il risultato dei ripetuti interventi dell’uomo. Infatti, essa si genera solo in particolari condizioni ecologiche, per esempio lungo le coste e sui crinali delle montagne; altrove, anche quando raggiunge stadi di regressione elevati, è il risultato del nefasto intervento del “fattore uomo”. Una regressione che progressivamente influenza negativamente il clima, inaridisce il terreno, impoverisce lo strato fertile del suolo, creando una reazione a catena negativa. E il “fattore uomo” che nel lungo periodo storico, attraverso la triade pascolo-taglio-incendi, provoca questo circolo vizioso; ma i tempi lunghi, secolari, della triade classica, si possono sintetizzare in pochi anni, a causa di un intervento di deforestazione improvviso, spesso seguito da incendio e pascolo. Dopo qualche anno, ecco comparire una macchia degradata a cisto con qualche rado arbusto e qualche contorta sughera sopravvissuta. In pochi anni di utilizzo intensivo si sintetizzano secoli di utilizzo estensivo. “Un altro fattore della mediocrità della foresta sarda”, scrive Le Lannou, “è la sua scarsa densità e la sua mancanza di vigore”; sentenzia così, il geografo francese, pensando che queste fossero caratteristiche naturali dei boschi sardi. Esattamente il contrario: del resto egli non essendo un botanico non poteva avere una visione specialistica della questione (Le Lannou, 1979, p. 61)12. In realtà egli si recò in Sardegna nel momento storico peggiore del patrimonio forestale sardo, e ciò condizionò negativamente le sue considerazioni, inducendolo in errore e a pensare che vi fosse una tendenza naturale, successiva alle glaciazioni del quaternario, alla mediocrità della foresta. Ma se Le Lannou giudicava mediocre il bosco, al contrario descrisse la macchia sarda come particolarmente rigogliosa, e in questo non si discosta dalle restanti fonti che hanno sempre, con poche eccezioni, descritto l’isola in termini di floridezza e rigoglio. Interessante, per dirimere definitivamente l’equivoco, un confronto tra le fonti: l’una, la relazione del De Buttet, del 1768; l’altra, del geografo francese, del 1941, avente per oggetto la stessa località geografica, oggi del tutto priva di boschi: la Nurra. Secondo il De Buttet, infatti, nella Nurra si trova un vasto bosco misto di leccio e olivastro. Il legname può essere trasportato a Sassari o ad Alghero, tramite una strada carrabile che giunge sino a Porto Torres. Le piante sono di buona taglia e sono già state utilizzate dall’Artiglieria e per la costruzione di una Caracca13, che è stata costruita a Porto Torres quasi interamente in legno (Beccu, 2000, p. 26). Scrive invece Le Lannou, negli anni ’30 dello scorso secolo: Non si possono invocare né antiche distruzioni forestali, né l’abuso del pascolo nomade: la Nurra, in posizione eccentrica, è una delle zone più intatte dell’intera Sardegna (...) In queste condizioni, se è vero che il territorio della macchia è stato esteso dall’uomo a detrimento dei lembi della foresta, non è men certo che questo manto dall’apparenza così uniforme è ben lontano dall’esser per intero il risultato della forestazione (Le Lannou, 1979, p. 68). Anche il Della Marmora parlò della Nurra degli anni ’30 dell’Ottocento come di una regione boscosa, ove si praticava la caccia grossa (Marmora, 1997, p. 141). Così l’Angius nello stesso periodo, descrisse la Nurra come una regione coperta per larghi tratti di piante ghiandifere; descrisse poi un terribile rogo che nel 1839 distrusse gran parte delle foreste della zona (Angius, 2004, voce Nurra). Ma, in particolare, spiegò dove la città di Sassari si approvvigionava di legna: Da questi luoghi incolti (attorno alla città) si prendono le legna minute e i ciocchi, ma le legna grosse si tagliano dai boschi della Nurra. Nella medesima regione si fa gran parte del carbone, che serve alla città.” (Angius, 2004, voce Sassari). Le Lannou dunque non poteva sapere che “una delle zone più intatte dell’intera Sardegna” veniva utilizzata dai reali sabaudi da oltre un secolo e mezzo per le opere di marineria; né poteva sapere che la Nurra, così eccentrica, era in realtà sin dal Settecento collegata con una pianeggiante carrabile con i centri di Sassari, Alghero e Porto Torres; e che rappresentava, specialmente per Sassari, l’entroterra dove prelevare combustibile per gli usi domestici e per legname d’opera; la Nurra è stata, nelle varie epoche e per diversi motivi, una delle zone più sfruttate nel suo patrimonio boschivo originario (Brigaglia, 1982; Cau, 1997, p. 115). Per cui la vegetazione ivi presente non era mediocre per natura, come credeva il geografo francese, ma causata da un lungo e ripetuto intervento antropico.