Nel centro storico di Cagliari visiteremo i suoi quattro quartieri ossia Marina, Stampace, Castello e Villanova
In questa tappa del nostro viaggio, effettueremo la visita dal Centro storico della città di Cagliari dove vedremo i quattro quartieri storici, che sono i quartieri Marina, Stampace, Castello e Villanova. Il centro storico viene realizzato nel perioso della dominazione pisana, ed intorno ai quattro quartieri era presente una cinta muraria, ed il Castello dominava la città pisana con le sue torri. Nel quartiere Castello ci recheremo, tra l’altro, a visitare il Museo Archeologico Nazionale, nel quale sono esposti i principali reperti dell’archeologia in Sardegna. Il quartiere MarinaAffacciato sul mare, il quartiere della Marina ha sempre avuto una storia importante nell’economia della città, sino dalle sue prime origini, che si fanno risalire addirittura al periodo punico. Durante il periodo della dominazione romana, con il nome di Bagnarla, il quartiere conosce una frenetica attività commerciale e, alla luce degli scavi archeologici degli ultimi decenni, un continuo ampliamento urbanistico, testimoniato dall’abbondanza di edifici imponenti e di strade che la collegavano ad altre aree della città. Il quartiere è delimitato a sud dal mare, ad ovest dal largo Carlo Felice che lo separa dal quartiere Stampace, ad est dalla via Regina Margherita, e nord confina con i quartieri Castello e Villanova. Il quartiere è stato creato dai Pisani nel tredicesimo secolo per ospitare le abitazioni dei lavoratori portuali, e veniva chiamato allora Lapola. Come scrive Giovanni Francesco Fara nella Chorographia Sardiniae, il nome del quartiere derivava dal termine pisano medievale Làppola che indicava la palizzata, dato che una vera e propria palizzata di legno si trovava in mare davanti ad esso costituendo una sorta di posto di blocco per decidere chi far entrare o non far entrare in città. L’accento è stato poi spostato in avanti, probabilmente per una maggiore familiarità fonetica locale, e diviene Lapola. Con la dominazione aragonese si inizia a preferire per il quartiere il nome Marina. L’area portuale di fronte alla bella via Roma con i suoi palazzi libertyLa via Roma è una delle principali arterie del centro di Cagliari. Il tratto prospiciente il porto, con gli eleganti palazzi dotati di portici, dove si trovano numerosi caffè e negozi, è considerato uno dei Salotti della città. La via Roma, più precisamente il tratto di fronte al porto commerciale di Cagliari, viene inaugurata nel 1883, dato che l’area attraversata dalla strada era precedentemente in gran parte occupata dalle mura e dai bastioni del quartiere Marina, smantellati a partire dal 1880 per esigenze igieniche, ed in seguito anche alle disposizioni del regio decreto del 31 dicembre 1866, con il quale la città di Cagliari perdeva la sua funzione di piazzaforte militare. alla destra della via Roma, procedendo da nord ovest verso sud est, si affaccia la Stazione marittima dove sono presenti i diversi moli di attracco delle navi da crociera e dei traghetti provenienti dal continente. Gli uffici della stazione marittima occupano un’area presente sul molo Sanità, all’interno del porto di Cagliari. Accanto agli edifici della Stazione marittima di trova la grande Ruota panoramica, inaugurata del 2020, dotata di ben 35 cabine che volano fino a sfiorare i cinquantacinque metri d’altezza, dalla quale è possibile ammirare tutto il panorama sulla città e sul golfo. Oggi le navi da crociera sbarcano centinaia di passeggeri provenienti anche da numerosi paesi esteri, e questo avviene da quando le rotte turistiche hanno abbandonato il nord Africa dopo gli ultimi attentati terroristici, e sono state dirottatate in gran parte su Cagliari. Peccato che la città non si sia ancora adeguata a questa nuova vocazione turistica, dato che solo le trattorie ed i ristoranti hanno iniziato ad acquisire personale che parla le diverse lingue, ma non così le attività commerciali. Ancora quest’anno, arrivato a Cagliari di domenica, ho dovuto acquistare la crema abbronzante in un negozio arabo, e il panno per stendermi al sole in uno cinese, dato che tutte le attività commerciali italiane erano chiuse! In via Roma, nel lato opposto rispetto alla stazione marittima, ossia al lato sinistro della via Roma, restiamo affascinati dalla bellezza dei tanti Palazzi liberty che si susseguono con i loro lunghi porticati. La Chiesa ed il convento di San Francesco di PaolaLa Chiesa di San Francesco di Paola dedicata al Santo, compatrono della città dal 1907, al quale viene attribuito il miracolo di aver liberato Cagliari dalla siccità del 1739, si trova proprio in via Roma ed appartiene all’Ordine dei Minimi, approvato nel 1474 con il nome di Congregazione Eremitica Paolana di San Francesco d’Assisi. I Frati arrivano in Sardegna nel 1625 e ricevono in donazione un terreno vicino al porto, dove, entro la fine del secolo, costruiscono l’attuale convento con la Chiesa ad esso adiacente. L’edificio, con una sola aula, con tre altari per lato e con un profondo presbiterio rettangolare, ha in un primo tempo la facciata con terminale a doppio inflesso, detto a cappello di carabiniere, tipico di molte Chiese barocche ed il portale inquadrato da coppie di colonne corinzie. Nel 1926 la facciata viene considerata priva d’interesse artistico e demolita, e nel 1932 venne realizzata la nuova facciata, in stile classicheggiante, che comprende la Chiesa tra le facciate dei palazzi e dei porticati liberty, che ormai caratterizzano la via Roma. L’interno della Chiesa ha, invece, mantenuto l’assetto secentesco. L’altare maggiore è uno dei più belli di Cagliari, per i suoi marmi policromi e per lo slancio verticale caratteristico degli altari del tardo settecento. Durante i lavori di restauro del 1997-99 sono stati rivenuti frammenti di affreschi, forse secenteschi, che, staccati e montati su tela, sono adesso sistemati nella sacrestia. La Chiesa dipende dalla parrocchia di Sant’Eulalia di Marina. La porta posteriore della Chiesa si affaccia sulla via Sardegna, dove si affaccia anche il convento di San Francesco di Paola che ha il suo ingresso al civico numero 103. Il palazzo del Consiglio regionaleProseguendo lungo la via Roma, al civico numero 25, si trova il principale ingresso del Palazzo del Consiglio regionale inaugurato il 13 dicembre 1988. L’imponente struttura occupa un’area di 3.200 metri quadrati, ricavati dalla demolizione di un isolato di antiche case del quartiere Marina, ed è costituita da tre edifici: il primo, affacciato sulla via Roma, si sviluppa su sei piani e vede al suo interno gli uffici il secondo si affaccia sulla retrostante parallela via Camillo Benso conte di Cavour, ed è la sede dei Gruppi Consiliari e della Biblioteca; ed il terzo, l’Aula Consiliare, che è collocato tra i primi due palazzi. Elemento connotativo del progetto è il granito utilizzato per il rivestimento dei pavimenti e delle scale. Sotto i porticati del complesso edilizio del Consiglio regionale, nell’area esterna denominata il Lago salato sono state collocate alcune opere di Costantino Nivola, il grande scultore di Orani, del quale sono presenti anche alcuni graffiti realizzati su disegno di Salvatore Fancello, l’importante artista di Dorgali. Nel 2021, visitando l’area esterna denominata il Lago salato, invece delle opere di Costantino Nivola abbiamo visto che erano presenti grandi scatoloni, ed io ho pensato le potessero contenere o che forse le sostituissero nel caso esse fossero state rimosse. Mi sono recato a chiedere informazioni all’Ufficio del Turismo, il cui operatore aveva anche lui visto alcuni giorni prima gli scatoloni, ma non ne conosceva ancora il motivo. Si è pertanto informato telefonando in regione, e poco dopo mi ha comunicato che avevano rivestito in questo modo le opere per proteggerle, dato che erano in programma significativi lavori di ristrutturazione degli edifici del palazzo del Consiglio regionale che le sovrastavano. La via Roma termina in piazza Giovanni Amendola da dove parte sulla sinistra il viale regina MargheritaPoco dopo il Palazzo del Consiglio regionale, la via Roma termina nella piazza Giovanni Amendola, che si trova alla sua sinistra, passata la quale si esce dal quartiere Marina, e la prosecuzione della via Roma sarà il viale Armando Diaz, che ci porterà al di fuori dal centro storico di Cagliari e proseguirà verso est. Subito prima della piazza Giovanni Amendola, parte alla sinistra della via Roma il viale regina Margherita, il quale si dirige verso nord, che si prende dalla piazza imboccando una grande scalinata. Al termine della via Roma alla sinistra si apre la piazza Giovanni Amendola, mentre alla destra, ossia nel lato verso il mare, si sviluppa la piazza Attilio Deffenu, che si affaccia sulla calata darsena del porto di Cagliari. Parallela alla via Roma si sviluppa la via Sardegna con l’Hotel Italia e con i suoi numerosi locali tipiciLa parallela di via Roma verso l’interno è la stretta Via Sardegna La principale strada per la ristorazione turistica della città. La via Sardegna è un continuo susseguirsi di trattorie e piccoli ristoranti, in gran parte con cucina di mare ma non solo. Lungo questa strada, nelle sue traverse e nelle strade limitrofe, si trovano innumerevoli locali e trattorie, meta indiscussa delle vacanze dei turisti a Cagliari, che abbiamo fotografato nel 2021, dopo il periodo di chiusura per la panemia, e si vedono in alcune foto il personale o i clienti con la mascherina. Iniziando a percorrerla, alla sinistra della strada, al civico numero 12, si trova l’Osteria Tabarchina, dove ho pranzato il primo giorno del mio soggiorno a Cagliari, ho Chiesto di bere solo vino senza acqua ma mi hanno portato anche un contenitore con acqua filtrata che non neppure aperto, ed infine nel conto mi hanno addebitato l’acqua, guadagnando 2 euro ma perdendo un cliente; alla destra della strada, al civico numero 23, si trova il Ristorante la Gobbetta, così chiamato perché all’atto della sua fondazione l’antica proprietaria era gobba, dove ho mangiato sempre bene; più avanti al civico numero 26, il Ristorante Italia; e subito dopo, al civico numero 30, l’Enoteca Oyster. Sull’altro lato della strada, al civico numero 31, si trova l’Hotel Italia, il cui nome è simile a quello del ristorante Italia, ma non vi è alcun collegamento tra i due che sono del tutto indipendenti, anche se probabilmente all’origine potevano essere tra loro collegati. Poco dopo l’inizio della via Sardegna, sulla destra, al civico numero 31, si trova l’Hotel Italia un albergo a tre stelle nel quale abbiamo soggiornato spesso nelle nostre permanenze a Cagliari. In buona posizione, vicino al porto, in un edificio rinnovato che si sviluppa su quattro piani mette a disposizione degli ospiti ampi e funzionali spazi comuni e confortevoli camere. Si tratta di un Hotel che, nella sua storia quasi centenaria, ha visto il passaggio di diverse generazioni che hanno mantenuto un impegno costante nell’accogliere al meglio gli ospiti. La possibilità di immergersi nella cultura e tradizioni isolane tra le vie del centro storico, hanno reso questo albergo un punto di riferimento per coloro che si recano a Cagliari, e permette di conoscere la Sardegna con i sapori e i profumi della sua enogastronomia, ottimamente offerta nei tanti ristoranti e trattorie situati poco distanti lungo tutta la stretta via Sardegna. Nei locali dell’Hotel Italia, la famiglia che ne è proprietaria ospita spesso esposizioni di opere d’arte. Nel 2021, a due anni di distanza dall’ultima esposizione di Giorgio Corso denominata Rosso Corso, lo ha riproposto con oltre quaranta opere per lo più inedite nella nuova esposizione denominata Det-Tagli. Giorgio Corso è un artista nato a Cagliari nel 1961, che nelle sue opere ha dapprima utilizzato i colori freddi, per passare successivamente a rafforzare l’uso delle terre ed introdurre in Buggerru 1904 il rosso, carico di un valore evocativo del fatto storico nonché di significato politico. In seguito le sue opere a volte hanno dimenticato le prime suggestioni cubo-futuriste per evocare un rinnovato interesse matafisico. |
Proseguendo lungo la via Sardegna, incrociamo la via lodovico Baylle lungo la quale, alla destra, al Civico numeno 16, si trova il bellissimo negozio di dolciumi a caramelle chiamato Sweet Flamingo, caratteristico per la proposta della caramelle in contenitori con la forma di fenicotteri rosa. Passato l’incrocio con la via lodovico Baylle, alla destra della via Sardegna, al civico numero 37, si trova il ristorante Ci Pensa Cannas; di fronte, al civico numero 40, si trova l’Osteria Cagliaritana; piu avanti alla destra della strada, al civico numero 49, il ristorante Antica Cagliari. Si incrocia poi la traversa via Napoli, presa la quale verso destra, si vede alla sinistra della strada, al civico numero 13, il ristorante tipico Su Cumbidu. In via Sardegna i pochi resti della Chiesa di Santa Lucia di MarinaPassate centocinquanta metri dall’inizio della via Sardegna, subito dopo l’incrocio con la via Napoli, troviamo alla sinistra della strada i pochi resti della Chiesa di Santa Lucia di Marina, che risale ai primi del seicento, di cui restano le cappelle di destra e parte del presbiterio. La Chiesa è attestata dai documenti d’archivio dal 1119 col nome di Santa Lucia di Civita, come possedimento dei monaci Vittorini e, in seguito, nel 1263 è l’unica Chiesa del quartiere di lapola ad essere visitata dall’arcivescovo di Pisa Federico Visconti. Tra la fine del cinquecento e l’inizio del seicento, la storia della Chiesa è strettamente legata a quella dell’Arciconfraternita della Santissima Trinità e Sangue di Cristo sotto l’invocazione di Santa Lucia, riconosciuta tra le più importanti della città con una bolla del papa Paolo V del 2 ottobre del 1606. L’Arciconfraternita ricostruisce la propria Chiesa secondo i nuovi dettami architettonici voluti dalla Controriforma e dai Gesuiti, in risposta alla Riforma protestante che rifiutava il culto dei Santi. La Chiesa, di concezione inedita per la città, si presentava a navata unica, con volta a botte, scandita da tre sottarchi sull’aula, ed il presbiterio quadrato voltato con un cupolino emisferico su una cornice dentellata. Ad esso erano affiancate due sacrestie, ed aveva tre cappelle per lato, aperte, con arco a tutto sesto voltate a botte. Nel 1943 una delle tante bombe cadute sul quartiere Marina danneggia lievemente la Chiesa, ma i lievi danni vengono fatti passare per danni di guerra tali da compromettere l’intero monumento, allo scopo di ottenere un finanziamento per la costruzione di una nuova Chiesa. Il Piano di Ricostruzione, che riprendeva le linee del Piano regolatore del 1858 redatto dall’architetto Gaetano Cima, prevedeva la realizzazione di un viale in luogo della stretta via Sardegna con una piazza davanti alla Chiesa ricostruita, e nel 1947 l’antico monumento viene demolito. La piazza allora immaginata non è stata mai realizzata, ma si ottiene in sua vece la costruzione di una nuova Chiesa di Santa Lucia che è diventata la parrocchiale del quartiere San Benedetto. La Chiesa di Santa Lucia di Marina era ricca di arredi, centinaia di opere d’arte, arredi sacri ed opere in marmo, alcuni dei quali sono oggi conservati nel Museo di Sant’Eulalia, nella Pinacoteca nazionale di Cagliari, ed in altre Chiese Chiese. L’area di Santa Lucia è interessata dal 2002 da un significativo progetto per il recupero del rudere, davanti al quale potrebbe essere realizzata una piazza pubblica. Altre tra le principali trattorie e ristoranti che si trovano nella via SardegnaPassata la Chiesa di Santa Lucia di Marina, proprio di fronte ad essa; al civico numero 53, si trova l’Antica Cagliari Bistrot. La prossima traversa è la via Barcellona, presa la quale verso destra, si vede alla destra della strada, al civico numero 2, la Trattoria da Tonio, ed alla fine della strada si vede la ruota panoramica illuminata di sera. Ripresa la via Sardegna, si vede alla sinistra della strada ad angolo con la via Barcellona, al civico numero 58, il ristorante Kimbe terra e mare di Sardegna; più avanti si trovano alla sinistra, al civico numero 60, la Trattoria Gennargentu, ed alla destra, al civico numero 85, il ristorante Sardegna 85; ed ancora alla sinistra, al civico numero 78, si trova la Trattoria tipica da lillicu. Quando mi reco a Cagliari, non posso fare a meno di fermarmi in via Sardegna, al civico numero 78, alla Trattoria tipica da lillicu gestita dalla famiglia Zucca dal 1938. Lillicu è il diminutivo in cagliaritano del signor Raffaele, che ai primi del Novecento, dava da mangiare ai marinai, ai mercanti e ai locali. Ed ancora oggi da lillicu a Cagliari si trovano i piatti della tradizione cagliaritana, con il pesce fresco reperito ogni giorno dal mare, servizio molto informale, ma sempre cordiale e caloroso, menù in costante aggiornamento, comunicato a voce dai camerieri sulla base delle disponibilità del giorno. Si tratta di un locale assolutamente unico, con i suoi grandi tavoli di marmo, i tovaioli e le tovagliette di carta sulle quali è riportata una recensione del locale effettuata dal Gambero Rosso. Pur non trattandosi di un ristorante, ma essendo solo una Trattoria a gestione familiare, è stata consigliata alcuni anni fa anche dalla Guida Michelin che ha suggerito di visitarla per la sua ottima cucina di pesce. Mi ero recato a visitarla la prima volta a metà anni Novanta e, seguendo il consiglio della Michelin, vi avevo trovato una simpatica gestione familiare in un locale sempre affollatissimo con una ottima cucina di pesce. E dopo qualche pasto, considerandomi un cliente assiduo mi avevano fatto mangiare all’ingresso, in un tavolo riservato solo agli amici, dove avevo passato più di una serata indimenticabile, tra commensali di una simpatia unica. In questa storica Trattoria sono tornato ogni volta che nei miei viaggi in Sardegna mi sono fermato a Cagliari, e vi ho sempre trovato il medesimo ambiente cordiale e l’ottima cucina. In una di queste occasioni, nel 2015 ho fotografato, al tavolo con alcuni suoi amici, il pittore sardo Adolfo Florjs, detto Foffo da quanti lo stimano. Nato a Cagliari nel 1941, oltre ad essere un affermato pittore, è anche un personaggio, fantasioso, esuberante, irrequieto, ma è anche un acuto osservatore che riesce a cogliere con impegno e serietà le diverse situazioni. Diverse sue opere sono esposte in numerosi Comuni ed Enti italiani, esteri e presso collezionisti dell’arte figurativa contemporanea. |
Passata la Trattoria da lillicu, alla sinistra della via Sardegna, al civico numero 90, si trova la Pizzeria Trattoria Chent’Annos; poco più avanti, al civico numero 100, si trova la Trattoria Deidda; di fronte ad essa, all’altro lato della strada, si trovano i tavoli esterni della Trattoria da Serafino, il cui ingresso è sulla traversale a destra che è la via Lepanto, al civico numero 6. Il ristorante la Stella Marina di Montecristo suggerito dalla Guida MichelinLa via Sardegna sbocca contro il lato sinistro del palazzo del Consiglio regionale. Passati a piedi sotto i portici del palazzo, o aggirandolo prendendo a sinistra la via Lepanto, subito a destra la via Camillo Benso conte di Cavour, poi a destra la via Vittorio Porcile, e voltando di nuovo a sinistra, raggiungiamo la prosecuzione della via Sardegna. Al civico numero 140 della via Sardegna, alla sinistra, si trova il ristorante La Stella Marina di Montecristo, suggerito dalla Guida Michelin. Il ristorante luogi Pomata suggerito dalla Guida Michelin ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due ForchetteAl termine della via Sardegna, la sua prosecuzione sbocca sul viale regina Margherita, che prendiamo verso sinistra imboccando una grande scalinata, che parte dalla piazza Giovanni Amendola, la quale si trova al termine della via Roma, alla sua sinistra. In viale regina Margerita, al civico numero 18, si trova il ristorante Luigi Pomata, suggerito dalla Guida Michelin ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette. Nel viale regina Margerita, al civico numero 18, si trova l’importante ristorante Luigi Pomata, che è un locale specializzato in pesce e frutti di mare, in un ambiente di tendenza, che viene consigliato dalla Guida Michelin 2023 ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette. Ecco un angolo cittadino dove è possibile trovare lo sfizio per tutti i gusti. Si tratta di un ristorante moderno, con cucina di mare legata soprattutto ai crudi ed al tonno carlofortino, terra d’origine dello chef e patron Luigi Pomata che, caratterizzato da un’energia inesauribile, ha dato il via ad un’operazione di rinnovo del locale rendendolo ancora più confortevole e moderno. Il locale propone anche un interessante business lunch a mezzogiorno. Inoltre, adiacente al locale, si trova il nuovissimo Lounge bar che è l’ideale per aperitivi e cocktail alla moda. |
Nella strada parallela sul retro del ristorante, al civico numero 21 della via Porcile, si trova il Bistrot di Luigi Pomata, nel quale è possibile gustare proposte regionali più rustiche e tradizionali. Nato nel 2018, il Bistrot è una piccola trattoria che inserisce nel suo menu piatti di richiamo alla cucina sarda e carlofortina, piatti classici e prezzi molto contenuti. Taglieri di salumi, selezioni di formaggi, ma anche una grande scelta di piatti caldi, primi che fanno l’occhiolino alla tradizione con un pizzico di novità, gli spaghetti alla bottarga e quelli al pomodoro, tonno alla carlofortina e in inverno una bella selezione di zuppe, in un ambiente che richiama la classica trattoria Italiana piena di colori e vita, uno spazio informale dove rilassarsi senza troppo pensare. Il ristorante Dal Corsaro premiato dalla Guida Michelin con una stella ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due ForchetteProseguendo lungo il viale regina Margherita, passato lo sbocco da sinistra della via Camillo Benso conte di Cavour, al civico numero 28, si trova il ristorante Dal Corsaro, uno dei sei ristoranti sardi premiati dalla Guida Michelin con una stella ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette. Il ristorante Dal Corsaro è un locale che viene premiato dalla Guida Michelin con una stella, ad indicare una cucina di grande qualità, che merita la tappa, ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette. Per anni considerato il miglior ristorante di Cagliari, questo sobrio angolo di eleganza grazie alla passione ed al continuo impegno della famiglia che lo conduce, è diventato uno dei migliori dell’intera Sardegna. Un indirizzo che esalta ed enfatizza la cultura culinaria dell’isola, una sosta gastronomica imperdibile se ci si trova nel vivace capoluogo. Dal Corsaro è ubicato, infatti, a pochi passi dal porto, con un ambiente sobrio ed elegante, tra archi, quadri e specchi. La coreografia prosegue nelle proposte moderne, fantasiose ma sempre ispirate ai prodotti locali, dello chef Stefano Deidda, coadiuvato dalla moglie in sala, per una gestione famigliare, giunta alla terza generazione. Una cucina compiuta e riflessiva con intriganti piatti che rispecchiano, e nel contempo elevano, le migliori tradizioni sarde, in due menu degustazione a sorpresa in base alla stagionalità dei prodotti e alla disponibilità del mercato. È anche possibile trovare un ambiente più semplice ed una cucina rustica nella versione Bistrot del Fork. |
La Chiesa di Santa Rosalia con il Santuario San Salvatore da HortaDal viale regina Margherita risaliamo di duecentocinquanta metri, e prendiamo verso sinistra, la via San Salvatore da Horta, che ci porta sulla via Torino, parallela al viale regina Margherita. Proprio dove la via San Salvatore da Horta sbocca sulla via Torino, di fronte, alla sinistra della strada, si trova la facciata della Chiesa di Santa Rosalia inaugurata nel 1749 ed ancor oggi officiata dai Frati Minori Osservanti, che risiedono nell’adiacente convento, che furono terminati solo nel 1780. La parte più rilevante della Chiesa, dal punto di vista artistico, è la facciata, realizzata in stile barocchetto piemontese, che, nella parte superiore, in due nicchie poste ai lati di una grande finestra, accoglie le statue di Sant’Antonio da Padova e San Bonaventura. Nello stesso stile è realizzato l’adiacente portico che immette nella via Principe Amedeo, e che aveva in passato la funzione di collegare le due parti del convento. All’interno la Chiesa si presenta a singola navata dotata di otto cappelle sui lari e altare maggiore in marmo. Sull’abside è presente un bel mosaico che raffigura la morte del Santo. Lo stile dell’edificio è in barocco piemontese. Tra gli arredi sacri si trova un simulacro di Santa Rosalia, una statua dell’Ecce Homo, due grandi dipinti che ricordano i miracoli di San Salvatore. La Chiesa dipende dalla parrocchia di Sant’Eulalia di Marina. La Chiesa di Santa Rosalia viene definita il Santuario di San Salvatore da Horta, che è un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la presenza al suo interno della tomba con le spoglie di San Salvatore da Horta, giunto a Cagliari per sfuggire all’Inquisizione spagnola. Le ossa del Santo sono poste in un’urna di bronzo sull’altare maggiore della Chiesa di Santa Rosalia, e nel medesimo altare si trova anche una statua del Santo all’interno di una bara in vetro. Le ossa sono giunte qui nel 1757, dopo essere state custodite nel convento di Santa Maria di Gesù poi andato distrutto e dopo essere temporaneamente conservati in vari conventi di Cagliari. Il Comando Militare Esercito Sardegnaalla sinistra della Chiesa di Santa Rosalia, dopo un portico, si vede il palazzo che ospita il Comando Militare Esercito Sardegna, già Comando militare autonomo della Sardegna, che trae origine dal Comando militare della Sardegna, costituito nel dopoguerra a Cagliari e avente giurisdizione su tutta l’Isola, dipendente dal 1946 dal VIII Comando militare territoriale, divenendo ente territoriale del Comando regione Militare Centrale, e raggiungendo la sua autonomia a fine dicembre 1981. Le funzioni esercitate sono: leva, reclutamento e mobilitazione; affari territoriali e presidiari: e logistica. In parte ha anche compiti di natura operativa, avendo alle proprie dipendenze alcune unità operative di stanza nell’isola ma dal 1988, con la costituzione della Brigata Sassari, dispone anche di unità di combattimento. La ex Chiesa di Santa Teresa che ospita l’Auditorium ComunalePassato il portico tra la Chiesa di Santa Rosalia ed il palazzo che ospita il Comado Militare, prendiamo la via Principe Amedeo, che, in quattrocentocinquanta metri, ci porta nella piazza Giovanni Maria Dettori. Qui, al civico numero 8 della piazza, si trova la Ex Chiesa di Santa Teresa. La Chiesa è stata eretta dai Gesuiti, la sua costruzione è stata completata nel 1691, data che compare in una lapide posta sulla facciata. Adiacente alla Chiesa, si trovava l’Ex collegio dei Gesuiti, fondato nel 1611 dalla Compagnia di Gesù, che è restata nel complesso fino al 1773, anno della soppressione dell’ordine, per tornarci nel 1822, e per abbandonarlo definitivamente nel 1848, quando Chiesa ed il collegio diventano proprietà del Demanio dello Stato. Dal 1884 al 1929 la Chiesa, sconsacrata, ha ospitato l’Archivio di Stato, successivamente è divenuta sede della Gioventù Italiana del littorio. Nel dopoguerra la ex Chiesa comincia ad essere utilizzata come sala per concerti, e l’interno viene definitivamente trasformato e adattato, tra il 1982 e il 1984, diventando l’Auditorium Comunale di Cagliari. La Chiesa collegiata di Sant’Eulalia di Marina con l’area archeologica sottostante e con il suo tesoroPercorso circa duecento metri dall’inizio della via Sardegna, prendiamo verso sinistra la via Sant’Eulalia, lungo la quale, dopo un’ottantina di metri, si trova alla destra della strada una scalinata che porta in piazza Sant’Eulalia. Ad essa potevamo arrivare anche dal viale regina Margherita, presa, subito dopo il ristorante Dal Corsaro, alla sinistra la via dei Pisani, che, in centocinquanta metri, ci porta nella piazza. Qui si trova la Chiesa collegiata di Sant’Eulalia di Marina, che è la Chiesa parrocchiale del quartiere Marina. Edificata dagli Aragonesi in stile gotico catalano intorno al 1370, probabilmente sopra la precedente duecentesca Chiesa di Santa Maria del Porto, la Chiesa è stata dedicata alla Martire Eulalia, patrona della città di Barcellona. Nel 1620 l’arcivescovo di Cagliari le assegna il titolo di collegiata, ossia di Chiesa importante, nella quale, pur non essendo sede vescovile e non avendo perciò il titolo di cattedrale, è tuttavia istituito un collegio o capitolo di canonici, per rendere più solenne il culto a Dio. La parrocchia tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo viene riammodernata in stile barocco e arricchita di numerosi arredi marmorei, per essere in seguito pesantemente rimaneggiata nel ventesimo secolo. L’interno si sviluppa in un’ampia navata centrale con due piccole navate laterali, costituite dagli spazi di intercomunicazione tra le cappelle laterali. L’altare settecentesco di Santa Eulalia è ornato, nella seconda Cappella a destra, da una tela di Pietro Angeletti, pittore del settecento nato a Bologna ma con una lunga carriera a Roma, accademico dell’Accademia di San Luca ed assessore delle antichità romane, del quale restano opere nel duomo di Cagliari, nella Cattedrale di Ales e e nella parrocchiale dedicata a San Pietro Apostolo a Solarussa. La facciata della Chiesa è a capanna, decorata da archetti pensili trilobati, ed al centro, sopra il portale, si apre il rosone, tra i più belli che si trovano in Sardegna. Affianca la facciata un alto campanile, del quattro o cinquecento la canna quadra, del settecento la torretta ottagonale che la sovrasta, coperta da un cupolino sostituito nel Novecento dall’attuale cuspide. Dalla parrocchia di Sant’Eulalia di Marina, che ha sede nella Chiesa parrocchiale Collegiata di Sant’Eulalia, dipendono diverse Chiese del centro storico di Cagliari: Chiesa del Santo Sepolcro in piazza San Sepolcro, la Chiesa di Sant’Antonio Abate in via Giuseppe Manno, la Chiesa della Beata Vergine della Pietà sulle scalette delle Monache Cappuccine, la Chiesa di Santa Rosalia in via Torino, la Chiesa di San Francesco da Paola in via Roma, la Chiesa di Sant’Agostino in via Baylle, la Cappella dell’Asilo della Marina che è l’ex Oratorio della Madonna d’Itria in via Baylle. Sotto la Chiesa di Sant’Eulalia si sviluppa una interessante area archeologica. Gli scavi archeologici, ancora in corso, sono iniziati casualmente, in occasione dei lavori di riadattamento della sagrestia, nel 1990, quando è stato scoperto un pozzo profondo ben sedici metri. Gli scavi si sono estesi a coprire tutta l’area sottostante la Chiesa, ed hanno portato alla luce i resti di un quartiere dell’antica Cagliari di grande importanza per la sua vicinanza con il porto. L’elemento più importante è una grande strada lastricata, datata quarto secolo dopo Cristo, larga quattro metri e portata alla luce per una lunghezza di tredici metri, molto ripida, che non presenta i segni delle ruote di carro, per questo si ipotizza una sua funzione cerimoniale. Poco più in alto si trovano i resti di un tempietto di età repubblicana. È stato portato alla luce anche un ambiente colonnato di età tardo repubblicana, riutilizzato in età successiva. L’area è stata abitata anche durante l’alto periodo medioevale, e successivo è il basamento di una torretta di avvistamento costruita in difesa dagli attacchi dal mare da parte di Vandali e pirati saraceni. Risalgono al seicento i resti della Cripta di Sant’Eulalia, sotto la Chiesa, di cui resta la scala d’accesso. Alcuni dei reperti rinvenuti sono stati sistemati in vetrinette, tra essi numerose lucerne d’età romana, ceramiche, medaglie di bronzo e monete, ed importante è anche una statua mancante della testa che rappresenta un sacerdote del culto di Iside. alla Chiesa è annesso il Museo del Tesoro di Sant’Eulalia situato al piano sopra l’ingresso all’area archeologica, dove vengono custoditi paramenti e opere sacre di artigiani sardi e napoletani del diciassettesimo e diciottesimo secolo, ed anche una collezione di argenti del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Le cerimonie della Settimana Santa che si svolgono nella Chiesa di Sant’EulaliaImponenti sono, a Cagliari, i Riti della Settimana Santa, che coinvolgono fedeli e turisti. La Domenica di Pasqua si svolge il rito de S’Incontru, ossia il ricongiungimento delle due processioni con i simulacri del Cristo Risorto e della Madonna, che, provenedo da direzioni opposte, si ritrovano uno di fronte all’altro, ed i simulacri si salutano con un triplice inchino tra gli applausi della folla, e quindi, affiancati, fanno rientro nella Chiesa dove viene celebrata la messa solenne. La suggestiva cerimonia viene celebrata a cura delle tre parrocchie storiche di Villanova, Stampace e Marina. Quella che si svolge nella chesa parrocchiale di Sant’Eulalia, nel quartiere della Marina, prevede che la statua di Cristo sia trasportata da volontari in saio nero, veste degli antichi Confratelli dell’Orazione e della Morte che avevano sede nella Chiesa del Santo Sepolcro, mentre quella della Madonna viene trasportata da altri in sacco bianco con mantellina rossa, veste degli antichi Confratelli del Sangue di Cristo della Chiesa distrutta di Santa Lucia. Punto d’incontro dei due simulacri è la via Roma, di fronte alla Chiesa di San Francesco di Paola. Espletato il cerimoniale del saluto e imboccata la via Napoli, i due simulacri vengono quindi condotti a Sant’Eulalia, dove verrà celebrata la messa solenne di mezzogiorno. La Chiesa del Santo SepolcroProseguendo lungo la via Sant’Eulalia, in un centinaio di metri arriviamo di nuovo nella piazza Giovanni Maria Dettori. Qui prendiamo verso nord ovest la via pedonale Giovanni Maria Dettori, la seguiamo per una cinquantina di metri, poi troviamo alla destra la piazza del Santo Sepolcro, dove troviamo la Chiesa del Santo Sepolcro una Chiesa monumentale ricca di interessanti arredi e opere d’arte, appartenuta, dal 1248, all’Ordine dei Cavalieri templari fino alla soppressione di quest'Ordine nel 1311, e affidata nel 1564 alla Confraternita dell’Orazione e della Morte. La sua struttura originaria gotico catalana del quindicesimo secolo, con il presbiterio, chiamato Capilla Major, caratterizzata da una splendida volta stellare gemmata e costolonata, viene modificata in stile barocco per essere adattata al nuovo corpo aggiunto, costituito dalla grande Cappella barocca ottagonale della Madonna della Pietà che ospita un retablo in legno dorato quattrocentesco, e viene modificata nuovamente quando, smantellato il Cimitero che si trovava nella piazza, viene ribassato di circa due metri il livello del terreno e viene costruita la nuova facciata. La Chiesa dipende dalla parrocchia di Sant’Eulalia di Marina. Nel 1564, con sede proprio nella Chiesa del Santo Sepolcro, viene fondata la Confraternita del Santissimo Crocifisso dell’Orazione e della Morte La quale, attiva sino al secondo dopoguerra, si occupava principalmente di dare sepoltura delle persone più povere e la Chiesa, o meglio la sottostante Cripta, e l’area circostante, che è l’attuale piazza del Santo Sepolcro, venivano utilizzate come cimiteri. Questo fino al diciannovesimo secolo, quando l’area perse gradualmente la sua funzione cimiteriale per essere, a fine secolo, sistemata come piazza, tanto che del Cimitero ipogeico si è perso il ricordo. Sotto la Chiesa è stata rinvenuta una grande Cripta funeraria, costruita alla fine del diciassettesimo secolo, riutilizzando e modificando una grotta naturale. La Cripta del Santo Sepolcro è uno degli spazi ipogeici tra i più affascinanti della città, e la sua storia ripercorre quella della Confraternita dell’Orazione e della Morte, detta anche Confraternita del Santo Sepolcro, i cui membri si preoccupavano di dare degna sepoltura ai cadaveri di poveri ed emarginati, nella piazzetta antistante, cosparsa da zolle di terra proveniente dalla Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Si accede alla Cripta tramite una botola situata al centro della navata. Sono presenti due camere con volta a botte, originariamente utilizzate per sepolture a terra. Sulle pareti della sala principale vi sono tracce di affreschi, tra i quali il dipinto più rilevante raffigura la morte, ritratta come uno scheletro avvolto da un manto di ermellino e con la falce in mano, sulla cui lama è leggibile un’eloquente scritta, Nemini parco, ossia non risparmio nessuno. Nella seconda sala è visibile un sepolcro in muratura, probabilmente destinato ad ospitare la salma di un personaggio illustre, e sulle pareti sono presneti altorilievi che rappresentano un teschio con le tibie incrociate. La Chiesa di Sant’Antonio AbateProseguendo oltre la facciata della Chiesa del Santo Sepolcro, prendiamo alla sua sinistra la scalinata nota come le Scalette del Santo Sepolcro, passate le quali si arriva al portico di Sant’Antonio, che sbocca sulla via Giuseppe Manno. Presa la via Giuseppe Manno verso destra, troviamo dopo appena una ventina di metri, alla sinistra della strada al civico numero 58, la Chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate, che nel 1342 era la Cappella dell’adiacente Ospedale e convento, retto allora dai padri Agostiniani, riservato alla cura dei malati di Erpes Zoster, detto fuoco di Sant’Antonio. L’attuale Chiesa viene eretta in stile barocco e consacrata nel 1723, come testimonia la lapide posta nell’atrio, affidata agli Ospedalieri di San Giovanni di Dio. Nel 1850 gli Ospedalieri si trasferiscono nella nuova sede dell’Ospedale Civile San Giovanni di Dio, nel quartiere Stampace, e l’antico Ospedale e l’adiacente convento diventano proprietà di privati, mentre la Chiesa di Sant’Antonio viene ceduta alla Confraternita della Madonna d’Itria. La Chiesa è caratterizzata da una pianta di forma ottagonale con tre cappelle per lato, disposte a raggiera, coperte da volta a botte, e con un presbiterio quadrangolare, ed è caratterizzato dal colore verde degli intonaci, su cui spiccano le dorature degli stucchi e dei capitelli corinzi. La facciata in stile tardo barocco è abbellita da larghe cornici e da due riquadri ai lati di una finestra, ornata da ghirlande di fiori e frutta in rilievo. Nella parte superiore, una nicchia, affiancata da due volute e da cascate di melograni che richiamano l’Ordine degli Ospedalieri, ospita una statua di Sant’Antonio, raffigurato con un bastone in mano e un maialino ai suoi piedi, dato che il Santo viene considerato protettore degli animali domestici. Il portone, arricchito da una cornice tubolare con un annodamento di gusto classico, è inquadrato in un sistema di paraste e pilastri, con lo stemma degli Ospedalieri. La Chiesa dipende dalla parrocchia di Sant’Eulalia di Marina. La Chiesa è regolarmente officiata, e richiama i suoi fedeli particolarmente il 17 gennaio, giorno della Festa di Sant’Antonio Abate, quando si svolge la tradizionale benedizione degli animali domestici nella vicina piazza San Sepolcro. La Chiesa della Beata Vergine della Pietà annessa al convento delle monache CappuccineProseguendo lungo in via Giuseppe Manno oltre la Chiesa di Sant’Antonio Abate, dopo una trentina di metri prendiamo a sinistra le Scalette delle monache Cappuccine, e, dopo una quarantina di metri, troviamo sulla sinistra, al civico numero 12 delle Scalette, la Chiesa della Beata Vergine della Pietà annessa al convento delle monache Cappuccine. Le Clarisse Cappuccine giungono a Cagliari nel 1703, tra il 1705 e il 1711 viene edificato il monastero, in un’area sotto le mura del Castello in precedenza utilizzata per le esecuzioni capitali, mentre la Chiesa del monastero viene consacrata nel 1806. alla metà del diciannovesimo secolo, in seguito alle leggi di soppressione degli Ordini religiosi, le monache lasciano il convento, che diviene di proprietà del demanio dello stato. Dopo diversi passaggi di proprietà, nel 1962 il convento venne ceduto alla Provincia sarda dei Cappuccini, e infine restituito alle monache Clarisse nel 1969. La Chiesa è molto semplice, presenta una facciata a coronamento orizzontale, rimarcato da un cornicione, con il campanile a vela sulla sinistra. Il portale è sormontato da due finestre rettangolari e dallo stemma di casa Savoia. L’interno è a pianta rettangolare, con navata unica e volta a botte. La Chiesa dipende dalla parrocchia di Sant’Eulalia di Marina. La piazza Martiri d’Italia con il Monumento ai Caduti delle guerre d’indipendenzaProseguendo lungo la via Giuseppe Manno verso destra, a centocinquanta metri dalla Chiesa di Sant’Antonio Abate arriviamo nella piazza Martiri d’Italia, nella quale arriva da sinistra la via Giuseppe Mazzini, e che si trova ai limiti tra il quartiere Marina, il Castello e Villanova. Nella piazza si trova il Monumento ai Caduti delle guerre d’indipendenza dedicato ai sardi caduti nelle battaglie per lIindipendenza e per l’Unità d’Italia, realizzato dallo scultore piemontese Giuseppe Sartorio ed inaugurato nel 1886. Il monumento è un obelisco sulla cui facciata sono scolpite le date delle battaglie ed i nomi dei caduti in guerra, sulla base sono scolpiti fucili, cannoni e altri oggetti bellici, una targa con la sigla Custoza, la bandiera, lo stemma di Cagliari ed il ritratto di Vittorio Emanuele II, mentre sulla sommità è scolpita una corona d’alloro. La via Giuseppe Manno ci porta alla grande piazza YenneSe seguiamo la via Giuseppe Manno nell’altra direzione, ossia veso sinistra, a un centinaio di metri da dove ci eravamo arrivati con il portico di Sant’Antonio, la strada sbocca dopo un tratto pedonale nella grnde Piazza Yenne, una delle piazze storiche più importanti di Cagliari situata al termine del largo Carlo Felice, che parte dalla via Roma e separa il quarttiere Marina dal quartiere Stampace. Descriveremo il largo Carlo Felice e la piazza Yenne quando parleremo del quartiere Stampace. Il ristorante lapolaDalla piazza Yenne, prendiamo il largo Carlo Felice sel marciapiede di sinistra e, dopo appena un diecina di metri, svoltiamo a sinistra nella via Giovanni Maria Dettori, che seguiamo per un centinaio di metri, fino ad arrivare a uno slargo alberato all’interno di un’isola pedonale. Prendiamo verso destra il vico Barcellona e, dopo una trentina di metri, vediamo alla destra della strada l’ingresso del Ristorante lapola. Il Ristorante lapola, il cui nome si rifà all’antica denominazione del quartiere Marina, è situato in vico Barcellona al civico numero 10, ed offre una cucina a base di pesce. Si tratta di un ristorante tipico sardo, situato nel cuore della città di Cagliari, dove è possibile sempre assaporare il gusto autentico della Sardegna, passando per specialità ittiche fresche, tra le quali soprattutto l’astice. In un ambiente cordiale e rilassante, con arredi rustici dai toni caldi e pietra a vista, è possibile lasciarsi conquistare dalle ricette tipiche della cucina isolana, ancora oggi preparate secondo le ricette che si tramandano di generazione in generazione. I piatti proposti sono molto buoni ed abbondanti, dagli antipasti alle frittelle di Orziadas ossia anemoni di mare, il polpo, e, dopo i primi, aragoste e cicale di mare, per concludere con sorbetto e limoncello da loro prodotto. Tra gli abbondanti crostacei, ci sono state fornite anche le cicale di mare chiamate anche Magnose, che non riteniamo però siano stata pescate in Sardegna dato che si tratta di una specie protetta, e nell’isola e nei mari ad essa prospicenti è già dal 1995 presente il divieto della loro pesca, detenzione, trasbordo, sbarco, trasporto e commercializzazione in quanto a rischio di estinzione per via della pesca indiscriminata da parte dell’uomo. |
Il ristorante Is Femminas al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due ForchetteProseguendo appena appena una diecina di metri, il vico Barcellona incrocia la via Napoli, che prendiamo verso destra e, subito dopo, si vede alla destra della strada, al civico numero 90 della via Napoli, il ristorante Is Femminas, al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette. Lungo la via Napoli, al civico numero 90, si trova il ristorante Is Femminas, al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette e che ha conquistato anche il premio speciale qualità prezzo. Si tratta di una realtà che propone la cucina della longevità di terra e cucina di mare. Oltre a pietanze con pesce locale del golfo, vengono proposte tante materie prime provenienti da Seulo dove, nella #1E56A7 zone sarda, le aspettative di vita sono più alte e la memoria culinaria viene ancora tramandata dai centenari, celebri per la loro alimentazione. La chef e patronne Maria Carta viene proprio da Seulo. La sua missione è reinterpretare in chiave moderna le antiche ricette della sua terra, racchiuse in un menù dedicato proprio al cibo della longevità e alla dieta del suo popolo. Quindi polpo al coccio, tartare di pesce e gamberi ma anche tanti piatti con derivati di latte di capra e pecora e legumi. |
La Chiesa di Sant’AgostinoProseguendo lungo il largo Carlo Felice in direzione del mare verso la via Roma, dopo quasi centocinquanta metri sul marciapiede di sinistra si trova il nuovo grande ingresso secondario della Chiesa di Sant’Agostino, il cui piccolo ingresso principale è però nella quasi parallela via lodovico Baylle. Per raggiungera, dalla piazza Yenne svoltiamo a sinistra nella via Giovanni Maria Dettori, che seguiamo per una trentina di metri, poi svotliamo a destra nella via lodovico Baylle, e, dopo circa un centinaio di metri, troviamo sulla destra, al civico numero 80, il piccolo ingresso principale della Chiesa. Durante i lavori di adeguamento della cinta muraria della città di Cagliari voluti da Filippo II di Spagna, è stata distrutta l’antica Chiesa di Sant’Agostino, che era stata edificata in forme gotiche catalane agli inizi del quindicesimo secolo. Il sovrano ha però finanziato la costruzione di un nuovo edificio dedicato al Santo, il cui progetto viene affidato agli stessi ingegneri che allora si occupavano delle fortificazioni, i fratelli ticinesi Jacopo e Giorgio Palearo Fratino. La Chiesa di Sant’Agostino è stata edificata quindi nel 1577 in stile rinascimentale, dopo che era stato abbattuto l’antico convento degli Agostiniani, che impediva la costruzione delle nuove fortificazioni nel quartiere di Marina, e rappresenta l’unico esempio in Sardegna di architettura rinascimentale. L’edificio è a croce greca, con volte a botte, e, nel punto di incontro dei quattro bracci di eguale misura, si trova una cupola semisferica. Tra gli arredi interni spiccano diversi dipinti, un altare di legno dorato in stile barocco e il simulacro del Santo. recentemente sotto la Chiesa sono state rinvenute antichi reperti di epoca romana. In origine la Chiesa si trovava nell’attuale largo Carlo Felice, nel quale il quartiere Marina arriva fino al lato destra del largo, salendo dal mare verso largo Yenne, e dove si trova il nuovo grande ingresso della Chiesa, realizzato tra i resti delle mura dell’Antico Mercato Civico, realizzato su progetto dell’Ingegner Enrico Melis, che è stato parzialmente distrutto nel 1886. Mentre sull’altro lato del largo Carlo Felice, sul lato sinistro subito al di fuori dal centro storico, tuttora esiste la Cripta del Santo, accessibile dal palazzo Accardo, posto proprio sul retro del palazzo Civico, che visiteremo più avanti. Usciamo dal quartiera MarinaLa via Carlo Felice, percorsa dal mare fino all’interno, ci fa uscire dal quartiere Marina, dal quale entriamo nello storico quartiere denominato Stampace. Il quartiere StampaceIl quartiere Stampace è il quartiere più antico della città, ed è stata la zona residenziale per le famiglie benestanti della città di Cagliari fino dal periodo medievale. Il suo nome deriva dalla frase Sta in pace, dato che in questo quartiere si trovava il percorso dalla strada che portava al colle di Buoncammino sul quale si effettuavano le esecuzioni capitali (che poi il cammino verso il patibolo fosse buono è tutto da dimostrare...). Delle sue strade, ciascuna con la sua Chiesa, se ne ha notizia a partire dall’undicesimo secolo. Il quartiere è noto anche per aver ospitato la cosiddetta Scuola di Stampace, che trae il nome dal quartiere dove la famiglia dei Cavaro ha tenuto la sua bottega per diverse generazioni, tra il quindicesimo ed il sedicesimo secolo. In largo Carlo Felice si trova il palazzo AccardoPer effettuare la nostra visita del quartiere Stampace, dalla destra del palazzo Civico prendiamo, verso nord est, il largo Carlo Felice che ci porta, in leggera salita, fino alla piazza Yenne. All’inizio del largo Carlo Felice, alla sinistra al civico numero 13, all’angolo con la via Crispi, in posizione limitrofa alla facciata posteriore del palazzo Civico, si trova il Palazzo Accardo, eretto tra il 1899 e il 1901 secondo il progetto dell’architetto Dionigi Scano, nato a Sanluri. L’edificio presenta uno stile eclettico, dato che nella sua costruzione sono stati impiegati materiali differenti come pietra, cemento e cotto. Le aperture del piano terra sono contraddistinte da volte allineate alle finestre dei tre piani sovrastanti, ciascuno riccamente decorato e con balconi in parte sporgenti, in parte a filo delle facciate. Quest'ultime sono caratterizzate da lesene a fasce con capitello ionico. La fascia decorativa in cotto posizionata al di sotto del cornicione sporgente presenta elaborate decorazioni, quali ovoli, dentelli e figure femminili. La Cripta dove erano custodite le spoglie di Sant’Agostino che viene definita il suo SantuarioDall’androne del palazzo Accardo, tramite una scala a chiocciola si accede alla Cripta di Sant’Agostino una piccola Cappella ipogeica. Viene definita il Santuario di Sant’Agostino, essendo un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, dato che costituisce ciò che resta della Chiesa e del convento degli Agostiniani, eretti nel luogo in cui, secondo la tradizione, dal 504 sarebbero state custodite le spoglie di Sant’Agostino di Ippona. Le ha portate a Cagliari il monaco San Fulgenzio di Ruspe, che, insieme ad altri vescovi del nord Africa, era stato esiliato in Sardegna dal re vandalo Trasamondo, e vi rimangono fino al 722, quando vengono traslate a Pavia per volere del re longobardo liutprando, allo scopo di preservarle dalle scorrerie dei Saraceni. Nella seconda metà del cinquecento, la Chiesa ed il convento, che sorgevano Extra moenia ossia al di fuori delle mura cittadine, vengono demoliti per il riammodernamento della cinta muraria della città, voluto da Filippo II di Spagna, che finanzia la costruzione della nuova Chiesa dedicata al Santo, che viene eretto Intra moenia ossia entro le mura cittadine, nel quartiere Marina, e che abbiamo già descrtta. Dell’antica Chiesa viene lasciata in piedi solo una piccola cappella, che alla fine dell’ottocento, per la sistemazione del largo Carlo Felice, viene demolita per far posto al palazzo Accardo, e di essa rimane solo l’antica Cripta. Ci rechiamo in piazza Yenne per iniziare la visita del quartiere StampaceIniziata la nostra visita del quartiere Stampace, passato il palazzo Accardo proseguiamo verso nord est lungo il largo Carlo Felice, il bel viale alberato che ci porta, in leggera salita, fino alla grande Piazza Yenne, nella quale troviamo la statua di Carlo Felice, il re di Piemonte e Sardegna, votata nel 1827 dagli stamenti, uno dei tre bracci dell’antico Parlamento sardo, per volontà dello stesso sovrano. La statua bronzea in stile neoclassico, alta quattro metri, rappresenta il re nelle vesti di un soldato romano, con elmo in testa, corazza e rivestito da una toga, è stata disegnata dall’architetto Gaetano Cima e realizzata in bronzo dallo scultore sassarese Andrea Galassi nel 1833, alla cui fusione hanno collaborato gli artiglieri guidati dal colonnello Carlo Boyl. La statua è stata collocata nella piazza San Carlo, vecchio nome che aveva quella che è l’attuale piazza Yenne, nel 1860, completata dal basamento progettato da Gaetano Cima. Nei quattro lati del basamento, alto circa il doppio della statua, sono poste le epigrafi con l’iscrizione redatta dallo storico cagliaritano Pietro Martini. In Sardegna questo sovrano è ricordato soprattutto per aver approvato il progetto dell’ingegner Carbonazzi che ridisegnava il tracciato della strada statale che collegava Cagliari con Sassari e poi Porto Torres, che ha preso il suo nome diventando la SS131 di Carlo Felice. Nel montaggio della statua viene, però, commesso un errore, dato che la statua doveva essere montata in modo che arrivando da mare si vedesse in volto del sovrano, ed il suo braccio destro rivolto verso nord ovest avrebbe indicato l’inizio della strada. La statua viene invece sistemata al contrario, ed arrivando dal mare si vedono le spalle del sovrano, quindi il dito del re punta in direzione contraria a quello che è l’inizio della strada, dato che punta verso sud est mentre la strada si dirige verso nord ovest. La SS131 di Carlo Felice parte proprio dalla piazza, dato che pochi metri più avanti, non lontano dalla statua, è presente un obelisco con la pietra miliare posta dal viceré marchese di Yenne nel 1822, che segna il punto di inizio di quella che è stata ed è ancora oggi la principale arteria sarda. Lo storico Francesco Cesare Casula, nel suo libro Carlo Felice e i tiranni sabaudi, definisce Carlo Felice come Il peggiore fra i sovrani sabaudi, da vicerché come da re fu crudele e feroce, famelico, gaudente e ottuso, e documenta come Carlo Felice abbia incaricato il giudice Giuseppe Valentino di innalzare in tutti i paesi della Sardegna centinaia di forche per impiccare i seguaci di Giovanni Maria Angioy, protagonista dei moti rivoluzionari sardi contro il sistema feudale. Per questo è stata proposta nel 2021 una mozione per l’installazione di pannelli esplicativi, almeno in tre lingue, sardo, italiano ed inglese, in armonia con i caratteri storico-Culturali e urbanistici presenti nel largo Carlo Felice, finalizzati a illustrare la figura dell’omonimo re, quel Carlo Felice Tiranno feroce, ed a spiegare, altresì, cosa comportò il suo governo per il popolo sardo, citando le vittime illustri durante il suo regno. |
Il ristorante Josto al quale la Guida Michelin ha attribuito il Bib Gourmand ed il Gambero Rosso ha assegnato le Due ForchetteDall’estremo settentrionale della piazza Giacomo Matteotti, all’altezza della facciata della Stazione ferroviaria, prendiamo a destra la via Sassari, già via San Nicolò, che è parallela al largo Carlo Felice, la seguiamo per poche decine di metri fino a vedere aprirsi sulla sinistra l’ampia piazza del Carmine. Proprio alla fine della piazza, si vede alla destra una traversa che è considerata continuazione della via Sassari, e alla sinistra della quale, in un ex deposito di legname al civico numero 25 della via Sassari, si affaccia il ristorante Josto, uno dei sei ristoranti sardi ai quali la Guida Michelin ha attribuito il riconoscimento Bib Gourmand ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette.. Nel centro di Cagliari, vicino alla suggestiva piazza del Carmine, si trova il ristorante Josto, che viene consigliato dalla Guida Michelin 2023 ed indicato come Bib Gourmand per il suo ottimo rapporto tra la qualità ed il prezzo ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette.. Lo chef è Pierluigi Fais, promettente già da giovanissimo nel ristorante Josto al Duomo dell’albergo di famiglia ad Oristano. Dopo avere traslocato a Cagliari ed avere aperto la pizzeria Framento, che in pochi mesi ha codificato una delle migliori pizze d’Italia, alla fine è tornato in cucina. I mobili di design delle due piccole sale allietano la sosta armonizzandosi perfettamente con la cucina dello chef, che si vuole moderna, sebbene ispirata a radici ed ingredienti sardi. L’obiettivo è proporre piatti dallo stile molto personale, che traggono spunto dagli ingredienti e le materie prime più caratteristici della cucina sarda. E giungono a rielaborazioni e abbinamenti guidati dalle acidità, sempre presenti e ben calibrate, vere protagoniste della cucina di Pierluigi Fais. |
In via Sassari il ristorante Ammentos che offre i piatti tipici della tradizione sarda dell’internoPassata la piazza del Carmine, seguiamo la via Sardegna fino quasi in fondo, dove sboccherà sul corso Vittorio Emanuele II, cha parte a sinistra dalla piazza Yenne. Qui, alla sinistra della via Sassari, al civico numero 120, si trova il Ristorante Ammentos, un piccolo ristorante che offre i piatti tipici della tradizione sarda. In un ambiente raccolto, con solo una decina di tavoli, rustico ed accogliente, il Ristorante Ammentos, ossia Rammentaci o Ricordaci, che offre i piatti tipici della tradizione sarda dell’interno dell’isola dato che i proprietari sono di Gergei, nel Sarcidano tra il Campidano e la Barbagia. L’attesa è minima, il personale molto disponibili a spiegare i piatti, la gestione familiare. Con ottimi ingredienti semplici e genuini, da Ammentos è possibile assaggiare tutti quei piatti che rendono unica la cucina sarda in Italia. Propone antipasti di terra, culurgiones e malloreddus, macarrones de busa conditi con sugo di pomodori e salsiccia, ossia i tipici maccheroni dalla forma allungata ottenuti mediante l’uso del ferretto che le donne anticamente utilizzavano per fare la maglia, ed inoltre arrosti di carne, il porceddu ossia il maialetto sardo arrosto, la pecora in cappotto, i dolci tipici sardi accompagnati dal moscato. Le pietanze sono accompagnate da un buon vino rosso della casa e, a fine pasto, da moscato e filu ’e ferru, la tipica acquavite sarda. |
In corso Vittorio Emanuele II si trova il ristorante su Tzilleri in Sa Bucca ’e Sa NassaArrivati alla piazza Yenne, prendiamo a sinistra il corso Vittorio Emanuele II, a piedi dato che è una strada che per il primo tratto è isola pedonale. La seguiamo per centoventi metri e vediamo alla destra della strada il caratteristico ristorante Su Tzilleri in Sa Bucca ’e Sa Nassa. Nel quartiere Castello, di fronte all’ingresso della Chiesa di San Giuseppe Calasanzio, sull’altro lato della piazza San Giuseppe, si trovava il caratteristico ristorante Su Tzilleri ’e su Doge abilmente gestito da Claudio Ara, che si definisce Chef d’essai, nella sua storia partita all’età di tredici anni lavando piatti, e che oggi fa parte dell’Alleanza tra i Cuochi, determinati a sostenere i presidi Slow Food e piccoli produttori locali custodi della biodiversità. Archeologia della cucina, improvvisazione e sperimentazione, fanno parte della sua idea di cucina, basata sulla ricerca della materia prima, dei piatti tipici nelle sue ricette originali, capirne il valore storico, e proporle nella loro veste originale, o riproporle in chiave moderna rispettandone le caratteristiche. Il locale è stato trasferito dal luglio 2021 nel quartiere Stampace, e si trova ora al civico numero 57 del corso Vittorio Emanuele, con la nuova denominazione Su Tzilleri in Sa Bucca ’e Sa Nassa. Nella ultima nostra visita a Cagliari nel 20121 non abbiamo potuto visitarlo essendo chiuso in agosto. Proponiamo quindi le foto scattate quanche anno fa nella nostra visita al ristorante Su Tzilleri ’e su Doge, con la stessa cucina di Cladui Ara che propone la ricerca maniacale della materia prima, dei piatti tipici nelle sue ricette originali, per capirne il perché storico, riproporle in chiave moderna rispettandone le caratteristiche o riproporle nella loro veste originale. |
In corso Vittorio Emanuele II si trova anche la pizzeria Framento premiata con i Tre Spicchi dal Gambero RossoProseguendo, passiamo il punto dove arriva da sinistra la via Sassari subito dopo che abbiamo trovato il ristorante Ammentos, proseguiamo e vediamo subito alla sinistra della strada, al civico numero 74 del corso Vittorio Emanuele II, la macelleria Etto, ossia l’Antica Macelleria Moderna, aperta da Pierluigi Fais e, poco dopo, al civico numero 82, la Pizzeria Framento, anch’essa aperta da Pierluigi Fais, che viene generalmente considerata una delle migliori pizzerie della Sardegna. In corso Vittorio Emanuele II, al civico numero 82, si trova la Pizzeria Framento di Pierluigi Fais, nella quale la tradizionalità porta ad utilizzare il lievito madre, chiamato in sardo Su Frammentu, per la preparazione degli impasti, che vengono lasciati lievitare per un lungo tempo, in modo tale da garantire una digeribilità rapida e indolore. La sua pizza è la prima delle quattro in Sardegna premiate con i Tre Spicchi nella sezione della pizza all’italiana, il riconoscimento che la Guida alle pizzerie d’Italia 2023 del Gambero Rosso ha assegnato alle pizze ritenute migliori dai giudici dopo averne esaminato lievitazione, farine usate per impasto, selezione della materia prima cottura, la cottura e soprattutto il sapore. |
La Chiesa di Santa Chiara con i resti dell’adiacente conventoDa piazza Yenne prendiamo in direzione nord est, verso le scalette di Santa Chiara, e, dopo una cinquantina di metri, arriviamo alla Chiesa di Santa Chiara inizialmente intitolata a Santa Margherita, che si affaccia su una piazzetta quadrangolare, cinta da un cancello in ferro. La Chiesa, con l’adiacente convento, sono stati fondati tra la fine del tredicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo per accogliere una comunità di monache clarisse, che continueranno ad abitare il convento sino alla fine del diciannovesimo secolo. L’attuale Chiesa, in stile barocco, risale alla fine del diciassettesimo secolo. Il complesso viene gravemente danneggiato dai bombardamenti del 1943, rendendo necessario l’abbattimento del convento, del quale oggi non rimangono che pochi ruderi, e parte dell’area del convento, dal 1957, è stata destinata al vicino mercato rionale di Santa Chiara, ancora in attività. Dalla piazzetta si accede, oltre che alla Chiesa, anche all’area dei ruderi del monastero, dove è stato collocato un ascensore, che consente di salire alla via Cammino Nuovo evitando la lunga gradinata delle scalette Santa Chiara, progettate da Gaetano Cima nel 1858 per unire questa zona di Stampace al quartiere Castello. Vicino all’ascensore si trova il campanile a vela della Chiesa, che dipende dalla parrocchia di Sant’Anna di Stampace. La Chiesa parrocchiale Collegiata di Sant’Anna di StampaceDa piazza Yenne prendiamo verso nord ovest la via Domenico Alberto Azuni e troviamo subito, dopo appena una cinquantina di metri, sulla destra della strada, la Chiesa Collegiata di Sant’Anna di Stampace, edificata in stile tardo barocco piemontese a partire dal 1785, ed aperta al pubblico nel 1818, dopo trentatreanni di lavori per le molteplici difficoltà sorte soprattutto per la mancanza di fondi. È stata edificata nel punto in cui originariamente sorgeva un piccolo tempio di epoca pisana, che è stato demolito per cedere il posto alla costruzione della nuova struttura. L’imponente struttura è preceduta da un’ampia scalinata e presenta una facciata in stile barocchetto piemontese e due alti campanili dietro i quali si ergono tre cupole di varie dimensioni. All’interno vi è un’unica navata molto vasta e luminosa, quasi ovale nel mezzo della quale si innalza una cupola ottagonale, che forma poi la crociera. La navata è circondata da quattro cappelle laterali, un bellissimo altare in marmo policromo e l’altare maggiore che ospita una statua in marmo di Sant Anna. L’edificio viene gravemente danneggiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, per poi essere ricostruito e reso fruibile ai fedeli. Dalla parrocchia di Sant’Anna di Stampace, che ha sede nella Chiesa parrocchiale Collegiata di Sant’Anna, dipedono diverse Chiese del centro storico di Cagliari: Chiesa di Sant’Efisio in via Sant’Efisio, la Chiesa di Santa restituta in via Sant’Efisio, la Chiesa di San Michele in via Ospedale, la Chiesa di Sant’Antonio da Padova in viale frà Ignazio da Laconi, la Cappella dell’Istituto Salesiano in viale frà Ignazio da Laconi, la Chiesa di Santa Chiara sulle scalette di Santa Chiara, la Chiesa ed Oratorio di San Giuseppe in via Santa Margherita. Le cerimonie della Settimana Santa che coinvolgono la Chiesa di Sant’AnnaImponenti sono, a Cagliari, i Riti della Settimana Santa, che coinvolgono fedeli e turisti. La Domenica di Pasqua si svolge il rito de S’Incontru, ossia il ricongiungimento delle due processioni con i simulacri del Cristo Risorto e della Madonna, che, provenedo da direzioni opposte, si ritrovano uno di fronte all’altro, ed i simulacri si salutano con un triplice inchino tra gli applausi della folla, e quindi, affiancati, fanno rientro nella Chiesa dove viene celebrata la messa solenne. La suggestiva cerimonia viene celebrata a cura delle tre parrocchie storiche di Villanova, Stampace e Marina. Quella che si svolge nella parrocchia di Sant’Anna a Stampace vede la statua della Madonna, trasportata dalla Congregazione degli Artieri, uscire dalla Chiesa di Sant’Anna velata di nero, mentre contemporaneamente quella di Cristo lascia la Chiesa di Sant’Efisio in spalla ai Confratelli del Gonfalone. L’incontro avviene nel corso Vittorio Emanuele all’altezza del punto in cui, un tempo, sorgeva la Chiesa di San Francesco, antico Teatro di tutte le cerimonie della Settimana Santa del quartiere di Stampace. Qui la Madonna smette il velo nero e cinge una corona imperiale d’argento, in segno di giubilo. Fatte le solite riverenze e posti fianco a fianco, i due simulacri marciano, quindi, verso la parrocchiale di Sant’Anna. La Chiesa di Santa restitutaLa strada che fiancheggia sulla sinistra la Chiesa di Sant’Anna è la via Sant’Efisio. Dalla via Domenico Alberto Azuni, prendiamo a sinistra la via Sant’Efisio e, dopo una quarantina di metri, troviamo alla sinistra della strada la piazza Santa restituta, una stretta piazza rettangolare che si sviluppa tra la via Sant’Efisio e la via Santa restituta, che è parallela alla via Sant’Efisio. Sulla piazza Santa restituta, alla destra, si affaccia la Chiesa dedicata a Santa restituta. La Chiesa è stata costruita nel diciassettesimo secolo grazie al lascito di Salvatore Mostallino, protomedico del Regno di Sardegna, sopra un vasto ambiente ipogeico, che oggi ne costituisce la Cripta. La facciata si presenta con terminale a doppio inflesso, detto a cappello di carabiniere, tipico di molte Chiese barocche, ed il portale è sormontato da un timpano curvo spezzato. L’interno si presenta a navata unica, voltata a botte, con tre cappelle per lato e presbiterio rialzato. La Chiesa dipende dalla parrocchia di Sant’Anna di Stampace. La Cripta di Santa restituta definita il suo SantuarioLungo la via Sant’Efisio, poco prima di arrivare alla piazza Santa restituta, alla sinistra al civico numero 8, si trova il portone che permette di accedere alla Cripta di Santa restituta. Viene definita il Santuario di Santa restituta, luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa per l’avvenuto rinvenimento al suo interno delle reliquie della Santa. Si tratta di una grotta utilizzata come luogo sacro già in epoca preistorica, con testimonianze tardo puniche del terzo secolo avanti Cristo, romane, paleocristiane, bizantine, basso medioevali e barocche. La Cripta è stata, dai primi secoli del cristianesimo, una Chiesa rupestre, e la tradizione popolare identifica nella Cripta il luogo di prigionia e martirio di Santa restituta, madre di Sant’Eusebio, Vescovo di Vercelli, martirizzata sotto Diocleziano. Il suo culto sarebbe nato in Africa, e le sue reliquie sarebbero state portate nell’isola nel quinto secolo e raccolte in un vaso di terracotta, per essere rinvenute nel 1614 nella Cripta, dove ora sono conservate. Nella Cripta di Santa restituta, visitabile, si possono ammirare una statua raffigurante la Santa, databile intorno al quinto secolo, tracce di un affresco medievale raffigurante San Giovanni Battista, e alcuni altari scavati nella roccia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Cripta di Santa restituta è stata utilizzata come rifugio antiaereo. La Chiesa di Sant’EfisioDalla via Domenico Alberto Azuni, prea a sinistra la via Sant’Efisio e passata la piazza Santa restituta, proseguendo per poco meno di un centinaio di metri lungo la via Sant’Efisio, si costeggia il fianco sinistro della Chiesa di Sant’Efisio e si arriva alla piazza Sant’Efisio, che si trova alla sinistra della strada. Nella piazza, sulla sinistra si vede la facciata della Chiesa di Sant’Efisio, mentre a destra rispetto alla facciata della Chiesa si affaccia il palazzo che ospita la sede dell’Arciconfraternita di Sant’Efisio, chiamata dopo l’aggregazione con quella romana del Gonfalone della Santissima Vergine del Riscatto anche Arciconfraternita del Gonfalone della Santissima Vergine del Riscatto sotto l’invocazione di Sant’Efisio Martire. Nel palazzo che ospita l’Arciconfraternita viene conservato il tesoro del Santo, costituito dai numerosi ex-Voto lasciati dai fedeli. La Chiesa Sant’Efisio ha origini antichissime, è infatti già presente in documenti del 1263, ed è stata realizzata sopra la grotta dove fu incarcerato il Santo guerriero. La Chiesa attuale è stata costruita nel 1780 in stile barocco piemontese, ed è stata riedificata sopra una costruzione del 1538 quando è stata affidata all’appena nata Arciconfraternita di Sant’Efisio, a sua volta edificata su una precedente Chiesa duecentesca. Oggi la Chiesa di Sant’Efisio dipende dalla parrocchia di Sant’Anna di Stampace. È dotata di una facciata modesta, caratterizzata da tre ordini di lesene in stile ionico, con al centro il portone ligneo, inquadrato da una cornice e sormontato da un timpano curvilineo, cui corrisponde, nell’ordine superiore, la finestra della cantoria. Il terminale della facciata A cappello di carabiniere è un elemento presente in diverse Chiese della Sardegna a partire dal cinquecento, in questo caso arricchito da volute e altre decorazioni tipiche dello stile piemontese del settecento. Il campanile, con sezione quadrata, risale alla ristrutturazione cinquecentesca dell’edificio. L’interno è a navata unica, voltata a botte, scandita da paraste e trabeazioni di gusto classico. Sui lati si aprono tre cappelle per parte. L’ampio presbiterio si innalza di qualche gradino rispetto al pavimento dell’aula, coperto da una cupola ottagonale su tamburo, ed è chiuso da una balaustra marmorea. Sulla parete di fondo si innalza l’imponente altare maggiore, in marmi policromi, dove, in una nicchia entro un reliquiario ligneo, sono conservate le reliquie del martire Efisio. All’interno dell’edificio sacro sono conservati tre simulacri del Santo protettore della città. La più antica, cinquecentesca, è chiamata Sant’Efis Sbagliau, ossia Sant’Efisio sbagliato, in quanto porta la palma del martirio nella mano destra anziche nella sinistra. La seconda, posta nella seconda Cappella a destra ossia nella Cappella di Sant’Efisio, è la statua seicentesca del Santo che ogni anno viene portata in processione da Cagliari a Nora, lungo il percorso del martirio. La terza statua, settecentesca e attribuita a Giuseppe Antonio Lonis, viene custodita nella nicchia presente in Sa Coccera, la stanza in cui è conservato tutto l’anno il cocchio dorato che accompagnerà il simulacro del Santo nel suo lungo pellegrinaggio fino alla spiaggia di Nora dove è stato martirizzato. La statua di Sant’Efisio ogni anno viene portata in processione nella più significativa manifestazione religiosa di tutta la Sardegna, la Festa di Sant’Efisio che abbiamo descritto nella pagina precedente, istituita dopo un’epidemia di peste che aveva colpito la città tra il 1652 ed il 1655 ed in poco tempo aveva ucciso più di 10mila persone, e che, secondo la tradizione, per intercessione del Santo, sarebbe cessata come per miracolo. Da allora, nel 1657, la città organizza la Sagra che si svolge dal primo al 4 maggio, in onore del suo Santo protettore. La Cripta chiamata il Carcere di Sant’Efisio e definita il suo SantuarioLungo la fiancata sinistra della Chiesa, al cui Civico numeo 34 della via Sant’Efisio, si trova il portone che permette di accedere alla Cripta detta anche il Carcere di Sant’Efisio, un ipogeo scavato in profondità nella roccia calcarea. Viene definita il Santuario di Sant’Efisio, luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa dato che, secondo la tradizione, sarebbe il carcere dove il Santo guerriero sarebbe stato torturato prima di essere decapitato a Nora il 15 gennaio del 286 o del 303. L’ipogeo è situato a nove metri sotto il livello stradale, e vi si accede mediante una ripida scalinata. L’ambiente sotterraneo ha pianta quadrangolare, di dimensioni irregolari, il soffitto è retto al centro da due pilastri. All’interno si trova una colonna di marmo, chiamata la Colonna del martirio di Efisio, su cui è ancora presente l’anello in metallo in cui veniva agganciata la catena che lo imprigionava. In epoca moderna, l’ipogeo è stato utilizzato dai Cagliaritani come rifugio per sfuggire ai bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1616 nella Cripta è stata rinvenuta una sepoltura scavata nel pavimento di terra battuta, con uno scheletro che i confratelli attribuirono al martire Edizio, soldato al seguito di Sant’Efisio, identificazione confermata dal rinvenimento di un’iscrizionesu una lastrina marmorea che recitava B.M. EDITIUS, ossia Bonae Memoriae Editius. Ma è realmente esistito Sant’Efisio? Efisio, Efis come viene chiamato in lingua sarda, viene considerato il principale e più venerato Martire sardo ed il Santo protettore della Sardegna. La sua vicenda non è comunque storicamente accertata. Di lui parla un codice vaticano latino del dodicesimo secolo, che ne racconta la nascita a Gerusalemme, chiamata allora Elia Capitolina, una città nei pressi di Antiochia in Asia minore. Morto il padre, viene condotto dalla madre da Diocleziano che, colpito dalle sue doti, gli concede onori e ricchezze ed affida il comando di una spedizione in Italia per reprimere le comunità cristiane. Ma, lungo il Viaggio, ad Efisio appare tra le nubi una croce lucente ed una voce lo chiama ad accettare la verità cristiana. Sconfitti i Saraceni, sbarca in Sardegna presso Arborea, reprime la Barbarica quaedam gens ed assoggetta l’isola. A Cagliari inizia un’opera di proselitismo e finisce per confessare l’avvenuta conversione alla madre ed a Diocleziano, che invia nell’isola il suo ufficiale Iulciò con l’incarico di assumere il governo dell’isola e di riportare Efisio alla fede dei padri. Al rifiuto di Efisio di abiurare la fede cristiana, Iulciò lo sottopone a tortura, scatenando le ire divine. Il tempio di Apollo, nel quale Efisio è imprigionato, crolla con tutti i suoi idoli, e Iulciò cade vittima di una febbre che lo costringe a lasciare l’isola. Il suo sostituto Flaviano, vista inutile il tentativo di farlo abiurare, lo fa decapitare, il 15 gennaio 303, Apud Caralitanorum civitatem in loco qui dicitur Nuras, ossia non lontano da Cagliari in un luogo chiamato Nora. Sul luogo dell’esecuzione viene edificata una Cappella con una Cripta, dove Efisio viene sepolto, ed a Cagliari viene edificata la Chiesa sotto la quale si trova la cella dove è stato segregato. Il corpo di Sant’Efisio viene traslato a Pisa nel 1088, e nel 1886 alcune sue reliquie ossee vengono restituite a Cagliari. |
L’Arciconfraternita di Sant’Efisio Martire e le cerimonie della Settimana SantaLa Confraternita di Sant’Efisio, con l’impegno dei confratelli e delle consorelle nella custodia e promozione del culto del Santo protettore, è un antico sodalizio che ha sempre avuto sede nella Chiesa di Sant’Efisio a Stampace, nella quale nel 1538 è stata eretta canonicamente da papa Paolo III. In seguito la Confraternita di Sant’Efisio viene aggregata a quella romana del Gonfalone della Santissima Vergine del Riscatto, e nel 1621 elevata a Confraternita del Gonfalone della Santissima Vergine del Riscatto sotto l’invocazione di Sant’Efisio Martire. Nel 1796 viene elevata con bolla papale del pontefice Pio VI al rango di Arciconfraternita, con facoltà di aggregare altre confraternite devote a Sant’Efisio. Nei secoli passati ha beneficiato dell’adesione di personaggi illustri, tra cui i sovrani sabaudi Carlo Emanuele IV, Vittorio Emanuele I, Carlo Felice e le rispettive consorti. A Cagliari il 15 gennaio si svolge la Processione del martirio di Sant’Efisio, detto anche Passio Sancti Ephisi, che viene organizzata proprio nella data in cui, secondo la tradizione, il Santo Guerriero patrono della Sardegna venne martirizzato a Nora nel 303 dopo Cristo Successivamente, il lunedì di Pasqua, si svolge la Processione di Sant’Efisio, quando, per sciogliere un antico voto, la statua del Santo viene portata in processione in cattedrale, per poi ridiscendere alla piccola Chiesa di Stampace, in una scampagnata attraverso gli scenari di una Cagliari spopolata dall’esodo di Pasquetta, un evento di forte suggestione emotiva e di genuina devozione popolare. Ma la commemorazione più significativa si tiene l’1 maggio di ogni anno, dal lontano 1657, ed è la Festa di Sant’Efisio, che abbiamo già descritta, con la quale Cagliari gli rende omaggio nella Festa religiosa più imponente e amata della Sardegna, con il simulacro del Santo che viene portato in processione da Cagliari a Nora, dove è avvenuto il suo martirio, in ringraziamento al Santo che, invocato oltre tre secoli fa, ha liberato la città da una terribile pestilenza. Imponenti sono, a Cagliari, i Riti della Settimana Santa, che coinvolgono fedeli e turisti. Il pomeriggio del Mercoledì Santo, l’Arciconfraternita effettua la Vestizione a lutto della Madonna Addolorata nella Chiesa di Sant’Efisio a Stampace. Le consorelle estraggono dalla sua nicchia la statua della Madonna Addolorata, che indossa sempre vesti nere le quali, impolverandosi ogni anno, vengono cerimoniosamente mutate, ed un’ampia raggiera semicircolare in argento viene posta ad ornamento del capo. contemporaneamente, i confratelli collocano nella lettiga processionale un grande simulacro del Cristo Morto, e a vestire a lutto la celebre statua di Sant’Efisio scolpita da Giuseppe Antonio Lonis, al quale viene fatto indossare un mantello di seta nera, mentre sull’elmo il solito vaporoso cimiero di piume a vivaci colori viene sostituito con un altro, a sua volta nero. Il Giovedì Santo, in serata, al lume delle fiaccole, si svolge la Processione delle Sette Chiese, nella quale il simulacro di Sant’Efisio, listato a lutto, col pennacchio nero, viene portato in processione dalla Chiesa di Sant’Efisio nelle Chiese di Sant’Antonio, delle Monache Cappuccine, San Giovanni, Oratorio dell’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso, Santa Rosalia, Sant’Anna, per fare poi ritorno a Sant’Efisio. Il cerimoniale prevede che la statua del Martire venga introdotta in ciascuna Chiesa e posta in adorazione, mentre i fedeli ascoltano una breve omelia proposta dal sacerdote accompagnatore. Le celebrazioni più suggestive e commovente si svolgono il Venerdì Santo, con la rappresentazione del funerale di Cristo. In città si svolgono tre processioni, una delle quali parte dalla Chiesa di Sant’Efisio in serata, al lume delle fiaccole, portando a spalla la lettiga di legno laccato e dorato in cui giace il grande Crocifisso a braccia snodabili, parzialmente rivestito dei lini funebri. Segue l’Addolorata, accompagnata anche in questo caso di due bambini che simboleggiano San Giovanni e Maria Maddalena. Il corteo, in un suggestivo e commovente gioco di luci, percorre le principali vie del quartiere prolungandosi fino a notte inoltrata, per fare poi ritorno alla Chiesa di Sant’Efisio. Il Lunedì dell’Angelo si svolge la processione votiva dedicata a Sant’Efisio per lo scioglimento del voto a questo Santo, come anticipazione della Festa di maggio in onore del Martire patrono della Sardegna. Il corteo accompagna, dalla Chiesa di Sant’Efisio fino alla cattedrale, la statua del Santo, scolpita da Giuseppe Antonio Lonis, vestito con un manto rosso e l’elmo decorato da piume di struzzo, per poi tornare nella sua Chiesa. Secondo la tradizione il Santo viene portato in processione in ricordo della sua intercessione, nel 1793, quando le navi francesi che attaccavano Cagliari vennero portate via da un vento impetuoso. La Chiesa di San MicheleRitornati alla Chiesa di Sant’Anna, riprendiamo la via Domenico Alberto Azuni, la percorriamo fino in fondo e, dopo circa centotrenta metri, la strada ci porta di fronte alla grande Chiesa di San Michele. La grande Chiesa Di San Michele viene officiata ancora oggi dai Gesuiti. L’edificio sacro, per le sue linee architettoniche, per l’apparato decorativo e per le opere scultoree e pittoriche che custodisce, rappresenta la principale testimonianza di arte barocca, in stile rococò, presente in città. La Compagnia di Gesù, presente in Sardegna dal 1559, arriva a Cagliari nel 1564. Nello stesso anno i Gesuiti fondano un collegio presso la Chiesa della Santa Croce, nel quartiere Castello, mentre all’anno 1584 risale la fondazione della casa del Noviziato, nel quartiere Stampace, sul luogo dove sorgeva un Oratorio dedicato a Sant’Egidio e a San Michele Arcangelo. La costruzione della Chiesa della casa del Noviziato, edificata grazie al lascito testamentario dell’avvocato Francesco Angelo Dessì, inizia dopo la morte del benefattore nell’anno 1674, e viene probabilmente completata nell’anno 1712, quando nel presbiterio viene eretto il mausoleo di Francesco Angelo Dessì. La nuova Chiesa, che viene dedicata a San Michele Arcangelo, viene consacrata nel 1738, come riportato nella lapide a destra del portale. Ha un bel portico nella parte inferiore della facciata, ed è notevole all’interno il pulpito cinquecentesco, che si trovava nella Chiesa San Francesco in Stampace prima della sua demolizione. La Chiesa dipende dalla parrocchia di Sant’Anna di Stampace. Dall’ultima Cappella a sinistra si accede alla Sagrestia nella quale si trovano molti interessanti dipinti del seicento e del settecento, oltre ad arredi marmorei e lignei. Nella sagrestia della Chiesa vengono conservati i sette simulacri lignei popolarmente chiamati Sacri Misteri, Che rappresentano episodi della passione di Cristo, cinque dei quali scolpiti nel 1750 circa dall’artista sardo Giuseppe Antonio Lonis, dei quali sei rappresentano la Preghiera nell’orto dei Getsemani, la Cattura, la Flagellazione, l’Ecce Homo ossia la Coronazione di spine, la Salita al Calvario, la Crocifissione, mentre la settima rappresenta la Madonna Addolorata. La Congregazione Mariana degli Artieri di San Michele e le cerimonie della Settimana SantaNella Chiesa di San Michele ha sede la Congregazione Mariana degli Artieri di San Michele sotto l’invocazione di Maria Bambina ossia Degli Artisti, fondata dai padri Gesuiti nell’anno 1586, che aveva sede nella Chiesa della Santa Croce nel quartiere di Castello, in seguito alla soppressione dell’ordine dei Gesuiti, nel 1773, si trasferisce nella Chiesa della Speranza sotto la direzione dei Minori Osservanti, dopo breve tempo passa ai padri Domenicani della Chiesa di San Domenico, per stabilirsi infine in questa Chiesa nel 1795. Imponenti sono, a Cagliari, i Riti della Settimana Santa, che coinvolgono fedeli e turisti. Il Martedì Santo, partendo dalla Chiesa di San Michele, si svolge la Processione dei Misteri di Stampace, organizzata della Congregazione Mariana degli Artieri di San Michele dal 1670, e che è stata ripristinata nel 2005, dopo che non si era svolta dal 1969. Il corteo prende avvio nel pomeriggio, quando i sette simulacri vengono portati in spalla ed al loro trasporto lungo le vie cittadine collaborano le arciconfraternite del Gonfalone, della Solitudine e del Santo Cristo, cui fanno capo anche le masse corali di accompagno. Con alla testa i tamburini, la Croce dei misteri o Degli attrezzi e gli elementi del coro, la processione tocca le sette Chiese di Sant’Anna, della Vergine della Pietà, nella cattedrale, San Giacomo, Sant’Agostino, Sant’Efisio, per tornare, infine, a San Michele, che simboleggiano le sette stazioni della via Crucis, intonando un canto corale a quattro voci tramandato oralmente. In questa processione, in ciascuna Chiesa entra uno dei sei simulacri di Gesù, seguiti da un penitente che impersona il Cireneo trasportando a spalla una grande croce nuda di legno nero, insieme all’Addolorata, che è preceduta nella processione dal corteo delle consorelle del Santo Cristo che inalberano la loro particolare croce di penitenza, e si svolge una breve predica. L’Ospedale Civile San Giovanni di Dio con la Chiesa parrocchiale omonimaalla destra della Chiesa di San Michele, parte la via Ospedale. La seguiamo per duecentocinquanta metri, e troviamo alla sinistra della strada l’Ospedale Civile San Giovanni di Dio. Il progetto dell’Ospedale viene commissionato dalle autorità cittadine all’architetto Gaetano Cima, che lo elabora nel 1842, alla posa della prima pietra si procede nel 1844, e l’edificio, seppure non ancora definitivamente completato, comincia a funzionare nel 1848. È il presidio più antico della città di Cagliari, infatti, costituisce un patrimonio della città non solo per il ruolo che da più di un secolo svolge nel garantire l’assistenza ai cittadini, ma anche per il suo radicamento nella comunità e nel tessuto urbano. Dotato di 360 posti letto, più 50 in regime di day hospital, è il presidio attualmente più grande dell’Azienda Ospedaliero Universitaria. All’Ospedale è annessa una Cappella chiamata con il nome di Chiesa di San Giovanni di Dio. In essa è conservato un quadro che rappresenta la Vergine della Salute. La Chiesa, nel 1944, è stata eretta a parrocchia, con il nome di parrocchia di San Giovanni di Dio. La parrochia ha la sua sede proprio nella Cappella dell’Ospedale Civile San Giovanni di Dio. L’Ospedale Militare nell’ex casa del Noviziato dell’ex convento di San Michelealla sinistra della Chiesa di San Michele, passati sotto un arco, arriviamo in via Sant’Ignazio da Laconi, dove si trova l’ex casa del Noviziato dei Gesuiti, che oggi ospita l’Ospedale Militare. La facciata del complesso monumentale appartiene alla ex casa del Noviziato, non alla Chiesa che è stata edificata in epoca posteriore, e costituisce l’ingresso dell’Ospedale Militare ex convento di San Michele che vi ha sede fino dalla metà dell’ottocento. alla sinistra della Chiesa di San Michele, passati sotto l’arco, abbiamo trovato la via Sant’Ignazio da Laconi, la quale sale verso il colle del Buoncammino. La seguiamo per poco meno di duecento metri, e troviamo alla sinistra della strada la via Palabanda. Il portico dei Patrioti sardi dedicato ai martiri di PalabandaPresa la via Palabanda, in centocinquanta metri arriviamo al Portico dei Patrioti sardi dedicato ai martiri di Palabanda, al quale si poteva arrivare anche da piazza Yenne, seguendo per quattrocentocinquanta metri la corso Vittorio Emanuele II, in direzione nord ovest. Il portico ricorda con una lapide gli eventi del 1812, anno ancora oggi ricordato come Su Famini de S’Annu Doxi, ossia la fame dell’anno dodici, quando Cagliari e la Sardegna sono colpiti da una grande siccità, che provoca una carestia con una epidemia di vaiolo. Nel capoluogo si trova in esilio dal Piemonte occupato dai Francesi il re Vittorio Emanuele I, e sui Sardi si abbattono nuove tasse per le spese della corte. Il popolo esasperato decide di ribellarsi, i congiurati si riuniscono in un podere di proprietà dell’avvocato Salvatore Cadeddu segretario dell’Università, situato nella località di Palabanda, nella zona in cui oggi sorge l’Orto Botanico, e danno inizio all’insurrezione chiamata la Congiura di Palabanda fissata per il 30 ottobre. Quseta congiura prevede l’assalto alla caserma della real Marina, per entrare in Castello occupando i luoghi più strategici, arrestare Giacomo Pes di Villamarina, comandante militare della città, ed espellere i cortigiani e i funzionari pubblici proteggendo il re e la sua famiglia. Ma la notizia della cospirazione arriva al re, ed il colonnello allerta i militari che arrestano quasi tutti i congiurati. Una lapide commemorativa della congiura è conservata nella piazzetta centrale dell’Orto Botanico, e ricorda che dei congiurati Raimondo Sorgia e Giovanni Putzolo vengono arrestati e impiccati; Gaetano Cadeddu, Giuseppe Zedda, Francesco Garau e Ignazio Fanni, Giudicati in contumacia, subiscono la stessa condanna; a Giovanni Cardeddu e ad Antonio Massa viene comminato l’ergastolo; Giacomo Floris e Pasquale Fanni vengono condannati al remo a vita; gli altri congiurati vengono banditi dall’isola o esiliati all’interno; ed infine Salvatore Cadeddu, catturato nell’Iglesiente, viene impiccato il 2 settembre 1813 nella vicina Piazza d’Armi. A ricordo di questi fatti, è stata proposta nel 2021 una mozione per l’installazione di pannelli esplicativi, almeno in tre lingue, sardo, italiano ed inglese, in armonia con i caratteri storico-Culturali e urbanistici presenti nel corso Vittorio Emanuele II, affinché venga illustrata la storia dell’Arco o Porta di Palabanda e dell’omonima congiura, citando essenzialmente cosa accadde, effettivamente, in quel contesto sconosciuto ai più. |
L’Orto Botanico dell’UniversitàTornati sulla via Sant’Ignazio da Laconi, proseguiamo per una cinquantina di metri, e troviamo, alla destra, l’ingresso dell’Orto Botanico dell’Università un grande giardino all’aperto nel quale sono raccolte oltre 3.000 specie vegetali sia autoctone che importate dai paesi più diversi, alcune rare anche nelle località di origine. Sorto nel 1851 su iniziativa del professore di storia naturale Giovanni Meloni Baille ed inaugurato nel 1866, l’Orto Botanico si sviluppa in un’area di cinque ettari situata al centro dell’antica città romana, compresa fra l’Anfiteatro romano e la villa di Tigellio, che visiteremo tra breve. Al suo interno sono presenti Cisterne puniche e resti Romani tra i quali un pozzo che ha garantito fin da subito una facile irrigazione. La villa di TigellioQuasi di fronte all’ingresso dell’Orto Botanico, un’ottantina di metri più avanti, sulla sinistra della via Sant’Ignazio da Laconi parte via Tigellio, che si sviluppa verso sud est in direzione dell’antica necropoli punica occidentale, e che ci porta alle Rovine della villa di Tigellio un’area signorile romana di epoca imperiale. È un complesso di tre abitazioni che dovevano far parte di un unico quartiere. I resti più interessanti appartengono alla Casa del Tablino, così chiamata per gli affreschi che ornavano le pareti del tablino, ossia della sala adibita ai ricevimenti, ed alla Casa degli Stucchi, che deve il suo nome alle decorazioni che la abbellivano. Si vedono anche pochi resti di una terza abitazione. La tradizione porta a ritenere che una delle ville sia appartenuta al musico, poeta e cantante sardo Tigellio, protetto da Cesare ma fortemente osteggiato, per la sua origine sarda, da Cicerone e da Orazio. È detto Cicerone odiasse la Sardegna, che bollava come Mala Insulla, e nella difesa del governatore corrotto Scauro, trasformò il processo in un’accusa ai sardi, la lui chiamati Latrones Mastuccatos, ladroni vestiti con la mastrucca, l’indumento di pelle che i pastori sardi hanno usato fino a pochi anni fa. Tigellio però gli rispondeva con le sue liriche e non mancava di deriderlo ad ogni occasione, ottenendo in cambio pessime citazioni da Cicerone in alcune sue lettere. Ed anche il poeta Orazio lo descrisse come avvezzo ai lussi e alla vita sfarzosa e sfrenata, dando voce alle maldicenze del tempo secondo le quali la gente era disposta a spendere due sesterzi per sentirlo cantare e tre perché stesse zitto. L’Anfiteatro romanoDopo aver visitato la villa di Tigellio, torniamo sulla via Sant’Ignazio da Laconi, che riprendiamo a percorrere e sale verso la collina. Percorsi circa trecentocinquanta metri, troviamo alla destra della strada l’ingresso, attraverso il quale si accede all’Anfiteatro romano. L’Anfiteatro romano di Cagliari è il più imponente monumento romano in Sardegna, edificato tra il I e secondo secolo dopo Cristo, era per metà scavato nella roccia e per metà costruito in blocchi di calcare bianco locale, con una monumentale facciata che raggiungeva i 20 metri d’altezza. In grado di contenere più di diecimila spettatori, nel quale sono ancora oggi visibili la cavea, la fossa per le belve, i sottopassaggi sotterranei e le imponenti gradinate. Gli spettacoli che vi si svolgevano erano combattimenti di gladiatori, lotte tra belve o tra uomini e belve, esecuzioni di sentenze capitali. Lungo l’arena era scavato il corridoio dove trovavano posto le gabbie per gli animali, mentre al di sotto delle gradinate erano ricavati numerosi corridoi e ambienti di servizio. Tutto il monumento era rivestito di materiali pregiati, come mostra la grande quantità di sottili lastrine di marmo rinvenute negli scavi ottocenteschi ad opera di Giovanni Spano. Anche oggi, restaurato e riportato alla sua funzione originale, accoglie in un ambiente suggestivo numerosi spettacoli e manifestazioni. La Chiesa dei Cappuccini intitolata a Sant’Antonio da Padova con il Santuario di Sant’Ignazio da LaconiDi fronte all’ingresso dell’Anfiteatro romano, percorsa una sessantina di metri, troviamo alla sinistra della strada la Chiesa dei Frati Cappuccini. La Chiesa è stata costruita nel 1591, dopo l’arrivo dei Frati Francescani in Sardegna, sopra un probabile edificio paleocristiano, e ritoccata più volte nel secolo scorso. Intitolata a Sant’Antonio da Padova, la Cappella della navata di sinistra è dedicata a Sant Ignazio da Laconi, edificata in onore di questo Santo nel ventesimo secolo. La Chiesa di Sant’Antonio da Padova dipende dalla parrocchia di Sant’Anna di Stampace. E proprio all’interno di questa Chiesa, si trova il Santuario di Sant’Ignazio da Laconi più conosciuto in tutta l’isola come frà Ignazio, luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa dato che, proprio sull’altare della sua cappella, in un urna custodita e sorvegliata da angeli di marmo, si trovano le reliquie di frà Ignazio, santificato pochi anni or sono da papa Giovanni Paolo II. Il Santuario di Sant Ignazio da Laconi di Cagliari è affidato all’ordine francescano dei frati Cappuccini. Il Santuario è stato dedicato a questo Santo a motivo della sua presenza e della sua permanenza proprio in suddetto luogo. Sant’Ignazio da Laconi è assai venerato, e ogni anno un gran numero di fedeli assiste ai riti religiosi che vengono celebrati in questa Chiesa in sua commemorazione. Accanto alla Chiesa si trova il convento dei Frati Cappuccini che dopo aver fondato, sulla collina ad ovest dell’anfiteatro,su un antico sito pagano sul colle di Buoncammino, il loro primo convento sardo, lo avevano dotato di un vasto terreno adibito ad orto, che si trova sul suo retro. All’interno del convento è possibile inoltre vedere la cella dove alloggiò Ignazio nel periodo in cui predicò a Cagliari. Sotto il convento ci sono le famose grotte puniche trasformate dai Romani in cave di pietra per costruire l’anfiteatro, al quale esse sono collegate da un cunicolo sotterraneo. recenti ritrovamenti hanno messo in luce un graffito importante per la presenza di martiri Cristiani nelle grotte e per la datazione dell’evangelizzazione della Sardegna. Nel secolo diciassettesimo i Frati Cappuccini avevano adibito il convento a Ospedale, e seppellivano nelle grotte le vittime della peste. La Chiesa di San LorenzoPassata la Chiesa di Cappuccini, la strada arriva a un bivio, dritta si sviluppa la via Aurelio Nicolodi, mentre verso destra la via frà Nicolò da Gesturi. Prendiamo quest'ultima, che curva verso destra passando sul retro dell’Anfiteatro romano, dopo poco più di duecento metri la strada sbocca sulla via dell’Anfiteatro, che prendiamo verso sinistra, dopo una cinquantina di metri questa via sbocca sul viale del Buoncammino, in corrispondenza di uno slargo al centro del quale si trova un parcheggio. Dall’altro lato della strada, parte verso nord la via dei Santi Lorenzo e Pancrazio, una strada in salita che, in centotrenta metri, porta nella piazza sulla quale si affaccia la Chiesa di San Lorenzo. Eretta dai monaci Vittorini di Marsiglia nel dodicesimo secolo, la Chiesa è intitolata anche a San Pancrazio e alla Madonna del Buon Cammino, dato che si chiamava, in origine, Chiesa di San Brancatius, ossia San Pancrazio, dando il nome all’omonima torre pisana, ed, in periodo aragonese e spagnolo, ha preso il nome di Chiesa della Madonna di Buon Cammino. Si trova sulla cima del colle di Buon Cammino ed è raggiungibile praticando una salita che, dal viale omonimo, conduce allo spiazzo panoramico dove prospetta la Chiesa, presenta un impianto con due navate absidate. La Chiesa dipende dalla Cattedrale di Santa Maria. Verso sinistra lungo il viale del Buoncammino si trova l’ex casa Circondariale di CagliariPreso il viale del Buoncammino verso sinistra, ossia in direzione nord ovest, si costeggia sulla destra l’edificio che ha ospitato fino al 2014 la Ex casa Circondariale di Buon Cammino. Quello di Buoncammino era uno dei carceri più vecchi d’Italia, è una bellissima struttura architettonica ed è ancora arredato. Ha dei sotterranei e dei documenti storici preziosissimi che verranno salvaguardati, catalogati e archiviati in locali idonei che verranno predisposti nella nuova Casa Circondariale Ettore Scalas di Uta. Attualmente la struttura è ancora nella disponibilità del Ministero di Grazia e Giustizia e al momento si pensa che alcuni uffici vengano utilizzati dal Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria. La ex caserma Carlo Alberto ed il palazzo che ospita la Prefettura di CagliariPreso il viale del Buoncammino, invece, verso destra, ossia in direzione sud est, si costeggia alla sinistra della strada l’edificio che ospita il complesso di alloggi che erano di pertinenza dell’Ex caserma Carlo Alberto che si trova alla sua sinistra, tra i quali è compresa anche la ex colombaia, costituita da grandi gabbie che ospitavano gli storici piccioni viaggiatori. Dietro alla struttura più grande vi sono altre sei palazzine più piccole rispetto alla principale, che sono occupate da personale militare. La caserma è stata anche sede alla Biblioteca militare di Presidio di Cagliari, fondata nel 1856, e, da oltre cinquantaanni, è stata dismessa dall’Esercito, ed ospita, oggi, un’agenzia del Demanio. Più avanti, sempre alla sinistra della strada, si trova il palazzo che ospita la Prefettura di Cagliari, ossia l’ex Tribunale Militare della città. Usciamo dal quartiera StampaceIl viale del Buoncammino ci porta ad uscire dal quartiere Stampace, e, presa sulla sinistra la via Ubaldo Badas, possiamo entrare nello storico quartiere fortificato denominato il quartiere Castello. Saliamo al quartiere CastelloEntriamo finalmente nel caratteristico vecchio centro storico, ossia nel quartiere Castello, il quale è stato edificato su un’altura ancora circondata dai notevoli bastioni pisani con le bellissime porte del tredicesimo secolo. Il quartiere Castello domina dall’alto la città di Cagliari. Con le mura superstiti, con le imponenti torri pisane di San Pancrazio e dell’Elefante, con i resti della Torre dell’Aquila un tempo chiamata Torre del Leone, con le strette viuzze e gli slarghi che raccontano i danni subiti nel corso delle guerre del ventesimo secolo, rappresenta il cuore vivo e la memoria storica della città. Entriamo nel quartiere Castello dalla porta Cristina e visiteremo la piazza Arsenale e la porta S’AvanzadaIl viale del Buoncammino prosegue verso sinistra in via Ubaldo Badas, che termina contro le mura del Castello, dove si trova la Porta Cristina che costituisce l’ingresso da ovest al quartiere Castello. La porta Cristina ci porta in Piazza dell’Arsenale una caratteristica piazzetta tutta chiusa, che attraverso la porta Cristina si affaccia sul viale del Buon Cammino, una ampia passeggiata a terrazza sulla parte nord occidentale della città, con una bella vista, e che ci conduce ai giardini pubblici, nei quali si trova la palazzina neoclassica che ospita Galleria Comunale d’Arte. alla sinistra della piazza si trova la monumentale porta dell’Arsenale, ingresso alla Cittadella dei Musei, di fronte la porta S’Avanzada, ed alla destra la porta San Pancrazio che conduce alla piazza Indipendenza, con la Torre di San Pancrazio. Nella piazza Arsenale, di fronte alla porta Cristina, si trova la Porta S’Avanzada passata la quale, sulla prosecuzione della via Ubaldo Badas, si può ammirare dall’alto, tra l’alto bastione del Beato Amedeo e gli altri bastioni pisani, il lato orientale della città, e la vista panoramica arriva verso oriente fino allo stagno di Molentargius che separa Cagliari da Quartu Sant’Elena. Gli stagni sono una delle caratteristiche che rendono Cagliari una città davvero unica. La porta Arsenale ci fa entrare nella Cittadella dei MuseiIn piazza Arsenale, alla sinistra provenendo dalla porta Cristina, si trova la Porta Arsenale passata la quale arriviamo nell’antica sede del regio Arsenale, dove si trova la Cittadella dei Musei che ospita i più importanti tesori artistici della città, riuniti nelle collezioni museali del Museo Archeologico Nazionale e della Pinacoteca nazionale, che attraverso bronzetti nuragici e retabli sardi e catalani del quattrocento ripercorrono la storia dell’Isola. Il complesso ospita altresì il Museo Civico d’Arte Siamese Stefano Cardu, ed il Museo delle Cere Anatomiche di Clemente Susini. All’ingresso della cittadella è esposto il Memorial dedicato a Giovanni Lilliu l’archeologo sardo di fama internazionale, ritenuto il massimo conoscitore della Civiltà nuragica, morto a Cagliari all’età di 97 anni il 19 febbraio 2012. La Pinacoteca nazionale ospita una collezione di antichi dipinti, formatasi a partire dall’ottocento. Le raccolte della Pinacoteca annoverano al pianterreno un importante nucleo di antichi dipinti della Sardegna, compresi fra il quindicesimo e il sedicesimo secolo e provenienti in gran parte dalla distrutta Chiesa cagliaritana di San Francesco di Stampace. Sono presenti opere del Maestro di Castelsardo e di Pietro Cavaro, i maggiori pittori operosi in Sardegna nella fase tardogotica e primorinascimentale. Nei piani inferiori si possono osservare dipinti del diciassettesimo e diciottesimo secolo, di pittori prevalentemente extraisolani. Nelle sale del Museo Civico d’Arte Siamese Stefano Cardu si trova esposta la più ampia collezione d’arte siamese in Europa, frutto delle ricerche del collezionista Stefano Cardu che, nel 1914, ha fatto dono al comune di Cagliari di una parte degli oggetti da lui acquistati durante la sua permanenza in Siam, attuale Thailandia, e in occasione dei suoi viaggi in tutta la penisola indocinese, in Cina, in Giappone e in India. Accanto a oggetti d’arte di tema religioso, sono esposti oggetti d’uso domestico preziosamente lavorati, monete rare e armi assai poco note. Nel Museo delle Cere Anatomiche di Clemente Susini il tema principale è rappresentato dagli aspetti anatomici del corpo umano che sono fedelmente riprodotti. La collezione consta di ventitre cere anatomiche policrome, attribuite dagli esperti alla piena maturità artistica di Clemente Susini, nato a Firenze nel 1754. Le cere sono state commissionate al Susini, tra il 1801 ed il 1805, dal vicere Carlo Felice, per il tramite del professore di anatomia Francesco Antonio Boi. Le sue opere sono Giudicate tra le più belle esistenti al mondo, dato che alla straordinaria perfezione del dettaglio anatomico, si associa una ricerca figurativa assente nelle precedenti opere dell’artista, ed evidente nel composto realismo con cui egli ha fissato nei volti l’immagine della morte. Ma soprattutto, grazie alla vastità e alla qualità delle sue raccolte, formatesi a partire dall’ottocento, il Museo Archeologico Nazionale offre la possibilità di compiere un completo excursus temporale attraverso la preistoria e la storia antica della Sardegna. La visita al Museo verrà descritta nei dettagli più avanti. Il Museo Archeologico Nazionale di CagliariNon posso fare a meno di consigliare, a chi sia rimasto colpito dai nostri racconti e voglia quindi meglio conoscere la Sardegna e la sua storia, una visita al Museo Archeologico Nazionale che raccoglie in una bella struttura, organizzata in modo da rendere facile ed agevole la ricerca, tutti i più significativi reperti provenienti da ogni parte dell’Isola. Attualmente il Museo è disposto su tre piani, dei quali al piano terra dell’edificio, si propone la successione storico culturale delle fasi che hanno interessato la Sardegna tra il Neolitico antico e l’alto Medioevo, attraverso un percorso di tipo cronologico. Il percorso cronologico muove dall’età prenuragica, con le culture del Neolitico e dell’Eneolitico e del Primo Bronzo. Del periodo nuragico è presente materiale proveniente dai principali siti dell’Isola. Sono presenti oggetti della Cultura di Arzachena, di quella di Macomer con la bella Venere di Macomer, e di Ozieri e Porto Ferro con le statuette a traforo. All’Età del Bronzo risalgono oggetti della cultura del monte Claro e di Bonnanaro. Una delle maggiori attrattive del Museo risiede nei gruppi scultorei della bronzistica di età nuragica, tra i quali spiccano quelli di Teti e Abini, e di Santa Vittoria di Serri. interessanti i molti bronzetti nuragici, che mostrano un ricco ventaglio di temi figurativi che investono l’organizzazione sociale pubblica e della vita quotidiana, ma anche l’ideologia del sacro, i rituali magici, le figure ieratiche dei re pastori, di donne di rango elevato, di uomini d’armi, di uomini e donne al lavoro. Essi creano e compongono una rappresentazione collettiva del popolo nuragico, di rara suggestione. Ai reperti relativi alla fase della colonizzazione fenicia lungo le coste si accompagnano quelli relativi alla conquista cartaginese prima, romana poi. Le sezioni fenicia e punica comprendono reperti provenienti da Nora con la famosa stele di Nora, Tharros, Bithia, Sulci. Del periodo romano sono presenti molta statuaria e mosaici provenienti da Cornus, Bithia e Villasimius. Sono presenti anche sarcofaghi, oggettistica in oro, gemme, gioielli, anfore, vasi. Numerosi poi gli oggetti rinvenuti a Cagliari e nei suoi dintorni. Ai piani superiori del Museo si è adottato invece un diverso criterio, un criterio topografico, che presenta i materiali in base al territorio in cui sono stati rinvenuti, con vetrine dedicate a siti archeologici specifici. Tra essi, sono importanti quelli del complesso nuragico su Nuraxi di Barumini, del tempio di Antas, delle città fenicie di Sulci e monte Sirai, dove è stata rinvenuta la famosa statua della dea Astarte. Una particolare sezione della mostra è stata dedicata alle statue dei Giganti di Mont ’e Prama, due delle quali sono esposte subito dopo l’ingresso al Museo, mentre le altre sono al terzo piano, al quale si può accedere, oltre che con le scale, anche con un ascensore panoramico. La porta San Pancrazio con la torre omonima ci porta in piazza IndipendenzaDalla piazza Arsenale, entrando dalla porta Cristina sulla destra, si trova il Palazzo delle Seziate, il cui nome proviene dalle sedute durante le quali i vicerè spagnoli ascoltavano le rimostranze e le suppliche dei detenuti nelle adiacenti carceri, ubicate presso la Torre di San Pancrazio. Il palazzo, disposto su due piani che poggiano su un alto basamento, al centro del quale si apre la porta di San Pancrazio o della Zecca, costituisce il passaggio tra la piazza Arsenale e la piazza Indipendenza. La Porta San Pancrazio passando sotto il portico delle Seziate, ci porta in Piazza Indipendenza. Passando sotto il portico delle Seziate, che è ospitato nel Palazzo delle Seziate troviamo alla sua destra il palazzo che ospitava l’Ex Museo Archeologico davanti al quale ferma il Trenino Cagliaritano, che parte dalla piazza del Carmine descriveremo nella prossima pagina, e che porta i turisti a visitare il quartiere Castello. alla sinistra del palazzo delle Seziate, si eleva la Torre di San Pancrazio edificata nel 1305, nel periodo dell’occupazione pisana, dell’architetto Giovanni Capula, una delle tre torri del quartiere Castello, che costituisce un importante esempio di architettura militare medioevale. Lungo il lato sinistro della piazza si trova il Conservatorio delle Figlie della Provvidenza che risale al 1831, e che ha preso il posto del seicentesco Collegio dei Nobili, e nel diciannovesimo secolo è stato la sede di un’istituzione caritatevole per orfane. La sua ampia facciata neoclassica domina il lato est di piazza Indipendenza. Di fronte al palazzo delle Seziate, sul lato sud della piazza, nell’area dove era il convento benedettino di Nostra Signora di Monserrat, sulle cui rovine è sorta la prima sede dell’Università e sono sorte poi le scuderie reali, si trova il Palazzo Sanjust noto anche come palazzo Giustiniani, che in passato ospitava al suo interno il Teatro Baccarini, e che oggi ospita una casa Massonica sede del Grande Oriente d’Italia a Cagliari. alla sua destra si trova il Palazzo Amat realizzato nel diciottesimo secolo, che era di proprietà della famiglia Masones, acquistato nel diciannovesimo secolo da parte del marchese Fancesco Amat, che ha effettuato i lavori di ammodernamento e ampliamento. Dalla piazza Indipendenza la via Pietro Martini ci porta alla Chiesa di Santa Lucia in Castello con l’adiacente conventoalla sinistra del palazzo Santjust si trova uno slargo chiamato piazzetta Mafalda di Savoia, sul lato sud della quale si trova il Palazzo Onnis Chapelle un palazzo storico che purtroppo versa in attivo stato di conservazione. alla sua destra si muove la via Nicolò Canelles, mentre alla sinistra parte la via Pietro Martini, la strada che dal lato nord di piazza Indipendenza conduce alla piazza palazzo. Nella facciata antistante la piazzetta Mafalda di Savoia sono presenti finestre di forma irregolare, mentre i prospetti del palazzo che si affacciano sulla via Nicolò Canelles e sulla via Pietro Martini si sviluppano su due piani, e mostrano delle finestre con balconi dalle ringhiere in ferro battuto. Presa la via Pietro Martini, la seguiamo per una cinquantina di metri, e vediamo, al civico numero 13, alla sinistra della strada, la facciata della Chiesa di Santa Lucia in Castello dedicata alla Martire siracusana, edificata nel sedicesimo secolo con l’adiacente ex convento, che oggi ospita un asilo e una Scuola elementare. Nel 1539 il vicere Antonio Cardona ha fatto dono del complesso monastico a un gruppo di monache Clarisse, arrivate a Cagliari da Barcellona su richiesta di papa Paolo III. La Chiesa presenta una facciata molto essenziale, priva di ornamenti, nella quale si apre il semplice portale, sormontato da un oculo tamponato. L’interno è a pianta rettangolare, a unica navata divisa in due campate, con cappelle laterali con la volta a crociera semplice, costolonata e con gemma pendula scolpita, poggiante su peducci scolpiti. Le cappelle sul lato sinistro sono semplici, ricavate da ambienti dell’attiguo convento, mentre sono più interessanti le due cappelle, a pianta rettangolare e di uguale dimensione, che si aprono sul lato destro della seconda campata. La Chiesa dipende dalla Cattedrale di Santa Maria. Arriviamo nella piazza palazzo, la piazza principale del quartiere CastelloProseguendo lungo la via Pietro Martini, arriviamo in Piazza Palazzo La piazza principale del quartiere Castello. La piazza, che deve il suo prestigio alla rilevanza storica e artistica degli edifici che vi si affacciano, si presenta pressappoco con pianta a rettangolo allungato, disposta davanti alla lunga facciata settecentesca del palazzo reale, cui seguono il più semplice prospetto del palazzo arcivescovile e la facciata della cattedrale, con la sua Torre duecentesca. Il lato sud è chiuso dall’ex palazzo di città, Municipio di Cagliari fino al 1906. Sul lato sinistro della piazza Palazzo, si trova per primo il grande Palazzo reale detto anche Palazzo regio o meglio Palazzo vicerègio che costituiva l’antica residenza del rappresentante del re durante le dominazioni aragonese, spagnola ed anche successivamente sabauda. Il palazzo ha origini trecentesche e diviene sede del vicere dal 1337, per volere di Pietro IV d’Aragona. Nel corso dei secoli l’edificio subisce diverse modifiche e ampliamenti, particolarmente significativi sono i restauri settecenteschi, nel 1730 viene realizzato lo scalone d’onore che conduce al piano nobile, le cui sale vengono restaurate nel 1735. La facciata ovest, col portale principale in asse con lo scalone, viene sistemata entro il 1769, come risulta dall’iscrizione posta sulla lunetta della porta finestra che si apre sul balcone centrale. Il palazzo oggi è sede della Prefettura e della città metropolitana di Cagliari, ed ospita, inoltre, mostre temporanee. alla destra del palazzo reale, si trova il più piccolo Palazzo Arcivescovile nel quale il re Carlo Felice di Savoia ha dimorato, con la sua corte, durante il periodo Napoleonico, a causa dell’inadeguatezza del palazzo reale. L’attuale fisionomia del prospetto principale si deve a significativi lavori di rifacimento avvenuti alla fine della terza decade del Novecento. Sulla parete laterale sono visibili epigrafi funerarie risalenti alla prima era cristiana, mentre, nelle sale interne, sono conservati numerosi quadri e reperti archeologici. alla destra del palazzo arcivescovile, verso la fine della piazza palazzo, si trova la Cattedrale di Santa Maria di Castello di fronte alla quale parte una scalinata che conduce nella sottostante Piazzetta Carlo Alberto, che in lingua sarda era chiamata Sa Prazzitta ed in epoca spagnola La Plazuela, nella quale era posizionata la gogna, con relativo boia che veniva chiamato Su Dugali, per giustiziare i nobili condannati a morte. alla destra della Cattedrale si trova la Chiesa di Nostra Signora della Speranza. Entrambe queste Chiese verranno descritte più avanti. Chiude il lato sud della piazza palazzo l’Antico palazzo di città uno storico edificio edificato nel 1331 che è stato sede municipale della città dal Medioevo fino ai primi anni del ventesimo secolo. L’aspetto attuale dell’ex Municipio si deve però alle ristrutturazioni settecentesche, che lo trasformano secondo il gusto del barocchetto piemontese. Dopo il trasferimento della sede municipale nel nuovo palazzo Civico, il palazzo ospita per diversi anni il Conservatorio di musica Giovanni Pierluigi da Palestrina, trasferito nel 1970 nella nuova e attuale sede di via Bacaredda. Il palazzo costituisce la sede di rappresentanza del sindaco di Cagliari, ed ospita, inoltre, oggi la mostra in esposizione permanente, del Fondo Etnografico Manconi Passino, del Fondo Ceramico della Collezione Ingrao e del Fondo d’Arte Sacra della Collezione Ingrao. Cattedrale di Santa Maria di Castello che ospita la parrocchia di Santa Cecilia di CastelloLa Cattedrale di Santa Maria di Castello, definita cattedrale essendo la Chiesa più importante della diocesi, di cui costituisce il centro liturgico e spirituale, e che contiene la cattedra del vescovo della Arcidiocesi di Cagliari metropolitana, che ha come suffraganee la Diocesi di Iglesias, la Diocesi di Lanusei, e la Diocesi di Nuoro. La Chiesa è dedicata alla Vergine Assunta ed a Santa Cecilia, una Martire romana morta nel 230 sotto Settimio Severo mentre era papa Urbano I, si trova in piazza Palazzo ed è il principale luogo di culto di Cagliari, sede vescovile dell’omonima arcidiocesi metropolitana e parrocchiale del quartiere storico Castello. Edificata dai Pisani nel tredicesimo secolo in stile romanico pisano, prevedeva otto colonne monolitiche che suddividevano la Chiesa in tre navate. Elevata al rango di Cattedrale nel 1258, quando Cagliari è stata la capitale del Regno di Sardegna, al suo interno prestavano giuramento i rappresentanti dei tre Stamenti, ossia dei tre bracci del Parlamento. Dalla Chiesa Cattedrale di Santa Maria, che ospita la parrocchia di Santa Cecilia di Castello, dipendono diverse Chiese del centro storico di Cagliari, la Chiesa della Purissima in via lamarmora, la Chiesa di Santa Lucia in Castello situata in via Martini, la Chiesa di San Giuseppe Calasanzio in piazzetta San Giuseppe, la Chiesa di Santa Maria del monte in via Corte d’Appello, la Basilica della Santa Croce in via Santa Croce, la Chiesa della Speranza in via Duomo, la Chiesa di San Lorenzo sul colle del Buoncammino nel quartiere Stampace. La Cattedrale presenta, oggi, una pianta a croce latina, conferitagli dal transetto aggiunto nel quattordicesimo secolo dai Catalano Aragonesi che, dopo aver preso possesso del Castel di Castro, hanno dotato la Chiesa di due portali laterali, modificando significativamente l’impianto originario. Viene, in seguito, rimaneggiata nel 1674, quando vengono completati i lavori di restauro che le conferiscono una fisionomia totalmente nuova e slanciata, esaltandone la suggestione e la maestosità, in linea con i canoni del barocco, e dell’edificio originale rimane solo la torre campanaria alla sinistra della nuova facciata. Nell’interno a tre navate, notevole il Pulpito scolpito dal Maestro Guglielmo fra il 1159 e il 1162 per la Cattedrale di Pisa, poi donato nel 1312, dopo che Giovanni pisano aveva ultimato il nuovo pulpito, da questa alla Cattedrale di Cagliari, nella quale viene situato inizialmente a destra della navata centrale presso la terza colonna, ma poi, nel diciassettesimo secolo, viene scomposto in due amboni, che vengono sistemati al due lati dell’ingresso principale. Entrando, percorriamo le navate ed i transetti della Chiesa in senso orario. Nella navata sinistra si trovano prima la Cappella del Battistero, che si distacca dallo stile barocco per proporre quello neoclassico, nella quale è presente la vasca che conteneva l’acqua benedetta; poi subio dopo la Cappella di Santa Barbara e delle Famiglie Sante, con al centro la rappresentazione di Santa Barbara che rifiuta di adorare gli idoli pagani. Sempre nella navata sinistra, più avanti, si trova la Cappella della Madonna della Mercede, realizzata completamente in marmo, fatta erigere a spese dell’Arcivescovo Carignena, il quale apparteneva all’Ordine della Mercede fondato da San Pietro Nolasco e Giacomo I d’Aragona nel 1218, e che è stato seppellito proprio sotto l’altare. Si trova qui nella nicchia la statuina della Vergine del Pilar, al centro il grande quadro della Madonna della Mercede che con il manto avvolge i Santi del suo ordine. Sui lati si trovano due colonne cocleate a spirale in marmo nero. Sul lato di destra è presente una finestra che un tempo serviva all’Arcivescovo per assistere ai riti in maniera privata. Si trova invece sul lato sinistro al tomba di Monsignor Paolo Maria Serci di Nuraminis, che è stato Arcivescovo di Cagliari dal 1893 al 1900. La Cappella della Madonna della Mercede viene definita il Santuario della Madonna della Mercede, luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli alla statuina della Vergine del Pilar ed al grande quadro della Madonna della Mercede presenti al suo interno. Nel transetto sinistro si trova il Mausoleo dell’arcivescovo Ambrosio Machin De Aquena, Maestro Generale dell’Ordine Mercedario; e subito più avanti il Mausoleo di Martino d’Aragona il Giovane, imponente monumento funebre di Martino I di Sicilia, Infante d’Aragona, morto durante la conquista della Sardegna nel 1409, del quale erroneamente si è sempre creduto che le spoglie fossero state traslate in Spagna, invece nel 2005, smontando il sepolcro per la ristrutturazione, si sono scoperti i suoi resti mortali, racchiusi in un involucro di velluto rosso, ricamato in oro. Seguono, sempre nel transetto sinistro, la Cappella Pisana attualmente utilizzata per le celebrazioni feriali e la Cappella del Santissimo Crocefisso, che ospita un crocifisso ligneo cinquecentesco e le statue di San Sebastiano e San Rocco, risalenti al diciottesimo secolo. Al centro della Chiesa si trova il Presbiterio che ospita l’Altare maggiore, che è l’antico e prezioso altare originario in stile romanico pisano della vecchia Chiesa di Santa Maria, con una semplice tavola marmorea che poggia su quattro colonne e al centro viene sostenuta da una colonna più robusta. Sulla tavola marmorea sono appoggiati sei candelabri sbalzati e cesellati, una croce d’altare lavorata a sbalzo e a cesello, ed un grande leggio con la sigla al centro. Dietro l’altare si trova il seicentesco coro ligneo al centro del quale si può osservare la cattedra vescovile, decorata dallo stemma dell’arcivescovo Pietro Vico. È presente anche un organo grande costruito nel 1955, e il piccolo organo di Scuola napoletana proveniente dalla Chiesa della Purissima, costruito dal maestro Carlo Mancini nel 1758, con la cassa in legno decorata da fregi dorati. Portandoci nel transetto destro, troviamo la Cappella della Madonna delle Grazie; poi la Cappella Aragonese del Santissimo Sacramento e della Sacra Spina, che custodiva come reliquia una spina che si vuole appartenesse alla corona che cinse il capo di Gesù Cristo durante la sua passione, donata al Duomo da papa Clemente settimo con breve del 23 luglio 1531, che oggi è custodita nel Tesoro del Museo, assieme al famoso trittico quattrocentesco attribuito al pittore Rogier Van der Weyden, custodito nell’aula capitolare, con obbligo di esporli durante la Festa dell’Assunzione, tradizione che è stata conservata fino ad oggi. Sempre nel transetto destro, si trova l’ingresso dell’Aula Capitolare, dove sono raccolte le tele primoseicentesche del cosiddetto Maestro del Capitolo, dalla quale si accede alla Sacrestia dei Beneficiati, nella quale nel 1861 Giovanni Spano vi descrisse il retablo dei Beneficiati oggi gli ambienti continuano ad espletare funzioni di servizio liturgico per la Cattedrale ed ospitano numerosi dipinti. Proseguendo la visita del transetto destro, si trovano l’Altare di Sant’Isidoro, al centro della quale è collocata la tela raffigurante la Madonna Immacolata col Bambino, detta anche Madonna degli Stamenti sardi perché davanti ad essa giurava il Parlamento sardo; ed il Mausoleo dell’arcivescovo Bernardo de la Cabra, prima vittima della peste del 1652 che ha portato i cagliaritani ad invocare la grazia di Sant’Efisio. Nella navata destra si trovano la Cappella di San Michele, in cui è presente un’opera di Giuseppe Massetti del diciottesimo secolo che rappresenta San Michele mentre scaccia gli angeli ribelli poi la Cappella della Madonna di Sant’Eusebio, chiamata anche Cappella della Madonna Nera per la presenza di una statua della Madonna di colore nero, statua in cedro del libano alta un metro e mezzo, che è una delle tre copie dell’originale che Sant’Eusebio, e Vescovo di Vercelli, ha portato con se al ritorno dal suo esilio in Palestina nel 236 dopo Cristo, ed è l’unica conservata in Sardegna. Infine si trova la Cappella di Santa Cecilia, patrona della cattedrale, in stile barocco piemontese, con sull’altare l’opera Il Matrimonio di Santa Cecilia e San Valeriano, firmata dal pittore romano Pietro Angeletti. L’ultima domenica di ottobre, memoria liturgica del patrono della città, si tengono, presso Cattedrale di Santa Maria, la Chiesa di San lucifero e la Basilica di San Saturnino, le celebrazioni in occasione della Festa di San Saturnino Martire, con diversi riti religiosi. I tradizionali riti che si rinnovano ogni anno vanno dai vespri solenni nella cattedrale, al canto dell’ora terza nella parrocchia di San lucifero, alla celebrazione eucaristica nella Basilica paleocristiana dedicata al giovane Martire Saturnino, seguite dalle ultime cerimonie che si svolgono ancora nella cattedrale. Da alcuni anni la novità è stata rappresentata dall’avvio del Cammino di San Saturnino che, oltre il capoluogo, ha interessato anche i comuni di Isili, Gergei e Ussana, centri nei quali è profonda la devozione al Martire. La Cripta della Cattedrale definita il Santuario dei MartiriNel transetto sinistro della cattedrale, di fronte al Mausoleo di Martino d’Aragona il Giovane, si trova l’ingresso della Cripta che è detta anche Santuario dei Martiri scavata interamente sulla viva roccia, sotto il presbiterio e il coro della cattedrale. La Cripta viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, dato che custodisce le ossa dei martiri riportate alla luce nell’area cimiteriale della Basilica di San Saturnino. La Cripta, scavata nella roccia con volte a botte ribassate e decorazioni in stile barocco, comprende l’area sottostante il presbiterio e il coro della cattedrale. Sul soffitto della cripta compaiono 584 rosoni scolpiti all’inizio del seicento con imitazione di foglie di acanto, di rosa, di vite, di fico e anche di qualche motivo non floreale. La cripta consta di una scala di accesso e di tre cappelle intercomunicanti tutte rivestite di marmo. È stata inaugurata nel 1618, dopo una solenne e sfarzosa processione con le reliquie dei Martiri, alla presenza delle autorità e con la partecipazione festante della popolazione. Nel Vestibolo del Santuario, le due scale di marmo attraverso le quali si scende si ricongiungono in un pianerottolo, con al centro il sarcofago in marmo dell’arcivescovo Francisco de Esquivel. Nella Cappella centrale della Madonna dei Martiri, sono sistemate sessantasei nicchie conteneti reliquie dei Martiri, e sopra l’altare c'è una statua della Madonna col Bambino, con ai lati San Giuseppe e Sant’Anna. A sinistra, nella Cappella di San Saturnino, patrono della città di Cagliari, sono poste trentatre nicchie, sull’altare sotto la statua del Santo un sarcofago romano del secondo secolo conserva le sue reliquie, e nella Cappella sono presenti altri due sarcofagi di epoca romana, uno con le reliquie di dieci Martiri sopra la porta di ingresso, l’altro con le reliquie di nove Martiri posto sulla parete dietro il mausoleo di Carlo Emanuele di Savoia, morto di vaiolo all’età di due anni. A destra, nella Cappella di San lucifero, Vescovo di Cagliari e grande nemico dell’Arianesimo, vi sono ottanta nicchie, sotto la mensa dell’altare è collocata l’urna nella quale riposano le ossa di San lucifero, è inoltre presente il mausoleo in marmo bianco di Maria Giuseppina di Savoia, moglie del re di Francia Luigi XVIII, e dietro il mausoleo un sarcofago di epoca romana murato sulla parete nel quale sono state tumulate le reliquie di Sant’Antioco. La Chiesa di Nostra Signora della SperanzaSubito alla destra del duomo, si trova la Chiesa di Nostra Signora della Speranza nota anche come Chiesa della Speranza che era la Cappella gentilizia della nobile famiglia Aymerich, Marchesi di Laconi, il cui palazzo, poco distante, è stato devastato dai bombardamenti del 1943, che ne hanno lasciato in piedi solo le mura perimetrali. La Chiesa è legata alla storia del Parlamento sardo nel periodo della dominazione spagnola, infatti, proprio in questo edificio, si riuniva uno dei tre Stamenti del Parlamento, lo Stamento militare o nobiliare. Dopo la cacciata dell’Ordine dei Gesuiti dall’isola, questa Chiesa è stata per breve tempo sede della Congregazione Mariana degli Artieri. Dal 2010 ogni domenica la Chiesa viene aperta al pubblico, e dipende dalla Cattedrale di Santa Maria. Dal 2011 è stata concessa in uso temporaneo alla Chiesa ortodossa del patriarcato di Mosca. Fino alla metà del ventesimo secolo, dall’11 dicembre di ogni anno, gli abitanti di Castello si riunivano nella Cappella degli Aymerich per celebrare la Novena della Madonna della Speranza. E comunque ancora oggi, il 18 dicembre, in questa Cappella si venera la statua seicentesca di Nostra Signora della Speranza, attribuita a Giuseppe Antonio Lonis che aveva la sua bottega nel quartiere di Stampace, anch’essa proprietà degli Aymerich, e che raffigura la Madonna incinta, in attesa di Gesù, dato che Esperanza, in spagnolo, significa anche in attesa. Dalla piazza Indipendenza la via Alberto lamarmora ci porta alla Chiesa della Purissima con l’attiguo conventoRitornati in piazza Indipendenza, prendiamo, ora, la strada che passa alla destra del palazzo Santjust, la stretta via Alberto lamarmora, che è la principale via interna del quartiere Castello. Qui, al civico numero 130/a, alla destra della strada, troviamo la Chiesa della Purissima edificata, insieme all’attiguo convento, nel 1554, per volere di una nobildonna cagliaritana, sopra una preesistente Chiesa dedicata a Sant’Elisabetta. La Chiesa è priva di facciata frontale, l’ingresso si apre sul lato che si affaccia in via lamarmora, e si accede ad essa attraverso un portale gotico, superato un alto portico voltato a botte. L’edificio si presenta nell’originario stile gotico catalano, che ne caratterizza principalmente l’interno, suggestivo, costituito da un’unica navata suddivisa in due campate, voltate a semplice crociera gotica. Su ciascuna campata si aprono le cappelle laterali, una per lato nella prima campata, due per lato nella seconda, che, con il presbiterio, hanno pianta rettangolare e le volte sono a crociera gotica stellata. Conserva all’interno il fastoso altare maggiore ligneo, in stile barocco, dell’inizio del diciottesimo secolo; un crocifisso ligneo a grandezza naturale, del sedicesimo secolo; un Polittico raffigurante i Santi Cosma e Damiano, attribuito al pittore sardo Antioco Casulla; ed una tavola dipinta da Lorenzo Cavaro, raffigurante San Girolamo. La Chiesa, che dipende dalla Cattedrale di Santa Maria, è stata riaperta nel 2012, dopo il restauro curato dal comune. In via Santa Croce troviamo la Chiesa di Santa Maria del Sacro Monte di PietàPassata la Chiesa della Purissima, proseguiamo lungo la via Alberto lamarmora per circa cinquanta metri, poi incrociamo il Vico Pietro Martini, che prendiamo verso destra. Lungo questo vico, dopo una trentina di metri, una scalinata in discesa ci porta ad attraversare la via dei Genovesi e ad imboccare la via Santa Croce, già Vico del Giudei, così chiamato dato che portava al ghetto degli Ebrei. Il primo gruppo di Ebrei giunge probabilmente nell’isola nel 1323 con l’esercito dell’infante Alfonso il Benigno, e la loro presenza si protrae nel periodo dal quattordicesimo al quindicesimo secolo nella via Santa Croce, sino alla loro espulsione avvenuta nel 1492, quando con un decreto i re di Spagna, Ferdinando e Isabella, detti i Cattolici, ordinano l’espulsione degli Ebrei da tutti i propri stati, compresa la Sardegna. Presa la via Santa Croce, dopo una quarantina di metri si trova, alla sinistra della strada, una scalinata in discesa che, in due rampe di scale, ci porta di fronte alla Chiesa di Santa Maria del Sacro Monte di Pietà. Si tratta di una Chiesa edificata nel cinquecento in stile gotico catalano con influssi rinascimentali, con una facciata a terminale piatto, sulla quale si apre una finestra semicircolare ed il portale, sormontato da un arco gotico. L’interno si sviluppa su un’unica navata, due campate, una Cappella laterale a destra, il presbiterio e il coro. La Chiesa apparteneva all’Arciconfraternita del Sacro Monte di Pietà, i cui membri, esclusivamente di nobile estrazione, avevano come compito principale l’assistenza ai condannati a morte. Dopo la soppressione dell’ordine nel 1866, è diventa aula di tribunale dell’attigua Corte d’Appello, nel 1879 viene trasformata nella sede di una Scuola musica, nel 1921 diventa un dormitorio della Piccola casa della Divina Provvidenza, ed, infine, nel 1969 diventa un centro sportivo. Dopo lunghi restauri, la Chiesa è stata riaperta intorno al 2000, ed affidata al Sovrano Militare Ordine di Malta, che in cambio rende accessibile l’edificio, offrendo anche spiegazioni sulla sua storia e le opere d’arte in esso contenute. La Chiesa dipende dalla Cattedrale di Santa Maria. Da via Santa Croce l’ingresso al Ghetto degli EbreiProseguendo per meno di una cinquantina di metri, troviamo a destra il portone di ingresso al cosiddetto Ghetto degli Ebrei che si posiziona al di fuori della cinta muraria, al di là del bastione della Santa Croce. Si tratta di un complesso di costruzioni nato nel 1738 come caserma militare intitolata al regnante sabaudo Carlo Emanuele III. L’edificio, progettato dagli ingegneri militari piemontesi, doveva ospitare il reparto dei Dragoni, ed ha avuto funzioni militari fino al diciannovesimo secolo, quando è stato ceduto a privati e trasformato in piccole abitazioni. Oggi ospita anche un centro culturale. La sua impropria denominazione deriva dal fatto che, poco più avanti, realmente esisteva il quartiere dove gli Ebrei abitavano. La Basilica della Santa CroceProseguendo lungo la via Santa Croce per cento metri, troviamo, alla sinistra della strada, una scalinata che, in sette gradini, ci porta nella piazza Santa Croce, sulla quale si affaccia la Basilica della Santa Croce. L’edificio sorge nel rione Castello, sul bastione di Santa Croce, nello spazio delimitato dalla omonima via, da via Corte d’Appello e dalla piazzetta Santa Croce, dove si trova l’ingresso principale della Chiesa. Annesso alla Basilica è il vasto complesso dell’ex Collegio dei padri Gesuiti, che oggi ospita la Facoltà di architettura dell’Università di Cagliari. La Chiesa un tempo era la sinagoga della Giudaria, ovvero del rione ebraico, ed è stata convertita in Chiesa cattolica e dedicata alla Santa Croce dopo la cacciata degli ebrei dal territorio spagnolo e dai loro possedimenti. Nel 1530 la Chiesa viene concessa all’Arciconfraternita del Santo Monte di Pietà, appena istituita, e rimane in uso sino al 1564, anno in cui i Gesuiti giungono a Cagliari e viene loro concesso l’utilizzo di questa Chiesa e di alcune case adiacenti, primo nucleo del Collegio dei padri Gesuiti. La Chiesa viene stilisticamente rinnovata e ingrandita nel 1661 ad opera di con Felice Brondo, marchese di Villacidro. Nel 1773, in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, la Chiesa e il Collegio della Santa Croce diventano proprietà dello Stato. Nel 1809, durante la sua permanenza a Cagliari, il re Vittorio Emanuele I di Savoia concede la Chiesa all’Arciconfraternita dei Santi Maurizio e Lazzaro, carissima ai Savoia, elevandola al titolo di Basilica Magistrale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. I bombardamenti del 1943 la danneggiano, viene riparata nel 1946 e poi chiusa fino ai primi mesi del 2008, quando viene nuovamente riaperta al culto. Dal 2008, la messa è di norma officiata la domenica mattina secondo il rito romano straordinario, che segue il messale Romano promulgato da papa Pio V a richiesta del Concilio di Trento nel 1570, e mantenuta fino a quella promulgata da papa Giovanni XXIII nel 1962, precedente alla revisione ordinata dal Concilio Vaticano II. Dal 16 luglio 2018 è eretta parrocchia personale per i fedeli del rito romano straordinario, seconda in Italia, dopo la parrocchia della Santissima Trinità dei Pellegrini a Roma, e prima affidata al clero diocesano. La facciata, particolarmente sviluppata in altezza, è divisa in due livelli da una fascia intermedia, delimitata da due cornicioni, all’interno del quale si trova lo stemma dell’ordine dei Gesuiti. Sotto, nel livello più basso, si apre il portale, sormontato da un timpano curvo spezzato, entro cui si trova lo stemma della casata dei Brondo. L’interno è a navata unica, con volta a botte, e con tre cappelle per lato, ed un breve presbiterio chiuso da abside semicircolare. Nell’altare maggiore in marmo è esposto un artistico Cristo crocifisso, in legno, e, nella parete dell’abside, si trovano gli affreschi di San Maurizio e San Lazzaro, realizzati nel 1842 dall’artista cagliaritano Antonio Caboni. Numerose altre opere d’arte sono custodite nella sacrestia. La Basilica dipende dalla Cattedrale di Santa Maria. Il belvedere del bastione della Santa CroceIl Bastione della Santa Croce comunemente detto dalla popolazione Bastione di Santu Juanni, è situato nell’omonima Via, nella zona che in passato ospitava la Giudaria, ovvero il rione ebraico, che si trovava nella zona delimitata fra la via Santa Croce e la via Stretta. Dal belvedere del bastione della Santa Croce si ha una vista panoramica dell’intera città verso occidente fino alla laguna di Santa Gilla. Gli stagni, come abbiamo già detto, sono una delle caratteristiche che rendono Cagliari una città davvero unica. La Chiesa di San Giuseppe Calasanzio e di fronte il ristorante su Tzilleri ’e su DogeProseguiamo lungo la via Santa Croce per poco meno di duecento metri dalla Chiesa della Santa Croce, arriviamo alla fine della strada, e troviamo alla destra della strada la Torre dell’Elefante, che descriveremo più avanti, ed, alla sinistra della strada, la piazzetta San Giuseppe con la Chiesa dedicata a San Giuseppe Calasanzio che ha aperto nel 1597 la prima Scuola pubblica popolare gratuita d’Europa, ed ha istituito l’Ordine religioso degli Scolopi. I lavori di costruzione iniziano nel 1663 e terminano nel 1735. Nel 1943, in seguito ai bombardamenti, l’edificio riporta gravi danni. restaurata e riaperta al culto nel dopoguerra, venne nuovamente chiusa negli anni settanta, e, da allora, a causa degli interminabili lavori di restauro, il monumento non è visitabile. In stile barocco, la Chiesa si presenta con un armonioso prospetto principale dal terminale piatto, scandito da lesene con capitelli di ordine ionico, e con il portale sovrastato da un timpano a cornice curva spezzata, con all’interno lo stemma degli scolopi. L’edificio presenta notevoli differenze rispetto ai precedenti luoghi di culto cagliaritani, probabilmente volute dagli scolopi per adempiere alle funzioni di educazione popolare, oltre che di culto. L’interno è a unica navata voltata a botte, con tre cappelle intercomunicanti ai lati e profondo presbiterio coperto da cupola su tamburo ottagonale. La Chiesa dipende dalla Cattedrale di Santa Maria. Di fronte all’ingresso della Chiesa, sull’altro lato della piazza San Giuseppe, si trova il caratteristico ristorante Su Tzilleri ’e su Doge. Di fronte all’ingresso della Chiesa di San Giuseppe Calasanzio, sull’altro lato della piazza San Giuseppe, era presente il caratteristico ristorante Su Tzilleri ’e su Doge, ossia l’Osteria del doge, il cui ingresso era al civico numero 17 della via Santa Croce. Il ristorante, abilmente gestito da Claudio Ara, che si definisce Chef d’essai, nella sua storia partita all’età di tredici anni lavando piatti, e che oggi fa parte dell’Alleanza tra i Cuochi, determinati a sostenere i presìdi Slow Food e piccoli produttori locali custodi della biodiversità. Il locale è stato trasferito nel quartiere Stampace, e si trova ora al civico numero 57 del corso Vittorio Emanuele, con la denominazione rivista Su Tzilleri in Sa bucca ’e Sa nassa, e propone la ricerca maniacale della materia prima, dei piatti tipici nelle sue ricette originali, per capirne il perché storico, riproporle in chiave moderna rispettandone le caratteristiche o riproporle nella loro veste originale.. |
La porta dell’Elefante con la torre omonimaalla destra della Chiesa, si trova la Porta dell’Elefante posizionata sotto la Torre dell’Elefante La seconda torre medievale più alta di Cagliari, dopo la Torre di San Pancrazio, edificata appena due anni dopo questa sempre da Giovanni Capula. In epoca spagnoL’edificio è stato utilizzato anche come carcere, e alle sue porte venivano appese come monito le teste mozzate dei prigionieri condannati a morte e decapitati nella vicina Plazuela, ossia nell’attuale piazzetta Carlo Alberto. Tra l’altro, si ricorda che, nella seconda metà del diciassettesimo secolo, le teste, svuotate del cervello e riempite di sale, di don Jaime Artal de Castelvì marchese di Cea e di altri tre congiurati, implicati nel 1668 nell’omicidio di don Manuel Gomez de los Cobos marchese di Camarassa e vicere di Sardegna, vi rimangono appese per diciassette anni, rinchiuse in una gabbia di ferro agitata dal vento, e vengone rimosse solo il 1688 per grazia sovrana su petizione del Parlamento. In ricordo di questo fatto, è conservata una lapide in spagnolo A perpetua nota di infamia nei confronti dei nobili sardi coinvolti nell’assassinio del maggior rappresentante del sovrano di Spagna, che si trova in quella che allora era la via dei Cavalieri, ossia Carrer dels Cavallers, l’odierna via Canelles parallela alla via Alberto lamarmora, al civico numero 32. L’ex Collegio degli Scolopi ed il palazzo dell’Università con la sede dell’ex Seminario TridentinoUsciti dalla porta dell’Elefante, subito a sinistra parte la via Cammino Nuovo, che lascia alla sua destra il bastione del Balice, mentre proseguendo dritti, leggermente verso sinistra, parte la via dell’Università. Lungo questa strada, sulla sinistra, si trova il vasto complesso dell’Ex Collegio degli Scolopi posto sul retro della Chiesa di San Giuseppe Calasanzio, che oggi ospita il liceo artistico statale. Di fronte ad esso, sul lato destro della strada, si trova il Palazzo dell’Università conosciuto anche come Palazzo Belgrano, un monumentale complesso architettonico nel quale hanno sede gli uffici del rettorato dell’ateneo e la Biblioteca universitaria. Nel suo progetto di riforma delle università sarde, il re Carlo Emanuele III ha disposto la costruzione di una nuova sede dell’ateneo, ed ha incaricato della realizzazione l’ingegnere militare Saverio Belgrano di Famolasco. Era previsto il palazzo universitario, il Seminario tridentino ed un Teatro, ma sono stati realizzati solo i primi due edifici. La sede universitaria viene inaugurata nel 1770, mentre l’adiacente seminario viene terminato nel 1778, per essere poi ceduto all’università nel 1955 dall’arcivescovo Paolo Botto. Il complesso presenta una lunga facciata, scandita da alte lesene, tra le quali si aprono le diverse finestre dei tre livelli nei quali si articoL’edificio. alla base si aprono due portali, che immettono rispettivamente alla sede del rettorato ed ex Seminario Tridentino, l’altro alla sede della Biblioteca Universitaria. All’interno i due palazzi si sviluppano ciascuno attorno a un cortile quadrangolare. Il Teatro Civico di CastelloSeguendo la via dell’Università fino in fondo verso sud, si trova sulla sinistra l’edificio che ospita il Teatro Civico di Castello che fa angolo con la via Mario de Candia. Lo storico edificio, recentemente restaurato, sorge al posto di un precedente Teatro ligneo costruito da Saverio Belgrano di Famolasco, in seguito ceduto al comune, che nel 1831 incarica l’architetto Giuseppe Cominotti di costruire un nuovo Teatro in muratura. alla sua morte, la direzione dei lavori viene affidata nel 1835 a Gaetano Cima, il quale apporta modifiche al progetto originario, ed il nuovo Teatro viene realizzato in stile neoclassico, ed inaugurato nel 1836, in onore del genetliaco del re Carlo Alberto. La porta dei due leonialla fine della via dell’Università, prendiamo verso destra la porta che la collega con la via Giovanni Spano, che è la cosiddetta Porta dei due leoni che costituisce l’accesso meridionale al Castello, ed in passato era definita Portali de Is leonis, e prende il nome dalle due sculture raffiguranti teste di Leone affisse nella facciata, visibili sulla sommità, nel suo lato esterno. La porta che oggi è chiamata portico Mario De Candia segna il passaggio tra i due quartieri storici di Castello e della Marina, proprio in prossimità del terzo quartiere storico di Villanova. Assieme a porta Cristina, sul lato opposto di Castello, rappresentava il grande ingresso alla città fortificata. La Porta, venne realizzata in epoca pisana e si trova proprio al di sotto del Bastione Saint-remy. Il palazzo Boyl con la Torre dell’Aquila originariamente chiamata Torre del LeoneUn poco più indietro rispetto alla fine della via dell’Università, alla sinistra del Teatro Civico si vede, sulla via Mario de Candia, il Palazzo Boyl uno degli edifici più importanti dal punto di vista storico e artistico del centro storico. È stato costruito nel 1840 da Carlo Pilo Boyl, marchese di Putifigari, generale d’artiglieria e discendente di Filippo Pilo Boyl, che nel quattordicesimo secolo aveva aiutato gli Aragonesi a sconfiggere i Pisani e ad impadronirsi della rocca della città. Di recente il palazzo Boyl è stato restaurato, ma il comune ha evitato, di proposito, di restaurare i tre punti dove, sulla facciata, sono infisse le palle di cannone, a ricordo dei tre bombardamenti, degli inglesi nel 1708, degli Spagnoli nel 1717, ed infine dell’attacco da parte dei francesi nel 1793. Il palazzo Boyl incorpora, alla sua sinistra, la Torre dell’Aquila che originariamente era chiamata Torre del Leone. Si tratta della terza torre medievale di Cagliari, costruita anch’essa da Giovanni Capula, autore anche delle altre due torri di Cagliari, quando i Pisani, temendo l’attacco iberico, iniziano ai lavori per il potenziamento delle fortificazioni di Cagliari. Il nome è dovuto ad una scultura di rapace scolpita nella grande porta, situata nella parte bassa della torre, che permetteva l’ingresso al Castello. Gravemente danneggiata dai tre citati bombardamenti, durante l’ultimo dei quali ha perso la sua parte superiore e, ridotta quasi ad un rudere, è stata in seguito incorporata nell’edificio. Si trova, attualmente, in uno stato di forte degrado. Usciamo dal quartiere Castello attraverso il bastione di Saint-remyDi fronte al palazzo Boyl, una scalinata con una diecina di gradini curvi, in salita, ci porta alla panoramica Terrazza Umberto I, costruita sopra il Bastione di Saint-remy. Il bastione si affaccia sulla piazza della Costituzione, con una monumentale scalinata ed un’ampia terrazza panoramica, ed il suo nome deriva da quello del primo vicere piemontese, il barone di Saint-remy. La passeggiata coperta e la maestosa terrazza Umberto I, sono state progettate nel 1896 da Giuseppe Costa e Fulgenzio Setti. Costruito tra il 1899 e il 1902, costituisce una significativa testimonianza dell’età umbertina. L’imponente struttura, realizzata in stile classicheggiante e composta da colonne in calcare di colore bianco e giallo con capitelli in stile corinzio, viene inaugurata nel 1901. Gran parte della facciata del bastione di Saint-remy è stata danneggiata dai bombardamenti dell 1943, ma è stata successivamente ricostruita fedelmente. Dal belvedere del bastione di Saint-remy si ha una vista panoramica dell’intera città verso oriente fino allo stagno di Molentargius che separa Cagliari da Quartu Sant’Elena. Gli stagni, come abbiamo già detto, sono una delle caratteristiche che rendono Cagliari una città davvero unica. Durante il corso degli anni, gli ampi spazi della passeggiata coperta sono stati adibiti a molteplici utilizzi, e, nel 1948, ha ospitato la prima edizione della Fiera Internazionale della Sardegna. Usciamo dal quartiera CastelloPrendendo la via Giuseppe Mazzini, che ci porta in piazza Martiri d’Italia, e proseguendo lungo la via Giuseppe Manno, oppure scendendo dalla scalinata del bastione di Saint-remy, arriviamo in piazza Costituzione, piazza dalla quale usciamo dal quartiere Castello ed entriamo in quello denominato Villanova. Il quartiere VillanovaIl quartiere Villanova, nonostante il nome che potrebbe far pensare ad una certa modernità, va invece considerato contemporaneo agli altri quartieri storici, e rappresenta la naturale espansione verso est della rocca pisana, ossia del quartiere Castello, con il quale confina. Cinto anch’esso da una barriera di mura, anche se non fortificato, è stato nel tempo la residenza di coloro che raggiungevano la città per intraprendere lavori artigiani, e di quanti si dedicavano alle coltivazioni agricole nei grandi spazi confinanti col quartiere. Il quartiere si è popolato soprattutto in epoca spagnola, ed ha assunto una impronta contadina, divenendo una delle poche oasi verdi della città. Dalla piazza Costituzione con l’Antico Caffe ci recheremo in piazza San GiacomoNella piazza Costituzione si trova l’Antico Caffe dal 1855 nato come Caffè Genovese, oggi tutelato dal Ministero dei Beni Culturali, che è stato meta di famosi personaggi e letterati della Cagliari dell’800 e dei primi del 900. Il ristorante I Sarti del Gusto consigliato dalla Guida Michelin ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due ForchettePrendiamo, alla destra dell’Antico Caffe, la via Vincenzo Sulis, la seguiamo per un centinaio di metri, poi svoltiamo leggermente a sinistra e prendiamo il vico II Vincenzo Sulis, lo seguiamo e, dopo appena una cinquantina di metri, vediamo alla destra della strada, al civico numero 1/a del vico, il ristorante I Sarti del Gusto, consigliato dalla Guida Michelin 2023 ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette. Il ristorante I Sarti del Gusto, situato in una graziosa stradina del centro, è un piccolo e moderno locale gestito con passione da due giovani soci, Riccardo Massaiu in cucina e Gianluca Fanni in sala. Amici da tempo, con alle spalle esperienze di lavoro comuni, hanno deciso qualche anno fa di tornare nella loro città natale ed aprire I Sarti del Gusto, che propone una cucina su misura nel cuore di Cagliari, e che viene consigliato dalla Guida Michelin 2023 ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Due Forchette. La cucina riprende le tradizioni in chiave moderna, accompagnata da vini e bollicine regionali.su una mensola, antiche macchine da cucire ricordano il lavoro svolto dagli antenati di uno dei proprietari, che un tempo erano sarti, mentre ora gli eredi sono diventati i sarti del gusto. |
Arriviamo nella piazza San GiacomoLa via Vincenzo Sulis, in poco più di duecento metri, ci porta nella Piazza San Giacomo che si trova alla destra della strada, nel cuore del quartiere di Villanova. Entrati nella piazza San Giacomo, sul suo lato destro si affaccia la Chiesa di San Giacomo, ed inoltre, guardando la facciata della Chiesa, alla sua destra si trovano due oratori tardo seicenteschi. Per primo, proprio adiacente alla Chiesa, si trova la Chiesa ed Oratorio delle Anime del Purgatorio e, più avanti, alla destra di questo, si trova la Chiesa ed Oratorio del Santissimo Crocifisso. Nella piazza si trova la Chiesa di San Giacomo che ospita la parrocchia di San Giacomo di VillanovaLe prima notizie che riguardano la Chiesa di San Giacomo di Villanova risalgono al 1346, riferibili con tutta probabilità ad una Chiesa con impianto tipico dell’architettura religiosa catalana. Si tratta di una Chiesa collegiata, ossia una Chiesa di una certa importanza, che non è sede vescovile e perciò non ha il titolo di cattedrale, ma nella quale è tuttavia istituito un collegio o capitolo di canonici, con lo scopo di rendere più solenne il culto a Dio. A partire dal 1838, inizia la realizzazione del nuovo prospetto di stile neoclassico, dovuta a Gaetano Cima, e dell’interno, a navata unica, con cappelle laterali. La zona presbiterale è ricoperta da volta stellare a quattro punte. Sull’altare in marmi policromi, della fine del diciottesimo secolo attribuibile a Giovanni Battista Franco, si trova un gruppo scultoreo ligneo del quattrocento, composto da un crocifisso e dalle statue delle pie donne sotto la croce. Lateralmente alla navata sono situate le cinque cappelle per lato aperte tra i contrafforti, con archi sia a sesto acuto sia a tutto sesto, e volte a crociera o a botte. La prima Cappella a sinistra, alla base del campanile, ospita un pregevolissimo Compianto in terracotta, risalente al quindicesimo secolo. La terza Cappella a sinistra, dedicata al Crocifisso, è in stile barocco e venne realizzata su disegni dell’architetto piemontese Viana. In stile barocco è anche la Cappella del Sacro Cuore, la seconda a destra. La Chiesa ospita un pregevole organo costruito dal fabbricante napoletano Carlo Mancini nel 1769 proveniente dall’attiguo Oratorio delle Anime Purganti. bella anche la fonte battesimale, del 1766. La facciata presenta il timpano aggettante che poggia su due coppie di colonne corinzie, il portale sovrastato dal punto luce, le eleganti decorazioni. Il campanile è stato costruito in due tempi, è a canna quadrata con aperture monofore ogivali, la prima parte era già ultimata nel 1438, mentre la seconda, iniziata nel 1442, ha visto la sua finale sistemazione nel 1990. Sono ancora visibili, sul campanile, i segni del bombardamento dell’assedio francese del 1793. Dalla parrocchia, che ha sede nella Chiesa parrocchiale di San Giacomo, dipendono diverse Chiese del centro storico di Cagliari, la Chiesa e Cripta di San Domenico in piazza San Domenico, la Chiesa di San Giovanni Battista in via San Giovanni, la Chiesa ed Oratorio del Santissimo Crocifisso in piazza San Giacomo, la Chiesa ed Oratorio delle Anime in piazza San Giacomo, la Chiesa di San Vincenzo de Paoli in via Bosa, la Chiesa di San Rocco in piazza San Rocco, la Chiesa di San Cesello in via San Giovanni. Le cerimonie della Settimana Santa che si svolgono nella Chiesa di San GiacomoImponenti sono, a Cagliari, i Riti della Settimana Santa, che coinvolgono fedeli e turisti. La Domenica di Pasqua si svolge il rito de S’Incontru, ossia il ricongiungimento delle due processioni con i simulacri del Cristo Risorto e della Madonna, che, provenedo da direzioni opposte, si ritrovano uno di fronte all’altro, ed i simulacri si salutano con un triplice inchino tra gli applausi della folla, e quindi, affiancati, fanno rientro nella Chiesa dove viene celebrata la messa solenne. La suggestiva cerimonia viene celebrata a cura delle tre parrocchie storiche di Villanova, Stampace e Marina. Quella di Villanova, solitamente, vede il maggiore afflusso di fedeli. Le statue di Gesù Risorto e della Vergine Gloriosa, uscite rispettivamente dalla parrocchiale di San Giacomo e dalla Chiesa ed Oratorio del Santissimo Crocefisso, portate a spalla dai Confratelli del Santo Cristo, si incontrano alla metà di via Garibaldi. Appena giunte l’una presso l’altra, alla statua di Gesù, secondo l’antico cerimoniale di corte spagnolo, vengono fatti compiere tre inchini o riverenze, che la statua della Madonna ricambia subito dopo. Quindi, affiancati, i due simulacri vengono portati a San Giacomo, per la celebrazione della solenne messa cantata. Il Cammino di San Giacomo o Cammino di Santu JacuUn’occasione per stare a contatto con la natura e riscoprire la propria spiritualità, questo è il senso del Cammino di San Giacomo, chiamato anche Cammino di Santu Jacu, che si svolge da Cagliari a Mandas. Un cammino che nella sua forma più completa attraversa tutta la Sardegna, con l’asse centrale da Cagliari a Porto Torres, la variante ovest da Noragugume a Oristano, la variante est da Orosei a Olbia, ed inoltre il tratto meridionale nel Sulcis e nelle isole, che tocca e attraversa gli antichi luoghi di culto di San Giacomo il Maggiore nell’Isola. Il tutto per unire con un percorso coerente, il più possibile vario e percorribile da persone con zaino in spalla, in sintonia con l’andare all’imbarco verso ovest a Santiago di Compostela o est verso Roma e Gerusalemme, circa cento comuni con partenza e arrivo a Sant’Antioco e Carloforte, Cagliari, Orosei e Porto Torres, comprese le varianti verso Olbia e Oristano, e riuscendo a collegare la maggioranza delle Chiese dedicate a San Giacomo il Maggiore esistenti in Sardegna, più i resti di alcune antiche Chiese in rovina. In piazza San Giacomo si trova la Chiesa ed Oratorio delle Anime del Purgatorio Nella piazza San Giacomo, alla destra della Chiesa ed affiancato ad esso, si trova la Chiesa ed Oratorio delle Anime del Purgatorio edificato tra il 1699 e il 1709. L’edificio presenta una facciata semplice, a terminale piatto, sul quale si aprono due portali, sormontati da timpati curvi spezzati e da due aperture ottagonali. L’interno è a pianta rettangolare, a navata unica e volta a botte, dominato dall’altare marmoreo attribuibile a Giovanni Battista Franco, della fine del diciottesimo secolo. L’Oratorio, che dipende dalla parrocchia di San Giacomo di Villanova, è stato sede della Confraternita delle Benedette Anime del Purgatorio, attiva dal 1695 fino al secondo dopoguerra, quando la Chiesa ed Oratorio è stato chiuso al culto in seguito al suo scioglimento. Abbiamo Chiesto al sacerdote che officiava nella parrocchia la possibilità di accedervi per scattare qualche foto, ma mi ha detto che le chiavi erano conservate da una signora, della quale, però, si è rifiutato di darmi il recapito, mostrando una scarsa gentilezza nei miei confronti. Riportiamo, quindi, una foto del suo altare tratta da internet. L’Oratorio del Santissimo Crocifisso o del Santo CristoNella piazza San Giacomo, alla destra della Chiesa e dell’Oratorio delle Anime del Purgatorio, affiancata ad esso, si trova la Chiesa ed Oratorio del Santissimo Crocifisso o del Santo Cristo, edificata tra il 1665 e il 1667. L’edificio presenta una facciata divisa in due specchi da una coppia di lesene, ed altre due lesene sono poste ai lati del prospetto. Su ciascuno specchio si apre un portale, sormontato da un timpano curvo spezzato. L’interno si sviluppa in un unico ambiente a pianta rettangolare, con volta a botte. Sulla parete di fondo è presente un fastoso altare maggiore in legno dorato, mentre sulle pareti sono esposte diverse opere artistiche. L’Oratorio custodisce i simulacri utilizzati nelle processioni della Settimana Santa, tra cui quelli popolarmente chiamati Sacri Misteri, Sette pregevoli statue lignee del 1750 circa, opere di Giuseppe Antonio Lonis che aveva la sua bottega nel quartiere di Stampace, sei delle quali rappresentano l’Agonia nell’orto dei Getsemini, la Cattura, la Flagellazione, la Coronazione di spine, il viaggio al Calvario e la Crocifissione, mentre la settima raffigura la Madonna Addolorata. I simulacri sono custoditi tutti nell’aula e sull’altare maggiore, a differenza di quelli della Chiesa di San Michele nel quartiere Stampace, che sono conservati invece nella sacrestia della Chiesa. Accanto all’altare maggiore e nella sacrestia della Chiesa ed Oratorio sono presenti i gonfaloni che vengono portati in processione durante i riti della Settimana Santa, oltre alla statua del Cristo crocifisso con gli arti snodabili, conservato in un’urna a vetri sotto l’altare maggiore, ed alle statue del Cristo e della Madonna per il rito de S’Incontru, ossia l’incontro tra Gesù risorto e Maria, che si svolge la Domenica di Pasqua. L’accesso all’interno della Chiesa ed Oratorio è affidato ai membri dell’Arciconfraternita del Santissimo Crocefisso, che mi hanno aperto il portone di accesso e mi hanno permesso di scattare le diverse foto presenti in questa pagina. L’Arciconfraternita del Santissimo Crocefisso e le cerimonie della Settimana SantaL’Oratorio, che dipende dalla parrocchia di San Giacomo di Villanova, ospita l’Arciconfraternita del Santissimo Crocefisso in passato denominata Arciconfraternita del Santo Cristo che nasce da un sodalizio cinquecentesco con sede nella Cappella del Crocifisso nella Chiesa di San Giacomo. Nel 1616 esso cresce a tal punto da necessitare il trasferimento in una sede più ampia, la Chiesa ed Oratorio del Santo Cristo, e da ottenere l’aggregazione all’Arciconfraternita romana del Santissimo Crocifisso di San Marcello al Corso. Oltre alle importanti funzioni pratiche e di grande rilevanza sociale come l’assistenza ai bisognosi e ai malati, la Confraternita ha storicamente rivestito il ruolo di intermediaria e interprete della devozione collettiva al Crocifisso, soprattutto nella sua manifestazione più importante, la Settimana Santa. Imponenti sono, a Cagliari, i Riti della Settimana Santa, che originariamente erano una prerogativa esclusivamente maschile come ogni altra attività del sodalizio, ma che vedono oggi la partecipazione di un ramo femminile, istituito nel 1880 e dedito principalmente al culto della Vergine. Giorno di inizio di tali riti può essere considerato il Lunedì di Passione, che precede la Domenica delle Palme, quando, nel tardo pomeriggio, i membri dell’Arciconfraternita procedono alla cosiddetta Vestizione di gala della Madonna Addolorata. I confratelli aprono la nicchia che nel loro Oratorio custodisce la statua, la estraggono e la depongono ai piedi dell’altare maggiore, e quindi le consorelle cerimoniosamente la spogliano del suo abito ordinario per farle indossare una sontuosa veste di seta rossa con un mantello blu. Il Venerdì di Passione ha luogo la Processione dei Santi Misteri di Villanova, detta anche Is Misterius, nella quale i membri dell’Arciconfraternita portano in processione i sette simulacri. Il corteo è aperto da S’Andadori, ossia il messo della Confraternita, preceduto da uno o più tamburini, al quale segue la Croce dei misteri o Degli attrezzi, che in origine era la lugubre insegna delle compagnie di penitenti o di flagellanti. Vengono quindi i diversi simulacri, che i confratelli si caricano a spalla montati su speciali portantine, e, tra il Cristo caduto sotto la croce e il Cristo crocifisso, coperto da un piccolo baldacchino viola, trova posto la grande croce nuda in legno dipinta di nero de S’Incravamentu, portata per penitenza da un devoto che impersona il Cireneo. Seguono le consorelle, che procedono ai lati della strada in due file parallele vestite di nero portando ciascuna una candela, il cui corteo è aperto da un’altra croce più semplice, ornata da puntali dorati scolpiti in legno in forme barocche. Infine un ultimo drappello di confratelli, guidato dal priore, chiude il corteo con la statua della Madonna Addolorata, alla quale un’unica spada d’argento trafigge il cuore. La processione esce dalla Chiesa ed Oratorio e si snoda per le strade del centro storico, facendo tappa nelle sette Chiese di San Giovanni, Sant’Anna, Sant’Efisio, San Sepolcro, Sant’Antonio, San Domenico, San Giacomo, che simboleggiano le sette stazioni della via Crucis, intonando un canto corale a quattro voci tramandato oralmente. In ciascuna Chiesa entra uno dei sei simulacri di Gesù, insieme all’Addolorata, e si svolge una breve predica. Il pomeriggio del Mercoledì Santo, l’Arciconfraternita effettua la Vestizione a lutto della Madonna Addolorata. La statua, reduce dalla prima processione dei Misteri, viene nuovamente posta dai confratelli ai piedi dell’altare maggiore, le consorelle la spogliano degli indumenti colorati che aveva indossato e, lasciatala in camicia, l’avvolgono di cotone profumato, quindi, dopo l’adorazione, svolgono il cotone e la rivestono con le lugubri vesti del lutto. alla fine il cotone usato per la simbolica composizione funebre viene distribuito ai fedeli come sacramentale. Il Giovedì Santo viene eseguito il rito de S’Incravamentu, ossia la crocifissione di Gesù. Tali riti sono seguiti dall’adorazione del Cristo, mentre le donne portano in Chiesa Is Nenneris, il grano fatto germogliare al buio in un piatto affinche assuma un colore verde pallido, simbolo della Morte e della resurrezione, dopo di che un picchetto di confratelli monta la Guardia d’onore fino a notte inoltrata. I membri dell’Arciconfraternita, nel primo pomeriggio, estraggono dal loculo sotto l’altare maggiore l’urna a vetri che custodisce il simulacro del Cristo dalle braccia snodabili, il quale viene inchiodato alla croce grande croce di legno nero che è stata posta al centro dell’aula. Si riveste il simulacro con fasce di bambagia intrisa di profumi, fino a ricoprirlo completamente, dopo le bende vengono tolte e il cotone distribuito ai presenti. Viene quindi applicata la corona di spine ed il simulacro viene solennemente offerto alla venerazione dei fedeli al centro dell’aula. Le celebrazioni più suggestive e commovente si svolgono il Venerdì Santo, con la rappresentazione del funerale di Cristo. In città si svolgono tre processioni, delle quali la seconda, organizzata dall’Arciconfraternita del Santo Cristo, dal suo Oratorio porta il simulacro del Cristo morto fino alla Chiesa di San lucifero, nella zona orientale della città, dove il Cristo viene deposto sui gradini frontali del presbiterio. La processione parte alle quattro del pomeriggio, e si svolge seguendo un cerimoniale analogo a quello dell’Arciconfraternita della Solitudine della Chiesa di San Giovanni, l’unica differenza consiste nel fatto che i bambini in costume al seguito dell’Addolorata sono quattro anziche due, per impersonare, anche Maria Salomè e Maria di Cleofa. La mattina del Sabato Santo viene dedicata al rito de Su Scravamentu, ossia alla deposizione dalla croce del Cristo morto. In prima mattina, il rito si svolge nella Chiesa di San lucifero, a cura dei confratelli che in questo momento rappresentano Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, il Crocifisso con le braccia snodabili viene schiodato dal suo patibolo e deposto in un’elegante lettiga, mentre le consorelle stendono sul catafalco un sottile velo di pizzo bianco, legandone le quattro estremità con fiocchi neri a simboleggiare la chiusura del sepolcro, che rimane esposto al centro della Chiesa fino a sera. In seguito, nel pomeriggio del Sabato Santo, Si svolge il rito de S’Interru, ossia il corteo funebre per il rientro del Cristo Morto nella Chiesa ed Oratorio dal quale era uscito, per quello che dovrebbe essere il suo seppellimento. Nel pomeriggio, per questo rito sfilano in processione per le strade di Villanova anche i confratelli che riportano nel loro Oratorio la lettiga con Gesù Morto prelevata nella Chiesa di San lucifero. Al rientro del mesto corteo, l’Arciconfraternita si ritrova improvvisamente in festa, dato che in serata sono già state preparate le statue del Cristo Risorto e della Vergine Gloriosa. La Domenica di Pasqua si svolge il rito de S’Incontru, ossia il ricongiungimento delle due processioni con i simulacri del Cristo Risorto e della Madonna, che, uscite rispettivamente dalla parrocchiale di San Giacomo e dalla Chiesa ed Oratorio del Santissimo Crocefisso, portate a spalla dai Confratelli del Santo Cristo, si incontrano alla metà di via Garibaldi. Gesù liberato da morte viene trasportato in processione nella vicina Chiesa di San Giacomo, dove la messa di mezzanotte celebra la Domenica di resurrezione. La Domenica in Albis nella parrocchiale di San Giacomo e nella Chiesa ed Oratorio del Santissimo Crocefisso, ed il Lunedì successivo anche nella Chiesa di San Giovanni Battista, si svolge il rito de Is Inserrus, ossia la ricollocazione nelle Chiese dei simulacri del Cristo e della Madonna. Oggi l’unica ad averla conservata in forma pubblica è l’Arciconfraternita del Santo Cristo, quando confratelli e consorelle, in abiti civili, si riuniscono nella parrocchiale di San Giacomo, prelevano i simulacri di Cristo e della Madonna, e, dopo una breve processione lungo le strade del quartiere di Villanova, li riportano nel loro Oratorio, dove, il giorno successivo, in forma semipubblica, tornano entrambi nelle proprie nicchie. La Chiesa di San Domenico con l’annesso convento dei Domenicani e la Chiesa inferioreCosteggiando la Chiesa lungo il suo lato sinistro, prendiamo a sinistra la via San Domenico, e, in duecentocinquanta metri, raggiungiamo la piazza San Domenico, sulla quale si affaccia, sulla destra, il complesso domenicano costituito dalla Chiesa di San Domenico officiata dai Frati Domenicani, che risiedono nel vicino convento, situato tra la via San Domenico e la via decimoquattordicesimo Maggio, che è l’ultima traversa a destra prima della piazza. La Chiesa sorge, assieme all’attiguo convento, nel 1254 sul luogo dell’antica Chiesa benedettina dedicata a Sant’Anna, ad opera di fra Nicolò fortiguerra da Siena, con stretti rapporti con le regole costruttive degli ordini mendicanti solo in seguito le modifiche alle strutture architettoniche della Chiesa e del convento vengono mutate in senso gotico catalano. Dal 1493, diviene la sede del Santo Uffizio e del Tribunale dell’Inquisizione. L’antica Chiesa di San Domenico, un gioiello dell’architettura gotico catalana a Cagliari, viene quasi del tutto distrutta durante i bombardamenti del 1943, e, sopra i suoi resti, viene eretta nel 1954 l’attuale Chiesa realizzata dall’architetto Raffaello Fagnoni, in stile moderno, annunciata da un alto e severo campanile, che sorge di fronte alla facciata e di poco staccato da essa. Il prospetto principale, in cima a una scalinata che collega la Chiesa alla piazza antistante, è a terminale piatto, con tre portali alti e ristretti nella parte inferiore e un finestrone orizzontale al di sopra. L’interno è a pianta rettangolare, con navata unica e presbiterio anch’esso a pianta rettangolare ma più stretto. La Chiesa dipende dalla parrocchia di San Giacomo di Villanova. I Frati Domenicani risiedono nell’antico convento con l’ingresso situato in via decimoquattordicesimo Maggio, il cui chiostro è stato fatto espandere da Filippo II di Spagna, e di esso sono ancora oggi originari tre dei quattro lati. Dall’interno del chiostro si accede alla Chiesa inferiore gotico catalana, che oggi viene comunemente chiamata in senso improprio con il nome di Cripta di San Domenico distrutta come detto dai bombardamenti, ma della quale è rimasta intatta la sola Cappella della Madonna del Santo Rosario, opera architettonica del 1590 realizzata ad opera del canonico Giovanni Barray, ubicata nel fianco sinistro, in prossimità del presbiterio della nuova Chiesa, ma è andato perduto il retablo ligneo seicentesco che ospitava la statua della Madonna, oltre a numerosi quadri e formelle, alcune delle quali sono ancora presenti nel Chiesa e nel convento. La Chiesa inferiore viene attualmente utilizzata sia per funzioni religiose che per manifestazioni culturali, quali concerti e mostre d’arte. La Chiesa di San Vincenzo de PaoliDalla piazza San Domenico, procediamo in direzione nord est sulla via San Domenico, dopo una cinquantina di metri svoltiamo a destra in via Bosa, e, dopo una trentina di metri, troviamo sulla destra la Chiesa di San Vincenzo de Paoli conosciuta anche come Chiesa della Missione. La Chiesa viene costruita dal 1950, suprogetto dell’architetto Augusto Valente, per sostituire la grande Cappella della casa della Missione, che era stata eretta nel 1915 ma è stata distrutta dai bombardamenti del 1943. L’edificio è in stile neoromanico come Cattedrale di Santa Maria, e, a sinistra dell’abside, si trova il campanile a canna quadra, con bifore e trifore. La Chiesa dipende dalla parrocchia di San Giacomo di Villanova. La Chiesa di San Giovanni BattistaDalla piazza San Domenico, torniamo indietro e, di fronte alla via decimoquattordicesimo Maggio, prendiamo verso ovest, il Vico sesto San Giovanni che, in un centinaio di metri, ci porta sulla via San Giovanni, che imbocchiamo verso sinistra, ossia in direzione di piazza Costituzione, e, dopo una ventina di metri, troviamo alla sinistra della strada, la facciata della Chiesa di San Giovanni. Potevamo arrivarci anche dalla piazza Costituzione, prendendo, alla sinistra dell’Antico Caffe, la via Regina Elena, seguendola per poco più di cento metri per poi prendere verso destra la via San Giovanni, che, dopo poco meno di trecento metri, ci porta a vedere sulla destra, appena passato il Vico IV San Giovanni, ad angolo con esso, la facciata della Chiesa. La Chiesa di San Giovanni Battista edificata nel 1752su una precedente Chiesa quattrocentesca distrutta da un incendio. La facciata, del ventesimo secolo, è in stile neoromanico, con portale ad arco a tutto sesto, e la lunetta con un affresco di Giovanni Battista bambino mentre gioca con un agnello, simbolo di Cristo. Il prospetto termina a capanna, con gli spioventi ornati da archetti pensili. L’interno, in stile barocco, è a pianta rettangolare mononavata, con tre cappelle per lato e presbiterio rialzato chiuso da balaustra marmorea. Sopra l’ingresso si trova la cantoria, che ospita il pregevole organo costruito dal lombardo Giuseppe lazzari nel 1757, recentemente restaurato. Le cappelle laterali ospitano diverse opere d’arte, tra cui nel suo altare laterale il grande Crocifisso ligneo seicentesco detto per la sua imponenza Su Monumentu, ossia il monumento, uuna bella scultura lignea seicentesca di fattura spagnola con le braccia snodabili per poter essere utilizzata nei riti de S’Incravamentu e di Su Scravamentu, ed inoltre i simulacri del Cristo Crocefisso e della Madonna Addolorata. La Chiesa dipende dalla parrocchia di San Giacomo di Villanova. L’Arciconfraternita della Vergine della Santissima Solitudine e le cerimonie della Settimana SantaLa Chiesa è sede dell’Arciconfraternita della Vergine della Santissima Solitudine ossia della Confradia de Nuestra Señora de la Soledad, probabilmente derivata da una preesistente Pia Associazione cinquecentesca, fondata nell’ormai scomparsa Chiesa di San Bardilio nei pressi del colle di Bonaria nei primi anni del diciassettesimo secolo ed aggregata all’Arciconfraternita della Santissima Trinità di Roma nel 1616. Pochi anni dopo, nel 1638, il sodalizio si trasferisce dalla sua sede originale, a quella attuale, la Chiesa di San Giovanni, anche per facilitare l’assolvimento di uno dei numerosi compiti di assistenza al paesenza nella vita materiale e spirituale assunti dai confratelli, quello di scortare in Cattedrale i simulacri del Crocifisso e della Madonna nell’ambito dei riti della Settimana Santa. Dal 1878 il ramo femminile del sodalizio si dedica al culto della Vergine e alla cura del simulacro utilizzato nei riti dedicati alla Nuestra Señora. La Domenica delle Palme, nel mattino, in tutte le parrocchie cittadine si rievoca l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, con una processione nel corso della quale i fedeli agitano rami di palma intrecciati. Ed a mezzogiorno, gli appartenenti all’Arciconfraternita si ritrovano nella Chiesa di San Giovanni, dove si assiste alla rimozione dal suo altare laterale del grande Crocifisso ligneo seicentesco detto Su Monumentu per la sua imponenza, ed alla sua solenne esposizione, dopo la quale viene riposto nel suo altare laterale. Il Mercoledì Santo viene effettuata la Vestizione, ossia viene vestita a lutto la statua della Madonna Addolorata, ed il Giovedì Santo si esegue il rito de S’Incravamentu, ossia si inchioda alla croce il simulacro del Cristo, che viene seguito dall’adorazione del Cristo. La celebrazione più suggestiva e commovente si svolge il Venerdì Santo, con la rappresentazione del funerale di Cristo. La processione è organizzata dai membri dell’Arciconfraternita, e dalla Chiesa di San Giovanni percorre tutto il centro storico per arrivare alla cattedrale. Il corteo è strutturato come quello che in antico provvedeva ad accompagnare al patibolo i condannati a morte. Due tamburini, in testa, suonano una marcia funebre, seguiti da due stendardi neri sui quali sono dipinti i simboli della passione di Cristo. Quattro fanali in argento sbalzato inquadrano le due Croci di penitenza dei confratelli e delle consorelle, le quali procedono in due file parallele, vestite completamente di nero e con il volto velato, portando in mano una candella accesa. Sopra la statua del Crocifisso è steso un ampio baldacchino di colore bianco, non a lutto, a significare che la morte di Cristo deve considerarsi un dono per la vita. Segue il simulacro della Madonna Addolorata, con il petto trafitto dalla spada dei sette dolori, ai cui piedi due bambini simboleggiano San Giovanni e Maria Maddalena. Chiudono il corteo i cantori in saio bianco, che ad ogni tappa intonano lugubri e struggenti inni ai patimenti di Cristo e di Maria. In corrispondenza all’ora della morte di Gesù, le tre del pomeriggio, il crocifisso fa il suo ingresso solenne in cattedrale, il simulacro viene quindi Calato e deposto al centro del transetto settentrionale, nella Cappella di re Martino, dove rimane in venerazione fino al giorno successivo. Subito dopo l’Addolorata, con la Confraternita, fa ritorno nella Chiesa di San Giovanni. La mattina del Sabato Santo viene dedicata al rito de Su Scravamentu, ossia alla deposizione dalla croce del Cristo morto. A metà mattina nella cattedrale, dove l’Arciconfraternita ha trasportato la lettiga processionale, il simulacro viene trasportato in processione lungo la navata laterale sinistra, posizionato nel mezzo dell’aula, il simulacro viene schiodato dalla croce e deposto nella lettiga. Coperta dal solito velo bianco quest’ultima rimane in venerazione ai piedi del presbiterio, mentre i chiodi e la corona di spine vengono portati via. In seguito, nel pomeriggio del Sabato Santo, Si svolge il rito de S’Interru, ossia il corteo funebre per il rientro del Cristo Morto nella Chiesa dalla quale era uscito, per quello che dovrebbe essere il suo seppellimento. I confratelli si recano in processione nella cattedrale, dove una loro staffetta si è già presentata per reclamare il possesso del simulacro, che altrimenti, secondo la tradizione, passerebbe di diritto al capitolo canonicale. I due bambini impersonanti San Giovanni e la Maddalena riportano sul simbolico monte Calvario i tre chiodi e la corona di spine, e, di fronte alla bara, la Madonna dismette la sontuosa raggiera in argento ed indossa il serto di rovi con cui Gesù era stato deriso e martoriato. La statua di Cristo morto, deposto sulla lettiga rivestita di veli e pizzi, viene ricondotto, con una lunga processione notturna per le vie della città, nella Chiesa di San Giovanni, dove la messa di mezzanotte celebra la Domenica di resurrezione. La Domenica in Albis nella parrocchiale di San Giacomo e nella Chiesa ed Oratorio del Santissimo Crocefisso, ed il Lunedì successivo anche nella Chiesa di San Giovanni Battista, si svolge il rito de Is Inserrus, ossia la ricollocazione nelle Chiese dei simulacri del Cristo e della Madonna. Nel tardo pomeriggio del lunedì, vengono ricollocati dall’Arciconfraternita della Solitudine nelle rispettive cappelle della Chiesa di San Giovanni i simulacri di Cristo e della Madonna appartenenti all’Arciconfraternita della Solitudine. La Chiesa di San CeselloProseguendo per meno di duecento metri lungo la via San Giovanni in direzione nord est, vediamo alla sinistra della strada la facciata della Chiesa di San Cesello costruita nel 1702 per essere la sede del gremio dei bottai, ossia degli scaricatori di vino, fino ad allora ospitato nella Chiesa di Sant’Antonio vicino alla porta Cavagna, dal nome di un tipo di cesta usata dai contadini, che collegava un tempo il quartiere Villanova con le vicine campagne. È stata intitolata a San Cesello poiché in quel luogo, secondo la tradizione popolare, sarebbero stati martirizzati, nel quarto secolo, il soldato Lussorio, in seguito santificato con il nome di San Lussorio, insieme a due bambini di nome Camerino e Cesello. La tela ospitata nella parte destra dell’altare è particolarmente interessante, perché vi è rappresentata la porta Cavagna, demolita nel diciannovesimo secolo, così come doveva presentarsi nel diciottesimo secolo. La Chiesa dipende dalla parrocchia di San Giacomo di Villanova. La Chiesa di San Mauro con l’annesso convento dei Frati Minori FrancescaniPercorrendo altri quasi duecento metri sulla lunga via San Giovanni, fino quasi alla sua fine, raggiungiamo la Chiesa di San Mauro che è officiata dai Francescani dell’Ordine dei Frati Minori, che dimorano nell’annesso convento. Deve la sua intitolazione al rinvenimento, nel 1620, nella necropoli della Basilica di San Saturnino, delle reliquie del Martire Mauro, nel contesto della ricerca dei Corpi Santi. Edificata nel 1650 sulla preesistente piccola Chiesa della Vergine della Salute, ha una bella facciata color ocra chiaro in parte modificata in stile classico nel 1935, scandita da cornici e lesene, ed un unico portale, dal quale si accede a un’unica navata, con volta a botte, tre cappelle per lato, e presbiterio a pianta rettangolare. È molto bello il chiostro del convento, con al centro una cisterna di raccolta dell’acqua. La Chiesa dipende dalla parrocchia di San Francesco d’Assisi, nel quartiere la Vega. La piccola Chiesa di San RoccoPrendiamo a destra della Chiesa di San Mauro, la via Macomer, dopo una cinquantina di metri svoltiamo a sinistra in via Ozieri. Prima che questa continui sulla via San Rocco, prendiamo a sinistra il Vico San Rocco che ci porta a vedere la Chiesa di San Rocco una piccola Chiesa che si trova all’interno di un cortile accessibile solo dalla via Ozieri, subito dopo l’incrocio con il vico. La sua costruzione si fa risalire al diciassettesimo secolo, e si ipotizza che l’intitolazione a San Rocco sia riconducibile allo scioglimento di un voto, espresso forse quando la città venne colpita dalla peste, tra il 1652 e il 1656. Di certo si sa che la piccola Chiesa è stata la sede del Gremio dei lattai sino al 1864. L’edificio ha le linee semplici di una Chiesa campestre, pur trovandosi ormai in pieno centro di Cagliari, e la facciata a capanna presenta, sulla sinistra, un campanile a vela. La Chiesa dipende dalla parrocchia di San Giacomo di Villanova. Il Mercato Civico di San BenedettoPer andare a visitare il Mercato Civico di San Benedetto prendiamo la via San Rocco, che termina sulla via Ottone Bacaredda, la prima a destra è la via Tiziano, sulla quale si affaccia il lato destro del mercato, il cui ingresso si trova sul lato sinistro che è la parallela via Francesco Cocco Ortu, al civico numero 50. Inaugurato nel 1957, con i suoi 8.000 metri quadrati di esposizione su due livelli è il mercato più grande d’Europa, ed in esso ad oggi operano quasi 300 operatori. Al piano terra è situato il reparto ittico, mentre nel piano superiore ci sono i reparti ortofrutta, carni alimentari, generi vari e servizi. Nel visitarlo, ci si ritrova in un ambiente ricco di vita, di colori e dai profumi intensi, dove accanto agli abituali clienti è frequente incontrare tantissimi turisti. Il ristorante Cucine.eat al quale la Guida Michelin ha attribuito il Bib Gourmand ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Tre CocotteDalla facciata del Mercato Civico prendiamo verso sud la via Ottone Bacaredda, la seguiamo per circa duecentocinquanta metri, poi svoltiamo a sinistra la via Cesare Balbo che in una cinquantina di metri sbocca sulla piazza Galileo Galilei. In questa piazza, al civico numero 1, si trova il ristorante Cucina.eat, uno dei sei ristoranti sardi ai quali la Guida Michelin ha attribuito il riconoscimento Bib Gourmand ed al quale il Gambero Rosso ha assegnato le Tre Cocotte. I giardini pubblici che ospitano anche la Galleria Comunale d’ArteAll’inizio della visita del quartiere Villanova, eravamo arrivati alla piazza Costituzione dalla quale prendiamo, alla sinistra dell’Antico Caffe, la via Regina Elena, la seguiamo per circa cinquecento metri ed arriviamo ad una rotonda. In largo Giiuseppe Dessì, proprio di fronte a noi, si trova l’ingresso del Giardini pubblici di Cagliari. Si tratta di un parco urbano situato al confine tra il quartiere Villanova ed il quartiere Castello, il più antico della città. Sorgesu un’area che il comune ha acquistato nel 1840, è ampio poco meno di 2 ettari, ed in esso sono presenti una sessantina di piante tutte centenarie, piante esotiche, palme, e due ficus magnoloidi oltre 125 anni. I giardini pubblici di Cagliari ospitano, al civico numero 2 di viale San Vincenzo, la Galleria Comunale d’Arte di Cagliari, che è ospitata in un edificio che risale alla fine del diciottesimo secolo ed era in origine una polveriera regia. una volta era una polveriera dell’arsenale di Cagliari, e vicino ad essa, fino al 2005, erano presenti due enormi cannoni risalenti al periodo di guerra, proprio all’interno del parco. Il Museo racchiude circa 250 opere tra pitture e sculture databili dalla metà dell’ottocento agli anni ottanta del Novecento, e altre 250 opere nelle stanze del collezionista. Oltre al patrimonio artistico, la galleria possiede anche una collezione di materiali etnografici della Sardegna datati tra la fine del 700 e la prima metà del 900, ed una raccolta di stampe. Usciamo dal quartiere storico di VillanovaPossiamo ora uscire dal quartiere storico di Villanova, e con questo abbiamo concluso la visita del centro storico di Cagliari, e possiamo recarci a vistare il resto della città. La prossima tappa del nostro viaggioDopo aver visitato il centro storico di Cagliari, nella prossima tappa del nostro viaggio Completeremo la visita della città di Cagliari. Vedremo i resti del periodo punico e romano nella zona sud occidentale della città, le Chiese della zona orientale e il famoso Santuario della Madonna di Bonaria. Ci recheremo poi a visitare Capo Sant’Elia con la Sella del Diavolo e la spiaggia del Poetto, il Castello di San Michele e la municipalità di Pirri. |