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VII
Nella cucina di casa Scarbo quel pomeriggio il campa-
nello squillava ogni dieci minuti e Susanna correva su e giù
sbuffando e tirandosi con tutte e due le mani le lunghe gon-
nelle fin sopra i ginocchi. Era una giornata di scirocco umi-
da e greve. Le trecce le si allentavano continuamente sulle
spalle, e lei continuamente le riannodava alla meglio e le ap-
puntava con le forcelline. Era una giornata cominciata male,
aveva persino rovesciato il latte sul fuoco e bruciato una ca-
micia del padrone. E per giunta, proprio quel giorno Rita
non si era ancora fatta viva, e lei era sola ad accudire alla casa
e al conte che voleva alzarsi a tutti i costi benché il dottor
Cabruno glielo avesse proibito. Così correva su e giù a piedi
scalzi, lasciando un’impronta umida, che subito spariva, su-
gli scalini d’ardesia, e i pavimenti delle stanze di sopra trema-
vano sotto i suoi calcagni. A tratti si udivano gli scoppi della
sua voce acuta che rispondeva ai rimbrotti del conte. Sudava
dalla rabbia e volentieri avrebbe ficcato le dita negli occhi a
Timoteo De Luna, per esempio, che faceva tante storie per il
calesse e il cavallo che lo zio gli aveva chiesto di mandare ad
Acquapiana. Alle cinque del pomeriggio, come diceva il tele-
gramma che aveva portato lo scompiglio nella casa, sarebbe
arrivato Manlio Spada. «Si calmi», gridava Susanna al conte,
«si calmi per amore di Sant’Antonio!», e apriva la finestra
perché si sentiva soffocare. La colpa che le facevano, tanto il
conte che Timoteo De Luna, benché in maniera diversa, era
di aver venduto il cavallo e il calesse per comprare i due so-
mari che tiravano la noria dell’orto di Leni. Questo le rinfac-
ciavano, come se i somari se li fosse messi in tasca lei e non
servissero ad innaffiare gli aranci e i mandarini che sarebbero
morti di sete dopo che Timoteo De Luna aveva scavato a
monte il nuovo pozzo per il suo orto. A che serviva il caval-
lo, a Ninniu? Da un pezzo Ninniu non montava più a caval-
lo, anche se continuava a portare gli stivali alti e i calzoni