e del Continente. Nulla poteva scrivere, anche se avesse voluto, il povero Parlatariu, forse del tutto ignaro della
speranza che nutrivano i suoi due compagni rinchiusi in reclusori lontani dal suo. Antonio Ferrai Parlatariu morì un
anno dopo Antonio Lorrai nel reclusorio di Porto Longone. Come il suo compagno lasciava nella più profonda
miseria la moglie e quattro figli, altri innocenti sacrificati alla vendetta dei congiurati.
Le denunce del 1908 fecero acquisire nuove, importanti testimonianze. Per la prima volta furono ascoltate delle
persone che, se interrogate nel 1898, avrebbero potuto cambiare la sentenza di Oristano.
Giovanni Sinis, sindaco di Tertenia negli anni 1889-1891, ricordò la crisi dell’esattoria e chiarì alcuni aspetti
tecnici della crisi finanziaria di Nicolò; Francesco Casula, allora sindaco dello stesso paese, si mostrò convinto
dell’innocenza dei condannati.
Il sacerdote Domenico Melis, vecchio compagno di scuola di Ruggero, ricordò la moralità di Nicolò e di Giosuè,
la loro lotta contro le camarille dei rispettivi paesi, e denunciò che tra i giurati del 1898 vi fosse un collettore, tale
Marini, che aveva sostituito Giosuè a Tertenia e che, dopo un bisticcio della moglie con Marietta Ruda, si era
vendicato influenzando gli altri giurati. Su questo individuo tornò l’avvocato Enrico Piroddi: il Marini era collettore
di Basilio Costa, che subentrò a Giosuè nell’esattoria di Foghesu, il quale non solo negò di aver trovato in cassa un
attivo di 12 mila lire, ma sostenne che vi era un ammanco di tre mila lire, si fece firmare tre cambiali da mille lire
ognuna da Giosuè, ma in seguito si dimostrò che non era vero. L’avvocato poi riferì che sul treno per Tortolì,
Antioco Locci di Ilbono aveva sentito Nieddu vantarsi di aver fatto condannare Nicolò.
Di grande interesse furono le testimonianze sull’attività politica e giornalistica di Nicolò: Pietro Dessì e Pietro
Vacca di Lanusei ricordarono la fondazione dell’
Ogliastra
nel 1881, diretto dall’avvocato Eugenio Mulas, su cui
scriveva Nicolò, collaboratore anche dell’
Avvenire di Sardegna
e di
Bandiera Sarda
. Secondo loro, Nicolò era
fondamentalmente mite e incapace di uccidere, ma certamente temibile per la sua penna affilata come una lama e
capace di suscitare odi mortali.
Quando fu interrogato, Tomaso Puddu fu durissimo con gli accusatori di Nicolò, il suo capopartito ai tempi dello
scontro tra la Farina e la Farinetta: «Prima del 1889 l’amministrazione di Ierzu era un feudo nelle mani di una sola
famiglia, dove si annidavano la camorra, il nepotismo e la prepotenza... il paese era composto di cittadini ignoranti
incapaci di lamentarsi, anche se nel 1866 vi fu una sollevazione popolare cagionata dal fatto che nella ripartizione
dei terreni comunali erano stati assegnati ai signorotti i terreni migliori. Dal 1882 erano a Ierzu due sanitari che si
occupavano anche di Tertenia, Ulassai, Foghesu e delle miniere di Montenarba e trascuravano Ierzu... uno dei due fu
licenziato anche perché si scoprì che i due e i loro partigiani non pagavano le tasse in quanto non scritti nei ruoli.
Inoltre il comune pagava la ricchezza mobile ai due medici senza rifarsi sui loro stipendi. Elementi di tensione
furono la costruzione del nuovo cimitero di san Vincenzo e della fonte pubblica Funtana Noa e le elezioni politiche,
perché Nicolò appoggiava Merello contro Mulas Mameli portato dai Mereu».
Poi il dottor Mereu fu assolto dalle accuse per insufficienza di prove, ma le parole di Tommaso riecheggiavano
l’aspra lotta di quegli anni feroci.
Intrecci terribili, coltivati in una diffusa ipocrisia quasi incredibile per quel piccolo paese. Un giorno Alberico
Mereu si trovava nella farmacia di Efisio Miglior e si lasciò sfuggire: “Vedrai come conciano Nicolò…” accennando
alla testimonianza di Tedde per il problema dell’esattoria... ma la stessa sera si trovava proprio in casa di Nicolò
quando giunse Ruggero che, nel vedere Alberico, salutò in fretta e andò a dormire dal dottor Mereu. E lo stesso
farmacista una sera aveva accompagnato Ruggero al buio in casa di Nicolò perché aveva paura di farsi notare e
incorrere nelle ire di Nieddu.
Salvatore Melis, consigliere comunale con Businco e futuro sindaco del paese, ricordò l’abnegazione di Nicolò
nei tristi giorni del vaiolo e dichiarò che, a Sterrassai, Pantaleu gli aveva confidato di aver ricevuto l’offerta di
testimoniare il falso.
Seguirono quindi alcune testimonianze che indicarono dove cercare l’assassino di Ruggero. Non a Ierzu o a
Tertenia, ma a Foghesu.
L’avvocato Ordioni, che aveva lasciato l’avvocatura turbato dalla sentenza di Oristano, immise nella vicenda un
elemento del tutto nuovo sostenendo che l’assassino di Ruggero era un certo Carronarbu di Foghesu, alto e in grado
di sparare dal finestrino il colpo fatale, mentre Parlatariu era di bassa statura. Il fatto fu confermato addirittura dal
vescovo d’Ogliastra, mons. Paderi, che lo aveva appreso non in confessione, ma dalla stessa vedova di Carronarbu.
Il sospetto fu formulato anche dal dottor Luigi Tarasconi, medico di Tertenia nel 1902 e, a scavalco, di Foghesu.
Il medico sostenne che a Perdasdefogu molti sapevano che Tedde fu ucciso da qualcuno che aveva perso una causa
in conciliazione, dove Ruggero fungeva da cancelliere, anche se era noto che fosse lui a decidere le sentenze, dato
che il giudice era un inetto.