Il bottegaio era stato contestatissimo testimone d’ac- cusa nel grande processo, dove era venuto fuori che ave- va scontato nove anni di galera per un omicidio. Nel lun- go interrogatorio aveva affermato e negato più volte le stesse cose senza sollevare scandalo, e si era gloriato di aver scontato solo una pena di nove anni per il suo delit- to, rispetto ai diciassette inflitti ai suoi complici: a lui avevano riconosciuto le attenuanti della provocazione. Nell’esposto al “duce”, un’accorata invocazione, la- mentava l’espropriazione subita e chiedeva di essere reintegrato nel possesso della sua terra, la cui perdita non poteva essere risarcita da nessun indennizzo. – Ci ho investito l’anima, – ripeteva con accenti di sincero dolore e riprendeva a descrivere minuziosamen- te il suo paradiso perduto dando conto di tutto, perfino dell’altezza dei muri di recinzione. Nel suo racconto più che della terra risanata sembrava parlasse della sua ani- ma: i nove anni di galera non erano bastati a cancellare il ricordo di quel povero diavolo che lui aveva puntu mentre gli altri complici lo immobilizzavano – Come finiranno la casa, gli erbai, il pozzo e le vac- che? Aiutatemi! L’esposto non ebbe risposta e sulla copia conservata ne- gli archivi del Comune c’è una sola annotazione: “agli atti”. Il ladro pentito è bugiardo anche nell’esposto, una lunga lamentazione senza verità, scritta a pagamento probabilmente: parla di minacce subite e non si sa da chi e chiede un giusto indennizzo per le opere eseguite e per quelle da eseguire. Il suo esposto ha avuto la stes- sa sorte toccata a quello del bottegaio. Il carrulante non doveva aver inoltrato alcun esposto, anche se l’esproprio era stato più doloroso per lui. Ri- cordi? La sua terra, sul pendio ciottoloso di Seri, poco 106