In sostanza, le figurine rappresentano, illustrandola nel vario contenuto te-
matico e iconografico, con semplicità e efficacia, con commovente aderenza al
reale, con vigile misura espressiva, tutta l’umanità della Sardegna dei nuraghi,
nella concretezza della vita quotidiana, nelle sue aspirazioni ideali, nel suo acuto
istinto religioso, nei sentimenti della gioia e del dolore, resi con dignitosa sobrie-
tà, con quella riservatezza severa e signorile che è caratteristica, ancor oggi, dei
Sardi, soprattutto nelle regioni più appartate e conservative.
Insieme alle rappresentazioni comuni degli uomini, che sono per lo più figurati
nell’attitudine di chiedere grazie o rendere omaggio alla divinità, si hanno anche
bronzetti che evocano il mondo del mito e del soprannaturale. Qui bisogna dire
che gli elementi sono incerti e vaghi, né sono molti, in ciò rispondendo, non senza
significato, alla povertà dei documenti forniti dalla tradizione degli scrittori classici i
quali si limitano a far parola di leggende di alcuni eroi, di struttura culturale com-
posita, diventati dèi (
Iolaos
,
Sardus
,
Norax
), e a ricordare, come unica mitografia,
quella di altri eroi – o di un eroe per Tertulliano – dal corpo incorrotto, assopiti in
un sonno senza fine dentro tombe monumentali diventate luogo di incubazione
salutare: l’eroe guarisce l’ossesso che dorme presso il tumulo o dà segni rivelatori del
futuro, come nel mondo antico greco-italico o presso gli Africani d’ieri e di oggi.
Specialmente notevoli, fra le testimonianze del sovrumano, sono le figurine
dei soldati, con quattro occhi e con quattro braccia, due stocchi e due scudi rit-
mati da pugnaletti in due coppie (nn. 104-110, 140-141); provengono tutte e
soltanto dai recessi montani di Abini-Teti (Nuoro). Ritenute divinità della guerra,
o esseri demoniaci, o mortali a cui si sarebbe acuita la forza della vista e del brac-
cio per effetto del giudizio ordalico delle acque, riferito dagli antichi per la Sarde-
gna, le statuine potrebbero essere anche, e più verosimilmente, di eroi militari il
cui valore, presente e futuro (non esiste dimensione di tempo per il primitivo), si
traduce nell’iterazione plastica di organi fisici di maggior risalto espressivo, per
rendere ovvia e diretta la comprensione della nota psicologica. Nella disposizione
bipartita del volto, scandito ritmicamente dai rilievi del naso e degli occhi fermi e
grandi sul piano disteso frontalmente della maschera allucinante e barbara, nella
parata simmetrica e bilanciata delle armi, moltiplicate, nella parte centrale del
corpo, a dar senso e peso visivo di esaltazione all’idea del superuomo, non v’è
tanto il gusto istintivo d’una geometria figurata a livello ornamentale, quanto il
valore geometrico concepito sull’iterazione del numero semplice, corrispondente
della facoltà comune: nel caso particolare sul doppio e i suoi multipli, tradotti in
termini di operazione magica figurativa. Alla stessa concezione di magia del nu-
mero si attribuirebbero anche gli schemi di lunghe spade votive che sospendono
figure stilizzate di cervi contrapposti, o d’altri animali, talvolta sormontati da ar-
cieri o da punte di lancia (nn. 248, 250-259). Si tratta di figurazioni di magia
simpatica venatoria, per produrre caccia abbondante? Anche qui siamo nella sim-
bolica, certo piena di segreti e di brividi selvaggi, ma non astrusa, né repulsiva, e
nemmeno resa troppo complessa dal razionalismo speculativo, proprio di altri
popoli remoti del Mediterraneo (Mesopotamici, Egizi etc.).
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CULTURE DELLA
S
ARDEGNA NURAGICA