I templi a megaron della Sardegna nuragica Maria Ausilia Fadda Nell’evoluzione degli studi sull’architettura nuragica sono stati raggiunti importanti obiettivi – impossibili da conseguire con le tecniche di ricerca e di analisi in uso tra gli archeologi dell’Ot- tocento e del primo Novecento – soprattutto nella defnizione delle varianti tipologiche e delle tecniche edilizie utilizzate per la costruzione delle migliaia di nuraghi, di tombe e di edifci cultuali ancora oggi considerati elemento tra i più caratteristici del paesaggio sardo. Gli scavi del secolo scorso hanno scoperto l’esistenza di numerosi pozzi e fonti destinati ai culti religiosi che abili maestranze locali costruirono dove era già presente una vena d’acqua sorgiva, all’interno di abitati nuragici o in luoghi isolati. Durante le fasi fnali dell’età del Bronzo (1200 a.C.) quegli edifci di culto si trasformarono in santuari che diventarono punti di aggregazione per migliaia di pellegrini. Meno noti sono altri edifci usati dai nuragici per scopi religiosi che, per il numero esiguo e la presenza limitata ad alcuni areali della Sardegna, non hanno trovato molto spazio nella lette- ratura archeologica. Una particolare tipologia di edifci cultuali che si distingue per il diverso impianto planimetrico è stata scoperta nella prima metà del Novecento, durante l’esplorazione di alcuni villaggi nuragici. Il primo rinvenimento si deve all’archeologo Doro Levi – noto studioso delle civiltà egeo- orientali, direttore della Soprintendenza alle antichità della Sardegna dopo Antonio Taramelli e per trent’anni direttore della Scuola Archeologica di Atene – che nel maggio del 1936 avviò le ricerche nell’abitato nuragico privo di nuraghe di Serra Orrios in territorio di Dorgali. Nell’area del villaggio scelta per l’esplorazione, caratterizzata da diversi agglomerati di capanne circolari con ingresso rivolto verso un cortile, Doro Levi individuò alcuni edifci con muri rettilinei che per la loro planimetria ricordavano le strutture a “megaron” preelleniche. In questi ambienti (megara) che costituivano il fulcro delle abitazioni delle antiche città di Micene, Pilo, Tebe, Midea il poeta Omero aveva ambientato gli avvenimenti più noti dell’Odissea nei quali Ulisse racconta le sue gesta al re dei Feaci (Libri VI-VII) e viene descritto il palazzo di Itaca durante la strage dei Pretendenti (Libri XIV-XXII). Gli edifci a “megaron” di Serra Orrios furono defniti dal Levi come tempietti e descritti con la terminologia in uso per i templi greci: si trattava, infatti, di architetture allora sconosciute nella preistoria della Sardegna per le quali non si aveva una terminologia specifca. Il megaron è un edifcio a pianta rettangolare i cui lati lunghi si prolungano in avanti (in antis) a formare ante che delimitano un atrio di ingresso agli ambienti interni. Si defnisce doppio in antis quando il prolungamento dei lati lunghi è presente anche nella parte posteriore del tempio priva di accesso alla cella. L’atrio presenta ai lati delle panchine che, in diversi megara, si ritrovano anche alla base del muro della cella, in origine spesso pavimentata con lastre di pietra locale. Una bassa panchina può essere accostata anche alla base dei muri esterni con funzione di rincalzo o come piano di appoggio per le offerte e per i basamenti litici con fori destinati all’esposizione di spade votive e bronzi fgurati. I templi a “megaron” avevano in origine una copertura a doppio spiovente composta da trava- ture lignee che sostenevano lastre piatte o semplici frasche. Il prospetto si è conservato in rari casi: l’ingresso architravato e i muri laterali aggettanti raffor- zano l’ipotesi che la facciata fosse conformata a timpano, simile quindi a quella documentata nel tempietto di Malchittu-Arzachena e in alcuni templi a pozzo che mostrano gran parte dell’ele- vato come a Su Tempiesu-Orune o conservano i blocchi e il fastigio che componevano il fronte dell’edifcio come nel caso del pozzo di Santa Vittoria-Serri e della fonte di Puntanarcu-Sedilo. L’uso di pietre locali di diversa pezzatura e di blocchi appena sbozzati per la composizione dei paramenti murari conferma la tesi – formulata sulla base di recenti scoperte fatte nei due templi a “megaron” di S’Arcu ’e is Forros-Villagrande Strisaili e di Gremanu-Fonni – che i muri irre- golari venissero ricoperti e rifniti da strati di intonaco di argilla forse anche colorati. 223