma soltan-
to che Mameli era un personaggio ragguardevole) sul fatto che il canonico arborense potesse essere anche un così esperto
e colto giurisperito da compilare il codice arborense.