–
Da oltre una settimana, signor generale. Le feritoie le ho tutte fatte
riadattare io stesso. Le conosco bene.
Ottolenghi precedeva, il generale seguiva. Dietro il generale, venivo io,
dietro, i due carabinieri con i quali il generale era salito in linea, e il mio
portaordini. Le trincee erano calme. Durante tutta quell’ispezione, il
cannoncino non s’era fatto vivo. Solo, dalla linea nemica,
ogni tanto, partiva
un colpo di fucile, a cui rispondevano le nostre vedette. Ottolenghi si fermò
tra due feritoie, che egli definì secondarie, e disse:
–
Sono feritoie per il tiro sotto i nostri reticolati, non per l’osservazione.
Il generale guardò a lungo l’una e l’altra.
–
Sono feritoie che non servono né per l’osservazione né per il tiro, –
concluse.
–
Lei mi farà il favore di ordinarne la distruzione. Ne faccia
costruire delle altre. Dove sono le feritoie principali?
Il generale era ridivenuto autoritario.
–
Qui avanti, abbiamo la più bella feritoia di tutto il settore,
–
rispose
Ottolenghi.
–
Si vede tutto il terreno antistante e tutta la linea nemica, in
ogni sua parte. Credo che non esista una migliore feritoia. È qui. La feritoia
n. 14 Feritoia n. 14? dicevo fra me. Siccome non avevo più visto quel
settore da più giorni, conclusi che Ottolenghi avesse abolito qualche
feritoia, spostato i numeri e attribuito il n. 14 ad un’altra feritoia.
Alla prima curva della trincea, Ottolenghi si fermò.
Nessuna modificazione era stata portata alle feritoie della trincea. Le
feritoie erano le stesse. Staccata dalle altre, oltre la curva, più elevata delle
altre e bene in rilievo, era
la feritoia n. 14 con la sua lastra d’acciaio.
Ottolenghi si era fermato oltre la feritoia, lasciando questa fra lui e il
generale.
–
Ecco,
–
disse al generale, sollevando e lasciando subito ricadere
l’otturatore. –
Il foro è piccolo e non consente l’osservazione che ad uno
solo.
Io feci del rumore, sbattendo il bastone su dei sassi, per richiamare
l’attenzione di Ottolenghi. Cercavo i suoi
occhi per fargli cenno di desistere.
Egli non mi guardò. Capì certamente, ma non volle guardarmi. Il suo volto
era divenuto pallido. Il cuore mi tremava.
Istintivamente, aprii la bocca per chiamare il generale. Ma non parlai. La
mia commozione, forse, m’impedì
di parlare. Non voglio diminuire in nulla
quella che può essere stata, in quel momento, la mia responsabilità. Si stava
per uccidere il generale, io ero presente, potevo impedirlo e non dissi una
parola.
Il generale si portò di fronte alla feritoia. Si mise allo scudo, piegò la
testa fino a toccare l’acciaio, sollevò l’otturatore e avvicinò l’occhio al foro.