I templi a megaron della Sardegna nuragica 243 come «[…] un essere mitico. Una dea legata all’acqua di vena, ctonia, una dea materna della natura e della fecondità». L’archeologo Ercole Contu, in un suo articolo del 1948 dedicato al tempio di Esterzili, accosta il monumento ai megara di epoca preellenica, di Troia I-B e del Peloponneso (Lerna del III millennio a.C.) e riscontra nei tempietti sardi un infusso esterno giunto attraverso la presenza micenea in Sardegna. Nel 1981 l’archeologo Ferruccio Barreca mette a confronto la planimetria del megaron di Ester- zili con la pianta tripartita di tipo siro-palestinese del tempio di Gerusalemme ipotizzando apporti culturali diretti dal mondo orientale e collocando la costruzione dell’edifcio nel V secolo a.C. Gli scavi avviati negli ultimi anni hanno chiarito diversi interrogativi lasciati aperti dalle valu- tazioni proposte in passato, basate solo sull’esame dei resti architettonici che allora risultavano ancora nascosti da un potente strato di crollo e modifcati dai pastori che avevano usato il monumento come ovile. Il tempio ha pianta rettangolare, doppia in antis (lungh. m 22,50; largh. m 8; alt. max residua m 2,40) orientata a Sud, accessibile attraverso un ampio vestibolo quadrato (m 5,15x5) fornito di panchina composta da larghi blocchi poggiati alla base dei muri laterali. La muratura presenta un’ordinata tessitura composta da flari di lunghissimi blocchi di scisto locale che si alternano a corsi di blocchi più piccoli che, attraverso un’accurata messa in opera, garantivano maggiore solidità alla muratura fatta di materiale lapideo molto friabile e degradabile dall’aggressione operata dalle forti escursioni termiche del luogo. I resti d’intonaco trovati all’interno dei muri del lato sinistro del primo vano confermano l’esigenza di proteggere le strutture murarie già documentata nelle pareti interne dei megara 1 e 2 di S’Arcu ’e is Forros e di Gremanu, accomu- nati dalle stesse condizioni altimetriche e climatiche. La rimozione del crollo del vestibolo, composto da un’alta percentuale di blocchi con parte terminale obliqua, documenta l’esistenza di una copertura litica in forte aggetto così da for- mare un tetto a doppio spiovente. L’ingresso al tempio, fornito di soglia e chiuso da un lungo architrave con apertura di scarico, immette in un ambiente rettangolare (m 8x4,50) che presenta lungo il perimetro delle pan- chine composte da larghe lastre di scisto interrotte, sul lato destro, da una lastra ortostatica che delimita un ripostiglio. Il secondo vano di dimensioni più piccole (lungh. m 3,25; largh. m 4,50) può essere interpretato come una sorta di sancta sanctorum accessibile solo a coloro che offciavano i riti religiosi. I due ambienti presentavano ancora il battuto pavimentale che ha conservato le impronte delle lastre di copertura in origine collocate a distanze regolari sopra la travatura lignea del tetto a doppio spiovente. Il tempio è circondato da un ampio temenos di forma ellittica (m 50x30) delimitato da un muro a secco che conserva un alzato di pochi flari risparmiati dallo spoglio fatto in tempi più recenti dai pastori. La base del muro poggia sopra un gruppo di capanne appartenenti ad un insedia- mento preesistente del Bronzo recente (1300 a.C.) mentre alcune capanne sono state inglobate o trasformate riutilizzando parte della muratura come corridoio di accesso all’area del tempio. Altri tratti murari curvilinei appartenenti alle basi di capanne della fase abitativa antecedente sono afforati nel corso dei lavori di consolidamento condotti lungo il lato destro del tempio per verifcarne la solidità del basamento. Durante il riposizionamento dei blocchi crollati alla base del muro è stata documentata la presenza, all’interno della muratura, di abbondanti resti di argilla che i nuragici usarono per dare maggiore coesione alla tessitura muraria e per into- nacare le pareti. La rimozione del crollo del vestibolo ha messo in luce un gruppo di dieci fgurine bron- zee votive offerte probabilmente da un pellegrino con grandi mezzi economici che le aveva commissionate o acquistate in un importante atelier attivo sul posto o presso altri santuari vicini. Il loro posizionamento in una composizione intenzionale priva dei tradizionali basa- menti in pietra, si potrebbe spiegare ipotizzando l’inserimento delle statuine su un battuto di terra bianca (luzzana) conservato negli angoli del vestibolo e sulla superfcie dei bronzetti. Il gruppo dei bronzi è composto da due sacerdotesse oranti (alt. cm 15) con lun- ghi capelli lisci che incorniciano il volto dalle folte sopracciglia e gli occhi quasi chiu- si nell’atto di una mistica preghiera. Indossano una semplice tunica ed un ampio mantel- lo con fascia decorata, sostenuto sulle spalle da due larghe fettucce; la mano sinistra reca un torcere con quattro famme mentre quella destra è sollevata in atto di preghiera.