fratello del latitante Onorato, e con tale Angelo Salis, proprie-
tario di porci, che lo aveva accusato di avergliene rubati.
Questi dopo aver cercato di accoltellarlo, si era dato alla lati-
tanza, ben conoscendo il potere del suo nemico. «Giuseppe
Piredda – avrebbe dichiarato successivamente il maresciallo
Pisu – era divenuto il confidente dei carabinieri per la cattura
di Onorato Succu e di Angelo Salis». Su denuncia del fratello
Antonio Piredda, erano stati imputati per il di lui omicidio i
latitanti di Orgosolo ed i partecipanti alle due risse.
Il 5 ottobre 1911, in pieno giorno ed in aperta campagna
erano state sparate contro Antonio Piredda alcune fucilate,
ma questi, fortunosamente, era riuscito a salvarsi la vita con
la fuga. L’anno 1911 si era chiuso e l’anno 1912 si apriva tra
il silenzio preoccupante delle due famiglie.
La sera del 12 giugno 1912, vigilia del suo onomastico, il
proprietario Antonio Succu soprannominato Careta [Caretta],
capo dei Cossu, per nulla legato all’omonimo latitante e so-
spetto responsabile dell’omicidio di Francesco Devaddis, tor-
nato ad Orgosolo dopo aver trascorso la giornata a Nuoro per
affari, si era disposto attorno al focolare con sua sorella Ma-
riangela, di diciott’anni, con sua madre e con sua nonna, qua-
si centenaria. La porta di casa era aperta ed il lume non era
acceso. Davanti alla porta, per andare a sbrigare un bisogno
corporale sulla via, era passata la giovane Paska Devaddis so-
rella dell’ucciso. La sorella di Succu si era alzata con un tizzo-
ne in mano per accendere la lucerna e l’aveva appena solle-
vata, allorché, all’improvviso, entrando attraverso la porta
spalancata, due uomini in borghese armati di moschetto, ave-
vano sparato senza esitare quattro o cinque colpi. La lucerna
era andata a terra ed Antonio Succu soprannominato Careta
era caduto morto in grembo a sua madre. Passato il primo
momento di terrore la sorella Mariangela si era messa a grida-
re. Alle urla i due uomini, rientrati in cucina sino a metà stan-
za, avevano aperto il fuoco contro la ragazza, bruciandole le
vesti. Poi erano fuggiti.
La sera stessa dell’omicido il maresciallo dei carabinieri
Cossarini, recatosi in casa della ragazza colpita, l’aveva trovata
La “disamistade” di Orgosolo
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