La città di Iglesias e la sua costiera con Masua, Porto Flavia, il faraglione detto Pan di Zucchero, e Nebida
In questa tappa del nostro viaggio ci recheremo a Iglesias uno dei due capoluoghi della provincia, per visitare la città con le sue molte Chiese, ed i dintorni con la miniera monteponi e con la grotta di Santa Barbara, e poi visiteremo la sua costiera con Masua, Porto Flavia, il faraglione detto Pan di Zucchero, e Nebida. L’Iglesiente nella regione storica del Sulcis-IglesienteL’area della regione storica del Sulcis-Iglesiente si estende a nord della valle del Cixerri. Confina a nord est con il Campidano ed ha una forma vagamente triangolare. Dell’Iglesiente (nome in lingua sarda S’Igresienti) fa parte il territorio con la regione metallurgica a nord della valle del Cixerri, che corispondeva all’antica curatoria del Sigerro facente parte del giudicato di Càralis, e comprende la parte occidentale della Provincia del Sud Sardegna. Il territorio dell’Iglesiente comprende i comuni di Buggerru, Domusnovas, Fluminimaggiore, Gonnesa, Iglesias e Musei. È un territorio in cui la natura è incontaminata, nei rilievi montuosi come nelle valli irrorate da fiumi che talvolta precipitano in spettacolari cascate, nelle profonde grotte. In viaggio verso IglesiasPartiti da Arbus la SS126 Sud Occidentale Sarda ci aveva portato nella regione storica del Sulcis Iglesiente, dove avevamo raggiunto l’abitato di Fluminiggiore. Usciamo, ora, da Fluminimaggiore verso sud, riprendiamo la SS126 Sud Occidentale Sarda, la seguiamo passando la frazione Sant’Angelo di Fluminimaggiore, superiamo il ponte sul lago Corsi, e la strada statale ci porta nell’abitato di Iglesias, uno dei due capoluoghi della Provincia di Carbonia ed Iglesias. Dal Municipio di Fluminimaggiore a quello di Iglesias abbiamo percorso 25.0 chilometri. La città di IglesiasLa città di Iglesias (nome in lingua sarda Igrèsias, altezza metri 200 sul livello del mare, abitanti 25.288 al 31 dicembre 2021) è un importante centro minerario, commerciale ed industriale, situato parte in pianura e parte in collina, in posizione pittoresca. L’abitato si trova sulla costa, a nord dei monti Sulcis, ed è attraversato dalla SS126 Sud Occidentale Sarda e subito a sud si sviluppa la SS130 Iglesiente. Agevole si presenta anche il collegamento con la rete ferroviaria, dato che la linea tra Decimomannu ed Iglesias, e quella tra Villamassargia e Carbonia, hanno uno scalo sul posto. Il territorio comunale, classificato di collina, presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate, comprende l’isola amministrativa San Marco e l’area speciale dei laghi di Gennarta e monteponi, ed ha conservato un notevole patrimonio boschivo e botanico. Iglesias è uno dei due capoluoghi della Provincia del Sud Sardegna, ossia della Provincia del Sud Sardegna, e, come diocesi di Iglesias, è sede vescovile erede storica dell’antica diocesi di Sulcis. Origine del nomeIl nome di Iglesias, presente nelle cronache antiche come Villa Ecclesiarium, è un derivato del latino Ecclesia, con il significato di Chiesa, nella sua forma plurale. Infatti, quasi ogni strada del centro ha una sua Chiesa, e proprio per questo Iglesias viene anche chiamata la città dalle cento Chiese. La sua economiaSi tratta di una città rivierasca che, accanto alle tradizionali attività agro pastorali, ha sviluppato un ampio tessuto industriale ed anche il turismo. L’agricoltura produce cereali, frumento, ortaggi, foraggi, vite, olivo e agrumi, e si pratica anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L’industria è costituita da numerose imprese che operano nei comparti alimentare, estrattivo, del legno, della stampa, della produzione di gas, della raccolta di depositi e distribuzione di acqua, della fabbricazione di articoli in gomma e in plastica, dell’industria metallurgica, meccanica, elettronica, della consulenza informatica, della fabbricazione di strumenti di misurazione, di strumenti ottici, dei mobili, della gioielleria e oreficeria, cantieristico ed edile. Per il terziario è presente una sufficiente rete commerciale, agenzie assicurative e fondi pensione. Grazie alla varietà dei suoi paesaggi ed ambienti, rappresenta uno dei luoghi più interessanti della Sardegna, che offre al turista diverse attrattive. Le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione e di alloggio. Brevi cenni storiciIl territorio nel quale sorge la città di Iglesias era già frequentato in periodo preistorico, dato che le tracce più antiche dell’insediamento umano, che risalgono alla Cultura di San Michele di Ozieri, sono le domus de janas presenti nell’area montuosa di San Benedetto, oltre a ritrovamenti relativi alle culture di Monte Claro, del Vaso Campaniforme e di Bonnanaro, rinvenuti nelle grotte circostanti, e ad ulteriori tracce di frequentazioni nuragiche. Presenti anche rinvenimenti archeologici di ceramiche fenicio puniche. Dominata dai Romani, specie per via delle miniere d’argento presenti sul territorio, tra il V e l’ottavo secolo cade sotto i Vandali ed i Bizantini. All’ottavo secolo risale la Chiesa tardo bizantina di San Salvatore, recentemente restaurata e recuperata, che è una testimonianza della presenza degli eserciti di Bisanzio. Dopo l’abbandono dell’isola da parte dei Bizantini, il territorio viene compreso nel Giudicato di Càralis, nel 1258, a seguito della spartizione del Giudicato, la parte occidentale passa ai conti della famiglia pisana dei Donoratico della Gherardesca, le due curatorie meridionali e Decimo vanno a Gherardo della Gherardesca, mentre la curatoria del Cixerri passa al conte Ugolino della Gherardesca. L’antica Villa Ecclesiae, ossia Villa di Chiesa, viene fatta edificare nella seconda metà del tredicesimo secolo dal conte Ugolino, che fa venire apposite maestranze dalla toscana e fa anche riattivare le miniere d’argento presenti nel circondario, già sfruttate durante il periodo dell’occupazione romana. L’intensa attività estrattiva, cosìcome la vita politica economica e sociale, vengono dal conte Ugolino disciplinate mediante una serie di leggi, raccolte in un codice suddiviso in quattro libri, conosciuto con il nome di Breve di Villa di Chiesa. In questo codice, riveste un ruolo di primaria importanza la regolamentazione dell’attività mineraria, soprattutto quella dell’estrazione dell’argento. I conti della Gherardesca, proprio ad Iglesias, fanno forgiare le prime monete d’argento, e la città viene denominata, dai Pisani, Argentaria, con riferimento al gran numero di risorse minerarie di tutto il territorio circostante. I della Gherardesca vi costruiscono un Castello detto di Salvaterra, e finanziano la costruzione di diverse Chiese, tra le quali la Chiesa di Santa Chiara, edificata fra il 1284 e il 1288, e quella di Nostra Signora di Valverde, costruita tra il 1285 e il 1290, mentre molte altre Chiese sorgono negli anni successivi, in virtù del forte attaccamento religioso degli abitanti della città. Dopo la morte del conte Ugolino avvenuta nel 1289 nella Torre della Fame di Pisa, dove era stato imprigionato nel 1288 a causa dell’accusa di sedizione e alto tradimento, i suoi possedimenti sardi vengno ereditati dal figlio Guelfo della Gherardesca che, sfuggito all’autorità di Pisa, si era stabilito a Villa di Chiesa. Guelfo porta avanti una politica di ostilità verso il potere centrale della repubblica di Pisa, e conia una moneta propria in argento, ed in seguito tenta di impadronirsi con la forza delle curatorie che erano passate a Gherardo della Gherardesca, occupando il Castello di Gioiosa Guardia presso Villamassargia. La risposta di Pisa non si fa attendere e nel 1295 le truppe della repubblica, guidate dallo zio avversario Ranieri della Gherardesca e da lupo villani, coadiuvate dalle forze di Mariano II di Arborea, assalgono Villa di Chiesa e la espugnano. Guelfo viene ferito nei pressi di Domusnovas e tenta, quindi, la fuga verso Sassari, ma muore a causa di un’infezione nell’Ospedale di Siete Fuentes, situato nel territorio del Giudicato di Arborea. Villa di Chiesa venne amministrata per un breve periodo dagli arborensi, per poi tornare sotto il controllo del comune di Pisa tra il 1301 e il 1302. Nel 1324 Villa di Chiesa viene conquistata dagli Aragonesi, dopo un assedio durato più di sette mesi, e viene poi ceduta alla famiglia Carroz. Verso la fine del 1353 si rivolta contro il governo aragonese e si schiera dalla parte di Mariano IV di Arborea, il quale aveva iniziato le ostilità contro di essi, ma, dopo la pace di Sanluri del 135 la città ritorna in mano aragonese. Nel 1365, con la ripresa del conflitto tra il Giudicato di Arborea e gli Aragonesi, Villa di Chiesa viene riconquistata da Mariano, per rimanere in mano arborense fino al 1388, quando, a seguito del trattato tra Eleonora d’Arborea e Giovanni I d’Aragona, viene restituita agli Aragonesi. Nel 1391 la città si rivolta nuovamente contro gli Aragonesi, accogliendo le armate giudicali di Brancaleone Doria, ma viene ripresa definitivamente dagli Aragonesi nel 1409. In seguito viene coinvolta in una lunga lotta con la Santa Sede, che raggiunge il suo culmine con la scomunica comminata agli abitanti, che rifiutavano di pagare le decime al Vescovo in quanto se ne ritenevano esentati dal re Alfonso con una carta del 1332. La controversia si risolve soltanto nel diciottesimo secolo, con il passaggio della Sardegna ai Savoia. Nel corso del diciottesimo secolo, anche a causa dell’abbandono dell’attività mineraria, Iglesias e i suoi abitanti sono tra i maggiori protagonisti del ripopolamento contadino delle terre disabitate del basso Sulcis e dell’isola di Sant’Antioco. Passata ai Savoia nel 1720, a partire dalla metà dell’ottocento, grazie alla riapertura delle miniere, la città vive un periodo di rinnovamento economico, sociale e culturale. Molti tecnici e lavoratori provenienti da varie parti della Sardegna ma anche dal Piemonte e dal Bergamasco, si stabiliscono in città facendo sì che nel giro di circa quarant’anni la popolazione passi da cinquemila a 20.000 abitanti nei primi del Novecento. A partire dal secondo dopoguerra, però, il comparto minerario sardo entra in crisi, e gli effetti non tardano a coinvolgere anche l’Iglesiente e le sue miniere e la stessa città di Iglesias. Del comune di Iglesias, dal 2001, con la riorganizzazione delle province della Sardegna, viene cambiata la Provincia da quella di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, a quella nuova di Carbonia e Iglesias, della quale costituiva uno dei capoluoghi, ed in seguito, con la sua abolizione, nel 2016, passa alla nuova Provincia del Sud Sardegna. Iglesias in età aragonese viene elevata al rango di cittàIn età aragonese, Villa di Chiesa il 7 giugno 1327 viene elevata dal re Giacomo II d’Aragona detto il Giusto al rango di città regia, e viene a costituire una delle sette città regie, il che viene confermato dalla successiva dominazione spagnola. Esse non sono infeudate ma sottoposte alla diretta giurisdizione reale, e godono di privilegi e concessioni, derivanti dal loro status. Sostanzialmente le città hanno poteri amministrativi di autogoverno, che esercitano attraverso propri rappresentanti eletti chiamati consiglieri, sui quali l’amministrazione regia interviene per sancire o rigettare le decisioni assunte, tramite un rappresentante chiamato vicario, ossia Veguer, o podestà. Inoltre le città regie hanno anche poteri politici, in quanto i loro rappresentanti, chiamati sindaci, costituiscono uno dei tre bracci del Parlamento del regno, ossia dello stamento reale, e generalmente la rappresentanza è inibita ai nobili, che fanno invece parte dello stamento militare. Il governo sabaudo del Regno di Sardegna, utilizza ancora per gli stessi centri la terminologia di città, secondo la consuetudine diffusa in Piemonte, ma in modo puramente onorifico e senza privilegi. Titolo che viene confermato dal successivo regno d’Italia e dalla repubblica Italiana. I resti della cinta muraria medioevaleIl nucleo abitato era racchiuso da una cerchia di alte mura merlate, intervallate da venti torri a formare una pianta poligonale. Davanti alla cortina di mura, si trovava una palizzata di legno, con funzione di difesa, rafforzata da un fossato che serviva a tenere lontane truppe e macchine da guerra. Le mura avevano la peculiarità di essere realizzate con pietrame misto, disposto in corsi orizzontali, creando una disomogeneità che garantiva grande resistenza agli attacchi. L’accesso all’interno di Villa di Chiesa avveniva attraverso quattro porte, la porta Maestra, di fronte alla strada per Cagliari la porta Castello, oggi nelle vicinanze del Cimitero; la porta Sant’Antonio, sulla strada per Fluminimaggiore; e la porta Nuova, sulla strada per Gonnesa. Tra la porta Castello e la porta Sant’Antonio si trovava il colle di Salvaterra, dove è stato eretto il Castello. A causa degli eventi bellici che la videro coinvolta, la città di Iglesias con le sue mura fu più volte danneggiata e ricostruita, ed ancora ’oggi la cinta muraria medioevale è ben visibile per lunghi tratti. A Iglesias è nato Fosio FoisA Iglesias è nato il pittore Foiso Fois, autore di molte opere importanti nell’arte sarda, tra le quali il trittico La Sardegna verso l’Autonomia, che non è stato, però, ultimato. A Iglesias nasce nel 1916 Foiso Fois. Nel 1938 consegue a Cagliari il diploma di Perito Agrario, poi si trasferisce a Genova dove nel 1939 si iscrive a Economia e Commercio. Per i bombardamenti ripara a Firenze dove, nel 1942, si laurea ed inizia la sua formazione da pittore autodidatta. Si stabilisce quindi in Piemonte, entra tra le brigate partigiane, arrestato dai nazisti nel 1944 grazie ad uno scambio con un prigioniero tedesco viene rilasciato. Dal primo dopoguerra è militante socialista. Nel’47 consegue il diploma all’Accademia Albertina, espone a Cagliari con una presentazione di Salvatore Cambo su e partecipa a Roma alla Mostra Itinerante degli Incisori sardi. Nel’48 si stabilisce a Cagliari e tra il’49 e il’50, partecipa ad alcune collettive a Venezia, Cagliari e Roma. alla sesto Quadriennale d’Arte di Roma presenta l’opera Mondine, ed espone alla IV mostra regionale d’Arte di Cagliari un olio e una xilografìa sul tema della Mattanza. Nel’55 partecipa alla settimo Quadriennale d’Arte di Roma e vince una borsa di studio per un soggiorno in Spagna. L’anno successsivo partecipa alla personale presso la Hill’Gate Gallery di New York. È del’57 la serie I girasoli, e, tra le altre sue opere più significative, Eleonora d’Arborea del 1957, che con La Rivoluzione di Giovanni Maria Angioj del 1958 avrebbero dovuto far parte del trittico La Sardegna verso l’Autonomia, mai ultimato. Tra il’70 e il’71 dipinge gli otto grandi pannelli informali Storia di Sardegna, mentre è del’72 la sua mostra antologica. Dal’60 direttore del liceo Artistico di Cagliari, ne diviene preside dal’73 al’76. Nel’77 realizza la grande tela de L’uomo, l’imponente Cristo destinato alla Chiesa di San Pio X a Cagliari. Nel’82 il comune di Milano organizza una sua retrospettiva al palazzo dell’Arengario. Nel 1984, muore a Cagliari. |
Le principali feste e sagre che si svolgono a IglesiasA Iglesias sono attivi il Gruppo Folkloristico città di Iglesias ed il Gruppo Folk Is Meurreddus, i cui componenti si esibiscono nelle principali feste e sagre che si svolgono nel comune ed anche in altre località. Tra le principali feste e sagre che si svolgono a iglesias citiamo i riti della Settimana Santa, che si tengono ininterrottamente dal diciassettesimo secolo; la domenica successiva al 2 luglio si tiene la Festa della Madonna delle Grazie; nella prima decade di luglio ricorre la Mostra Sulcis di artigianato sardo; il 12,13 e 14 agosto si celebra la Festa di Santa Barbara; il 13 agosto si svolge il Corteo Storico Medioevale; il 14 agosto si celebra la Festa di Santa Chiara, ossia si festeggia la Patrona; il 15 agosto nel centro storico si svolge la Festa di Sancta Maria di Mezo Gosto, con la processione dei Candelieri; il 21 agosto si svolge la Festa di San Pio X; nel mese di ottobre, si svolgono la Mostra d’arte e il Premio di letteratura e giornalismo; la terza domenica di ottobre si svolge la Festa della Vergine del Buoncammino; a fine novembre si tiene la Mostra dell’argento. Le celebrazioni della Settimana Santa a IglesiasLe celebrazioni della Settimana Santa in occasione della Pasqua ad Iglesias, come nel resto della Sardegna, risalgono alla fine del seicento risentondo profondamente della dominazione spagnola e sono organizzate dall’Arciconfraternita del Sacro monte. Il corpo dei Confratelli, detti anche Germani adattando lo spagnolo Hermanos, era un tempo formato dalla classe nobiliare, e la loro lunga tunica bianca inamidata e guarnita di fiocchi neri, è di chiara influenza spagnola. Sfilano in processione in rigoroso ordine di anzianità, con il voluminoso cappuccio bianco, detto Sa Visiera, abbassato. Il Martedì Santo La croce dell’Arciconfraternita apre la Processione dei Misteri, con sette simulacri a ricordo della Passione di Gesù: Gesù nell’orto degli ulivi la cattura; la flagellazione alla colonna, attribuito allo scultore Giuseppe Antonio Lonis della Scuola di Stampace; l’Ecce Homo altro simulacro attribuito a Lonis; la salita al Calvario; la Crocifissione di un simulacro ligneo snodabile del Cristo risalente alla seconda metà del diciassettesimo secolo; la Madonna addolorata. I simulacri sono portati a spalla dai giovani Baballottis, che indossano abiti bianchi penitenziali in segno di purificazione, che ricordano quelli degli antichi flagellanti che sin dal tredicesimo secolo caratterizzavano con la loro presenza i principali momenti di fede della città. Rigorosamente incappucciati, come i Germani del Santo monte, sfilano per i selciati della città vecchia in religioso raccoglimento. Il Mercoledì Santo nella Chiesa di San Michele viene celebrata una messa molto sentita dalla popolazione, al termine della quale vengono distribuiti ai fedeli i ramoscelli di ulivo e i fiori che componevano il simulacro di Gesù nell’orto degli ulivi. Il Giovedì Santo, dopo il tramonto del sole, si svolge la Processione dei Sepolcri, detta anche processione dell’Addolorata-Simulacro della Madonna, nella ricerca simbolica del Figlio, viene fatto entrare in sette Chiese cittadine in cui è allestito il Santo Sepolcro. Al ritmo lugubre dei tamburi e fra lo strepito delle Matraccas, tavolette di legno dotate di una parte dentellata che producono un caratteristico rumore e sostituiscono dopo la morte del Cristo le campane che riprenderanno a suonare solo dopo la resurrezione, si celebra, immutato da secoli, il rito del funerale di Gesù. Il Venerdì Santo, di prima mattina, si snoda la Processione di Gesù che porta la croce al Calvario, seguito, poco lontano, dall’Addolorata. anticamente altri due momenti segnavano il Venerdì Santo, due riti ormai scomparsi: Su Scravamentu, vietato alla fine dell’ottocento forse per tumulti, e successivamente le Tre ore di agonia, scomparso alla fine degli anni ’40 al mutare dei tempi e della liturgia. Ma la processione più attesa e suggestiva è quella del venerdì sera, che rappresenta il funerale di Gesù. Non il vero funerale ma una sua rivisitazione con spirito spagnolo, barocco e pomposo. Aprono il corteo Is Vexillas, gli stendardi, accompagnati da San Giovanni e dalla Maddalena, impersonati da due bambini vestiti con foggia orientale. Seguono Is Varonis, dallo spagnolo varon, ossia uomo, che rappresentano Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, vestiti con ampi mantelli di velluto marrone che portano in mano tenaglie e martelli e sono accompagnati da due anonimi aiutanti. Infine, sotto il baldacchino, il seicentesco simulacro di Gesù a grandezza naturale, raffigurato morto, mentre in fondo al corteo sfilano i confratelli dell’Arciconfraternita con il simulacro dell’Addolorata. Ancora dietro, la grande croce portata dai penitenti, il clero e il popolo. Nella notte della Domenica di Pasqua, al canto del Gloria, mentre le campane riprendono a suonare a festa, entra in Cattedrale il Gesù Risorto. Quindi la mattina si svolgono Due processioni, una dalla Chiesa di San Giuseppe con la Madonna e i due ragazzi impersonanti la Maddalena e San Giovanni l’altra dalla Cattedrale con il Gesù Risorto. Le processioni si incontrano nell’ampio spiazzo da via Gramsci alla piazza Sella, e procedono in un’unica processione fino alla cattedrale. Lungo il percorso, si infilano nelle stanghe delle portantine delle statue, i tradizionali pani votivi detti Coccois de Pasca. Il Corteo Storico MedioevaleTra le varie manifestazioni che si svolgono ad Iglesias, una delle più importanti è senza dubbio il Corteo Storico Medioevale, che si svolge il 13 di agosto. Il corteo è un evento molto particolare e suggestivo, soprattutto per la bellezza degli indumenti tipici medioevali che vengono indossati da centinaia di partecipanti. La manifestazione si svolge nel cuore del paese medioevale percorrendo le vie del centro storico, i partecipanti sfilano accompagnati dal suono dei tamburi, delle chiarine e dalle evoluzioni molto particolari degli sbandieratori. I figuranti che partecipano alla sfilata appartengono ai quattro quartieri storici, ossia Castello, Santa Chiara, fontana e il quartiere di Mezo, alle associazioni, corporazioni e gruppi storici cittadini, e di altri sodalizi soprattutto di alcuni comuni toscani come Pisa, lucca, San Sepolcro, Castiglion Fiorentino, Massa Marittima e altri ancora. La Festa di Sancta Maria di Mezo Gosto con la processione dei CandelieriLa Festa di Sancta Maria di Mezo Gosto, con la Processione dei Candelieri in onore dell’Assunta, è una manifestazione storica di carattere religioso di origine medievale, riconducibile probabilmente al periodo di dominazione pisana della città, anche se non sono da escludere influenze più antiche. Tale evento si svolge il 15 agosto nelle vie del centro storico, ed è ampiamente documentato nel Breve di Villa di Chiesa, che descrive nei minimi particolari il numero e il gremio o quartiere di appartenenza dei Candelieri, e quali personalità civili prendevano parte in maniera ufficiale alla processione. I Candelieri sono attualmente otto e sono così suddivisi: Università di villa, Gremio della Montagna, Gremio dei Vinajuoli, Gremio dei lavoratori: artigiani, quartiere di Santa Chiara, quartiere di Mezo, quartiere di fontana, quartiere di Castello. La rinascita della Festa è avvenuta nel 1992 grazie al ritrovamento e al restauro della colonna di un candeliere nell’aula capitolare della cattedrale, e, come conseguenza di questo rinvenimento, si è formata nel 1993 l’Associazione dei Candelieri della Beata Vergine Assunta, che ogni anno cura la manifestazione. Visita del centro storico della città di IglesiasL’abitato di Iglesias, interessato da un fenomeno di forte crescita edilizia, mostra un andamento altimetrico tipico delle località collinari. Iglesias è caratterizzata dalla presenza, nella città vecchia, di numerose Chiese medioevali di notevole pregio artistico, qQuasi ogni strada del centro ha una sua Chiesa, e proprio per questo Iglesias viene anche chiamata la città dalle cento Chiese. Il centro storico, sormontato dal Castello di San Guantino, conserva ancora parte delle mura e delle torri pisane che lo cingevano. Intorno alla centrale piazza Municipio si sviluppa tutta la città, realizzata a scacchiera secondo la tradizione pisana. Entriamo da nord con la SS126 Sud Occidentale Sarda che, all’interno dell’abitato, assume il nome di via Sant’Antonio, che diventa via fontana, e porta in piazza Faenza. Qui si arriva a una biforcazione, che sulla sinistra prosegue con la via Eleonora, mentre a destra si immette sulla via Felice Cavallotti. La Chiesa di San DomenicoPrendiamo la via Felice Cavallotti, e, percorse alcune decine di metri nella parte alta del centro storico, troviamo, alla sinistra della strada, la Chiesa di San Domenico che sorge nell’area in cui, in epoca medioevale, era ubicata la Chiesa della Santissima Trinità menzionata nel Breve di Villa di Chiesa. Edificata nel 1610 in stile tardo gotiche, riflette la fase di ritorno della cultura medioevale attuatasi con la Controriforma, tra la fine del cinquecento e i primi del seicento. alla Chiesa è stato annesso un convento di Frati Domenicani, con l’impegno di impartire gratuitamente l’istruzione ai bambini poveri, e la Chiesa è conosciuta anche col nome di Cresia de Is Piccioccheddus, ossia Chiesa dei bambini, perché secondo la tradizione i bambini avrebbero partecipato alla sua costruzione. La facciata presenta un portale inquadrato da colonne corinzie ed architrave, sormontato da un arco trilobato in cui si apre una piccola finestra. Ai lati altre due colonnine sostengono un piccolo timpano. L’interno ha una sola navata, divisa in quattro campate da archi a sesto acuto in blocchi di trachite rossa, con due cappelle per lato, con volta a botte, tranne la seconda a sinistra, quella dedicata all’Assunta, coperta con cupola a padiglione. Da rilevare in questa Chiesa l’assenza del presbiterio, che è stato completamente demolito per la costruzione dell’attuale via Eleonora, e quello che un tempo era l’arco d’accesso è, oggi, interrotto dal muro di fondo, sul quale si trovano due monofore, a sesto acuto, con vetri policromi. In alto, al centro, una nicchia ospita il simulacro di San Domenico. All’interno conserva un inestimabile crocifisso in avorio seicentesco. La Chiesa della Vergine Purissima nota anche come Chiesa del CollegioPresa la via Felice Cavallotti, che diventa la via Cannavera e poi la via Mannu, e, percorsi centottanta metri dalla Chiesa di San Domenico, arriviamo in piazza del Collegio, dove, sulla destra, si trova la facciata della Chiesa della Vergine Purissima nota anche come Chiesa del Collegio, In ricordo della sua appartenenza all’Ordine dei Gesuiti. È stata costruita alla fine del cinquecento in stile tardomanieristico, e costituisce un bell’esempio, unico in città, dell’architettura tipica della Controriforma, con una facciata, estremamente semplice intonacata di bianco, che incarna perfettamente gli ideali di rigore e sintesi propri della Compagnia di Gesù, che contrasta con il rosso della vulcanite con cui sono realizzate le lesene e le cornici che inquadrano il portale. Al centro si trova lo stemma selle Compagnia di Gesù, mentre sotto, nell’architrave che inquadra il portale, uno stemma nobiliare, forse quello della famiglia Serra, e sopra una finestra rettangolare, anch’essa inquadrata da cornici sagomate in trachite rossa. Sulla sinistra sorge il campanile di pianta quadrangolare, con bifora nella parte terminale. L’interno è caratterizzato da un’unica ampia navata, con volta a botte a tutto sesto, con tre cappelle laterali per lato, anch’esse voltate a botte e rialzate rispetto al corpo dell’aula. La zona presbiteriale, leggermente sopraelevata rispetto al piano del calpestio della navata, accoglie un sontuoso altare barocco in marmo con decorazioni policrome, colonne tortili su capitelli corinzi, e putti, posti in alto sui lati, come coronamento. alla fine del diciassettesimo secolo risale la realizzazione della cantoria, costruita sul modello di quella della Chiesa di San Michele di Cagliari, mentre al Novecento risalgono gli ultimi interventi decorativi, ossia i dipinti della seconda e terza Cappella sinistra, realizzati tra il 1906 e il 1908 dal pittore Luigi Cambini e da collaboratori. Quando nel 1774 i Gesuiti lasciano la città, la Chiesa rimane in stato di completo abbandono, fino al 1808, quando il re Vittorio Emanuele I la cede al Vescovo di Iglesias, che provvederà al suo restauro. Il Teatro ElectraDalla piazza del Collegio, prendiamo verso sinistra la via Giuseppe Verdi, che è una strada pedonale, ed, in una cinquantina di metri, ci porta nel pieno centro storico in piazza Picchi, dove si trova il Teatro Electra una struttura voluta, intorno al 1930 e con finalità di cinematografo, dal farmacista Pietro Murroni, che aveva ristrutturato il vecchio monte Granitico che si affacciava sulla piazza, sulla quale c'’era anche la sua farmacia. Trent’anni fa la sala cinematografica era stata chiusa per mancanza di persone che riuscissero a gestirla. Solo intorno al 1990 si comincia a parlare di riapertura del locale, previa ristrutturazione e adattamento a Teatro, e, dal 2010, viene consegnato alla fruizione del popolo delle cultura, utilizzato per ospitare opere liriche e concerti. Loggioni e platea testimoniano l’impegno profuso, anche se la sua capienza è di appena 180 posti a sedere. La Cattedrale di Santa ChiaraDalla via Giuseppe Verdi prendiamo, verso destra, il Vico del Duomo, che, in una sessantina di metri, costeggiando sulla sinistra il lato della cattedrale, ci porta nella centrale piazza Municipio, che si trova alla sinistra del Vico del Duomo. Su questa si affaccia, sul lato sinistro della piazza, la Cattedrale di Santa Chiara, unica al mondo dedicata a Santa Chiara di Assisi, definita cattedrale essendo la Chiesa più importante della diocesi, di cui costituisce il centro liturgico e spirituale, e che contiene la cattedra del vescovo della Diocesi di Iglesias della quale è patrono Sant’Antioco. La Chiesa è stata fatta edificare in stile romano gotico tra il 1284 ed il 1288, ed ubicata in posizione centrale rispetto alla cinta muraria dell’antica città medioevale. Indicazioni precise sulla data di edificazione ci sono fornite da due epigrafi, un tempo poste ai lati delle porte principali e oggi rimosse per garantirne la conservazione, che menzionano i podestà Guidone de Sentate e Pietro Canino, che governarono in città quando la Chiesa venne costruita. La prima epigrafe, scritta in latino, è datata tra il 24 settembre 1284 e il 24 marzo 1285, mentre la seconda, scritta in volgare toscano, presenta come unico riferimento cronologico la menzione del conte Ugolino della Gherardesca, politico di fazione ghibellina insignito nel 1284 della carica di podestà di Pisa da lui mantenuta fino al 1288, nominato Vicario di Sardegna dal re Enzo di Svezia. La Chiesa è Cattedrale dal 1503, quando la sede della diocesi viene trasferita da Tratalias a Iglesias, al 1513, anno di soppressione della cattedra sulcitana. Nella seconda metà del cinquecento la Chiesa viene radicalmente rinnovata, questa volta in stile gotico catalano, ed infine nel 1736 riacquista definitivamente il titolo di cattedrale. La facciata a capanna, originaria della fabbrica duecentesca, è divisa in due ordini da una cornice. Nella zona inferiore si apre il portale romanico architravato e sormontato da un arco a tutto sesto. Il livello superiore, in stile gotico, presenta al centro un rosone, affiancato da due arcate ogivali, e sormontato da una teoria di archetti trilobati che seguono l’andamento degli spioventi. A destra si innalza il campanile trecentesco, a canna quadra, che ospita una campana risalente al 1338, fusa da Andrea di Guidotto, appartenente ai discendenti di Bartolomeo Pisano. L’interno si presenta dopo i restauri cinquecenteschi, con pianta a croce latina, navata unica, due cappelle per lato, transetto e abside quadrangolare. Archi a sesto acuto suddividono l’aula in quattro campate coperte da volte stellari, le quali rivestono particolare importanza per le loro raffigurazioni che rimandano alla sensibilità artistica e religiosa dell’epoca spagnola. La gemma centrale della prima volta reca scolpito il crocifisso, quella della seconda campata una scena del martirio di Sant’Antioco, mentre la terza volta ha al centro la figura a tutto tondo di Sant’Antioco orante. La volta presbiteriale presenta al centro il Cristo nelle vesti di Giudice alla fine dei tempi, mentre nelle gemme o chiavi minori sono raffigurati rispettivamente Santa Chiara, San Sebastiano, Sant’Antioco e San Giovanni Evangelista. Sulle pareti della navata si trovano due cappelle per lato, la prima a sinistra già dedicata al Santissimo Sacramento, ospita un altare nella cui nicchia si trova il simulacro della Vergine del Rosario, mentre quella a destra dedicata a San Nicola accoglie il seicentesco simulacro del vescovo di Mira. Nell’attuale transetto sinistro, che è risultato dell’ingrandimento di una piccola Cappella cinquecentesca dedicata a Sant’Antioco, si trova un grande altare settecentesco realizzato in legno di ginepro intagliato e dorato, che ancora oggi si impone con la sua mole. Nella nicchia centrale del secondo ordine si conservava fino al 1851 l’urna di argento che conteneva le reliquie del Santo. Nelle nicchie laterali del primo ordine si trovano i seicenteschi simulacri di San Benedetto e di Santa Chiara, e nell’ampia nicchia centrale si trova l’imponente statua tardo cinquecentesca di Sant’Antioco. Sulla parete destra di questa Cappella è posta un’epigrafe dell’ottavo secolo trovata nelle catacombe dell’isola di Sant’Antioco, e trasferita qui insieme alle reliquie del Santo. Nella parete opposta è invece inserita una lapide del 1763 che ricorda il ristabilimento dell’indipendenza della diocesi di Iglesias, che era stata unita a quella di Cagliari nel 1513. Il transetto destro, costruito nel 1841, ospita un altare in marmo policromo realizzato per il presbiterio nel 1769. Nell’abside è presente il coro realizzato in legno intagliato, mentre sulla parete di fondo si trova un imponente olio su tela settecentesco raffigurante Sant’Antioco, Santa Chiara e Sant’Agnese ai piedi della Vergine e della Trinità, indicata da un angelo. La Cattedrale viene definita anche un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la presenza al suo interno fino al 1851 delle reliquie di Sant’Antioco, e per la venerazione da parte dei fedeli dei simulacri suo e di diversi altri Santi. Il palazzo del comuneDi fronte alla cattedrale, sul lato destro della piazza Municipio, si trova l’ottocentesco Palazzo del comune che ospita la sede e gli uffici del Municipio di Iglesias. Nella piazza Municipio una lapide ricorda il grande poeta Sebastiano Satta. L’arcivescovado o palazzo vescovileTra la Cattedrale ed il palazzo Comunale, all’altro lato della piazza rispetto a dove ci si è arrivati dal Vico del Duomo, si trova l’Arcivescovado O Palazzo vescovile una costruzione composta da tre piani, dei quali uno è, dalla seconda metà del diciottesimo secolo, la residenza del Vescovo. Il palazzo vescovile è collegato con la Cattedrale di Santa Chiara fino dal 1906. La Chiesa di San Michele ArcangeloDa piazza Municipio, imboccando lungo la fiancata destra del palazzo vescovile, prendiamo la via Pullo, nella quale, alla destra della strada, troviamo a Chiesa di San Michele Arcangelo del sedicesimo secolo, caratterizzata da una forma tardogotica. La Chiesa è sede della Confraternita del Santo monte della Madonna della Pietà, che ha il compito di organizzare i riti della Settimana Santa. Il primo riconoscimento il sodalizio lo riceve il 16 novembre 1616 con l’elevazione al rango di Arciconfraternita. È stata costituita per l’assistenza all’Ospedale di San Michele e, fino al 1850, per l’assistenza ai condannati a morte, mentre oggi si occupa dell’assistenza ai bisognosi. La Chiesa di San Francesco con il convento FrancescanoProseguendo per una settantina di metri, troviamo alla sinistra della strada uno slargo, sul quale si affaccia, alla sinistra, la Chiesa San Francesco edificata in stile tardo gotico catalano, con l’annesso convento Francescano. Non essendoci fonti storiche rilevanti che riguardano l’arrivo dell’Ordine francescano in città, risulta difficoltoso datare con precisione l’avvio dei lavori di costruzione della Chiesa, comunque, secondo alcune fonti storiche, il complesso sarebbe sorto su un insediamento benedettino, mentre per altre sarebbe stato fondato quando i francescani arrivano in città al seguito degli Aragonesi, tra il 1326, anno in cui Alfonso, infante d’Aragona, comunica al fratello Pietro l’intenzione di fondare un convento di Frati a Villa di Chiesa, e il 1334, quando Pietro d’Aragona invia un finanziamento per garantire il proseguimento dei lavori. La costruzione dell’attuale edificio si colloca a partire dalla prima metà del quattrocento. La Chiesa ha una facciata realizzata interamente in trachite rossa, con tetto a capanna e spioventi sporgenti. Al centro un portale ligneo, inquadrato da esili colonnine sagomate, sormontato da un arco a sesto acuto, in alto un rosone con cornici, sopra il quale è collocata una piccola statua raffigurante la Alma redemptoris Mater. L’interno della Chiesa è a navata unica, con cappelle laterali, scandita in sette campate da archi a sesto acuto, che sorreggono la copertura lignea. L’abside risale al 1523, quando la Chiesa venne innalzata e dotata di una nuova copertura in sostituzione delle capriate. La quinta cappella, denominata Del Crocifisso, è dedicata ai caduti del primo conflitto mondiale, e sulla parete di fondo ospita un crocifisso in bronzo, realizzato dallo scultore sassarese Gavino Tilocca nel 1951. Nella stessa Cappella è conservata la lastra tombale che ricorda la sepoltura nella Chiesa del primo camerlengo catalano, Guglielmo De Rius, morto nel 1328, ed una statua in terracotta, databile intorno al quindicesimo secolo, che raffigura un frate seduto, l’unica rimasta delle sette del ciclo della Verna, raffiguranti scene della vita di San Francesco. La Chiesa conserva al suo interno il Polittico della Vergine, un retablo del 1560 di Antioco Mainas, il pittore della bottega di Stampace nato a Cagliari nel 1508, uno dei maggiori in Sardegna durante il periodo catalano, restituito alla Chiesa solo recentemente e collocato sulla parete di fondo del vano aggiunto alla prima Cappella di sinistra. A metà dell’ottocento, con la soppressione degli Ordini religiosi, la Chiesa e il convento diventano di proprietà Comunale, e viene sconsacrata. Solo nel 1928, dopo un restauro, viene riaperta al culto, e dal 1935 i Francescani riprendono possesso della struttura. Il Santuario dedicato a San GiuseppeDi fronte alla Chiesa di San Francesco, prendiamo la stretta via Don Giovanni Minzoni, che, dopo centoventi metri, incrocia sulla sinistra la via Baudi Vesme, ed a destra la via repubblica. Passato l’incrocio, la strada diventa la via Sassari, lungo la quale, alla destra, si trova il Santuario dedicato a San Giuseppe, edificato nel sedicesimo secolo in forme tardo gotiche, anche se i restauri dei secoli successivi hanno alterato in maniera irreversibile la forma originaria. L’edificio è una struttura molto semplice, tale da passare inosservata. Nonostante questo si tratta di una delle più antiche Chiese in dedicazione a San Giuseppe che si trovano nella zona. La Chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la presenza al suo interno della statua della Vergine che verràportata in processione nel giorno di Pasqua durante la processione de S’Incontru. In questi luoghi nel giorno di Pasqua viene celebrata la processione de S’Incontru. La processione parte dalla Chiesa di San Francesco con il Cristo Risorto, dalla Chiesa di San Giuseppe parte invece la processione con il simulacro della Vergine. Le due processioni si incontrano nell’ampio spiazzo da via Gramsci alla piazza Sella, dove le due statue vengono fatte inchinare per tre volte l’una di fronte all’altra in segno di saluto. Il martedì dopo la pasqua si conclude la settimana Santa, in quel giorno le statue si incontrano di nuovo inchinandosi per tre volte, per poi tornare nelle Chiese di provenienza. La Chiesa di Santa BarbaraArrivando lungo la via Don Giovanni Minzoni, all’incrocio prendiamo verso sinistra la via Baudi Vesme, che seguiamo per un centinaio di metri. Dove arriva da sinistra la via Roma, proseguiamo dritti sulla strada che diventa la via Roberto Cattaneo, e, dopo una sessantina di metri, prendiamo verso sinistra la via Amelia Melis de villa, e, in un’altra sessantina di metri, vediamo alla sinistra della strada il retro della Chiesa di Santa Barbara alla quale si accede dal cortile interno della Associazione di Volontariato Sodalitas, al quale si accede dal civico numero 1 della strada. La Chiesa sconsacrata di San MarcelloRitornati indietro lungo la via Roberto Cattaneo, prendiamo a destra la via Roma che ci porta verso il centro, la seguiamo per centotrenta metri poi prendiamo a sinistra la via San Marcello, che dopo una cinquantina di metri porta nella slargo sul quale si affaccia la Chiesa di San Francesco. A metà della strada, tra la via Roma e lo slargo, alla sinistra della strada si trova la Chiesa San Marcello. L’attuale edificio ha sostituito la Chiesa più antica, che è stata demolita agli inizi del Novecento per far posto alle Scuole Elementari. Sul luogo sono stati rinvenuti numerosi scheletri, dato che era un tempo il Cimitero della Chiesa ed Oratorio della Confraternita di San Marcello o della Buona Morte, incaricata del trasporto dei cadaveri al Camposanto. Quando la Chiesa ed Oratorio è stato espropriato per far luogo alla scuola, non c’è stato il completo recupero dei cadaveri inumati. La Chiesa è stata poi ricostruita a seguito di una causa giudiziaria tra il comune e la Confraternita. Il Museo dell’Arte Mineraria con di fronte i resti del chiostro di San Francesco al quale è addossata la torre PisanaPassata la via Marcello, proseguiamo lungo la via Roma per un altro centinaio di metri, e troviamo alla destra della strada il Museo dell’Arte Mineraria situato al pianterreno dell’Istituto Tecnico Minerario Giorgio Asproni. L’edificio viene inaugurato nel 1911, quarant’anni dopo l’Istituzione della Scuola per Capi Minatori e Capi Officina di Iglesias, sorta nel 1871 per iniziativa di Quintino Sella, il quale, nella relazione pubblicata negli Atti della Camera della undicesimo legislatura, riteneva necessaria la realizzazione di una Scuola che formasse i Capi Minatori e Capi Officina per le miniere della Sardegna, ed inanni recenti, vista la chiusura del settore minerario, si è avuta una variazione dell’offerta che attualmente presenta cinque indirizzi Tecnici e un corso liceo Scientifico. Al piano terra dell’Istituto è presente il Museo, che offre uno spaccato della vita mineraria in Sardegna, che ospita varie macchine in uso nelle miniere già dalla fine del diciannovesimo secolo, ed è arricchito da quattrocento metri di gallerie in sottosuolo, alcune didatticamente armate, iniziate nel 1934 come laboratorio per gli studenti. Queste gallerie diventano un iscuro rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale. All’altro lato della via Roma, a sinistra, si trova quello che resta del Chiostro del convento di San Francesco. LSi tratta delle parti restanti, riconducibili alla seconda metà del quattordicesimo, dell’antico convento annesso alla vicina Chiesa di San Francesco, che originariamente, comprendeva quattro bracci disposti in modo ortogonale intorno ad uno spazio verde, e sviluppati in altezza su due livelli di cui quello inferiore loggiato. Addiossata al fianco destro del chistro, si trova la Torre Pisana una delle torri difensive di Iglesias. La Chiesa della Madonna delle GrazieDi fronte al Museo, prendiamo la via Francesco Crispi, che, in circa cento metri, ci porta nella piazza Alessandro Manzoni. Qui troviamo, sulla destra, la Chiesa della Madonna Delle Grazie originariamente dedicata al Martire San Saturno, così come risulta anche dal Breve di Villa di Chiesa, tuttavia il ricordo dell’antico nome rimane vivo per molto tempo, come dimostra la documentazione conservata presso l’Archivio Storico Diocesano della Curia vescovile di Iglesias. La Chiesa, che in origine era ad una sola navata, viene costruita dai Pisani alla fine del tredicesimo secolo in uno stile tra il romanico ed il gotico, ma viene ristrutturata in stile barocco nel settecento. La facciata, divisa in tre ordini, documenta le tre principali fasi costruttive, dato che al tredicesimo secolo, in epoca pisana, risale il primo ordine, diviso in tre specchi da lesene in pietra squadrata, mentre la monofora a sesto acuto del secondo ordine è di epoca aragonese, e la parte superiore è di fattura settecentesca, con un timpano spezzato, e con il campanile a vela, a coronamento baroccheggiante. L’interno, rimaneggiato e ampliato a più riprese, ha pianta ad aula, con le campate divise da cinque archi a sesto acuto in trachite rossa, e con due piccole cappelle laterali, e copertura con spioventi in legno. La zona presbiteriale è sormontata da un’ampia cupola a padiglione, su tamburo ottagonale, recante la data del 1708. Nel presbiterio, sulla parete di fondo, entro una nicchia, viene conservato il simulacro ligneo di Nostra Signora delle Grazie, venerata dalla comunità iglesiente perché grazie alla sua intercessione la città sarebbe stata liberata dal flagello delle locuste nel 1735, anno del Voto. All’interno, sul muro sinistro, c’è una grata attraverso la quale le monache ricevevano la comunione, e questa è una testimonianza dell’antica presenza di un monastero di Clarisse, fondato nel 1620, come attesta una iscrizione sul portale, che era addossato sul lato sinistro dell’edificio. Dal 1735, la domenica successiva al 2 luglio vi si tiene la Festa della Madonna delle Grazie, a ricordo della sua intercessione per liberare la città da un’invasione di cavallette, avvenuta agli inizi del 1700. La Chiesa della Madonna della Misericordia o delle AnimeDalla piazza Alessandro Manzoni, proseguiamo lungo la via Angioy e, dopo un centinaio di metri, prendiamo verso destra la via Azuni, conosciuta anche come via del Commercio o via delle Anime, dove, al civico numero 25, si trova la Chiesa della Madonna della Misericordia nota anche come Chiesa delle Anime che si trova in una delle vie più popolose della città fra negozi di vario genere, una via di passaggio, di incontro della popolazione, per gli acquisti. Alcuni uomini e donne volgono lo sguardo verso la porta aperta, qualcuno fa un segno di croce, ma la gran parte entra per una visita più o meno prolungata. Da piazza Alfonso lamarmora la via Giacomo Matteotti ci porta in piazza Quintino Sella ed in piazza OberdanDalla via Angioy, prendiamo, invece, a sinistra la via Martini, che in un centinaio di metri ci porta nella Piazza Alfonso lamarmora al centro della quale si trova la Fontana Maimoni. Presa verso sinistra la Via Giacomo Matteotti che si dirige verso sud est, dopo duecento metri troviamo alla sinistra della strada la grande Piazza Quintino Sella al centro della quale si trova un monumento dedicato all’importante politico, mineralogista ed alpinista italiano. All’altro lato della piazza Quintino Sella, alla destra della via Giacomo Matteotti, si trova la Piazza Oberdan che custodisce al centro un Monumento dedicato ai caduti della Sardegna, realizzato dall’importante scultore nuorese Francesco Ciusa. Visita dell’abitato di Iglesias al di fuori dal centro storicoVisitiamo ora la parte esterna della città di Iglesias, con le diverse nuove Chiese parrocchiali e con tutto quello che si trova fuori dal centro storico, e nei suoi immediati dintorni. Il Presidio Ospedaliero CTO con la Chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di GesùEntriamo da nord con la SS126 Sud Occidentale Sarda che, all’interno dell’abitato, assume il nome di via Sant’Antonio, che diventa via fontana, e porta in piazza Faenza. Qui si arriva a una biforcazione, che a destra si immette sulla via Felice Cavallotti, la quale diventa la via Cannavera, poi la via Mannu, la via repubblica, la via Baudi Vesme, ed infine la via Roberto Cattaneo. Seguiamo quest'ultima per settecento metri, arrivando nel rione Case Operaie, poi, di fronte alla via Scarlatti che si affaccia alla destra della strada, mentre alla sinistra della strada si trova il Presidio Ospedaliero CTO ossia il Centro Traumatologico Ortopedico, la cui Cappella è la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù che è stata elevata al rango di una delle nuove Chiese parrocchiali della città di Iglesias. La Chiesa parrocchiale di San Paolo ApostoloPresa, alla sinistra del CTO, la via Giovanni Pintus, la seguiamo per centosettanta metri, poi prendiamo a sinistra la via Torquato Tasso, che ci porta nel rione Palmari. Seguita questa strada per centosettanta metri, prendiamo a sinistra la via Giacomo Leopardi, dove, alla destra della strada, al civico numero 7, si trova la Chiesa di San Paolo Apostolo un’altra delle nuove Chiese parrocchiali della città di Iglesias. Il Santuario dedicato al Cuore Immacolato di Maria che è una delle nuove parrocchiali della città di IglesiasDalla via Roberto Cattaneo, prendiamo verso il centro la via Roma e la sguiamo per duecentosettanta metri, poi prendiamo verso destra la via XX Settembre, e, dopo Centocinquanta metri, troviamo dulla destra della strada la vIa Fratelli Bandiera, dove, al civico numero 2, si trova in un ampio piazzale il Santuario dedicato al Cuore Immacolato di Maria, che è una delle nuove Chiese parrocchiali della città di Iglesias. La devozione al Cuore Immacolato e Santo della Madre del Signore ha origine dal Vangelo di Luca, che lo presenta come una fortezza dove Maria custodisce pensieri, stati d’animo e tutto ciò che succede come in un posto segreto. E meglio del cuore nulla è, dato che Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore, come scrive l’apostolo Luca nel suo Vangelo. La Chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la presenza al suo interno del simulacro della Vergine Maria con il Bambino, al centro delle celebrazioni religiose che si tengono in essa. Ogni anno il sabato successivo alla seconda domenica dopo pentecoste, ossia il sabato successivo alla Festa del Sacro Cuore di Gesù, in questa Chiesa parrocchiale viene celebrata a Festa del Sacro Cuore Immacolato di Maria, con una tre giorni di preghiera e di incontri di altro genere. Il Castello di Salvaterra o di San Guantino e le antiche mura pisane di IglesiasAll’ingresso in Iglesias da nord con la SS126 Sud Occidentale Sarda che, all’interno dell’abitato, assume il nome di via Sant’Antonio, svoltiamo a sinistra e imbocchiamo la via Ghibellina. Dopo una sessantina di metri svoltiamo leggermente a sinistra e imbocchiamo la via monte Altai, e, dopo circa ottanta metri, prendiamo tutto a destra per rimanere su via monte Altai, che, in un centinaio di metri, ci porta sul colle di Salvaterra, sul quale spicca il Castello di Salvaterra noto anche come Castello di San Guantino che sorge in posizione sopraelevata rispetto all’abitato, posizione che, oltre a garantire un vantaggio difensivo, gli consentiva di comunicare con gli altri castelli sparsi nel territorio, ossia con il Castello di Gioiosa Guardia, il Castello di Acquafredda e il Castello di San Michele di Cagliari. Proseguendo lungo la via Ghibellina, evitando la deviazione sulla via monte Altai, seguiamo un suggestivo percorso che passa tra orti e giardini, seguendo l’antico tracciato della strada che collegava la città al Castello, e proseguiamo sulla via Eleonora. Percorsi circa trecento metri, vediamo sulla sinistra i resti delle mura pisane che costituiscono il lato orientale delle fortificazioni del tredicesimo secolo, con la Torre di Guardia delle mura pisane. Il Presidio Ospedaliero Santa BarbaraLa via Eleonora sbocca sulla piazza Quintino Sella, la fiancheggia sul lato sinistro, e, passata la piazza, diventa la via Valverde. Percorsa una cinquantina di metri, prendiamo, alla sinistra, la via Corsica, che, in poco meno di duecento metri, ci porta in via San Leonardo, al Civico, numero 1, all’ingresso del Presidio Ospedaliero Santa Barbara. Si tratta di un Ospedale che garantisce prestazioni sanitarie di tipo diagnostico e ricoveri per la diagnosi, cura e riabilitazione di pazienti affetti da patologie mediche e chirurgiche, che necessitano di ricovero o di prestazioni ambulatoriali specialistiche. Lo stadio chiamato Campo Sportivo MonteponiPrendiamo la parallela alla via Giacomo Matteotti, dall’altro lato della piazza Quintino Sella, che si chiama via Valverde e si dirige verso sud est, e, dopo trecento metri, troviamo alla sinistra della strada il Campo Sportivo chiamato lo stadio chiamato Campo Sportivo Monteponi inaugurato il 20 giugno 1948. La principale squadra di calcio della città è la F.C. monteponi Iglesias, nata nel 1925, che milita nel girone A sardo di Promozione. L’altra squadra di calcio della città è l’A.S.D. Iglesias, nata nel 2009, che milita nel girone B sardo di Prima Categoria. Il Santuario dedicato alla Beata Vergine di Valverde che è diventata una delle parrocchiali della città di IglesiasLa via Valverde ci porta nel rione Valverde. Proseguendo per trecento metri, arriviamo a una rotonda, passata la quale, alla sinistra della strada, si trova il Santuario dedicato alla Beata Vergine di Valverde, che è diventato una delle Chiese parrocchiali della città di Iglesias. La Chiesa è stata edificata nel tredicesimo secolo non molto distante da una delle vie d’accesso alla città pisana, la cosiddetta porta Castello. Come per la sua contemporanea Chiesa di Santa Chiara, molte informazioni riguardanti questa Chiesa ci sono fornite dal Breve di Villa di Chiesa, che documenta che il servizio religioso veniva svolto dagli stessi cappellani della cattedrale. I Frati Minori Cappuccini, entrati in possesso della Chiesa, nel 1539 fondano vicino ad essa il loro convento, nel quale avrebbe dimorato tra il 1730 ed il 1340 lo stesso Sant’Ignazio da Laconi, e qui, un giorno, mentre vi attingeva l’acqua, gli sarebbero cadute inavvertitamente le chiavi della dispensa nei pozzo, al che Ignazio S’inginocchiò, e recitò devotamente tre Ave Maria alla Madonna, calò giù il bigoncio, e ne attinse le chiavi suddette. Del primo impianto, con pianta ad aula e copertura a capriate lignee, rimangono oggi solo alcuni tratti murari del lato sinistro e la facciata, che risulta divisa in due ordini da una cornice sagomata. Nel primo ordine si trova un portale ligneo con arco di scarico a tutto sesto, e nel secondo è presente, al centro, una bifora di vetri policromi e, più in alto, degli archi trilobati che seguono l’andamento del tetto a capanna. Dal 1592 gli Aragonesi modificano notevolmente l’edificio, l’aula viene divisa in campate da archi a sesto acuto, il presbiterio viene coperto da una volta stellare, e, lungo il lato destro, vengono aperte due cappelle. A ricordo dell’impianto originale si trova solo la facciata in pietra, insieme ad alcune sezioni delle mura laterali. La facciata è divisa in tre ordini da cornici in orizzontale. Sul primo ordine si trova il portale, sull’ordine centrale un decoro a bassorilievo con croce in un archetto semicircolare e una bifora in stile gotico inclusa in un arco con due oculi, ed il terzo ordine ospita il frontone. La facciata sulla sommità si conclude con una croce in pietra. La pianta dell’edificio è a singola navata con presbiterio di forma quadrata con cappelle e tetto ligneo. Le campate con quattro archi diaframma a sesto acuto suddividono lo spazio all’interno del Santuario. I Cappuccini, allontanati nella seconda metà dell’ottocento, in seguito all’espulsione di tutti gli Ordini religiosi, riprendono possesso dell’edificio soltanto negli anni cinquanta del Novecento. La Chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dovuta alla presenza al suo interno della statua della Vergine con il Bambino, e perché in essa ha dimorato per una diecina di anni Sant’Ignazio da Laconi. Il Cimitero monumentale ed il Cimitero di IglesiasPassata la rotonda e proseguendo lungo la via dei Cappuccini, che è la prosecuzione della via Valverde, la strada fiancheggia il lato destro del Cimitero monumentale di Iglesias, e, dopo duecento metri, a metà dalla fiancata, si trova l’ingresso del Cimitero, che è stato popolato a partire dal 1835, e contiene centinaia di tombe monumentali, tra cui spiccano 65 sculture di Giuseppe Sartorio. Proseguendo, invece, lungo la strada che ci ha portato alla Chiesa, si fiancheggia il lato sinistro del Cimitero di Iglesias, che si trova alla sinistra del Cimitero monumentale. La Stazione ferroviaria di IglesiasPresa sull’altro lato della piazza Quintino Sella la via Giuseppe Garibaldi, che è la continuazione della via Giacomo Matteotti, la seguiamo per trecento metri, e vediamo, alla sinistra della strada, la Stazione ferroviaria di Iglesias. Inaugurata nel 1872, la stazione di Iglesias viene costruita come stazione terminale della ferrovia tra Decimomannu ed Iglesias dalla Compagnia reale delle Ferrovie Sarde, dopo la stazione di Villamassargia Domusnovas. Nel 1898, la stazione viene raggiunta da un’altra linea che collega lo scalo con la stazione di monteponi, frazione del comune, sede di un importante sito minerario, ma la stazione non perde la caratteristica di stazione di testa, con la conseguenza che i treni diretti da Cagliari a monteponi e viceversa erano costretti a effettuare la giratura delle locomotive a Iglesias. In seguito, negli anni venti del Novecento, nel Sulcis Iglesiente vengono realizzate le ferrovie complementari ad opera della Società Anonima Ferrovie Meridionali Sarde, e si decide di girare il tronco da Iglesias a monteponi a queste ultime, che riconvertono la linea a scartamento ridotto, e dal 1926 i primi convogli della linea da Iglesias a Palmas Suergiu si attestano in Una nuova stazione confinante con la parte sud dello scalo ferroviario a scartamento ordinario. Buona parte del traffico merci e passeggeri nei due scali cittadini viene però a mancare dal 1956 in poi, a causa dell’apertura della ferrovia da Villamassargia a Carbonia, che porta nella stazione di Carbonia Stato buona parte dei viaggiatori e delle merci dirette a Cagliari da Carbonia e dai comuni limitrofi. Con la chiusura completa della rete delle Ferrovie Meridionali Sarde e della linea da monteponi a San Giovanni Suergiu nel 1974, la Stazione ferroviaria di Iglesias torna a essere l’unico scalo attivo nel comune. La Chiesa parrocchiale di San Pio X papaPercorrendo la via Giuseppe Garibaldi, circa centocinquanta metri prima di arrivare alla Stazione ferroviaria, prendiamo a destra la via XX Settembre, e, dopo centoventi metri, prendiamo a sinistra la via Crocifisso, che dopo seicento metri continua sulla via Cristoforo Colombo. Percorsa per quattrocentocinquanta metri, troviamo alla destra della strada, al civico numero 58 del corso Cristoforo Colombo, la Chiesa di San Pio X papa che è una delle nuove parrocchiali della città di Iglesias. La facciata dell’edificio, che si protende mediante un pronao articolato su tre campate verso lo slargo antistante, anticipa la cifra caratteristica dell’organismo architettonico, tutto percorso da uno slancio verticale che si potrebbe dire di matrice neogotica, ben rappresentata dall’altissimo campanile a vela in cemento armato, che svetta alla sua sommità. La Chiesa è infatti contraddistinta da un assetto plani volumetrico decisamente originale, caratterizzato nella sua pianta dall’adozione di uno schema forse ispirato alla forma geometrica del rombo, comunque rivisitata. Se la pianta del piano terra presenta uno sviluppo asimmetrico dei lati inferiori rispetto a quelli superiori, che risultano lunghi circa un terzo dei primi, la pianta del livello superiore poggia la copertura del nucleo centrale dell’edificio. Interessante anche la presenza di nervature che solcano la volta, richiamando anch’esse modelli gotici rivisitati in chiave moderna. Ogni anno, presso questa Chiesa parrocchiale, dal 18 al 20 agosto si svolge il triduo di preparazione con tre giornate di ringraziamento. In seguito il 21 agosto si celebra la Festa di San Pio durante la quale si svolgono diverse celebrazioni religiose, che viene seguita da altre cerimonie nei due giorni successivi. Alle cerimonie religiose si accompagnano anche diverse manifestazioni civili. La Chiesa sconsacrata del Santissimo SalvatoreSeguendo la via Cristoforo Colombo, centocinquanta metri prima di arrivare alla Chiesa, prendiamo a sinistra la via Leonardo da Vinci, e lo seguiamo per poco più di altri centocinquanta metri, poi, prima che la strada svolti a destra, un cancello ci conduce, con una sterrata, alla Chiesa sconsacrata del Santissimo Salvatore che, anche se in stato di abbandono, è l’edificio più antico del luogo. La Chiesa, che si ritiene possa essere stata edificata tra il nono e l’undicesimo secolo, in periodo bizantino, è importante essendo compresa nel ristretto gruppo di Chiese sarde cruciformi. Nella facciata si apre un portale architravato semplice, con l’architrave che grava sulla murature perimetrali, mentre un secondo accesso è tramite un portale del tipo centinato a tutto sesto, nella testata del braccio destro del transetto. Un terzo accesso alla Chiesa è stato di recente identificato lungo il lato sud del transetto. Dalla parte opposta alla facciata, la navata principale si chiude con un muro che mostra evidenti i segni di aun’abside. I bracci hanno la volta a botte, mentre nel punto di incrocio si innalza un tiburio coperto da tetto a spioventi, che originariamente era concluso anch’esso con una volta a botte. Prima di entrare nell’abitato troviamo la Chiesa campestre di Sant’Antonio AbateVicino ad una delle quattro porte che si aprivano nella città fortificata, fuori quindi dal complesso murario pisano, prima dell’ingresso in Iglesias da nord con la SS126 Sud Occidentale Sarda, in via Sant’Antonio, trecentocinquanta metri prima di dove avevamo imboccato la via Ghibellina, all’inizio di dove parte verso ovest la SP84, sorge la Chiesa campestre di Sant’Antonio Abate conosciuta come Sant’Antonio fuori le mura, costruita intorno all’anno 1000 in forme bizantine. La Chiesa ha subito diversi rimaneggiamenti nei secoli successivi, ma ha conservato tutta la sua copertura in legno a capriate. Presso questa Chiesa ogni anno si svolge la Festa di Sant’Antonio Abate, il fine settimana vicino al 16 gennaio, con l’accensione del falò e la distribuzione del pane benedetto. Il Santuario dedicato alla Beata Vergine del BuoncamminoEntrando nell’abitato con la SS126 Sud Occidentale Sarda, che diventa via fontana, e porta in piazza Faenza, dove si arriva a una biforcazione, che a destra si immette sulla via Felice Cavallotti, la quale diventa la via Cannavera, poi la via Mannu, la via repubblica, la via Baudi Vesme. Percorso un centinaio di metri su quest'ultima, prendiamo a destra la via Buoncammino, che ci porta fuori dall’abitato, sul colle di Buoncammino, chiamato Monte ’e Cresia. In seicentocinquanta metri, troviamo il Santuario dedicato alla Beata Vergine del Buoncammino, edificato nel 1777 per volere di certo Antioco Bernardini e sua moglie, Antioca Pisano. La leggenda narra come la statua della Madonna di Buoncammino, trovata da due ragazze che vivevano sul colle, fu portata nel Duomo per sparire dopo breve ed essere ritrovata la dove era stata rinvenuta. Il fatto si sarebbe ripetuto più volte, fino a che i due coniugi decisero di far elevare la Chiesa campestre per ospitare il simulacro. Il primo edificio era di modeste dimensioni con facciata sormontata da campanile a vela, e all’interno era molto semplice. In seguito, nei primi anni dell’ottocento, alla Chiesa originaria venne addossata un’altra struttura che funse da alloggio nel periodo delle feste del Buoncammino. L’edificio appariva in pessime condizioni di conservazione nella seconda metà del Novecento. Tra il 1968 e il 1974 viene ricostruita la Chiesa nuova, grazie alla generosità di un gruppo di muratori, consacrata solennemente nel 1978. La Chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la presenza al suointerno della statua della Madonna di Buocammino. Ogni anno, la terza domenica di ottobre, si svolge la Festa della Vergine del Buoncammino, ed il Santuario accoglie la conclusione della processione che parte dalla Chiesa di San Francesco e prosegue attraverso la città. Al termine della funzione viene acceso un falò per benedire Iglesias. Visita dei dintorni della città di IglesiasVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Iglesias, sono stati portati alla luce i resti del Nuraghe semplice Medau Mannu; ed anche dei Nuraghi San Pietro, e su Nuraghe ’e Pira, entrambi di tipologia indefinita. Ci si trovano, inoltre, numerose frazioni con le loro Chiese, oltre alla importante miniera di monteponi ed alla grotta di Santa Barbara. Dopo ave viso queste frazioni, visiteremo la costiera di Iglesias, con le sue cale e le sue spiagge. La frazione San Benedetto con la Chiesa di San Benedetto Abate e con i resti della miniera omonimaUsciamo da Iglesias verso nord con la via Sant’Antonio, che fuori dall’abitato assume il nome di SS126 Sud Occidentale Sarda, e la seguiamo passando sopra il lago Corsi. Percorsi circa quattro chilometri e trecento metri sulla strada statale, svoltiamo leggermente a destra e imbocchiamo la SP89 che, in poco più di due chilometri e mezzo, ci porta alla frazione San Benedetto (altezza metri 387, distanza in linea d’aria circa 10.4 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 227). All’interno della frazione si trova, oltre ai ruderi della laveria dell’omonima miniera, anche la Chiesa di San Benedetto Abate. La frazione si trova all’estremo sud occidentale della Ex miniera di San Benedetto. Questo giacimento di galena argentifera e calamina viene scoperto nel 1869 da Leone Gouin, nel 1871 la concessione passa alla società francese PetitàGaudet, viene costruita una laveria meccanica e una breve ferrovia per il trasporto del minerale, e cinque forni di calcinazione. Nel 1872 la concessione della miniera di San Benedetto e di quella della vicina miniera di Coremò passano alla società Vieille Montagne, che costruisce di un piccolo villaggio a valle dei cantieri minerari, che, nel 1907, conta un centinaio di casette, la Scuola ed i servizi primari. Nel 1941 le miniere passano alla Società Anonima Nichelio e Metalli Nobili, del gruppo AMMI, e, dopo il secondo conflitto mondiale, la concessione passa alla SAPEZ, che ammoderna gli impianti. Nel 1987 la nuova proprietaria, la SIM, intraprende la costruzione di una grande galleria camionabile, detta Rampa, ma solo tre anni dopo arriva la chiusura degli impianti. Rimane il piccolo villaggio minerario incastonato in una stretta valle e tuttora abitato, oltre a svariati edifici minerari. La frazione monte Figu con la Chiesa di Santa Lucia e con le sue grotteUsciamo dall’abitato verso sud est con la via Giuseppe Garibaldi, che diventa la via San Salvatore, e poi viale villa di Chiese. La seguiamo per circa tre chilometri e mezzo, ed arriviamo nella frazione monte Figu (altezza metri 143, distanza in linea d’aria circa 3.7 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 435). All’interno della frazione si trovano diverse strutture, in via villa di Chiese, la Chiesa di Santa Lucia che è la Chiesa parrocchiale della frazione. Si trova, inoltre, un Campo da Calcio, che era un ex campo CONI, situato in via Santa Lucia. A sud est dell’abitato sorge la Zona Industriale di Sa Stoia, e, tra la frazione monte Figu e la zona industriale, si trova lo Stadio di Sa Stoia. La frazione prende il nume dal Monte Figu, che si trova nord est dell’abitato, ed è un sito ricco di cavità naturali che hanno restituito qualche testimonianza preistorica. Tra queste, importanti sono le Grotte di Monte Figu un complesso di sei piccole grotte ubicate a nel versante nord est del monte, e la Grotta del Compressore. La località campo pisano con i resti dell’ex miniera omonimaProseguendo oltre la frazione monte Figu per circa cinquecento metri, arriviamo allo svincolo, dove prendiamo verso destra la SS130 Igelsiente, la seguiamo per tre chilometri verso ovest, e prendiamo l’uscita verso destra, che, in circa trecento metri, ci porta alla località di Campo pisano, dove si trova la Ex miniera di campo pisano. La miniera è ubicata subito a sud ovest di Iglesias, a brevissima distanza dalla più nota miniera di monteponi. Il suo giacimento di piombo e zinco viene scoperto nel 1870, e la concessione mineraria viene affidata alla Società monteponi. Fino agli anni settanta del Novecento la miniera occupava oltre 700 minatori, ed inoltre, nel moderno impianto di trattamento, venivano convogliati anche i minerali delle miniere di Masua, San Giovanni e monteponi. Quest'ultima era collegata con la limitrofa miniera di campo pisano da una lunga galleria. Di tale miniera rimangono due estesi bacini di decantazione, il pozzo di estrazione e gli impianti di trattamento del minerale, e resiste anche qualche antica struttura mineraria oltre alla vecchia laveria. La frazione monteponi con la ex miniera omonima nella quale si trova la Chiesa di Santa Barbara Vergine e MartireUsciamo dall’abitato verso sud ovest con la SS126 Sud Occidentale Sarda in direzione di Carbonia, e, dopo due chilometri, prendiamo verso destra, seguendo le indicazioni, la strada che in quattro chilometri e mezzo ci porta alla frazione monteponi (altezza metri 207, distanza in linea d’aria circa 6.7 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti), famosa per la sua miniera. Ad essa si sarebbe potuto arrivare anche dalla località campo pisano, ritornando sulla SS130 Igelsiente e proseguendo verso ovest per tre chilometri, fino ad incrociare la SS126 Sud Occidentale Sarda, che prendiamo in direzione di Iglesias, la seguiamo per quasi un chilometro, e prendiamo, questa volta verso sinistra, seguendo le indicazioni, la strada che in quattro chilometri e mezzo ci porta alla frazione. La Ex miniera di monteponi è stata una delle più grandi miniere della Sardegna ed anche d’Italia, menzionata già nel 1324 nel testamento di un imprenditore minerario pisano, come miniera di Monte Paone, nel 1628 viene citata la località Sa Sedda de Monti luponi, e nel 1638 la località di Monte de Poni, finche, nel 1649, il nome compare nella sua forma attuale. Nel 1725 viene costruita a nord di Iglesias la prima fonderia della miniera, ed in seguito viene iniziato lo scavo della galleria San Vittorio, il minerale viene, quindi, inviato alla nuova fonderia di Villacidro. Dopo un periodo di crisi, nel 1840 viene dato impulso all’attività mineraria, in quanto per la prima volta viene scisso il diritto di proprietà del suolo da quello di coltivazione delle risorse del sottosuolo, con la concessione delle miniere di Montevecchio e di monteponi, nel 1850, alla Società di monteponi, che, nel 1861, acquista la limitrofa miniera di San Giorgio, e il permesso per campo pisano. Per abbattere i costi di trasporto, dieci anni dopo viene inaugurata una linea ferroviaria che arriva fino al porto di Portovesme. La coltivazione del ricco giacimento di galena argentifera da importanza alla miniera, ed in questo periodo inizia a svilupparsi il villaggio minerario, sorgono le laverie Nicolay e Villamarina, oltre al pozzo Vittorio Emanuele. Nel 1865 sorge l’elegante Palazzo Bellavista che doveva ospitare i dirigenti della miniera. Per affrontare il problema dell’eduzione delle acque, che non permette la coltivazione del giacimento sotto una certa quota, viene realizzata una galleria di quattro chilometri che, ultimata nel 1889 e denominata galleria Umberto I, in breve tempo prosciuga i cantieri sotterranei. Viene costruita, in questi anni, una moderna fonderia, ultimata la laveria Calamine, e realizzata la laveria Mameli. Nel 1904 viene costruita la Foresteria, un vasto salone nel quale un’intera parete è stata successivamente decorata con un affresco di Aligi Sassu, realizzato nel 1950 e restaurato nel 1997, nel quale sono rappresentati, con andamento epicamente narrativo, un paesaggio solare, mediterraneo, animato da mitiche figure fuori del tempo, e un paesaggio trasformato dall’industria contemporanea, che meccanizza uomini e lavoro anche nel sottosuolo. Viene, poi, inaugurato nel 1926 un impianto che sfrutta l’elettrolisi per recuperare i minerali poveri di zinco, costituito da 168 celle contenenti una soluzione acida e lastre catodiche, sulle quali aderisce lo zinco metallico per effetto del passaggio di corrente. Il processo abbisogna, però, di grandi quantità di acido solforico, che arriva dalle miniere di pirite dell’isola d’Elba. Nel 1930 le Società Montevecchio e monteponi fondano la Società Italiana del Piombo, che costruisce la fonderia di San Gavino, e viene realizzata una nuova centrale di eduzione, a sessanta metri sotto il livello del mare, e la nuova sezione di flottazione a fianco della laveria Mameli. Nel 1936 viene inaugurata la casa del Fascio, che, alla caduta del fascismo, viene trasformata nella Chiesa di Santa Barbara Vergine Martire con l’aggiunta del campanile e di un timpano scalettato sulla cornice. Nel periodo post bellico riprende la coltivazione, grazie al rialzo del prezzo di piombo e zinco, ma costringe ad approfondire i cantieri sotterranei spingendosi sotto il livello dei sessanta metri, e, nel 1956, con l’ausilio di tre pompe, viene abbassato il livello idrostatico, ma il minerale di piombo e zinco in profondità risulta povero, ed inoltre l’aumento del prezzo dell’energia elettrica porta ad una crisi. Nel 1961 avviene la fusione con la Montevecchio in un’unica società, a cui segue la gestione della EGAM e della SOGERSA, che cercano di salvaguardare i 2.000 posti di lavoro. Ma poi, nel 1982, la ENI e la SAMIM acquistano la miniera, la maggior parte degli impianti viene fermato e smantellato, mentre i servizi generali ed alcune officine vengono trasferiti nella vicina miniera di campo pisano. Lungo la strada si vedono ancora le discariche dei fanghi rossi ottenuti come scarto della lavorazione del minerale estratto, dei quali dobbiamo la presenza all’impiantio di elettrolisi, che ha recuperato lo zinco con un processo chimico fisico, e la colorazione rossa è legata alla presenza di notevoli quantità di ferro. Per la loro imponenza e l’effetto cromatico fanno ormai parte del territorio e sono stati dichiarati monumento naturale. Oggi la miniera di monteponi fa parte del parco Geominerario della Sardegna, gestito dall’Igea, che consente l’accesso ai visitatori in diversi edifici della miniera, tra gli altri nella Galleria Villamarina e nel palazzo Bellavista. Le ex stazioni ferroviarie di monteponiNella parte sud dell’abitato si trovano i resti delle due stazioni ferroviarie di monteponi, quella realizzata dalla Società Mineraria monteponi e quella della Compagnia reale delle Ferrovie Sarde. Nella seconda metà dell’ottocento lo sviluppo dell’attività estrattiva nella frazione porta la Società Mineraria monteponi, proprietaria della miniera, a dotarsi di una propria ferrovia privata, tra le più antiche d’Italia a scartamento ridotto. Nel 1870 viene realizzato il primo tronco, tra Portovesme e Gonnesa, già funzionante l’anno successivo. Negli anni successivi viene realizzato il secondo tronco della ferrovia, quello tra Gonnesa e monteponi, aperto al traffico nel 1875, la cui Stazione di monteponi scalo capolinea della ferrovia mineraria, viene collegata con la miniera, posta 108 metri più in alto, mediante un piano inclinato per il trasferimento dei vagoni ferroviari tra le due postazioni. In seguito, per il collegamento con Iglesias, sorge la necessità di collegare lo scalo della monteponi con la città e con la sua Stazione ferroviaria, e quindi la Compagnia reale delle Ferrovie Sarde costruisce la breve linea a scartamento ordinario tra Iglesias e monteponi, aperta nel 1898, e con essa la Stazione di monteponi delle Ferrovie reali un poco più a sud della confinante stazione capolinea della società monteponi, e, nel 1920, questa linea passa sotto la gestione delle Ferrovie dello Stato. Ma nello stesso anno, cessando il servizio passeggeri sulla linea della monteponi per Portovesme, la stazione perde il suo ruolo di scalo d’interscambio. L’attività nella stazione è, comunque, destinata ad un forte incremento negli anni successivi, e la Ferrovie Meridionali Sarde realizza una linea proveniente da Palmas Suergiu, oggi San Giovanni Suergiu, fino alla stazione di monteponi delle Ferrovie dello Stato. Per evitare il trasbordo dei passeggeri, viene decisa la riconversione a scartamento ridotto della linea che collega monteponi con Iglesias, e la cessione di questa linea alle Ferrovie Meridionali Sarde. Il cambio di scartamento della linea che collega monteponi con Iglesias, ora identico a quello che collega Portovesme con monteponi, porta all’interconnessione tra le due linee ferroviarie, che resta attiva sino alla chiusura della linea per Portovesme nel 1963. Nel 1969 il parziale crollo di una galleria tra gli scali di Cabitza e Iglesias porta alla sospensione provvisoria dell’esercizio tra la stazione di monteponi e quella di Iglesias, che viene sostituito con autocorse, il che porta l’impianto di monteponi a diventare lo Scalo capotronco della ferrovia, fino al 1974, quando termina l’attività ferroviaria nella stazione delle Ferrovie Meridionali Sarde, e la stazione viene abbandonata andando incontro a una situazione di degrado. La frazione Bindua con la Chiesa di Santa Barbara e con la Chiesa di San Severino e con la miniera di San GiovanniDalla frazione monteponi, percorsi all’indietro quattro chilometri e mezzo, torniamo sulla SS126 Sud Occidentale Sarda verso sud ovest, in direzione di Carbonia, e, dopo due chilometri e settecento metri, usciamo a sinistra e, seguendo le indicazioni, in un chilometro e mezzo arriviamo alla frazione Bindua (altezza metri 134, distanza in linea d’aria circa 6.2 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 460). All’interno della frazione è stata edificata la Chiesa di Santa Barbara protettrice dei minatori. Si tratta di una moderna costruzione che è stata inaugurata nel 2006. Ad ovest dell’abitato si trova la piccola Chiesa campestre di San Severino dove per un lungo periodo hanno vissuto i Piccoli fratelli minatori, ossia i preti operai che sono arrivati nella borgata mineraria di Bindua alla fine degli anni 60. Sul retro della Chiesa si sviluppa il bel parco di San Severino, voluto da Gerardo Fabert, il Piccolo fratello minatore scomparso nel 2010, che aveva il sogno di costruire un parco a Bindua, tra la Chiesa di San Severino e quella della frazione monte Agruxau, dedicato ai 1.591 minatori morti sul lavoro. A sud dell’abitato si trova la Ex miniera di San Giovanni situata sul versante meridionale della valle del RioSan Giorgio, per accedere alla quale occorre arrivare alla frazione Bindua, e quindi salire per la strada che porta all’ingresso dei cantieri minerari. Questa miniera era già nota ai Romani, che hanno scavato numerosi pozzi alla ricerca della galena argentifera. I primi tentativi di coltivazione dell’area risalgono al 1554, poi nel 1859 viene dato il permesso di ricerca, ma la concessione vera e propria passa nel 1867 alla Gonnesa Mining Company limited, che inizia la coltivazione di una grossa sacca di Calamina mista a galena argentifera, denominata Santa Barbara. Pochi anni dopo uno dei principali azionisti della società fa costruire una laveria meccanica ed una fonderia, per trattare i minerali di San Giovanni e della limitrofa miniera di monteponi. Nel 1904 la Pertusola, subentrata nella gestione della miniera, fa costruire la moderna laveria Idina, in onore della moglie del proprietario della Pertusola, una centrale elettrica ed una teleferica. Nel 1918 viene scoperta un’altra grande massa mineralizzata, che prende anch’essa il nome di Idina. contemporaneamente si sviluppa, in territorio di Gonnesa, il villaggio della miniera, l’Ex villaggio minerario Norman, il quale ospita a valle, attorno al piazzale Taylor, le maestranze, e a monte i dirigenti e gli impiegati. Il villaggio verrà descritto nella pagina relativa a Gonnesa. L’interruzione della coltivazione si ha solo durante i due conflitti bellici, ma la ripresa avviene sotto la spinta di nuovi investimenti ed ammodernamenti. La miniera rimane in attività, tra alti e bassi, fino agli anni ’80 del Novecento. La grotta di Santa Barbara in territorio di Gonnesa ma alla quale si arriva da monteponiDalla frazione Bindua possiamo prendere la strada verso sud che ci porta alla località San Giovanni Norman, in territorio di Gonnesa, nella auqle, nel 1952, all’interno di un cantiere sotterraneo della miniera di San Giovanni, viene scoperta casualmente, durante lo scavo di un fornello, la Grotta di Santa Barbara situata all’interno della montagna di San Giovanni. Sebbene si trovi in territorio di Gonnesa, la descriviamo qui perché, per raggiungerla, è stato riattivato il trenino dei minatori, con il quale, partendo dall’ingresso situato in territorio di Iglesias nella ex miniera di monteponi, percorriamo circa cinquecento metri, per poi proseguire con un ascensore e infine con una scala. La grotta, quando è stata scoperta, non aveva sbocco all’esterno, e si presentava quindi come una grande cavità interna ad una roccia ignea, di forma tendenzialmente sferica, rivestita di cristalli. Si tratta di un eccezionale salone sotterraneo di forma ellittica le cui superfici sono totalmente ricoperte da cristalli tabulari di barite bruna, aragonite e calcite. Questa grotta si è formata circa Duecento milioni di anni fa, e al suo interno, inseriti tra le pareti di calcite con la tipica forma a canne d’organo, si possono ammirare milioni di rari cristalli di barite rossa, stalattiti e stalagmiti di varie dimensioni, e una grande colonna alta venticinque metri. Questo monumento naturale è, per la sua natura e per lo stato di conservazione intatto, unico in Europa. La frazione monte Agruxiau con la Chiesa di Santa Barbara e con i resti dell’ex miniera omonimaTornati dalla frazione Bindua indietro di un chilometro e mezzo fino a rientrare sulla SS126 Sud Occidentale Sarda verso sud ovest, la riprendiamo in direzione di Carbonia, e, dopo un chilometro, usciamo a destra e, seguendo le indicazioni, in quasi tre chilometri arriviamo alla frazione monte Agruxiau (altezza metri 130, distanza in linea d’aria circa 5.1 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 197), nata come villaggio minerario della miniera omonima. All’interno della frazione è presente la Chiesa di Santa Barbara La protettrice dei minatori. La Ex miniera di Monte Agruxiau è ubicata nei pressi del villaggio omonimo, a nord di Bindua, ed è stata una fra le più produttive dell’iglesiente nella coltivazione di un importante giacimento piombo zincifero. La miniera viene scoperta nel 1869, e nel 1876 la concessione viene accordata alla Società Civile delle Miniere di Iglesias, ma la sua superficie viene ridotta nel 1896. L’attività di coltivazione cessa negli anni ’50 del Novecento, a causa dell’esaurimento dei filoni. Le strutture minerarie più evidenti sono il piccolo villaggio dei minatori, i ruderi del’impianto di trattamento, il pozzo di estrazione e la connessa sala argani incassata nella montagna. La costiera di IglesiasVediamo, ora, come si sviluppa la costiera di Iglesias partendo da nord, da Cala Domestica con torre spagnola, che si trova per la sua gran parte nel territorio di Buggerru, ma la sua costa settentrionale appartiene già a quello di Iglesias. La scogliera di Porto Sciusciau con la grotta su ForruDopo la spiaggia di Cala Domestica, si sviluppa il Capo di Cala Domestica, e subito dopo la Scogliera di Porto Sciusciau, alta un centinaio di metri, che cade a strapiombo su un mare cristallino dal colore verde smeraldo, e dal fondale roccioso. Si tratta di una delle scogliere più interessanti del Sulcis, grazie alla policromia invidiabile, ed alle particolarità del territorio circostante. Alle spalle della scogliera, dominano il paesaggio un bellissimo bosco di ginepri e l’abbondante macchia mediterranea. Sul lato sud della scogliera, prima di raggiungere l’insenatura di Porto Sciusciau, si trova la Grotta su Forru, ossia del Forno, che è raggiungibile, però, solo via mare. Passato il capo di Cala Domestica, nel lato a sud della scogliera con falesie alte fino a oltre cento metri, arrivando dal mare si può visitare la bellissima Grotta su Forru un noto grottone che si apre al livello del mare, in un luogo che è noto con il nome di Cala de su Forru, situato all’imboccatura verso nord dell’insenatura di Porto Sciusciau. Si ritiene che la grotta, probabilmente, prenda il nome dall’Antico forno di calcinazione per la fusione di metalli di miniere della zona, situato nei pressi della SP83, che passa non distante dalla scogliera . |
L’insenatura di Porto Sciusciau con la sua calettaPer raggiungere la Caletta di Porto Sciusciau, a circa due terzi della strada che dalla SP83 ci ha portato a Cala Domestica, troviamo una strada sterrata che porta verso sud, sulla quale possiamo procedere dritti sino a trovare l’Antico forno dall’antica calcinazione per la fusione di metalli di miniere della zona, che si trova lungo quello che era il tracciato della ferrovia mineraria che portava a Cala Domestica. Giriamo, quindi, a sinistra, poi a destra. Lasciamo il veicolo e possiamo avvicinarci alla Scogliera di Porto Sciusciau, ma con molta prudenza. Il nome di Porto Sciusciau sta ad indicare un rifugio per le imbarcazioni, in una zona in cui la fascia costiera è interessata da vaste e grosse frane di roccia calcarea fino al mare, dal che deriva l’appellativo di Porto Distrutto o Rovinato. Da qui è possibile ammirare i bellissimi panorami a strapiombo sul mare, ed eventualmente scendere fino alla Caletta, che è più facilmente raggiungibile via mare, con una barca o un gommone. Arrivando dal mare e, infatti, possibile sostare nella piccola, affascinante, Caletta di Porto Sciusciau con un fondo costituita da ciottoli. |
Proseguendo lungo la costa verso sud, via mare, si incontra più avanti la punta del Promontorio di Nascu con la Grotta di Nascu situata al livello del mare, molto affascinante e con un fondale azzurro, che attraversa da una parte all’altra tutto il promontorio. Sulla costa della zona, verso sud, sono presenti numerose altre grotte, come la Grotta delle Spigole sotto la Punta Cubedda, che offre un effetto ottico stupefacente, dato dall’erosione del mare sul calcare metallifero, e la forma della grotta asseconda l’inclinazione degli strati rocciosi della falesia. Anche questa grotta è raggiungibile solo via mare. I pochi resti della ex miniera di Canal GrandeTorniamo sulla SP83 sempre in direzione sud e più avanti, a circa 1,7 chilometri dal bivio per Cala Domestica, circa all’altezza del chilometro 17, incontriamo sulla destra un ponticello asfaltato senza segnalazioni, che conduce a un sentiero sterrato. Percorsi circa trenta minuti a piedi dal ponticello. o dieci minuti in auto se non si è affezionati agli ammortizzatori, si raggiungono i pochi resti della Miniera di Canal Grande nella quale l’attività di estrazione si svolge dagli inizi di questo secolo per cessare prima del secondo conflitto mondiale. La miniera viene scoperta nel 1866, affidata nel 1869 alla società belga Vieille Montagne, nel 1870 viene ceduta alla società Gennamari Ingurto su e quindi ampliata ed estesa a minerali di zinco. La strada che dalla Baia di Cala Domestica conduceva ad Acquaresi era a mala pena transitabile per gli automezzi, mentre le altre erano poco più che mulattiere, un fatto che ha contribuito in modo sfavorevole allo sviluppo della miniera, viene pertanto realizzata una ferrovia a scartamento ridotto per il trasporto del minerale il cui tracciato giunge fino al porticciolo di Cala Domestica per essere imbarcato verso Carloforte. Nel 1954 la società Montevecchio acquista il permesso su questa area mineraria e vi esegue lavori di rilievo e di ricerca. La Cala di Canal Grande con la sua spiaggiaProseguendo verso il mare, in una mezz’ora si raggiunge l’insenatura della Cala di Canal Grande, che un tempo veniva chiamata Is Begas De Is Ollastus, ovvero le Valli Degli Ulivi. Si tratta di una piccola cala, a carattere prevalentemente roccioso, nella quale si trova la piccola spiaggia di Canal Grande caratterizzata da un arenile sul quale sono presenti ciottoli levigati, massi e scogli, oltre a pochissima sabbia grossolana, che si affaccia su un mare con le acque assolutamente cristalline, di un colore tra l’azzurro cangiante e un verde smeraldo. E con un fondale roccioso e la presenza di scogli. La cala, ben riparata dai venti, è protetta ai margini da alte scogliere che scendono vertiginosamente verso il mare, ed è scarsamente affollata nei mesi estivi. Non sono presenti servizi su questa spiaggia. |
Sul lato ovest della cala, troviamo quella che viene chiamata Grotta di Canal Grande una sorta di galleria naturale lunga circa centocinquanta metri, che attraversa il promontorio da parte a parte, a pelo sull’acqua, creando uno spettacolo dalla bellezza eccezionale. I resti della ex miniera di AquaresiProseguendo sulla SP83 dopo la deviazione per la miniera di Canal Grande, tre chilometri più avanti raggiungiamo i resti della Miniera di Aquaresi con il suo ex cantiere minerario, che si riconosce per due profonde voragini dovute al cedimento delle vecchie aree di scavo minerario. Il giacimento di piombo e zinco viene scoperto nel 1870 e dato in concessione alla società inglese Gonnesa Mining, nel 1930 passa alla Società Vieille Montagne, per poi passare alla Sapez, all’AMMI, alla SIM ed infine all’IGEA. Agli inizi del Novecento tale miniera contava 500 operai e produceva 1000 tonnellate di grezzo all’anno. Il minerale estratto veniva prima trattato nella piccola laveria meccanica di Acquaresi, e successivamente veniva convogliato mediante ferrovia a scartamento ridotto fino al porticciolo di Cala Domestica per essere imbarcato verso Carloforte. Arriviamo alla frazione Masua, una località mineraria con i resti della ex miniera di MasuaLa SP83 adesso si porta all’interno e, superati i passi di Monte Gloria e Monte Palme, ci porta sulla costiera di Iglesias. La strada torna di nuovo verso la costa e ci fa arrivare, a circa dieci chilometri dalla deviazione per Cala Domestica, alla frazione Masua (altezza metri 68, distanza in linea d’aria circa 18.3 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 36), una frazione del comune di Iglesias che era una ex località mineraria, ed oggi è una promettente località turistica. Il tratto costiero è caratterizzata dalla presenza degli insediamenti portuali minerari dismessi di Porto Flavia, porto di Masua, Porto Cauli, Porto Corallo, Porto Ferro, porto Nebida che, insieme allo scoglio di Pan di Zucchero, delineano un tratto costiero tra i più singolari della costa occidentale della Sardegna. Arrivati a Masua, lasciamo a sinistra la prosecuzione della SP83 verso sud, e scendiamo a destra nell’ex paesino minerario, continuando in discesa verso la bellissima costa, passando accanto ai resti dell’ex complesso della Miniera di Masua. Il sito minerario era già conosciuto alla fine del seicento, e ciò è testimoniato dalla presenza di scavi, gallerie e fornelli nella roccia calcarea per la ricerca del piombo e dell’argento. In età moderna, le prime ricerche sono eseguite nel 1813 dal sacerdote Carlo Negretti, nel 1857 il permesso di ricerca passa al signor Vacatello, che lo cede alla Società Anonima delle Miniere di monteSanto. Nel 1862 viene costruita a valle delle gallerie una piccola fonderia, vengono abbandonati gli scavi improduttivi ed avviata la coltivazione di nuovi ammassi di galena e calamina. Attorno alla fonderia sorgono le prime abitazioni degli operai, viene realizzata una laveria meccanica e costruito un molo per l’imbarco del minerale. alla fine dell’ottocento la miniera di Masua risulta una fra le più importanti dell’Isola, con oltre 700 addetti, ed il villaggio minerario sorto sul ripido pendio di Punta Cortis dispone di una scuola, di un Ospedale, della Chiesa, di laboratori e di altri servizi. Agli inizi del Novecento la concessione passa alla Società Anonima delle miniere di Lanusei, nel dopoguerra vengono eseguite ricerche anche nell’isolotto calcareo di Pan di Zucchero. Le miniere di Acquaresi, quella di Masua e quella di montecani passano nel 1922 alla società belga Vieille Montagne e diventano un unico grande complesso minerario, collegate in sotterraneo dalla galleria Lanusei. Durante la sua gestione, l’ingegner Cesare Vecelli decide di abbattere i costi di trasporto e di imbarco del minerale, e nasce così Porto Flavia, ardita opera ingegneristica che permette di imbarcare tramite nastri trasportatori sui piroscafi il minerale, che è stato immagazzinato nel sottosuolo in nove grandi silos capaci di contenere 10.000 tonnellate di minerale. La crisi degli anni trenta del Novecento colpisce anche la miniera di Masua, che passa alla Società Piombo Zincifera Sarda, ed a Masua nel 1952 viene costruito un moderno impianto di flottazione da 300 tonnellate al giorno. L’attività prosegue fino al 1991, quando, per ragioni economiche, vengono chiusi i cantieri e gli impianti di trattamento della miniera. Le spiagge di MasuaArrivati a Masua, lasciata a sinistra la prosecuzione della SP83 verso sud, scendiamo a destra nell’ex paesino minerario, continuando in discesa verso la bellissima costa, passando accanto ai resti della miniera, fino ai posteggi posti alle spalle dei due arenili principali. Dal parcheggio, scendendo sulla costa verso nord, arriviamo alla spiaggia di Masua. Il porto situato sulla spiaggia di Masua costituiva uno dei punti di imbarco dei minerali estratti nella miniera di Masua. La spiaggia di Masua è caratterizzata da un arenile, di piccole dimensioni, con una forma a mezzaluna racchiusa dalle rocce alle due estremità. È caratterizzato da sabbia finissima, di un colore ambrato chiaro, misto al dorato, che si affaccia su un mare di un colore tra l’azzurro, il turchese ed il verde, a seconda dei riflessi, e con un fondale prevalentemente sabbioso, ma nel quale sono presenti scogli piatti e rocce. La spiaggia di Masua è molto affollata in alta stagione, ed è presente un punto ristoro in spiaggia. Sono ancora visibili, sull’arenile, i resti dei depositi minerari, di un vecchio magazzino e del molo di imbarco utilizzato quando la miniera era ancora in attività, e la spiaggia viene anche, comunemente, chiamata Il Molo, per la presenza, a nord della spiaggia, del vecchio molo in cemento, che viene ora utilizzato come trampolino per i tuffi. |
Se dal parcheggio scendiamo sulla costa verso sud, arriviamo alla spiaggia di Porto Cauli. Il Porto Cauli costituiva uno dei punti di imbarco dei minerali estratti nella miniera di Masua. La spiaggia di Porto Cauli è caratterizzata da un arenile, anch’esso di piccole dimensioni, con la presenza di scogli nelle due estremità della spiaggia, caratterizzato da sabbia bianca e fine con la presenza di grandi rocce in alcune parti dell’arenile, che si affaccia in un bellissimo mare cristallino tra il verde e l’azzurro. La spiaggia è mediamente frequentata nei mesi estivi, ed abbastanza riparata dal vento, e su di essa è presente un punto ristoro, con la possibilità di noleggiare canoe ed altre attrezzature da spiaggia. |
Verso nord troviamo la spiaggia di Bega Sa CannaArrivati ai parcheggi della spiaggia di Masua, prendiamo la strada sterrata che sale sulla collina, segnalata da vari cartelli con le indicazioni per la miniera e per Porto Flavia. Proseguiamo lungo la strada, fino a raggiungere il secondo incrocio, dove svoltiamo a sinistra ed arriviamo alla spiaggia di Bega Sa Canna. La spiaggia di Bega Sa Canna è una piccola spiaggia, caratterizzata da sabbia grossolana di un colore grigio chiaro, mista a conchigliame e ciottoli, affacciata su un mare cristallino che assume diverse colorazioni, tra il verde smeraldo e l’azzurro, a seconda dei raggi solari. Nella spiaggia sono presenti rocce e scogli che affiorano sia dalla sabbia che dal mare, e tutto attorno le colline sono ricoperte da macchia mediterranea. Abbastanza riparata dai venti, è piuttosto isolata ma abbastanza frequentata. Non sono presenti servizi su questa spiaggia. |
Ancora più a nord arriviamo all’imbarco minerario di Porto FlaviaProseguendo verso nord, nella parete di fronte alla spiaggia di Masua è scavato il sistema di gallerie di Porto Flavia antico sistema d’imbarco dei minerali. Per le diverse miniere della zona, Aquaresi, Montecani e Masua, il trasporto del minerale aveva costituito da sempre un grosso problema, dato che avveniva tramite i battellieri carlofortini detti Galanzè, che facevano la spola tra le spiagge di Masua e Fontanamare e l’isola di San Pietro, dove attraccavano i grandi piroscafi. Nel 1882 Gabriele d’Annunzio, allora giovanissimo, visitando questa zona per scrivere un articolo per la rivista Cronaca Bizantina, ha descritto la triste condizione dei minatori, denutriti e sottoposti a ritmi di lavoro massacranti, dato che il materiale veniva trasportato manualmente sulle imbarcazioni. Nel 1924 è stato realizzato l’Imbarco minerario di Porto Flavia, che il direttore tecnico, ingegner Cesare Vecelli, ha voluto dedicare alla piccola figlia Flavia. Si tratta di un impianto allora unico al mondo, nel quale, tramite un nastro trasportatore lungo ben quindici metri, il minerale veniva prelevato da grandi silos realizzati sotto la roccia, e scaricato direttamente dentro le stive delle navi. Ai silos il minerale arrivava dei luoghi di estrazionesu un treno elettrico, lungo due gallerie, una superiore di carico ed una inferiore di scarico. L’ingresso del sistema di gallerie di Porto Flavia, scavato nella falesia a picco sul mare, che costituiva il punto di imbarco dei minerali estratti, data la posizione, è visibile solo dal mare. La struttura, abbandonata nei primi anni ’60 del Novecento, è stata oggetto di un ottimo restauro, e la possiamo oggi visitare come significativo esempio di archeologia industriale, aperto alle visite guidate, nell’ambito delle iniziative curate dal Parco Geominerario della Sardegna, con accesso dalla continuazione della strada, dopo la spiaggia di Masua. L’enorme patrimonio minerario del territorio risulta ora gestito dall’IGEA, che permette la visita sia dell’imbarco di Porto Flavia che del Museo delle Macchine da miniera, entrambi incastonati in questo bellissimo paesaggio costiero. Il faraglione detto Pan di ZuccheroDi fronte all’imbarco di Porto Flavia si può ammirare uno degli spettacoli più affascinanti della costa occidentale, cioè la vista del Pan di Zucchero un alto faraglione calcareo, che si leva solitario sul mare per ben 132 metri, con la sua possente e scenografica mole di bianco calcare metallifero. Il nome del faraglione potrebbe derivare dalla sua forma massiccia e dal suo colore candido, anche se, per alcuni, potrebbe essere dovuto alla curiosa somiglianza con un colle nelle vicinanze di rio de Janeiro, chiamato per l’appunto Pão de Açúcar. Le Cale di Porto Corallo e di Porto Ferro o Portu FerruRaggiunta con la SP83 Masua, e svoltato verso gli impianti della miniera, in corrispondenza della miniera si trova sulla sinistra un piccolo spiazzo, costeggiato da una stradina sterrata verso sinistra, ossia che porta verso sud. Ci si può immette nella stradina, e procedere sino alla piccola Cala di Porto Corallo che dista circa un chilometro, e che costituiva uno dei punti di imbarco dei minerali estratti nella miniera di Masua. Si tratta di una piccola cala, delimitata da una particolarissima scogliera dalle pareti rosse, che digradano verso il mare ed affacciata su un mare di un verde cangiante con sfumature d’azzurro. Sopra di essa, si trova una fitta macchia mediterranea. Il litorale della Cala e formato da ciottoli grigiastri misti a sabbia grossolana di colore più chiaro rispetto alla scogliera, affacciato su acque cristallinecon un fondale anch’esso roccioso, con la presenza di scogli. Poco frequentata nei mesi estivi, non sono presenti servizi su questa spiaggia. Poco dopo l’inizio della stradina che porta a Porto Corallo, una deviazione sulla sinistra conduce, con un’altra stradina, alla piccola Cala di Porto Ferro o Portu Ferru un piccolo approdo naturale dove le barche vengono tirate in secca, che costituiva uno dei punti di imbarco dei minerali estratti nella miniera di Masua. Anch’essa si affaccia su un mare di un verde cangiante con sfumature d’azzurro, e, sopra di essa, si sviluppa una fitta macchia mediterranea. Nel 2012 è stato dato inizio ai lavori di progettazione del recupero dell’approdo minerario di Porto Ferro, al fine di conservare e riqualificare il sistema della portualità minore strettamente connessa all’attività estrattiva, da tutelare in virtù del suo grande interesse paesaggistico. Proseguendo verso Nebida si trova la spiaggia di Portu BandaProseguendo per circa un chilometro sulla SP83, prima di raggiungere l’ex villaggio minerario di Nebida, troviamo sulla destra della strada le indicazioni per la piccola Cala di Portu Banda, che si raggiunge con una stradina sterrata e si trova già molto vicina alla località di Nebida. La cala, alle cui estremità sono presenti rocce e scogli, è protetta da alte scogliere di un colore rosso scuro, con la presenza di un grande faraglione, chiamato scoglio S’Agusteri, e più a sud lo scoglio de Il Morto, con altri scogli più piccoli, a poche decine di metri dalla riva. La cala, alle cui estremità sono presenti rocce e scogli, è protetta da alte scogliere di un colore rosso scuro, con la presenza di un grande faraglione, chiamato scoglio S’Agusteri, e più a sud lo scoglio de Il Morto, con altri scogli più piccoli, a poche decine di metri dalla riva. L’arenile della spiaggia di Portu Banda è formato da sabbia scura a grani medi e ciottoli levigati, affacciata su un mare di un colore verde cangiante, con un fondale basso e misto sabbioso e ciottoloso. Mediamente frequentata nei mesi estivi, su questa spiaggia non sono presenti servizi. |
La frazione Nebida, una località mineraria con i resti della ex miniera di NebidaProseguendo sulla SP83, dopo 3,5 chilometri la strada costiera passa per la frazione Nebida (altezza metri 167, distanza in linea d’aria circa 15.0 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 960). Si tratta di una frazione del comune di Iglesias, che è un ex piccolo villaggio minerario del Sulcis Iglesiente, oggi promettente località turistica sulla costa sud occidentale della Sardegna, e prosegue affacciata sul mare. I suoi abitanti durante il periodo estivo raddoppiano per la presenza turistica che il fascino di questa bellissima località marittima Sa attrarre così facilmente. Vicino alla frazione Nebida si trovano i resti della Ex miniera di Nebida i cui lavori di sfruttamento sono iniziati con l’individuazione di piccole sacche di galena ricche in argento. Nel 1868 viene concessa l’autorizzazione per la coltivazione dei minerali di piombo e zinco, nei canaloni del monte San Giovanni e di Cuccuru Aspu, dove sorge una prima laveria meccanica. Verso la fine dell’ottocento viene costruita, presso la spiaggia di Fontanamare, la fonderia della miniera di Nebida, con due forni per la calcinazione, ed il minerale viene imbarcato nei battelli dal porticciolo di Fontanamare e trasportato a Carloforte. Nel 1881 viene costruita una pompa per l’eduzione delle acque, che sfrutta l’energia eolica, ma il progetto si rivela un fallimento per le sue fragilità strutturali. Nel frattempo sorge il villaggio minerario di Nebida, capace di ospitare verso la fine dell’ottocento circa 2000 persone, al cui centro si trova la piazza, il circolo dei lavoratori, l’infermeria e gli edifici dove risiedevano i dirigenti, nel quale si notano anche le abitazioni dei dipendenti ed una piccola Chiesa, un poco in rilievo rispetto al resto dell’abitato. I cantieri della miniera si trovano sulla montagna, ad est rispetto al villaggio minerario. In località Carroccia, alla periferia sud di Nebida, viene realizzata l’omonima laveria dotata di un forno rotativo per il trattamento delle terre calaminari. Nel 1885 la concessione passa alla Società Anonima di Nebida, che, nel 1897, realizza a picco sul mare la grande laveria idrogravimetrica lamarmora, costituita da un insieme di corpi di fabbrica ravvicinati e dislocati in quattro livelli degradanti verso il mare, per una superficie di 2000 metri quadrati, con la costruzione realizzata in pietra locale e mattoni pieni, le coperture in legno e il pavimento in cotto. Attorno alla struttura principale sono presenti le strutture ausiliarie dei due forni a tino e le due ciminiere, e, nella parte più bassa, il complesso è completato da un deposito a mare con un porticciolo per l’attracco delle barche destinate al trasporto del minerale. Negli anni trenta del Novecento la produzione raggiunge il suo massimo, e negli anni ’50 il passaggio all’AMMI permette la realizzazione del nuovo impianto di flottazione. La grande crisi estrattiva degli anni settanta e ’80 coinvolge anche il villaggio di Nebida, che si spopola, e, ad oggi, risulta abitato da un centinaio di persone e vede nel turismo la sola fonte di reddito. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, da Iglesias ci recheremo a visitare il paese mineraria di Gonnesa con nei suoi dintorni il complesso nuragico di Seruci, e la sua costiera con le spiagge di Fontanamare e Porto Paglia. |