Nota bio-bibliografica
Salvatore Cambosu nasce a Orotelli il 5 gennaio 1895 e cresce sotto la guida del padre Gavino (zio da parte
materna di Grazia Deledda) e della madre Grazia Nieddu accanto ai suoi numerosi fratelli e sorelle – Gavino,
Battistina, Nicolina, Sebastiano, Andrea, Antonietta e Grazia.
Frequenta a Orotelli le prime classi delle elementari che termina a Nuoro, dove più tardi consegue il diploma di
maestro elementare e, successivamente, la maturità classica. Iscrittosi più tardi all'Università di Padova, e poi a
quella di Roma, non consegue mai la laurea.
Si avvia alla carriera di insegnante nelle Elementari di Orotelli e di altri villaggi della provincia di Nuoro e, dopo
una parentesi politica (fu amministratore dal 1923 al 1926 del comune di Orotelli dove realizzò diverse opere
pubbliche fra cui la pavimentazione a selciato di tutte le strade), si trasferisce a Cagliari dove insegna in vari istituti.
Intraprende nel contempo l'attività pubblicistica con articoli, racconti e novelle che appaiono su
Il Messaggero
,
Il
Corriere d'Italia
,
Il Popolo Romano
e sulla rivista
Noi e il Mondo
. Sin da quei primi articoli si manifesta l'interesse
dello scrittore per i problemi dell'Isola (specie quelli sull'identità dei Sardi) che costituiranno la materia delle sue
importanti collaborazioni future.
Nel 1932 esce a Bologna, per i tipi delle Edizioni "La Festa",
Lo zufolo
, definito impropriamente un romanzo in
quanto lo scritto è, stando alla Deledda, più prossimo al «poemetto in prosa» che a un vero e proprio racconto. Vi si
respira, infatti, l'atmosfera di una favola con alienazione del piccolo protagonista Atanai dagli avvenimenti reali e
con il suo risveglio alla realtà con la morte di Jane, figlia di Giossante, una creatura fragilissima di cui il giovinetto
era perdutamente innamorato.
Non a caso più tardi Cambosu, riprendendo il testo, ne ricava un racconto diverso non solo nel titolo
L'anno del
campo selvatico
,
[1]
ma anche nella prospettiva. L'atmosfera "magica" cede il posto alla metafora sul mondo agreste
perché nel nuovo titolo è racchiuso il senso del tempo di una metamorfosi alla quale ci si appresta, da parte dei
protagonisti della vicenda. Con la coscienza dello scorrere del tempo emerge anche la convinzione che non ci si può
attardare malinconicamente sul tempo andato senza tentare, grazie all'esperienza, altre vie. Da un lato Giossante e il
suo mondo attaccato alla terra e ai suoi valori, dall'altro Atanai che, ferito profondamente da un dolore
sproporzionato alla forza intima della sua giovane età, riuscirà a dare un senso, con l'aiuto del semplice Isidoro Vese
e dei coetanei, oltre che alla morte, alla vita, nella prospettiva di una solidarietà con i ritrovati compagni di giochi.
Nel 1934 pubblica su
L'Unione Sarda
a puntate il romanzo "Il carro" che appare postumo in volume nel 1992, a
cura di chi scrive, col titolo
Lo sposo pentito
indicato dall'autore in una copia dattiloscritta dopo alcune revisioni.
[2]
Ambientato in Sardegna, a Farte, il romanzo narra la lotta psicologica del protagonista, Marco Serra, per sottrarsi
al dispotismo del padre Giorgio, che lo mortifica, opponendogli, in continuazione, la figura del fratello minore
Onofrio.
Cambosu, nello stabilire un'angolazione particolare dalla quale osservare il protagonista, traccia nel contempo un
ritratto della lotta generazionale con un ottimo dosaggio psicologico nel ritrarre i personaggi. E anche in questo
romanzo la morte sarà arbitra dei destini della famiglia.
Sfollato al suo paese durante gli ultimi anni della seconda Guerra Mondiale, nominato commissario prefettizio di
Orotelli, Bolotana, Bitti e Orune, si adopera per far fronte ai problemi connessi alla siccità, alle gelate e al caro-
pascolo che mettono in serie difficoltà i pastori della zona, angariati, fra l'altro, con canoni d'affitto esosi e con
ricatti, dai padroni dei terreni definiti dallo scrittore i "San Terroso".
Col suo ritorno a Cagliari, alla fine della guerra, l'attività letteraria di Cambosu si intensifica, grazie anche alle
collaborazioni estese ai quotidiani
L'Unione Sarda
,
La Nuova Sardegna
,
Il tempo
,
L'Avvenire d'Italia
,
Il Giornale
d'Italia
e a riviste dell'Isola come
Ichnusa
e
S'Ischiglia
, e ad altre di respiro nazionale come
Omnibus
,
Il Ponte
,
Il
Mondo
,
Nord e Sud
,
Quadrivio
,
Le vie d'Italia
,
L'Illustrazione Italiana
,
La Tribuna
e
Il Politecnico
di Vittoriani sul
quale esordì con il racconto "L'inferno è venuto dopo" il 2 febbraio 1946.
Sia nei sette racconti apparsi su
Il Politecnico
, sia in quelli apparsi su
Il Mondo
e su
Nord e Sud
si colgono segnali
importanti della svolta narrativa che Cambosu va operando, sostituendo alla cadenza lirica un sofferto scavo
meditativo sul "sociale sardo", scavo che troverà il suo risultato più alto in
Miele amaro
,
[3]
apparso nel 1954 nelle
edizioni Vallecchi.
Opera composita, dialettica, innovativa,
Miele amaro
apparve subito, con la sua dirompente carica polimorfica,
una sorta di
summa
della sardità: «Il ritratto storico, morale, poetico della Sardegna, ricavato da una vasta quantità di
elementi antichi, moderni e contemporanei», stando all'indicazione di Giuseppe Susini; «il breviario di tutto ciò che