a diversi ordini architettonici, fatto che, con le lamine di ferro che legano insieme i fusti di molte colonne, prova che un tem- po esse facevano parte di altri edifici. È quasi certo che le co- lonne provenissero dall’antica Torres e che furono trasportate ad Ardara quando i giudici vi si stabilirono. Nello scegliere questo luogo come nuova residenza, i giudici non si rivelaro- no troppo ben ispirati, perché la regione è ritenuta altrettanto malsana quanto quella di Porto Torres. Forse quando i giudici risiedevano ad Ardara un maggior numero di abitanti, una mi- gliore coltivazione delle terre, più ferrei regolamenti di polizia interna, rendevano la località più sana di quanto non lo sia og- gi. Vi si contano appena 277 abitanti. Tornando alla chiesa di Ardara, non vorrei tralasciare la menzione di un dipinto che si nota ancora oggi al suo interno e che ha ispirato al Valery 95 il seguente passo: «All’estremità della chiesa, una larga rientranza che funge- va da sacrestia conserva delle pregevolissime figure con sfondo in oro, vasto e curioso monumento dell’antica pit- tura. Le teste e le mani non potrebbero essere più belle, più corrette, ma nel disegno del drappeggio c’è una certa rigidezza. Mi è stato detto che un quadro simile esisteva nell’altare maggiore della cattedrale di Bisarcio e che fu bruciato dalla lampada che una devota aveva avvicinato troppo. Che civiltà, che ricchezza presuppongono opere tanto splendide e tanto vicine! Il capolavoro ingenuo di Ardara meriterebbe che lo si perpetuasse attraverso l’inci- sione e che si chiarisse la questione delle date. Quale non sarebbe la sua reputazione se come illustratori avesse tro- vato un Lanzi, un d’Agincourt, un Cicognara». L’auspicio che Valery esprimeva nel 1837 è stato da poco esaudito, per lo meno relativamente alla data e al nome del- l’autore del dipinto. Il canonico Spano, in un suo recentissimo Capitolo VIII 73 95. Valery, Viaggio in Sardegna, cit., p. 230.