Settimo San Pietro con nella periferia il sito archeologico di Cuccuru Nuraxi ed il suo pozzo sacro
In questa tappa del nostro viaggio, visiteremo l’abitato di Settimo San Pietro con i suoi dintorni nei quali si trovano il sito archeologico di Cuccuru Nuraxi ed il suo pozzo sacro. Il Campidano di Cagliari Il Campidano è la grande pianura della Sardegna sud occidentale compresa tra il golfo di Cagliari e quello di Oristano, ha una lunghezza di circa cento chilometri e presenta la massima altitudine di settanta metri sul mare. Deve le sue origini al colmarsi di una depressione geologica terziaria da parte di sedimenti marini, fluviali e vulcanici. Sono frequenti gli stagni costieri con acque salmastre, nell’angolo nord ovest della regione sfocia il fiume Tirso, che contribuisce all’irrigazione del Campidano, la rete idrografica è inoltre formata da piccoli Torrenti. La principale risorsa è l’agricoltura e si coltivano specialmente grano, viti, olivi, frutta e agrumi. Il Campidano di Cagliari comprende nella Provincia del Sud Sardegna i comuni di Decimoputzu, Monastir, Nuraminis, Samatzai, San Sperate, Villasor e Villaspeciosa. Comprende, inoltre, nella città metropolitana di Cagliari i comuni di Assemini, Cagliari, Capoterra, Decimomannu, Elmas, Maracalagonis, Monserrato, Quartu Sant’Elena, Quartucciu, Selargius, Sestu, Settimo San Pietro, Sinnai, Uta. I comuni di Samassi, Serramanna e Serrenti si trovano tra il Monreale ed il Campidano di Cagliari, i comuni di Pula, Villa San Pietro e Sarroché si trovano tra il Sulcis ed il Campidano di Cagliari, così come Soleminis si trova tra il Campidano di Cagliari e il Parteòlla, per cui possono essere considerate appartenenti all’una o all’altra di queste regioni. Geograficamente rappresenta la parte più meridionale della pianura del Campidano, che ha come suo centro principale Cagliari, nonche Quartu Sant’Elena ed i comuni immediatamente a nord ovest del capoluogo sardo. Si affaccia sul mare e comprende la costa orientale del golfo di Cagliari, fino al paese chiamato Villasimius.
In viaggio verso Settimo San PietroArriviamo a Settimo San Pietro da Selargius, dove si arriva anche dal vicino Quartucciu o da Quartu Sant’Elena. Dal centro di Selargius, prendiamo verso nord est la via Roma, che esce dall’abitato con il nome di SP15, e, dopo circa un chilometro, incrociata la SS554, diventa la via del Lavoro. La seguiamo, dopo un chilometro e trecento metri arriviamo alla rotonda in località Is Argiddas, dove la prima uscita è la Circonvallazione da Settimo a Sinnai e Maracalagonis, mentre prendiamo la seconda uscita e proseguiamo dritti attraversando l’area Industriale di Settimo San Pietro. Dopo circa un chilometro e quattrocento metri, arriviamo a prendere la via San Salvatore, che ci porta all’interno dell’abitato di Settimo San Pietro. Dal Municipio di Selargius a quello di Settimo San Pietro si percorrono 4.9 chilometri. Il comune chiamato Settimo San Pietro Il comune chiamato Settimo San Pietro (pronuncia S’ttimo San Pietro, nome in lingua sarda S’timu, altezza metri 70 sul livello del mare, abitanti 6.839 al 31 dicembre 2021) è un paese situato su un terrazzo alluvionale che si affaccia sul Campidano di Cagliari, che si estende nella parte centrale del territorio provinciale. Settimo San Pietro è il terzo comune più piccolo della città metropolitana di Cagliari per popolazione residente, ed è raggiungibile tramite la SS554 Cagliaritana, che dista soli tre chilometri dall abitato. Agevole si presenta anche il collegamento con la rete ferroviaria, dato che la linea che collega Cagliari con Isili ha uno scalo sul posto. Il territorio comunale, ricco di acqua, presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche accentuate, che vanno da un minimo di 30 a un massimo di 296 metri sul livello del mare. Dal 2014 viene attivata una nuova area dedicata alla lotta al randagismo e alla promozione delle adozioni dei randagi ritrovati nel territorio comunale.
Il comune fa parte dell’Associazione nazionale delle città della Terra Cruda Questo paese fa parte dell’Associazione nazionale delle città della Terra Cruda, nata per promuovere il recupero delle tradizioni e del patrimonio edilizio, naturalistico, artistico e storico delle comunità. Questa associazione comprende, in Sardegna, i comuni di Decimoputzu, donori, Fluminimaggiore, Furtei, Gonnosfanadiga, Guspini, Musei, Nuraminis, Pabillonis, Samassi, Samatzai, San Gavino Monreale, San Sperate, Sardara, Segariu, Selargius, Serramanna, Serrenti, Settimo San Pietro, Solarussa, Soleminis, Ussana, Ussaramanna, Vallermosa, Villa San Pietro, Villacidro, Villamassargia, Villasor.
Origine del nomeIl nome, documentato fino dall anno 1341 come De Septimo, che si trova anche nelle Rationes Decimarum Italiae a proposito della Sardegna, deriva dalla distanza stradale, infatti il nome Settimo deriva dalla frase Ad Septimum lapidem, ad indicare il settimo miglio lungo il percorso della strada che collegava Cagliari a Palau, presso il quale si sarebbe trovata, presumibilmente, una Statio romana, che avrebbe costituito il primo nucleo di quello che sarebbe stato il successivo abitato. La sua economiaSi tratta di un centro di pianura che, alle tradizionali attività agricole, ha affiancato modeste iniziative industriali. Nell economia locale l agricoltura conserva un ruolo importante, che viene praticata soprattutto grazie alle pianure fertili. Nella zona si coltivano cereali, frumento, ortaggi, foraggi, olivo, agrumi e frutta, e vi abbondano vigneti e mandorli. Viene praticato anche l allevamento di bovini, suini, ovini, equini e avicoli. Il settore economico secondario è costituito da piccole imprese che operano nei comparti alimentare, dei materiali da costruzione, dei laterizi, dell industria metallurgica e dell edilizia. Il terziario è presente con una rete distributiva di modeste dimensioni. A Settimo dalle uve si produce la famosa Malvasia di Settimo, si produce, inoltre, ottimo pane tradizionale di semola di grano duro e squisiti dolci. È attivo l’artigianato dei cestini fatti con steli di frumento. Le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione ma non di soggiorno. La Malvasia di Settimo La Malvasia di Settimo, il cui vitigno è stato impiantato già in epoca bizantina, è un vino caratterizzato da un colore giallo paglierino, con sfumature tendenti al dorato. La Malvasia di Settimo può essere dolce o secca in base alla lavorazione e al tipo di suolo su cui viene coltivata, ed ha un profumo inconfondibile di mandorle, oltre ad un gusto asciutto. Si tratta di una Malvasia che si adatta bene come aperitivo, ma può anche essere un ottimo passito per accompagnare i dolci tipici della zona, specie nelle occasioni di festeggiamenti. Questo vino, ed altri come Vermentino, Monica e Nuragus, hanno portato il paese di Settimo San Pietro a far parte degli itinerari culturali delle Strade del Vino, volti ad indirizzare il visitatore verso la buona cucina e l’ottimo vino.
Brevi cenni storiciSignificativa la presenza preistorica nella zona, dato che le tracce più antiche di frequentazione umana risalgono al periodo della Cultura di Ozieri, per esempio la domus de janas S’aqua ’e is Dolus conferma la presenza di insediamenti sin dal Neolitico recente, mentre all’età del bronzo risale il pozzo sacro di Cuccuru Nuraxi, inserito oggi nel Parco archeologico dei complessi monumentali di Cuccuru Nuraxi e di San Giovanni, sede dell’Arca del tempo. Il nuraghe di Cuccuru Nuraxi è stato distrutto in epoca recente, ed i blocchi che lo costituivano sono stati utilizzati per la costruzione delle case, per chiudere cortili e per costruire le chiese dell’antico abitato del paese. Più tardi, con l’arrivo dei romani, sorge il primo nucleo del centro abitato denominato Settimo ed il territorio venne dotato di monumenti e servizi, tanto che, nel 1880, viene ritrovato nei pressi del paese, in località Is Argiddas, un acquedotto risalente all’epoca romana. Nell undicesimo secolo viene compresa nel Giudicato di Càralis, nella curatoria di Civita. Successivamente, dopo la caduta di quest'ultimo, passa sotto il controllo dei conti della Gherardesca, e, nel 1258, entra a far parte dei possedimenti d’oltremare della repubblica di Pisa. Nel 1324, dopo la conquista aragonese entra a far parte del Regnum Sardiniae, e, nel 1325, Giacomo d’Aragona lo infeuda a Berengario Carroz e alla moglie Teresa Gombal de Enteca di San Michele, in cambio di una somma di denaro che serve a restaurare il Castello di San Michele a Cagliari. Nel 1363 viene creata la Contea di Quirra, infeudata sempre ai Carroz di San Michele, e la villa di Settimo entra a farvi parte. Nel 1603, la Contea di Qirra viene trasformata in Marchesato. Ultimi feudatari di Settimo sono i Centelles prima, e gli Osorio de la Cueva successivamente. A questi ultimi la villa di Settimo venne riscattata nel 1839. Passata nel regno d’Italia, dello storico comune di Settimo, nel 1862, viene aggiunto alla denominazione del comune di Settimo il suffisso San Pietro, che è il Santo patrono del paese, per distinguerlo da quello di altri omonimi comuni italiani. In periodo fascista, nel 1928 diventa una frazione del comune di Sinnai, dal quale nel 1946 viene nuovamente separato divenendo comune autonomo. Nel 2016 viene cambiata la Provincia alla quale appartiene, passando dalla Provincia di Cagliari alla città metropolitana di Cagliari. Le principali feste e sagre che si svolgono a Settimo San PietroA Settimo San Pietro sono attivi l’Associazione Turistica Pro Loco di Settimo San Pietro, il Gruppo Folk Nuraghe, il Gruppo Folk S’Acua e Dolus dell’Associazione Culturale omonima, il Gruppo Folk Santa Lucia, ed il Parco Culturale de Is Cantadoris con il suo gruppo Canta e Balla. 
Non sono numerose le principali feste e sagre che si svolgono a Settimo San Pietro, che potrebbero allietare il borgo e richiamare visitatori dai dintorni, fatta eccezione per una manifestazione religiosa molto sentita nel paese, che è la Festa della Candelora, chiamata Sa Candelora, i cui festeggiamenti iniziano il 6 di gennaio con la consegna del Bambino Gesù alla madrina e le due priore, che lo tengono per tutto l’anno, e che lo riportano in chiesa il 2 di febbraio per i festeggiamenti della Madonna. Inoltre, il 2 giugno si svolge la Festa del pane; per quattro giorni intorno al 24 giugno, si celebra la Festa di San Giovanni Battista, una sagra popolare che si svolge nella sua chiesa campestre; la festa patronale, dedicata a San Pietro, che si celebra il lunedì successivo alla prima domenica di settembre; sempre a settembre si svolgono le manifestazioni del Settembre Settimese, una serie di manifestazioni ricreative, folcloristiche e culturali, con un concorso regionale di poesia sarda, la mostra dei dolci e del pane, la Sagra della Malvasia, la gara di ballo e la rassegna dei costumi antichi; il 13 dicembre, presso la chiesa parrocchiale si celebra la Festa di Santa Lucia Vergine e Martire. 
La festa del pane A Settimo San Pietro, appuntamento, il 2 ed il 3 giugno presso la casa Dessy, per la Festa del Pane. La manifestazione, organizzata dal Gruppo Folk Santa Lucia, grazie al patrocinio del comune, è attesissima, dato che il pane viene ancora preparato con i sistemi di un tempo. Si tratta di una manifestazione importante a livello culturale e tradizionale, che coinvolge componenti di un certo spessore come la Filiera del pane, la Ore, la Coldiretti, il Centro di diabetologia dell’Azienda Ospedaliera Brotzu, diversi nutrizionisti, il Sindaco e l’Assessore alla cultura del paese, l’Antico Mulino per la lavorazione del grano, ed il Borgo del pane conosciuto per il metodo di panificazione tradizionale con il lievito madre.
Visita del centro di Settimo San Pietro L’abitato, interessato da un fenomeno di forte crescita edilizia, mostra l’andamento altimetrico tipico delle località pianeggianti. Il centro urbano è cresciuto in direzione nord ovest, mantenendo la chiesa parrocchiale di San Pietro in posizione marginale rispetto all’abitato, ma ha conservato inalterato il suo nucleo più antico con le numerose costruzioni in mattoni crudi. La parte più antica del paese si sviluppa attorno all’incrocio della viabilità principale, con una forma irregolarmente poligonale, e con la chiesa parrocchiale in posizione centrale. Particolarmente interessante è il suo centro storico, che conserva un importante patrimonio abitativo tradizionale costituato da costruzioni edificate secondo l’usanza tipica del Campidano. Domina la casa a corte, su due piani, che viene realizzato con una struttura portante in mattoni di fango detti ladiri, e con pilastri in mattoni laterizi pieni. Il portale di accesso introduce alla grande corte delimitata dai magazzini, i ricoveri per gli animali, lo spazio per il forno e la casa d’abitazione, il cui elemento archittettonico caratteristico è il loggiato, meglio detto sa lolla, dal quale si accede a tutte le stanze interne della casa.
Il Cimitero di SettimoArriviamo all’abitato di Settimo San Pietro da sud ovest con la SP15 provenedo da Selargius. Appena passato il punto nel quale si trovava il cartello segnaletico che indicava l’ingresso nel paese, che ora non c'è più ma, all’altro lato della strada, si può vedere il cartello segnaletico che ne indica l’uscita, si rende la via San Salvatore e si inizia a vedere, alla destra della strada provinciale, il muro di cinta del Cimitero Comunale di Settimo San Pietro, e, una cinquantina di metri più avanti, si trova il suo ingresso. Il Cimitero è caratterizzato da un impianto rettangolare allungato con doppio accesso, il principale sul fronte strada sul lato corto, e uno laterale a sinistra dal piazzale dei parcheggi. L’ingresso è costituito da un edificio su due livelli fuori terra tripartito da lesene doriche composto dal locale del custode a sinistra, il portale al centro, una camera di sezione a destra. La copertura dell’edificio è a doppia falda e con struttura portante in legno a vista. Dal locale del custode si accede tramite una scala in muratura al livello superiore. La restante parte del recinto è intonacata e scandito da paraste. 
In asse con il portone di ingresso principale, al centro del viale principale e rialzata tramite quattro gradini, si trova la cappella cimiteriale, con una copertura a padiglione rivestita in embrici. La cappella è dotata di un’abside semicircolare aggettante, con copertura in tegole circolari piane soprammesse, e di un livello sotterraneo per l’ossario, accessibile tramite botola interna. 
All’interno del ciimitero, tra le tombe è presente un Monumento ai Caduti. Si tratta di un monumento a stele in marmo, alto due metri e mezzo, realizzato nell’ultimo quarto del ventesimo secolo. La Cittadella Sportiva Proseguiamo lungo la via San Salvatore per circa centocinquanta metri, poi, passato un distributore di benzina della Esso sulla destra, prendiamo la prima traversa a sinistra, che è la via Primo Maggio. Percorsi quasi cinquecento metri, subito dopo aver passato l’incrocio con la via Cuccuru Nuraxi che, presa verso sinistra, porterebbe all’area archeologica che descriveremo più avanti, vediamo alla sinistra della strada l’ingresso della Cittadella Sportiva di Settimo San Pietro. All’interno è presente lo Stadio Comunale Efisio Cabras, con un calpo da calcio e circondato da una Pista di Atletica, dotato di tribune in grado di ospitare 200 spettatori. Circa cento metri più avanti, sempre alla sinistra della strada, si trova il Tennis Club con i suoi quattro Campi da Tennis, con tribune per una cinquantina di spettatori. Ancora più avanti, un’altra cinquantina di metri, e si trova il Palazzetto della Sport, per gare di pallavolo e pallacanestro, in grado di ospitare 350 spettatori. E, dopo un’altra cinquantina di metri, alla fine del viale primo Maggio, quasi all’incrocio con la via della Stazione, si trova il Campo da Calcetto, ossia da calcio a cinque, con tribune per 400 spettatori.

La Stazione ferroviaria di Settimo San PietroDopo settecento metri da dove la abbiamo imboccata, arriviamo alla fine della via Primo Maggio, che termina sulla via della Stazione. La prendiamo verso sinistra, dopo cento metri ed arriviamo a un bivio, dove a sinistra ci si dirige verso l’area archeologica del Cuccuru Nuraxi, mentre leggermente verso destra si trova la prosecuzione della via della Stazione, che, dopo duecento metri, termina di fronte ad essa. La Stazione di Settimo San Pietro che si chiamava fino ai primi del Novecento Stazione di Settimo, è una stazione ferroviaria e tranviaria posta lungo la linea ferroviaria che collega Cagliari con Isili, nel tratto ad uso promiscuo con la linea 2 della tranvia di Cagliari. Viene inaugurata nel 1888, quando avviene l’apertura al traffico della prima linea della rete della Sardegna meridionale a scartamento ridotto della Società italiana per le Strade Ferrate Secondarie della Sardegna, che verrà in seguito estesa verso Arbatax e Sorgono. 
L’impianto nel 1921 passa alle Ferrovie Complementari della Sardegna, a cui in seguito alla fusione di queste ultime con le Strade Ferrate Sarde, nel 1989 subentrarono le Ferrovie della Sardegna, e dal 2008 la ARST, che dal 2010 ne assume il controllo diretto. Negli anni successivi la stazione viene interessata a lavori di trasformazione per attrezzare lo scalo al traffico sia ferroviario che tranviario, e, dal 2015, viene interessata dall’inaugurazione della linea 2 di Metrocagliari. I campi per il gioco delle bocceLungo la via San Salvatore, appena superata la via Primo Maggio, proseguiamo per una quarantina di metri e subito dopo vediamo alla destra della strada, in corrispondenza del civico numero 8 della via San Salvatore, l’ingresso della sede del Circolo Bocciofilo Settimo San Pietro nella quale sono presenti i due campi in terra battuta nei quali è possibile praticare il gioco delle bocce. 
La nuova sede della Biblioteca Comunale Proseguiamo lungo la via San Salvatore e, percorsa una cinquantina di metri, prendiamo leggermente a sinistra la via Roma. Presa la via Roma, dopo duecento metri arriviamo a un bivio dove svoltiamo leggermente a destra per rimanere sulla via Roma e, dopo circa centosettanta metri, vediamo alla sinistra della strada, in corrispondenza del civico numero 65, l’edificio che ospita la nuova sede della Biblioteca Comunale di Settimo San Pietro. Qui era le vecchia sede della biblioteca, abbandonata quando nel 2020 la sede era stata trasferita nei locali che erano la sede dell’antioco Municipio in piazza Giovanni XXIII. Poi l’edificio di via Roma è stato ristrutturato con il contributo del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, e riaperto al pubblico divenendo la nuova sede della Biblioteca Comunale.
La sede dell’antico Municipio divenuto poi la prima sede della Biblioteca Comunale Percorsa appena una cinquantina di metri lungo la via Roma svoltiamo alla sinistra nella via Aldo Moro. Prendiamo questa strada che, dopo circa 230 metri sbcca su una traversale dove a destra continua la via Aldo Moro, mentre a sinistra parte la via della Parrocchia. Qui svoltiamo leggermente a destra per rimanere sulla via Aldo Moro e, percorsa una trentina di metri, vediamo aprirsi alla sinistra della strada la piazza Giovanni XXIII, nella quale si trova l’edificio che era la sede dell’antico Municipio e che poi è divenuto la prima sede della Biblioteca Comunale. Si tratta di un edificio la cui pianta originaria era a C asimmetrica, e che si sviluppa su due livelli fuori terra. Un basamento solleva l’edificio e quello attiguo rispetto alla piazza sottostante. La facciata principale è scandita da sette aperture rettangolari per piano. Al piano terra tre di esse, alternate alle semplici rettangolari, hanno una lunetta rostrata a tutto sesto. L’ampliamento del 1967 ha aggiunto un corpo di un livello sul lato sud orientale che costituva l’aula consiliare ed un vano scale centrale chiuso. La copertura è piana rivestita di un manto bituminoso.
La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo intitolata a San Giovanni Battista Dalla via Roma avevamo preso a sinistra la via Aldo Moro che, dopo circa 230 metri sbocca su una traversale. Qui svoltiamo a destra nella via della Parrocchia, che passa sul retro della chiesa ad alcuni nota come Chiesa di San Pietro Apostolo, che è la parrocchiale di Settimo, il quale da essa ha preso il nome divenendo Settimo San Pietro, ma che è intitolata a San Giovanni Battista. Percorsa appena una cinquantina di metri, si vede alla destra partire il percorso pedonale che porta alla piazza antistante la chiesa, sulla quale questa si affaccia. Edificata in stile gotico di importazione iberico catalana, la sua prima citazione risale al 1442 ed è riferita alla consacrazione da parte dell’arcivescovo Matteo Ioffre, ed quindi, insieme alla chiesa di San Giacomo in Cagliari, tra i pi antichi edifici catalani. Nel 1564 viene menzionata in un documento notarile, dove viene indicata come modello per la costruzione della Cappilla mayor, ossia del presbiterio, della chiesa di Sant’Ambrogio a Monserrato. In seguito, è stata più volte rimaneggiata, tra il Cinquecento ed il Seicento, dato che probabilmente nessuna struttura della chiesa attuale può riferirsi al suo periodo iniziale.
All’esterno nella facciata che presenta uno schema quadrato, con un coronamento piano con merlatura, il portale architravato nell’asse centrale è strombato e sormontato da un arco a sesto acuto. Nella parte superiore del prospetto sono presenti le tracce del preesistente, rosone, oggi murato, e nella cui cavit stata ricavata una finestra quadrangolare. La facciata è affiancata a sinistra dal campanile a forte sviluppo verticale, il più alto del Campidano, costruito nel 1627 da un certo Simone Montanacho, ha base quadrata e grandi finestre archiacute, ornato da archetti pensili trilobati in stile romanico gotico, e termina con una sopraelevazione costituita da un cupolino su un alto tamburo ottagonale che ospita il vano campane. 
All’interno il monumento presenta un aula a pianta rettangolare, l’impianto planimetrico delle chiesa basato sullo schema a croce latina, nella quale il braccio longitudinale individuato nella navata unica suddivisa in cinque campate segnate dai sottarchi della volta a sesto acuto, ed ai lati si aprono alcune cappelle. In asse con la navata posto il presbiterio, di dimensioni leggermente inferiori alla larghezza della navata. L’area del presbiterio ha pianta di forma quadrangolare, e risulta leggermente rialzata rispetto alla pavimentazione della navata, ed è voltata con una copertura stellare con gemme pendule. Nell’altare maggiore caratterizzato da marmi variegati gialli e rossi, su un’alta base a tre ripiani percorsi da nastri marmorei con intarsi a girali continui, poggia l’ancona con nicchia, descritta da due colonne complete di base, capitello e architrave. Due lineari volute festonate richiamano quelle più piene che chiudono sotto mezzi busti alati il motivo decorativo del paliotto. Esternamente all’area presbiteriale sono visibili due contrafforti obliqui che bilanciano le spinte degli archi diagonali della volta. A destra del presbiterio situata la sacrestia di pianta rettangolare, con l’asse longitudinale che segue quello della navata. Il braccio trasversale della croce determinato dalle due cappelle voltate con cupola ottagonale. Accorpata alla cappella del braccio sinistro sta un’altra cappella caratterizzata da forme decisamente gotiche, nella quale sono testimoni le nervature, e le gemme della bellissima volta stellare. Al fianco del braccio destro situata un’altra cappella la cui cupola si imposta su una base poligonale irregolarmente allungata secondo il verso di penetrazione. Lungo la fiancata sinistra è presente il pulpito, che per i marmi gialli e rossi richiama il vicino altare del presbiterio, poggia su un piede suddiviso in spartiti variegati e modellati da volute fogliate, bottoni e ghirlande. Il corpo principale, sorretto da un catino con giro di foglie collegate da una cornice, è scandito da pseudo lesene alternate a specchiature policrome contenenti losanghe fermate da rosette. Sul prospetto il motivo rilevato a scudo con i simboli della mitra, delle chiavi e della corona. 
Di pregevole esecuzione si presenta la Cappella del Battistero, ricavata alla base del campanile, che ospita la fonte battesimale, in questa emerge l’arco trionfale ribassato, i capitelli con motivo floreale, la volta a crociera con chiavi di serraglia. Si tratta di una Cappella in stile tardogotico che risale al diciassettesimo secolo, alla quale si accede attaverso un arco ribassato, percorso da modanature, e culminante in una inflessione, decorato da fogliame scolpito, mentre alla base dell’arco si trovano due leoni, che erano custoditi nella chiesa medievale di San Giovanni Battista. Il fonte battesimale, in marmi policromi, ha una struttura di tipo architettonico, mel quale la vasca regge un’edicola dal perimetro esagonale, sormontata da un baldacchino raccolto in volute concluse a ricciolo. Il prospetto è centrato da una finestra a centina chiusa con uno sportello su cui è dipinto il Battesimo di Cristo. Sulla parete di sostegno cartelie e lesene a specchiature marmoree incorniciano la struttura. 
A Settimo San Pietro, il lunedì successivo alla prima domenica di settembre si celebra la Festa dedicata a San Pietro Apostolo, che è la festa patronale del paese. Questa festa è caratterizzata dalla processione lungo le vie del paese, alla quale seguono i diversi riti liturgici. In occasione di questa festa si svolgono, inoltre, numerose manifestazioni ricreative, folkloristiche e culturali, oltre alla Mostra dei Dolci e del Pane, alla Sagra della Malvasia, alla Rassegna dei Costumi Antichi ed alle diverse gare di ballo.
Sul sagrato si trovava la piccola chiesa di Santa Mariedda che costituiva l’oratorio del Rosario Ai primi del diciassettesimo secolo era ascrivibile la piccola Chiesa de Santa Mariedda, che costituiva l Oratorio del Rosario dato che era la sede dell omonima Confraternita istituita a Settimo nel Cinquecento. La chiesa de Santa Mariedda si trovava sul sagrato di quella che è oggi la chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, ed è stata demolita nel 1963 per fare posto all aula consiliare dell adiacente palazzo Comunale. Non ne è rimasta alcuna traccia, sono rimaste solo alcune immagini che permettono di conoscerne le caratteristiche, che univano elementi gotici d estrazione catalana, documentati nel terminale piatto e merlato del prospetto principale preceduto da un portico, ad altri classici di origine italiana, presenti all interno, costituito da unica navata con volta a botte, sottesa da archi trasversali.
La casa Baldussi ex casa PilleriDalla chiesa parrocchiale, riprendiamo indietro la via della Parrocchia e torniamo alla via Aldo Moro che riprendiamo indietro verso la via Roma. Dopo una cinquantina di metri prendiamo a sinistra la via Giuseppe Garibaldi, la seguiamo per centocinquanta metri, ed, alla sinistra della strada, al civico numero 27, troviamo la bella antica Casa Baldussi, un tempo nota come Casa Pilleri, che è un’antica casa padronale in stile campidanese. Si tratta di un edificio a palazzetto con corte antistante su un lotto d’angolo, con locali di ricovero per attrezzi sui lati perimetrali della corte. La residenza, principalmente ubicata al primo livello, è addossata sul confine settentrionale e si affaccia sulla corte attraverso un loggiato al piano terra, composto da sette arcate, e tramite otto aperture ad arco a sesto acuto al piano primo. Il volume del primo livello risulta aggettante rispetto al piano terra, che era principalmente destinato a magazzino e cantina nella parte orientale. Sul lato orientale, fronte strada, si trova un locale ad uso agricolo a due livelli. Ad angolo, tra la via Garibaldi e il vicolo successivo, all’altezza del civico numero 25, è presente il portale di ingresso originario. Lungo la linea di confine occidentale, perpendicolare all’abitazione, vi è un magazzino a doppia altezza riadattato a studio ed abitazione. Le strutture murarie più antiche sono in mattone crudo, e in pietra per le più recenti sulla via Garibaldi, con strutture lignee in ginepro o castagno per i solai intermedi e per le coperture. 
La casa è attualmente abitata dai suoi proprietari, ed è nota, tra l’altro, per la sua cantina nella quale si svolgono eventi. Divisa in due parti per motivi ereditari, è stata riunita e recuperata, ed ha mantenuto la caratteristiche architettoniche originali. Nel recupero sono stati riutilizzati materiali da costruzione tradizionali e, dove necessario, sono stati introdotti elementi tecnologici della bioedilizia. La casa DessyDalla piazza Giovanni XXIII, riprendiamo indietro la via Aldo Moro e, dopo duecento metrim svoltiamo a sinistra e prendiamo la via Roma, percorsa una cinquantina di metri prendiano a sinistra la via Antonio Gramsci. Proseguiamo per un centinaio di metri in direzione nord ovest lungo la via Antonio Gramsci e vediamo, alla sinistra della strada, al civico numero 79, l’edificio detto Casa Dessy la cui costruzione risale per la parte esterna al 1905 e 1906, mentre la parte interna è più antica. Si tratta di un edificio con uno schema planimetrico a corte, alla campidanese, con il loggiato, dieci arcate impostate su piedritti sul lato sud, perpendicolare alla residenza. Il palazzotto, che si trova sul lato strada, si eleva su due piani e ha copertura a padiglione sorretta da capriate lignee. Al centro della facciata principale della residenza l’ingresso al loggiato. Quattro vani ad un livello comunicano con il loggiato e condividono la copertura in coppi a due falde, con struttura portante in legno. Alla fine del loggiato, un magazzino su due livelli fuori terra e copertura a due falde e solaio intermedio originario in legno a vista. All’angolo sud ovest, la falegnameria, con copertura a due falde. All’altro estremo, parallela al fronte strada, la cantina, ad un livello fuori terra, e copertura a due falde. Gli edifici dediti alla conduzione agricola, i magazzini e i fienili, sono in ladiri, ossia mattoni di terra cruda, mentre gli edifici sul lato strada, più recenti sono in pietra. 
In seguito all’acquisizione da parte del comune, avvenuta nel 1987, ha subito diverse ristrutturazioni che l’hanno riportata al suo antico splendore. Si tratta, quindi, di un edificio che viene utilizzato oggi come spazio espositivo e di pubblica utilità. L’Amministrazione Comunale la concede in uso al fine di favorire e promuovere le iniziative di carattere sociale, culturale e turistico, da parte di privati o associazioni pubbliche e private. Su una parete interna del vecchio magazzino della casa Dessì, utilizzato come sala espositiva, un artista locale ha realizzato una pittura murale che rappresenta degli olivi e delle vigne, simboli della richezza rurale. Alla destra della casa Dessy si sviluppa un bel giardino situato nella piazza Antonio Gramsci, nel quale sono presenti giochi per i bambini e all’estremità orientale si trova il Monumento ai Caduti, mentre sulla parete posteriore sono presenti decorazioni. 
La Palestra copertaPassata la casa Dessì, riprendiamo la via Antonio Gramsci e proseguiamo in direzione nord ovest. Seguita per centoventi metri, prendiamo a destra la via della Libert , dopo centoquaranta metri prendiamo a destra la via Emilio Lussu e, subito dopo alla sinistra, si vede l’ingresso della Palestra coperta di Settimo San Pietro. Nella palestra, che non è dotata di tribune in grado di ospitare spettatori, si possono praticare come discipline la pallacanestro ed il calcetto ossia calcio a cinque. 
Il Municipio di Settimo Dopo poche decine di metri, la via Antonio Gramsci termina sulla piazza Sandro Pertini, che si trova alla sinistra, prima che la strada prosegua con il nome di via IV Novembre per recarsi fino fuori dall’abitato in direzione nord ovest. Al civico numero 1 della piazza Sandro Pertini, si può vedere l’edificio nel quale si trova il nuovo Municipio di Settimo San Pietro, che ospita la sua sede e tutti gli uffici in grado di fornire i loro servizi agli abitanti del paese. Si tratta degli uffici dell’Area Amministrativa, ossia Servizi Demografici, URP, Protocollo e Archivio con l’Albo Pretorio, Notifiche, Personale, e Segreteria e Movimento Deliberativo; dell’Area Finanziaria, ossia Ragioneria e Contabilit , Economato e Tributi, Servizio Controllo di Gestione.

Gli impianti sportivi delle Scuole SecondarieGuardando la facciata del Municipio, alla sinistra parte la via Sandro Pertini, la seguiamo e, dopo un centinaio di metri, prendiamo a destra la via Giuseppe Garibaldi e, dopo una sessantina di metri, a sinistra la via Grazia Deledda. Percorso un centinaio di metri, alla destra parte la via Giosue Carducci, alla sinistra della quale sono presenti i cancelli di ingresso dell’edificio che ospita le Scuole Secondarie dell’Istituto Comprensivo di Settimo San Pietro. In questo complesso scolastico è presente una Palestra, senza tribune per gli spettatori, nella quale è possibile praticare pallavolo, pallacanestro ed attivit ginnico motorie. 
Nel complesso scolastico è presente anche un Campo sportivo all’aperto, anch’esso privo di tribune per gli spettatori, nel quale si possono praticare come discipline attività ginnico motorie, ed anche diverse attività di atletica leggera. L’Antico MolinoRitorniamo a dove, dalla via Roma, avevamo preso a sinistra la via Antonio Gramsci, che ci aveva portato alla casa Dessì ed al Municipio. Evitiamo questa deviazione e proseguiamo lungo la via Roma in direzione nord est, la seguiamo per una sessantina di metri finché, alla sinistra della strada, al civico numero 91, troviamo l’edificio che ospita l’Antico Molino per la lavorazione del grano, che è stato aperto tra la fine degli anni quaranta ed i primi anni cinquanta del secolo scorso da Luigi Mascia e dal socio Costantino Bocchiddi. I macchinari in legno, la macina in pietra, i setacci sono stati restaurati e rimessi in funzione nell’edificio che lo ha sempre ospitato. 
Il molino si distingue come elemento centrale, e permette di riattivare la tradizionale filiera del grano valorizzando i prodotti e i saperi locali, che vanno dalla coltivazione del grano, alla molitura, ai panifici e pastifici, tutti elementi caratteristici del territorio di Settimo San Pietro e della sua economia. L’Orto di Emilio Passato l’Antico Molino, proseguiamo lungo la via Roma per una cinquantina di metri, poi prendiamo a sinistra la via Emilio Lussu, e, dopo un centianio di metri, vediamo alla destra della strada l’Orto di Emilio, un orto urbano affidato nel 2011 alla Onlus Terraterra con la collaborazione del comune, che ha concesso in uso all’associazione circa 1.100 metri quadrati di proprietà Comunale, esclusa la serra compresa in questo spazio. L’Orto di Emilio è il primo orto urbano nato in Sardegna su un terreno pubblico. Composto da piccoli lotti di 25 metri quadrati ciascuno da affidare a singoli orticoltori e da un’area comune, rappresenta il progetto pilota della neonata associazione, uno strumento per attività di informazione e animazione dirette a favorire la realizzazione di altri orti sociali nel territorio di Settimo San Pietro.
L’Esposizione Permanente dell’Abito Tradizionale Settimese nella Casa Museo Ligas Uda Evitando la deviazione in via Emilio Lussu, proseguiamo lungo la via Roma in direzione nord est per poco meno di trecento metri, e prendiamo a sinistra la via Giuseppe Verdi, dove, dopo un centinaio di metri, alla destra della strada al civico numero 20, si trova nella Casa Museo Ligas Uda il Museo dell’Abito Tradizionale Settimese, un museo etnografico privato creato nel 2016 dal Gruppo Folk Nuraghe. All’interno di questo museo è presente l’esposizione di una collezione di abiti tradizionali originali rappresentativi di Settimo San Pietro e di gioielli dell antica tradizione settimese, datati dalla metà dell’Ottocento ai primi anni del Novecento, e una raccolta di oggetti della civiltà contadina del Campidano di Cagliari. Si tratta dell unico museo etnografico in Sardegna che custodisce un eccezionale collezione costituita da tutti gli abiti originali finora noti, di un unica comunit , Settimo San Pietro, tutelata dalla Soprintendenza di Cagliari. Uno spaccato realistico di vita quotidiana ospitato in una delle cinque sale espositive che lo costituiscono, il tutto in un ambiente moderno, ma sempre sensibile alla tradizione.

Il museo un omaggio a due giovani fidanzatini, Domenico Ligas e Teresa Uda, che intorno al 1958 decisero di fare delle ricerche su usi e costumi di Settimo San Pietro, intervistando persone che ancora indossavano quotidianamente l abito tradizionale. Le testimonianze raccolte oralmente, accompagnate da foto, cartoline e riviste, consentirono il recupero fisico dei costumi originali, consentendo di creare la famosa collezione Ligas. Si tratta di un Museo di straordinario interesse, proposto dal presidente del gruppo, Fabrizio Ligas, grande appassionato e intenditore di costumi, che, con la sua famiglia, sono da sempre impegnati nella ricerca dei costumi locali, autentici monumenti di un passato che ha poggiato le basi soprattutto sulla civiltà contadina. Costumi poveri e ricchissimi, di uomini, donne e bambini, ora conservati nel Museo. Sono esposte anche diverse foto dei costumi storici del paese. Il Campo da calcetto comunaleDopo la Casa Museo Ligas Uda, percorsa ancora una cinquantina di metri in direzione nord est lungo la via Roma, questa strada si immette sulla via San Salvatore. Percorsa ancora una cinquantina di metri, svoltiamo a sinistra nella via Leonardo da Vinci, lungo la quale, dopo un’ottantina di metri, si vede alla sinistra della strada l’ingresso del Campo da calcetto comunale, senza tribune per gli spettatori, nel quale è possibile praticare calcetto ossia calcio a cinque. 
Il parco pubblico in piazza Primo LeviProseguiamo lungo la via San Salvatore per un’altra cinquantiona di metri, poi prendiamo a sinistra la via Galileo Galilei. La seguiamo per centoventi metri, poi svoltiamo a destra e prendiamo la via Enrico Fermi e, dopo un centinaio di metri, vediamo alla destra della strada la piazza Primo Levi, una bella piazza alberata nella quale si trova il bel Parco pubblico di piazza Primo Levi. 
Il Bocciodromo comunalePassata la deviazione nella via Galileo Galilei, proseguiamo lungo la via San Salvatore per centosettanta metri, poi svoltiamo a sinistra nella via Nicol Copernico e, dopo una cinquantina di metri, prendiamo a destra la via Rousseau lungo quale, dopo una settantina di metri, si vede alla destra destra della strada, in corrispondenza del civico numero 7, l’edificio che ospita il Bocciodromo Comunale. All’interno del bocciodromo, che è dotato di tribune in grado di ospitare 300 spettatori, sono presenti quattro campi per il gioco delle bocce. 
Dove oggi si sviluppa il quartiere Santa Lucia si trovava la chiesa campestre omonimaTorniamo dove dalla via San Salvatore avevamo imboccato la via Roma, proseguendo lungo la via San Salvatore dopo trecento metri arriviamo a un incrocio, con a destra la via Tagliamento, ed a sinistra la via Antonio Gramsci che si muove verso nord ovest verso la casa Dessy. Passato questo incrocio, percorso ancora un centinaio di metri lungo la via San Salvatore, troviamo sulla sinistra la piccola via Santa Lucia. Qui, nel quartiere Santa Lucia, non lontano dall’estrema periferia orientale del paese, ai primi del diciassettesimo secolo si trovava la Chiesa campestre di Santa Lucia ossia de Santa Luxia. La chiesa è stata demolita negli anni sessanta del secolo scorso, quando è stata sacrificata per la realizzazione della via San Salvatore, che collega l’abitato di Settimo San Pietro con quello di Sinnai. Essa, preceduta da un portico, presentava una facciata conclusa da terminale piatto coronato da merli dentati, e sovrastato da un campanile a vela con una sola luce. Di essa non rimane più alcuna traccia ma a Settimo è radicato il culto nei confronti di Santa Lucia anche in mancanza di questa chiesa, dato che ogni anno il 13 dicembre, presso la chiesa parrocchiale si celebra la Festa di Santa Lucia Vergine e Martire, in ricordo dell’antica chiesa campestre di Santa Lucia oggi demolita. La festa è caratterizzata dai riti liturgici nella chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, con la messa mattutina, cui fanno seguito a fine pomeriggio la recita del Rosario, e la processione per le vie del paese fino alla via Santa Lucia, dove si trovava la chiesa campestre omonima, seguita dal rientro della processione alla piazza della chiesa patronale.
Visita dei dintorni di Settimo San PietroVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Settimo San Pietro sono stati portati alla luce soltanto i resti della della domus de janas di S’Acqua ’e Is Dolus; della necropoli di Cuccuru Nuraxi; degli insediamenti protostorici di Genna Arcana, Monte Ollai in Bia ’e Breisi, Riu Paiolu, Sa Costa is Crus, San Giorgio, San Giovanni, e San Marco; delle tombe di giganti di Cuccureddu ’e Barracca, e di Mesan'e Procus; del pozzo sacro nuragico e del pozzetto votivo di Cuccuru Nuraxi; del nuraghe complesso di Cuccuru Nuraxi con il suo villaggio nuragico; ed anche del nuraghe San Giovanni, di tipologia non definita. Degne di nota sono, nella campagna circostante, due chiesette campestri di forme romaniche, dedicate a San Pietro e a San Giovanni Battista. I dintorni meridionali dell’abitatoL’abitato di Settimo San Pietro si trova all’estremità meridionale del suo territorio comunale, per cui la maggior parte dei suoi dintorni è presente a nord rispetto ad esso. Vedremo inizialmente i siti che si trovano un poco più a sud dell’abitato di Settimo San Pietro, partendo dall’arrivo nell’abitato provenendo con la SP15 da Selargius. I resti dell’Acquedotto RomanoDal centro di Selargius eravamo usciti dall’abitato con il nome di SP15, che, dopo circa un chilometro, incrociata la SS554, era diventata la via del Lavoro. La avevamo seguita e, dopo un chilometro e trecento metri eravamo arrivati alla rotonda in località Is Argiddas. Qui, in località Is Argiddas, ossia gli olivastri, nel 1880, è stato rinvenuto uno dei resti dell’occupazione romana del paese. Nello scavare un pozzo, alla profondità di due metri, si sono portati alla luce i resti di un Acquedotto Romano in muratura, con la forma a schiena d’asino, ricoperto da pesanti lastroni, del quale rimane una sezione libera di poco più di un metro di altezza e di cinquanta centimetri di larghezza. All’interno, la condotta era rivestita di malta, in ottimo stato di conservazione. In seguito agli studi condotti successivamente su questi resti, l’acquedotto è risultato lungo, in un senso, di diciotto metri, e, nell’altro, di dodici metri, a causa di sprofondamenti che ne hanno ostruito i passaggi. L’acquedotto si sviluppava parallelo alla strada romana che collegava Karalis a Biora, Sorabile, Capotirso, ed infine ad Olbia, e portava l’acqua alla stazione che stava alla settima lapide, ossia alla settima pietra miliare, che doveva essere ubicata in località Santa Lucia, dove si trovava la chiesa campestre omonima e dove si trovava la sede della Settimo romana. Il complesso archeologico in località Cuccuru NuraxiArrivando a Settimo San Pietro con la SP15, raggiunta la periferia del paese, passato il distributore di benzina della Esso sulla destra, prendiamo la prima traversa a sinistra, che è la via Primo Maggio. Percorsi quasi cinquecento metri, prendiamo verso sinistra la via Cuccuru Nuraxi, che costeggia sulla sinistra la Cittadella Sportiva, la seguiamo per trecentocinquanta metri, poi prendiamo a destra la via Leonardo de Alagon. Alla sinistra di questa strada si vede, situato sulla sommità di una modesta collina che si eleva per circa novanta metri con dolce profilo conico a dominare la campagna circostante, il Complesso archeologico di Cuccuru Nuraxi, ossia della Collina del Nuraghe. La vista che si gode da lassù abbraccia a meridione tutto il golfo degli Angeli, le città di Cagliari e di Quartu Sant’Elena, la catena montuosa dei Sette Fratelli e, verso l’entroterra, le campagne della piana del Campidano, regalando una sensazione spaziale di ampio respiro e di grande suggestione. Il complesso archeologico comprende i resti di un nuraghe con del suo villaggio nuragico, di un pozzetto votivo, e di un pozzo sacro. 
Il sito è stato censito da Giovanni Spano nel 1867 per la presenza dei resti del nuraghe, ed è stato poi oggetto di rilievi sistematici da parte di Enrico Atzeni dal 1955 al 1957. Nelle successive campagne di scavo di Enrico Atzeni del 1960 e 1961 sono stati portati alla luce o resti dello splendido monumento che oggi possiamo ammirare a Cuccuru Nuraxi, costituiti da un pozzo sacro con annesso un pozzetto votivo nel cortile del nuraghe, collegati a una struttura di epoca nuragica forse preesistente. Sono proprio le tracce di questa struttura che hanno permesso di ricostruire la pianta del complesso monumentale. I resti del nuraghe di Cuccuru Nuraxi con il suo pozzetto votivo Il nuraghe di Cuccuru Nuraxi, costruito con enormi massi in arenaria e conglomerato a 87 metri di altezza, è oggi in gran parte distrutto, dato che di esso non restano che pochi conci. Già i primi studi del canonico Giovanni Spano, che risalgono al 1867, il cui resoconto ricorda la progressiva distruzione del Nuraghe al fine di estrarne i conci poi riutilizzati per l’edificazione del vicino abitato. I suoi studi portano ad intuire quella che doveva essere la struttura del nuraghe, ma solo i primi scavi archeologici, agli inizi del 1960, danno una più puntuale definizione del complesso monumentale. Il rilievo dell’edificio ha permesso la ricostruzione di un nuraghe polilobato, del quale rimangono i resti di una torre principale e due torri secondarie ad addizione frontale legate da un paramento murario megalitico. Internamente, doveva essere composto da almeno tre ambienti, di cui uno costituiva la camera principale. Delle torri oggi rimangono le pietre ciclopiche del basamento, comunque importanti sia per ricostruire l’aspetto originario del Nuraghe che le fasi edilizie del pozzo annesso allo stesso. Al centro delle cortine murarie che univano le varie torri si apriva un piccolo cortile, che ha restituito importanti strutture direttamente collegate ai culti che si svolgevano in questo nuraghe.
Nel mezzo del cortile è stato rinvenuto un Pozzetto votivo, scavato nella marna arenacea, di forma cilindrica, che presenta un’imboccatura circolare alta un metro e mezzo rispetto al livello del suolo, ed è profondo circa tre metri, rivestito da filari di piccole pietre, usato come deposito ipogeo di oggetti votivi, e ritrovato pieno di schegge di ceramica nuragica, di ceneri e di avanzi di pasti. Dal pozzetto sono emersi materiali utilizzati in funzione di culti che prevedevano l’accensione di roghi rituali, testimoniati dall’abbondante presenza di un terriccio ricco di residui di ceneri, frammisti ad ossi di animali domestici quali bovini, suini, ovini, conigli e roditori, ma anche valve di molluschi marini e di resti di pasto. Il pozzetto votivo è in collegamento rituale con il Tempio a pozzo situato all’esterno del nuraghe.
I resti del pozzo sacro di Cuccuru Nuraxi Sulla collina di Cuccuru Nuraxi si trova un pozzo sacro, unico nel suo genere, realizzato verso la fine dell’eta del Bronzo e reso originale innanzitutto dalla sua collocazione a un’altezza molto superiore rispetto alla falda acquifera. Il Tempio a pozzo di Cuccuru Nuraxi è un monumento archeologico, un pozzo sacro nuragico, la cui struttura sotterranea risulta però esterna al nuraghe, il cui accesso è posto all’interno dei resti della Torre B del nuraghe. Il fatto che l’ingresso del pozzo sacro si trovi proprio all’interno di una di queste torri secondarie è la seconda caratteristica che rende unico questo sito. Altro elemento di originalità è il fatto che la scalinata di accesso non termina direttamente sul pozzo, ma immette in una tholos ipogeica tramite un piccolo vestibolo lungo circa due metri. La scala oltrepassa la muratura poligonale della torre attraverso un’apertura con alcuni gradini che si raccordano con la ripida scala sotterranea, formata da sedici gradini alti e stretti, ma manca di tre o quattro gradini nella parte alta, ed è costruita con lo stile classico dei pozzi sacri con un soffitto gradonato da sette architravi che seguono all’opposto la forma della scala. La scala è leggermente curva e raggiunge la camera sotterranea fermandosi a circa un metro e settantacinque dalla sua base, alla quale si discende oggi con una scala in legno. La camera circolare a forma ogivale è finemente lastricata ed ha un’altezza di cinque metri e settantacinque, ed un diametro di due metri e mezzo, la cui copertura è costituita da sette architravi gradonati. La camera risulta totalmente ipogea, coperta da qualche metro di terreno. Sul pavimento lastricato della camera si apre il pozzo, che scende a una profondità di dodici metri, con una larghezza media di un metro e mezzo, che si restringe a profilo parabolico fino a un metro, fino ad innestarsi in uno stretto sifone scavato nella roccia, che sprofonda ancora per circa dieci metri, dove capta la falda locale che è leggermente salina. Non è noto se fosse salina anche in epoca nuragica o lo sia diventata in seguito.   La bocca del pozzo è circondato da una ghiera rotonda monumentale di pregevole fattura, la cui sezione è assimilabile a quella di un largo calice dotato di un ampio basamento circolare. Il pozzo contiene acqua per una profondità di circa otto metri. Nel 2001 sono stati condotti degli scavi subacquei che hanno permesso di studiare nel dettaglio l’interno del pozzo. In particolare, si è cercato di distinguere i vari strati archeologici che si sono depositati sul fondo, dove sono stati trovati solo materiali detritici e numerosi oggetti moderni, ma lo scavo è stato comunque molto utile perché ha permesso di effettuare un attento studio delle condizioni del fondo e delle pareti. Il pozzo sacro, in particolare, è uno dei pochi che è stato datato con una notevole precisione grazie ai ritrovamenti di ceramiche, ed i reperti archeologici ci dicono che il sito è stato frequentato dal 1400 o 1300 fino al 700 avanti Cristo circa.
Il pozzo di Cuccuru Nuraxi è l’unico ad essere collocato in cima ad una collina e ad una notevole altezza rispetto alla falda acquifera, inoltre l’acqua non sgorga nella camera alla base della scala ma doveva essere attinta dal pozzo, che quindi risulta decorato, altra sua caratteristica peculiare. L’insieme del nuraghe e del pozzo sacro costituiva una sorta di santuario o comunque un luogo di culto importante, legato al villaggio nuragico posto subito sotto la collina. La presenza del nuraghe, direttamente associato al pozzo sacro e la posizione in sommità sarebbero nate dalla necessità di rendere evidente pubblicamente il luogo sacro, che poteva essere visibile sia dalla pianura che dal golfo creando un’esplicitazione del suo potere nei confronti degli abitanti di questa zona della Sardegna. Il villaggio nuragico di Cuccuru NuraxiAttorno al nuraghe si sviluppava il villaggio nuragico di Cuccuru Nuraxi e tutt'intorno a quest'area sono stati ritrovati numerosi resti della civiltà nuragica. Il villaggio non risulta attualmente ben visibile in quanto le strutture sono interrate e l’area di ubicazione delle stesse è quasi completamente coperta da vegetazione. Dalla superficie affiorano pietre di grandi dimensioni verosimilmente spostate dall’originaria sede. Dalla documentazione d’archivio risulta che in occasione dell’intervento di scavo sono stati messi in luce tratti murari ad andamento rettilineo realizzati con pietre sbozzate senza uso di legante. Il villaggio si estendeva sui diversi versanti della collina. Nel versante a nord ed a nord ovest si individuarono muri rettilinei con andamento ortogonale e differente orientamento. Nel versante sud è stata individuata la cosiddetta Capanna 1 caratterizzata da una pianta sub rettangolare e gli elevati costruiti a secco con doppio paramento murario. Tale capanna non è attualmente visibile in quanto dopo gli scavi è stata nuovamente interrata. Durante lo scavo della Capanna 1, tra il 1999 e il 2000, sono state effettuate esplorazioni di superficie anche sui versanti nord e nord ovest della collina, e sono state individuate tracce di diverse murature. Quelle sul lato nord sono probabilmente relative a un gruppo di capanne. In attesa di poter dare avvio a una vera e propria campagna di scavo, per il momento i muri affioranti sono stati semplicemente delimitati e rilevati. Un poco più a nord ovest del presunto villaggio, i lavori hanno scoperto ai piedi della collina una struttura muraria a grossi blocchi, rettilinea, lunga circa otto metri. Lo studio in profondità, cioè l’analisi degli spessori di terra accumulatisi e sovrappostisi nel tempo, ha messo in luce quattro strati, di cui il secondo è ricco di ossa, resti di conchiglie e frammenti di ceramiche, riferibili soprattutto a vasi di varie forme. Gli studi sono solo all’inizio, è necessario infatti attendere la continuazione dei lavori archeologici per avere una più chiara definizione dei tipi di abitazione presenti nell’area.
I resti della necropoli in località Carzeranu A duecento metri dal complesso archeologico, a nord in località Carzeranu, durante i lavori ferroviari nel 1887, è stata rinvenuta la Necropoli prenuragica, con i resti di tombe a cista litica, ossia consistenti in contenitori chiusi costituiti da lastre di pietra. Le tombe erano scavate nella roccia arenaria, a sviluppo basso e allungato in da nord a sud. Delle due sepolture rimaste, una era costituita da una cisti litica dolmenica, con cassone di lastre coperte da altri lastroni orizzontali, e, dentro la cisti, erano sepolti da dieci a quindici individui di varia età. Accanto ad essi erano conservate interessanti oggetti che costituivano il loro corredo funebre, e tra essi sono stati rinventui una sottile lamina di argento forata a un’estremità, punteruoli in rame e bronzo appiattiti a losanga al centro, un brassard di pietra bruna, elementi di una collana composta da vaghi ad anello e troncoconici di conchiglia e denti atrofici di cervo, una quindicina di vasi e alcune monete del periodo romano. Parte di questi oggetti sono conservati nel Museo Nazionale Archeologico di Cagliari.
I resti e una rara tomba collettiva rinvenuti a Cuccuru Mesan ’e ProcusSul dosso detto Cuccuru Mesan ’e Procus, ad occidente rispetto alla stazione ferroviaria di Settimo San Pietro, ed a nord di Cuccuru Nuraxi, a metà degli anni Cinquanta del Novecento sono stati rinvenuti resti di ossa umane e frammenti di ceramiche provenienti da una sepoltura di epoca nuragica, riportata alla luce durante i lavori agricoli. I materiali ceramici sono abbastanza simili a quelli trovati sulla vicina collina di Cuccuru Nuraxi e possono riferirsi al Bronzo recente. Sulla stessa altura è stata trovata anche una rara tomba collettiva che risale ai primi secoli del secondo millennio avanti Cristo, nell’età del Bronzo antico. Questa preziosa testimonianza purtroppo era stata danneggiata dalle arature, ma i recuperi effettuati negli anni Cinquanta del Novecento da Enrico Atzeni ce la descrivono come un grande cassone in pietra, interrato, di forma ovale, lungo un metro e ottanta, largo un metro e trenta, e profondo circa sessanta centimetri, con le pareti foderate da lastre di pietra. All’interno sono stati trovati i resti di una quindicina di inumati, schegge di ossidiana, diversi oggetti di rame o d’argento, una collana di conchiglie, un bracciale d’arciere a quattro fori evasi interi e frammentari, inquadrabili nelle fasi iniziali della Cultura di Bonnannaro, uno stile artistico che si sviluppò proprio nell’età del Bronzo iniziale. Il centro sperimentale didattico e divulgativo Arca del tempo Alla base dell’area archeologica di Cuccuru Nuraxi, al civico numero 37 della via Alagon, sulla sinistra, si trova l’edificio che ospita l’Arca del tempo. Si tratta di un centro di attività espositive, didattiche, formative e di laboratorio di scavo, che consente al visitatore di fare un viaggio nel tempo lungo circa quattro millenni. L’innovativo progetto iniziale, che prevedeva la restituzione tridimensionale del pozzo sacro di Cuccuru Nuraxi, dato l’altissimo potenziale scientifico, è stato in seguito esteso a tutto il paesaggio percepibile nel cerchio d orizzonte della sommità dell’omonimo colle, ricostruito grazie all’analisi delle sue componenti ambientali e antropiche note per le diverse fasi della sua storia. A questo sono stati aggiunti in seguito altri monumenti e paesaggi visibili da altri punti di vista, come la Sella del Diavolo, il forte di Sant Ignazio, Monte Urpinu, la torre di San Pancrazio. Lungo la galleria espositiva sono sistemate alcune postazioni multimediali che introducono ai laboratori didattici di scavo e classificazione dei reperti. Alla fine del percorso, una sala di proiezione con grande schermo panoramico permette di immergersi nelle ricostruzioni virtuali di sette diverse epoche, dal Neolotico, all’Età del Bronzo, fino al periodo punico, romano, giudicale, pisano, aragonese e sabaudo.

Il Meirana Golf ClubDal centro sperimentale didattico e divulgativo Arca del tempo, proseguiamo verso est lungo la via Alagon e dopo, duecentosettanta metri, questa strada termina sulla via Cuccuru Nuraxi. Proprio di fronte a dove arriva la via Alagon, lungo la via Cuccuru Nuraxi si trova l’ingresso del Meirana Golf Club. Si tratta di un campo scuola di golf, che non è dotato di tribune per gli spettatori. 
I dintorni nord occidentali dell’abitatoVediamo ora che cosa si trova nei dintorni nord occidentali dell’abitato di Settimo San Pietro, uscendo dall’abitato con la SP12 e procedendo poi verso ovest fino a raggiungere la SS387 del Gerrei. Nell’omonimo parco si trova la chiesa campestre di San Giovanni BattistaDal Municipio di Settimo San Pietro prendiamo, verso sud est, la via Antonio Gramsci, dopo un centinaio di metri prendiamo a destra la via della Stazione e, dopo cento metri, troviamo sulla destra la via Giuseppe Garibaldi. La prendiamo e svoltiamo subito a sinistra, sulla prosecuzione della via della Stazione che, dopo duecento metri, svolta a destra e diventa la via San Giovanni. Percorsa in direzione nord ovest, questa strada prosegue sulla via della Scienza, che esce dall’abitato con il nome di SP12, dopo settecento metri la Strada provinciale svolta verso destra, mentre noi prendiamo la deviazione a sinistra sulla prosecuzione della via della Scienza, la quale andrà più avanti ad immettersi sulla SS387 del Gerrei. La percorriamo per un paio di chilometri, fino ad arrivare in località Apitzu de Pranu dove, alla destra della strada, in una rientranza si sviluppa il parco di San Giovanni, un’area recintata nella quale è presente un piazzale alberato con olivi secolari detti dei Pisani. All’interno del parco si trova la Chiesa campestre di San Giovanni Battista una chiesa di epoca romanica in calcare locale, edificanta nel dodicesimo o tredicesimo secolo ad opera dei monaci Vittorini di Marsiglia, che, pur appartenendo al periodo medievale, possiede molti elementi, come i capitelli, le colonne e alcune decorazioni che risalgono a mille anni prima, dato che, per costruire la chiesa, i monaci avevano usato diversi elementi di un’antica villa romana che sorgeva in quell’area. L’edificio, risalente al dodicesimo o tredicesimo secolo, di impianto romanico e mostra una facciata semplice, piana, quadrangolare sovrastata da un campanile a vela. L’interno ha pianta rettangolare allungata, anticipata da un ampio vestibolo e divisa in tre navate divise da arcate su pilastri e colonne, e la navata ad oriente si ritiene sia stata costruita in epoca posteriore. La copertura a tetto presenta capriate lignee lavorate ad intaglio. 
Presso questa chiesa, per quattro giorni intorno alla giornata festiva del 24 giugno, che è il giorno della sua natività, si celebra la Festa di San Giovanni Battista, con una processione religiosa che parte dalla chiesa parrocchiale di Settimo San Pietro. Il Santo viene sistemato in un antico cocchio di legno e, trainato da buoi e seguito dai fedeli in costume sardo tradizionale, percorre le vie del paese tappezzate con sa ramadura, ossia petali di fiori e menta, fino alla chiesa campestre di San Giovanni Battista, dove viene celebrata la Messa. Oltre alle cerimonie religiose, in occasione di questa festività si svolgono anche numerose manifestazioni civili, come la sfilata dei costumi tradizionali, di carri e buoi, ballo in piazza, spettacoli folcloristici, musica tradizionale sarda e gogos, ossia canti sacri in lingua sarda.
I resti dell’insediamento romano di San Giovanni La vasta area pianeggiante, che circonda l’edificio religioso, si caratterizza per la presenza di numerose testimonianze archeologiche insediative e funerarie che coprono un arco temporale molto ampio, dalla Preistoria alla tarda Età Romana. Tra queste, le tracce di numerose capanne pertinenti ad un villaggio nuragico, al quale seguito un ampio insediamento punico e poi romano. In relazione a quest'ultima fase, ricordiamo che alla destra della chiesa campestre di San Giovanni Battista, ed in parte al di sotto di essa, si potevano notare i resti dell’Insediamento romano di San Giovanni che presenta interessanti mosaici policromatici. Nel 1996, durante lavori di piantumazione eseguiti all’interno del parco della chiesa, è stato portato alla luce il più importante mosaico pavimentale dell’area cagliaritana. Del significativo mosaico scoperto alcuni anni fa è iniziata l’opera di recupero, ma, in attesa di nuovi fondi per completarla, il mosaico è stato protetto con un telone e ricoperto di terra per metterlo al riparo da eventuali danneggiamenti. Secondo gli studiosi, il mosaico, che si conserva in ottime condizioni ma attualmente non è visitabile, risulta particolarmente esteso, e si compone di numerosi ed elaborati motivi decorativi a testimoniare l’esistenza nel sito di un edificio residenziale di rilievo, forse una villa romana presente avvanto all’attuale chiesa, edificio che è stato oggetto nel tempo di numerose campagne di scavi archeologici. I motivi decorativi e la tecnica usata fanno propendere per una datazione tra il quinto ed il sesto secolo, ma dato che finora è stata scavata solo una piccola parte dell’area, non è stato possibile, allo stato attuale, determinare le reali dimensioni dell’edificio, che doveva essere imponente, né stabilire se avesse una funzione civile o religiosa.
Il campo di Tiro a VoloDa dove avevamo trovato il Parco di San Giovanni, proseguiamo lungo la prosecuzione della via della Scienza e, dopo circa cinquecento metri, troviamo una deviazione sulla sinistra, la seguiamo per poco più di seicento metri ed arriviamo, in località Su Padru, a vedere alla sinistra della strada il cancello di ingresso del Campo di Tiro a Volo di Settimo San Pietro. La struttura dispone di cinque campi polivalenti, di cui due di percorso caccia, uno di skeet che è la seconda specialità del tiro a volo che prevede che per ogni piattello si abbia a disposizione un solo colpo, e quattro di fossa olimpica. La struttura è inquadrata dalla FITAV come campo di 2a categoria. 
L’ArkeoParco Is Domus de Ayayu Passato il Parco San Giovanni nel quale si trova la chiesa campestre di San Giovanni Battista, procedendo in direzione nord ovest lungo la via della Scienza, dopo circa un chilometro arriviamo a una rotonda, alla quale prendiamo la seconda uscita che ci porta sulla Strada Intercomunale per San Giovanni. La seguiamo per poco più di un chilometro, ed andiamo ad immetterci sulla SS387 del Gerrei all’altezza del chilometro 11.7 dove, all’altro lato della strada statale, si trova il complesso turistico e ristorante Charme. Nel giardino di questo complesso turistico è stato realizzato l’ArkeoParco Is Domus de Ayayu, un archeoparco didattico che propone la ricostruzione a grandezza naturale di diversi tipi di abitazione e monumenti funerari risalenti ai periodi neolitico, nuragico e fenicio punico. Nello specifico all’interno di questo parco si possono visitare una capanna bilobata con focolare e arredi, una singola, una implosa, una capanna quadrangolare, un forno a fossa del neolitico recente e prenuragico, ed anche una capanna in pietra, una tomba dei giganti, tombe a pozzetto complete di arredi e manufatti del periodo nuragico, oltre a due tombe puniche complete di arredi funerari.

La Casa Cantoniera Apitzu de Planu Alla rotonda alla quale abbiamo preso la seconda uscita che ci ha portati sulla Strada Intercomunale per San Giovanni, seguiamo questa strada che si dirige a nord ovest per poco più di un chilometro, poi svoltiamo a destra e ci immettiamo la SS387 del Gerrei, che si dirige verso Dolianova. Percorsa questa strada statale per circa settecento metri, arrivati al chilometro 12.4 vediamo alla sinistra della strada statale, nella località Cantoniera Apitzu de Planu, la Casa Cantoniera Apitzu de Planu. Passata la Casa Cantoniera, proseguiamo lungo la SS387 del Gerrei per poco più di un altro chilometro ed arriviamo a uno svincolo, dove da destra arriva la SP12 che proviene da Settimo San Pietro.
Il Campo di volo Amici dell’AriaDalla Casa Cantoniera Apitzu de Planu, percorsi circa cinquecento metri lungo la SS3787 del Gerrei arriviamo a un incrocio con due strade bianche, dove prendendo a sinistra si vede subito, alla destra della strada bianca, l’ingresso del Campo di volo Amici dell’Aria, nel quale è presente una pista di atterraggio e decollo per aerei e ultraleggeri. 
La Cantina Ferruccio Deiana con un vino inserito nella guida 5StarWines di VinitalyLungo la SS387 del Gerrei, arrivati allo svincolo dove da destra arriva la SP12 che proviene da Settimo San Pietro, noi prendiamo la deviazione a sinistra e, dopo un chilometro e mezzo, arrivati in località Su Leunaxi, vediamo alla sinistra della strada il cancello che immette nella tenuta dell’Azienda Vitivinicola Ferruccio Deiana.  La Cantina dell’Azienda Vitivinicola Ferruccio Deiana è situata in una zona collinare da secoli votata alla viticultura. Si inserisce in maniera armonica nel territorio circostante, con il suo stile architettonico ispirato ai vecchi casolari campidanesi, modellati dall’uomo in funzione del territorio leggermente ondulato. Il tocco moderno permette di mischiare le tradizioni vitivinicole con l’ausilio della tecnologia moderna. Al piano terra si trovano tutti i più evoluti e sofisticati impianti enologici di vinificazione, conservazione e affinamento, un moderno e funzionale laboratorio di analisi chimica, una graziosa e accogliente sala ricevimenti e infine la zona amministrativa dell’azienda stessa. AI piano interrato troviamo la barricaia, con le sue barriques in rovere francese utilizzate per la fermentazione e maturazione in legno dei vini. Circondata da trenta ettari di vitigni autoctoni Vermentino, Nasco, Malvasia, Moscato, Cannonau, Monica, Carignano e vitigni alloctoni come lo Chardonnay, il Cabernet, il Syrah e il Merlot, la Cantina si inserisce su di un territorio incantevole e poetico, quasi abbracciata dagli ulivi disposti tutt'intorno e assume un particolare fascino nel periodo estivo in cui il verde risalta sul giallo dei campi circostanti e sull’argenteo degli ulivi. Il suo vino Isola Dei nuraghi Igt Bianco Passito Oirad 2018, è stato inserito nella 5StarWines del 2023 di Vinitaly.
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I dintorni settentrionali dell’abitatoVediamo ora che cosa si trova nei dintorni settentrionali dell’abitato di Settimo San Pietro, uscendo dall’abitato con la Strada Comunale di Santu Perdu. Nell’omonimo parco si trova la chiesa campestre di San Pietro in VincoliDal Municipio di Settimo San Pietro prendiamo, verso sud est, la via Antonio Gramsci, dopo un centinaio di metri prendiamo a destra la via della Stazione e, dopo altri cento metri, prendiamo a destra la via Giuseppe Garibaldi. Dopo cinquecento metri arriviamo a una rotonda al centro della quale si trova Sa Gruxi Santa, ossia la Croce Santa. Presa la prosecuzione un poco sulla destra che è la Strada Comunale di Santu Perdu, proseguiamo per un chilometro e trecento metri ed arriviamo a un’incrocio, dove prendiamo a destra la strada che, in trecento metri, ci porta a vedere, alla sinistra della strada il Parco di San Pietro in Vincoli. All’interno del parco alberato, si trova la Chiesa campestre di San Pietro in Vincoli, denominata anche di Santu Perdu. Si tratta di una chiesa edificata dai monaci Vittorini di Marsiglia nel tredicesimo secolo in forme romaniche, che però cade in rovina nel sedicesimo secolo, quando viene ricostruita in forme gotiche. Nel corso dei secoli successivi la chiesa viene più volte rimaneggiata. L’esterno richiama la chiesa di San Giovanni per la semplicità dell’insieme e la mancanza di elementi decorativi importanti. Ha l’impianto interno che si sviluppa su pianta rettangolare ad una sola navata, divisa in due campate da un grande arco, presenta una copertura con struttura in legno, ed un lato termina in una piccola abside semicircolare posteriore. La chiesa è stata completata da alcune cappelle laterali costruite nel Seicento, ed a breve distanza viene aggiunto, nel 1627, il campanile a canna quadrata con vano campana, ricavato nella parte superiore come prolungamento dello spessore murario della facciata. A sud si accorpano una serie di volumi non connessi alla struttura originaria. 
La domus de janas di S’Acqua ’e Is DolusUsciti dall’abitato con la strada che ci ha porati alla chiesa campestre di San Pietro in Vincoli, arrivati dopo un chilometro e trecento metri all’incrocio, invece di prendere la deviazione verso destra proseguiamo dritti, dopo seicento metri troviamo un cancello sulla destra. Se si passasse questo cancello e si proseguisse sul sentiero per duecentottanta metri, si arriverebbe a un incrocio, dove si dovrebbe prendere a destra il sentiero da seguire per centocinquanta metri. Qui, alla destra del sentiero, nel bosco di Is landireddus dove prospera rigogliosa la macchia mediterranea, si troverebbe una domus de janas realizzata probabilmente nel Neolitico recente, che si sviluppa secondo la cronologia calibrata tra il 4200 ed il 4000 avanti Cristo, e, secondo la datazione tradizionale, tra il 3400 ed il 3200 avanti Cristo, che è ad oggi una delle più antiche testimonianze archeologiche note nel territorio di Settimo San Pietro. La tomba è costituita da una piccola grotta artificiale che si erge solitaria nella collina, scavata nella tenera pietra locale, accessibile da una piccola apertura pseudo quadrangolare che ospitava in origine un elemento di chiusura. Ha un impianto planimetrico molto semplice, essendo costituita da due ambienti comunicanti, ossia da un’anticamera dalla quale si accede alla cella vera e propria attraverso un’apertura quadrata più piccola di quella dell’ingresso principale. A causa di infiltrazioni d’acqua piovana e provenienti da una sorgente sotterranea, probabilmente fin dall’antichità, è stato necessario scavare davanti all’ingresso un piccolo canale per far defluire l’acqua. La tradizione popolare racconta che quest’acqua, oltre ad essere potabile, avesse proprietà miracolose in grado di sanare tutti i dolori, e da qui deriverebbe il nome S’Acqua ’e Is Dolus, ossia l’acqua che lenisce i dolori. 
A questa grotta è legata un’antica credenza popolare, secondo la quale qui San Pietro avrebbe trovato riparo per la notte, ed avrebbe pregato tanto che l’impronta delle sue ginocchia sarebbe rimasta visibilmente impressa nella roccia. Gli anziani, raccontano che ogni anno, nella giornata del 29 giugno, partendo da Sa Gruxi Santa, alla fine della via Giuseppe Garibaldi, numerose persone si incamminavano lungo la strada di campagna, e giungevano alla grotta percorrendo una stradina, una sorta di scorciatoia, che la collegava alla chiesa campestre, e che nel pomeriggio il sacerdote celebrava la messa e dava la benedizione. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, provenendo da Settimo San Pietri ci recheremo a visitare Maracalagonis che vedremo il suo centro ed i suoi dintorni con le diverse chiesa campestri e con la sua bella costiera meridionale. |