filtrava un debolissimo riverbero, come di fuoco prossimo a spegnersi. Avrebbe voluto sapere qualcosa: tendeva l’orec- chio, ma non si udiva niente, neanche un bisbiglio. Era cer- to di aver vinto, ma era una vittoria che non gli dava alcun piacere, anzi gli lasciava un senso di vuoto e di solitudine. Non aveva pentimenti, ciò che aveva fatto era una necessità, non per sé che avrebbe potuto disinteressarsi e assistere alla rovina di tutto, ma per gli altri, per quelli che avevano ripo- sto fiducia in lui e gliel’avevano confermata anche quando sembrava che dovesse soccombere. Alessio era una vittima predestinata, come sua madre, anch’egli aveva un germe di follia, diversa da quella innocente di Lia. – Piangerò la tua fine, ma di te devo distruggere anche il ricordo – disse allontanandosi. Il silenzio e il buio che gravavano sulle case di Cadone e Parraghine nascondevano il tormento della gente tornata di corsa dalla chiesa per cercare in quei miseri rifugi un po’ di sollievo a tanta angoscia. Ma il terrore della scomunica non dava tregua, i pensieri contraddicevano i sentimenti in uno smarrimento disperante. Non era possibile tenere tanto sconforto da soli, bisognava parlarne, sentire anche gli altri. Ci furono andirivieni confusi di donne e di ragazzi da una casa all’altra, da un cortile all’altro; parlavano sottovoce, lo smarrimento era di tutti, nessuno aveva un’idea, nessuno osava alzare la voce. – Sentiremo gli uomini, bisogna avvisarli. Qualcuno andò sui monti a portare la notizia. – La maledizione ce l’avevamo da tempo, – ripetevano ancora le donne in quel confuso andare e venire. Qualcuno a mezze parole azzardò che il Cumone aveva scompigliato tutto. Dicevano e non dicevano. – Contro Alessio non abbiamo niente, anzi. Ma certi poteri si dovevano temere. Cercavano appigli per giustificare con la ragione quello che dovevano fare per paura. – Anche questo mettere tutto a muntone… – Non si è più padroni di niente. – Non possiamo contare le nostre pecore. – Non possiamo nascondere le nostre miserie. 199