una strofa; vicino a lui una grande ciotola di legno esisteva per versarvi le offerte volontarie di denaro, che i fedeli
continuamente deponevano; ogni volta che ne era colma, ne curava il vuotamento in luogo sicuro, da farne , a suo
tempo, versamento al Seminario di Tortolì.
Giorno e notte fu una baldoria incessante, un girare continuo ed anche un ladroneccio attivo da parte degli
scapestrati. I carabinieri erano in continuo moto a sorvegliare e tutelare gli interessi altrui e la tranquillità della festa,
ed operarono molti arresti per furti, truffe, risse e ferimenti.
Alla sera si ebbe la tradizionale corsa dei barberi ed appena eseguita, con l’incidente della caduta d’un fantino
rimasto incolume, ci rimettemmo in cammino per ritornare in paese.
Purtroppo la mamma aveva ragione d’affrettare il compimento del voto – il cuore suo era presago della morte
vicina – però che nello stesso anno morì.
XII – U
N
MATRIMONIO
COMPLICATO
Colla chiusura dell’anno scolastico decisi di sposare colei che per tanti anni attendeva la formale promessa.
Occorrevami il consenso della genitrice, non avendo ancora raggiunto il venticinquesimo anno d’età. Andare a
Cagliari era un viaggio troppo lungo e dispendioso, specie per un periodo di tempo lunghetto; approfittati della
presenza del notaio di Tortolì Dr. Priamo Contu, andato a Jerzu per la festività di S. Giacomo, e lo condussi meco
nel comune. Si fecero due atti, quello di consenso e quello per rappresentarmi alla richiesta delle pubblicazioni nanti
l’Ufficiale di Stato Civile di Cagliari, delegando all’uopo lo zio Bernardo là residente per continuare gli studi
universitari.
Appena eseguite le pubblicazioni civile ed ecclesiastiche, partii con quella sommetta di denaro che potei
raggruzzolare. All’arrivo pensai di farmi confezionare l’abito di nozze; mi accostai al tribunale di penitenza e si
contrasse il matrimonio religioso nella parrocchia di S. Giacomo. Oh! com’è bello il matrimonio cristiano! Com’è
dolce, poetico, consolante, commovente! Che dire poi di quelle parole indimenticabili: “Siete uniti per il bene come
per il male; ciò che Dio congiunge l’uomo non separi”, parole pronunciate fra nubi d’incenso e canti a piè dell’altare
dal ministro di Cristo in terra!
Alcuni giorni dopo ci recammo nel Municipio a contrarre il legame civile, accompagnati da un piccolo corteo di
familiari e parenti strettissimi. I vecchi genitori rimasero a casa a preparare il modesto banchetto nuziale. Ma quale
fu la nostra sorpresa quando l’ufficiale incaricato ci annunciò non potersi celebrare l’atto perché mancante della
legalizzazione il certificato delle pubblicazioni eseguite nel mio comune? Nostro malgrado ce ne tornammo con le
pive nel sacco:
Qual dopo lunga e faticosa caccia
tornano mesti ed anelanti i cani
che la fiera perduta abbian di traccia.
Per sollevarci di una gita inutile si diede l’assalto alle vivande del pranzo di nozze, fra le quali “is malloreddus
sardus”, il mio pasto prediletto, come per Esaù le lenticchie. A mensa regnò un’insolita allegria; fra i commensali
v’era una cugina paterna della mia età – Giovannicca – giovane discreta, graziata, faceta, ma di un naso talmente
sproporzionato da correre pericolo d’imbattervi a dieci metri di distanza!
La mattina del 24 settembre il fattorino postale mi portò due plichi, uno contenente l’atto legalizzato e l’altro la
lettera d’un mio amico annunziantemi la malattia di mammà. In essa diceva che sebbene la malattia non fosse
pericolosa, tuttavia procurassi di affrettare il ritorno per non rimanere la casa in balìa degli estranei. Capii essere
grave il male nonostante tutto che mi si volesse celare per non addolorarmi. A questo annunzio, poco gradito per chi
si godeva degli spassi e delle delizie cittadine in un periodo di perfetta luna di miele feci subito indossare l’abito di
nozze alla sposa, colla scusa di recarci al porto per accompagnare una famiglia amica partente per il Continente, e
accompagnati dallo zio Bernardo e dall’amico Giuseppe Motzo, testimoni di nozze, ci recammo in Municipio e si
contrasse il matrimonio.
XIII – U
N
VIAGGIO
DI
NOZZE
AVVENTUROSO
Il dì seguente, di buon mattino, eravamo di già in viaggio nell’Omnibus diretti a Muravera ad intraprendere il
nostro viaggio di nozze, ma invasi da timore e da speranza ad un tempo per la triste nuova ricevuta. La mia dolce
compagna, abituata alla vita cittadina, mai uscita fuori dalla città, rimase meravigliata oltremodo nel vedere tutte
quelle campagne aperte o chiuse da siepi, dissodate o boschive; le vigne stracariche di bei grappoli d’uva che non
aveva veduto se non a tavola; di tutti quei boschi cedui e di alto fusto; di tutte quelle rocce e montagne a picco; di
tutta quella strada regia ora diritta ora serpeggiante; da tutti quei branchi di bestiame di specie e quantità diverse.