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Cabras con le scoperte archeologiche di Cuccuru Is Arrius e Conca Illonis ed i giganti di Mont'e PramaIn questa tappa del nostro viaggio, proseguiremo la visita del Campidano di Oristano e ci avvicineremo a Oristano recandoci a visitare Cabras, con il suo Stagno e con la preparazione della bottarga di muggine. Parleremo inoltre delle statue di Mont'e Prama in corso di restauro e delle tavolette rinvenute con la scrittura shardana. La Regione storica del Campidano di Oristano
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Percorsi altri quattrocento metri lungo la via Tharros, la strada arriva a un ponte che passa sopra il Riu Ranui, il fiume che attraversa Cabras. Il lato sinistro del fiume porta sulla costa allo Scàiu, ossia all'approdo da cui salpano le barche da pesca nello Stagno di Cabras, e dove si trova anche un punto di vendita del pesce fresco.
Proseguendo la via Tharros per poco più di cento metri, alla destra della strada, al civico numero 121, si vede l'edificio nel quale è ospitato il Museo Civico Archeologico Giovanni Marongiu, inaugurato nel 1997, e dedicato all'esposizione di reperti archeologici provenienti dalla penisola del Sinis. Il Museo è intitolato al professor Giovanni Marongiu, nato a Cabras, docente presso importanti istituti universitari, che è stato ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno nell'ultimo governo Andreotti.
L'esposizione si articola in diverse sezioni. Il periodo prenuragico e nuragico è documentato dai materiali recuperati con lo scavo del villaggio di Cuccuru is Arrius, che ha restituito significative testimonianze a partire dal Neolitico medio. Il Museo ospita, inoltre, numerosi materiali provenienti dal sito di Sa Osa, sede di un grande insediamento preistorico e nuragico, frequentato dall'Età del rame alla prima Età del Ferro. L'età storica è rappresentata da reperti provenienti dall'antica Città di Tharros, costruita dai Fenici su un preesistente Villaggio nuragico e ampliata in senso urbano in età punica e poi romana, ed i materiali Fenicio punici esposti provengono dallo scavo del quartiere artigianale della Città e dal Tophet, dal quale derivano le urne e le stele in esposizione. Dal 2008 è stata inaugurata la sala dedicata al relitto di età romana individuato nel braccio di mare compreso tra la costa del Sinis e l'isola di Mal di Ventre, una delle scoperte subacquee più significative effettuate nelle acque sarde. Negli ultimi tempi sono state portate in questo Museo anche le statue restaurate dei giganti di Mont'e Prama, ad eccezione di un reperto per ogni tipologia scultorea rinvenuta, che sono stati portati nel Museo Nazionale Archeologico di Cagliari.
Nel 2012, nel suo volume «Shardana. La Bibbia degli Urim», Leonardo Melis riporta la notizia del ritrovamento di due Djed egiziani, che rappresentavano un simbolo sacro importante, la spina dorsale di Osiride re dell'Oltretomba. Il primo, un gioiello, era stato rinvenuto nella Città shardana di Solki e si trova nel Museo Nazionale Archeologico di Cagliari il secondo, gigantesco e in pietra, è stato scoperto da Leonardo Melis in un angolo del Museo Civico Archeologico di Cabras. Secondo Leonardo Melis sarà stato portato da coloro che frequentavano assiduamente l'Egitto per commercio e per pirateria, o anche semplicemente per svolgere il servizio militare fra le fila dei mercenari, tanto apprezzati dagli Egiziani, tanto da farne la Guardia reale del faraone, ossia dai Shardana. Infatti «se, come affermato dall'archeologia ufficiale, le Città della costa sarda furono fondate dai Fenici nel 800 avanti Cristo, come mai i reperti sono al cinquanta per cento bronzetti Shardana, ed il resto gioielli e manufatti egizi?».
Percorsi altri trecento metri verso sud ovest lungo la via Tharros, arriviamo agli Impianti Sportivi di via Tharros. Nel complesso sportivo è presente un Campo da Calcio, del quale nel 2017 è stato inaugurato il manto in erba, con tribune il grado di ospitare 1200 spettatori. In esso si allenano e giocano le società sportive di calcio della cittadina. Le squadre di calcio di Cabras, attualmente, sono due, l'Atletico Cabras Calcio, nata nel 2007 con la denominazione BDS Cabras, che milita nel campionato regionale di I Categoria, e la San Marco, squadra storica, fondata nel 1964, in vita fino al 1992, e ricostituita nel 2008, che milita nel campionato regionale di II Categoria. Nel complesso sportivo sono presenti anche un Campo da Calcetto, ossia di calcio a cinque, con manto in erba sintetica, con tribune in grado di ospitare 150 spettatori, e sono presenti tre Campi da Tennis, in grado di ospitare 200 spettatori.
Presa la prima traversa verso destra, dopo cento metri si arriva al Palazzetto dello Sport di via Tharros, in grado di ospitare 120 spettatori, all'interno del quale si svolgono attività di basket, volley, ginnastica, ed altre.
Dalla piazza Eleonora d'Arborea, dove si trova il Municipio, prendiamo, a destra della via Tharros, la via Alberto La Marmora o la via Risorgimento, che si dirigono verso nord ovest, e, dopo una sessantina di metri, troviamo sulla destra la piazza Principe di Piemonte.
Nella Piazza, sul suo lato destro, è presente la Chiesa dello Spirito Santo, chiamata anche Sa Cresiedda, costruita al centro del paese nel 1601 in stile tardo gotico. Si tratta del più antico edificio sacro della cittadina, ed all'inizio del novecento, durante alcuni lavori, è stato rinvenuto un antico cippo con una dicitura in latino volgare, ossia Hinc est Masone de Capras. La Chiesa è caratterizzata da una pianta rettangolare a navata unica, su cui si aprono le due cappelle laterali. Al suo interno sono conservati due altari del diciassettesimo secolo, un Cristo ligneo snodabile, ed un pulpito in legno policromo del diciottesimo secolo. Il prospetto esterno, a capanna, accoglie al centro il portale in legno, con cornice in pietra e lunetta semicircolare in vetro decorato, affiancato da due piccole nicchie che accolgono delle immagini sacre. Sul lato destro della Chiesa è posto un bel campanile a vela, mentre alla sinistra si innalza una massiccia torre campanaria a pianta quadrata, conclusa nella parte superiore da una parte in pietra, e con una bellissima cupola in maiolica colorata.
La via Alberto La Marmora sbocca, dopo una diecina di metri, sulla via Regina Elena. La prendiamo verso sinistra, dopo una trentina di metri questa strada arriva a un bivio, dove proseguiamo verso destra sul Vico II Domenico Alberto Azuni, dal quale, dopo una ventina di metri, prendiamo a sinistra la via Roma, che si dirige verso ovest.
Seguiamo la via Roma per poco più di duecento metri, e la strada ci conduce di fronte alla facciata della Chiesa di Santa Maria Vergine Assunta, che è la Chiesa parrocchiale di Cabras. Viene chiamata anche Pieve di Santa Maria Vergine Assunta, dove la Pieve è una Chiesa rurale con annesso battistero, che, nell'Alto Medioevo, era al centro di una circoscrizione territoriale e dalla quale dipendevano altre Chiese e cappelle prive di battistero, finche, dal Basso Medioevo, le due funzioni passano alla parrocchia. Questa Chiesa risale alla fine del quindicesimo secolo, quando il paese di Cabras ha incrementato il numero di abitanti, e si rende necessario edificare una nuova Chiesa. Per la sua costruzione vengono utilizzati numerosi ruderi del Castello degli Arborea, che era stato edificato sulla riva orientale dello Stagno di Mar 'e Pontis, e la Chiesa viene dedicata a Santa Maria, dato che Eleonora d'Arborea aveva dedicato alla Madonna la Cappella del Castello, in nome della sua grande devozione per la Vergine, come dimostrano le frequenti invocazioni presenti nel codice della Carta de Logu. L'edificio, in origine, aveva una sola navata con travature di legno e tegole, poi, intorno al 1650, viene costruita la volta a botte e, quasi un secolo dopo, il Marchese d'Arcais fa costruire il Coro, le due cappelle più grandi, dette del Rosario e di Sant’Anna, che attribuiscono alla navata unica la perfetta e caratteristica forma a croce latina, e fa innalzare la cupola alta venticinque metri. La Chiesa conserva al suo interno un interessante corredo di argenti e stoffe di gran pregio, riferiti a varie epoche.
Presso questa Chiesa parrocchiale, ed anche in diverse strade all'interno dell'abitato, il 24 maggio si celebra la Festa di Santa Maria Assunta, che è la patrona di Cabras, caratterizzata da cerimonie religiose e manifestazioni civili. La Festa dura tre giorni, durante i quali non mancano balli in piazza, spettacoli vari e fuochi d'artificio.
Alle spalle della Chiesa di Santa Maria Assunta, rimangono i resti di un muraglione, che è tutto quello che rimane oggi del Castello di Cabras o Castello di Mar 'e Pontis. Per quanto riguarda la sua storia, sappiamo che, dopo il 1100, che è circa l'anno della morte del Giudice Orzocco I di Arborea, viene edificato da Donna Nivata o Nibata, la sua vedova, il palazzo di Masone de Capras, del quale non restano più tracce, che nel 1130 diventa la Casa del Regno, ossia la Demestiga de Rennu o Domus de Rennu, e che forse è stato il fondamento sul quale verrà, successivamente, edificato il Castello di Cabras, affacciato sulla riva orientale dello Stagno di Mar 'e Pontis, che sarà la residenza estiva di tutti i sucessivi Giudici d'Arborea, del quale non restano che i pochi resti precedentemente descritti. La tradizione, rinforzata da testimonianze storiche, ha sempre identificato questo Castello come la residenza estiva di Eleonora d'Arborea, e, proprio in questa fortezza, la Giudicessa, dopo aver invocato la protezione della Vergine, avrebbe promulgato la famosa Carta de Logu. Il Castello andrà rapidamente in rovina, a partire dal quindicesimo secolo, e numerosi suoi ruderi verranno utilizzati per costruire la Pieve di Santa Maria Vergine Assunta, che oggi sorge dove una volta si trovavano i magazzini del Castello. Ed infatti, nel corso degli scavi effettuati nell'aprile del 1908 per gettare le fondamenta della nuova facciata della Chiesa, alla profondità di tre metri, vengono rinvenuti alcuni orci molto grandi, allineati e ripieni di terra, distanti cinque metri l’uno dall'altro.
Alla sinistra della Chiesa parrocchiale di Santa Maria Vergine Assunta si trovano due torri, che sono depositi dell'ex acquedotto, e che, recentemente ristrutturati, sono diventati una Galleria multimediale dedicata alla Corsa degli Scalzi di San Salvatore, manifestazione religiosa che per tradizione si festeggia a Settembre. Al di là delle due torri, si trova la bellissima Piazza dello Stagno, la gigantesca piazza che dovrebbe avvicinare gli abitanti di Cabras allo Stagno di Mar 'e Pontis, ossia allo Stagno di Cabras, dato che si affaccia direttamente sullo stagno. È la piazza dove si svolgono la Festa patronale e numerosi intrattenimento dal vivo all'aperto, e la si può raggiungere un centinaio dimetri più a sud dalla Chiesa parrocchiale.
Dalla Chiesa parrocchiale di Santa Maria Vergine Assunta, prendiamo all'indietro la via Roma, tornando in direzione della piazza Eleonora d'Arborea dove si trova il Municipio. La seguiamo per una cinquantiva di metri, poi prendiamo la prima traversa a sinistra, che è la via Armando Diaz, e, dopo una sessantina di metri, a destra la via Firenze. Percorso un centinaio di metri, al civico numero 9 della via Firenze, si trova il Ristorante Il Caminetto.
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Da dove, dalla via Armando Diaz, avevamo preso a destra la via Firenze, prendiamo, invece, a sinistra la via Efisio Marini, che curva e si dirige verso nord. Percorsa per quasi centocinquanta metri, passiamo l'incrocio con la via Josto, e proseguiamo verso nord con la via Tuveri, la seguiamo per poco più di altri centocinquanta metri fino a che questa strada sbocca sulla via Genova. Proprio di fronte si vede il Portale di Don Peppi, ossia il monumentale portale settecentesco che dava accesso alla proprietà del nobile Don Peppi Grisoni. Questo portale è abbastanza semplice, con la luce circondata da una cornice continua che, a metà altezza, taglia orizzontalmente i sostegni verticali.
Al di sotto della cornice si trovano due specchi rettangolari, mentre a completare l'arco, rinforzato alla base da alcuni blocchi di basalto scuro, provvede un altro, robusto, cornicione modanato. Passato il portale, dove una volta si trovava la grande tenuta agricola di proprietà del nobile Don Peppi Grisoni, sono oggi presenti i giardinetti di Don Peppi, che sono dei giardini pubblici purtroppo assai poco curati, ossia in uno stato di quasi totale abbandono.
Guardando il portale, alla destra, ai civici numeri 48 e 50 della via Genova, si trovano la sede dell'Azienda Vinicola Attilio Contini, con gli stabilimenti per la produzione della Vernaccia e di altri vini DOC.
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Dalla piazza Eleonora d'Arborea, prendiamo alla sinistra del palazzo del Municipio, la via Giuseppe Garibaldi. La seguiamo in direzione nord ovest per seicento metri, ed arriviamo a una rotonda, alla quale proseguiamo dritti lugo il corso Europa. Dopo una cinquantina di metri, si vede, alla sinistra della strada la Chiesa di San Giuseppe, un piccolo edificio sacro dalle linee moderne edificato nel 1988. La Chiesa è caratterizzata da una pianta rettangolare ad una sola navata, ed ha un terminale piano. La modesta facciata esterna accoglie al centro il portone d'ingresso ad arco a tutto sesto, mentre sul lato destro è posto un semplice campanile a vela, con monofora e copertura a due falde.
Proseguendo lungo il corso Europa per un'altra cinquantina di metri, si vede alla sinistra della strada il Portale di Donna Annetta, ossia il monumentale portale settecentesco che dava accesso alla proprietà della nobildonna Donna Annetta Boi. Purtroppo il livello stradale è stato rialzato, e quindi non si p uò più apprezzare del tutto la monumentalità dell'opera. Il portale, restaurato agli inizi degli anni '90 del secolo scorso, è realizzato interamente in arenaria. L'apertura ad arco è affiancata da due colonne, che non sono più quelle originali che sono state trafugate,
le quali poggiano su plinti decorati. All'interno del timpano che conclude il portale, vi sono tre aperture ad arco, reppresentanti del gusto degli anni di fine '600, che nascondono la loggia superiore. Questa è accessibile per mezzo di una una scala, ricavata nel piedritto sinistro del portale. Passato il portale, dove una volta si trovava la grande tenuta agricola di proprietà della nobildonna Donna Annetta Boi, sono oggi presenti i giardinetti di Donna Annetta, che sono dei giardini pubblici assai ben curati.
Proseguendo lungo il corso Europa per un centinaio di metri, prendiamo alla sinistra la via Giacomo Matteotti, la seguiamo per duecento metri, poi prendiamo a destra e troviamo, alla sinistra della strada, l'ingresso del Complesso Sportivo Donna Annetta. Nel complesso sportivo sono presenti un Campo da Basket, un Campo da Calcetto, ossia da calcio a cinque ed un Campo da Tennis.
Ad ovest dell'abitato si sviluppa il grande Stagno di Cabras, che si estende per circa 2.288 ettari, e rappresenta uno degli ambienti palustri tra i più importanti della Sardegna e di tutta Europa. La sua profondità media è di quasi tre metri, e la sua forma allungata, grosso modo da nord a sud, dove è più largo, deriva dal fatto che lo Stagno è nato in un'antica valle fluviale. Lo Stagno riceve le acque del Riu Sa Praia, piccolo fiumiciattolo appartenente al Comune di Riola Sardo. È sempre stato molto pescoso, vi abbondano anguille e muggini, su di esso si affaccia la cittadina chiamata Cabras, ed in esso sono presenti diverse peschiere.
Per molti anni la pesca nella Stagno di Cabras è stata ferma, dopo che nel 1999 si era verificata una tragica moria dei pesci a causa di un'alga che, prolificata in maniera abnorme, produceva una sostanza gelatinosa che si attaccava alle branchie dei pesci facendoli morire per asfissia. Il disastro ha avuto dimensioni tali che si ricorda come il fetore dei pesci in putrefazione, agevolato dal maestrale, si percepisse a trenta chilometri di distanza. In seguito la pesca è ripresa, ed i 320 pescatori che vi operano hanno ricominciato a catturare soprattutto i muggini, nome con il quale vengono indicati in Sardegna i cefali, oltre ad anguille, capitoni, branzini o spigole, mormore.
Descriviamo, ora, un piatto esclusivo della cucina di Cabras.
Nello Stagno si trova l'obione, chiamato in sardo Sa Zibba, un'erba palustre che viene utilizzata nella preparazione de Sa Mrecca, ossia la Merca, un piatto tipico derivato direttamente dalla cucina Fenicia. Il patto è un modo per cucinate il muggine, che viene lessato in acqua con molto sale, e la quantità del sale varia a seconda del periodo per il quale si vuole che il pesce venga conservato. Viene, poi, avvolto nei rami di Sa Zibba, quasi a formare un fagotto, fino a costituire una specie di fascina che viene aperta al momento della consumazione. Il che consente, a seconda della quantità di sale utilizzata, di conservare il pesce per giorni, settimane o addirittura per diversi mesi.
Vediamo ora che cosa si trova nel territorio intorno allo Stagno ed alla cittadina di Cabras, territorio che è attraversato da strade che costituiscono il cosiddetto percorso delle zone umide.
Il territorio del Comune di Cabras si estende fino alla penisola del Sinis, comprendendo le zone umide adiacenti allo Stagno di Cabras. Scendendo verso sud lungo la costa dello stagno, si può seguire il percorso delle zone umide, che è costituito da strade che collegano tutta la zona che va dallo Stagno di Pischeredda fino alla Peschiera di Pontis, e permettono di vedere tutti gli altri stagni presenti nella zona. Nella parte alta dello Stagno di Cabras, verso est, dove sbocca il canale chiamato Riu de Mar 'e Foghe, che proviene dalla bonifica dello Stagno di Mare 'e Foghe, si trova la Stagno di Pischeredda, che appartiene al territorio del Comune di Nurachi.
Di notevole interesse naturalistico è il Parco Naturale di Pischeredda, che offre ai visitatori la possibilità di ammirare varie specie di uccelli tra cui fenicotteri, gallinelle d'acqua, rapaci e gabbiani, e che è stato inserito nella Convenzione di Ramsar come zona umida da salvaguardare. Nel punto di confluenza del Riu de Mare 'e Foghe con lo Stagno di Cabras, è presente la Torre di Pischeredda, che un visitatore occasionale potrebbe pensare fosse una di quelle costruite a difesa contro le incursioni dei pirati Saraceni, ma che non appartiene al sistema difensivo costiero, essendo stata costruita, in data imprecisata, come punto di osservazione per la sorveglianza del vicino stagno. All'interno di questo Stagno si trova la piccola Peschiera di Pischeredda, realizzata al fine di consentire la pesca delle specie presenti in questo e negli altri impianti, ed anche delle carpe.
A oriente dello Stagno di Cabras si trova lo Stagno di Mar 'e Pauli, che è collegato con lo Stagno di Cabras da un canale. Lo si può raggiungere uscendo da Cabras verso nord ovest con la SP58 e seguendola per quasi quattro chilometri, poi si trova la deviazione a sinistra che ci fa raggiungere lo stagno. Lo Stagno di Cabras, con tutta l'area umida circostante, è frequentato da un grandissimo numero di uccelli, per cui la LIPU, Lega italiana per la protezione degli uccelli, vi ha aperto una stazione ornitologica, nella zona di Mari 'e Pauli, e vi effettua un periodico censimento.
Accanto allo Stagno di Mar 'e Pauli si trova lo Stagno di Pauli 'e Sali, anch'esso collegato con lo Stagno di Cabras da un canale. Lo si può raggiungere uescendo da Cabras verso nord ovest con la SP58 e seguendola per due chilometri e mezzo, poi deviando a sinistra e seguendo le strade che portano allo stagno, oppure uscendo da Cabras con la prosecuzione della via Gallura, che sale verso nord ovest costeggiando lo Stagno di Cabras, e ci porta alla base dello Stagno di Pauli 'e Sali in quattro chilometri. In questo Stagno si trovano i resti di un'antica peschiera, e vi abbiamo fotografato un airone cinerino ed anche i fenicotteri rosa.
Da Cabras, partendo dagli Impianti Sportivi di via Tharros e proseguendo verso sud ovest con la via Tharros, che costeggia lo stagno con il nome di SP9. Dopo circa novecento metri, arriviamo al posteggio dove si può fermare la macchina, per recarci a visitare lo Stagno di Cabras. Da qui, percorrendo la sterrata che costeggia lo stagno, in poco meno di cinquecento metri si arriva alla torre.
Lo Stagno di Cabras, che ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella vita delle popolazioni della zona, era presieduta dalla Torre di Su Pottu o Torre del Porto, chiamata anche Torre di Cabras, una torre costiera di epoca spagnola, costruita probabilmente nel 1577, al limite meridionale dello Stagno di Cabras, lungo la strada che conduce a Tharros, a soli due metri sul mare, ed è attualmente in dotazione alla Peschiera di Pontis che si trova subito più avanti. Realizzata in arenaria calcarea, ha una forma tronco conica, con una volta a cupola ed una scala interna allo spessore del muro per l'accesso al terrazzo. Nell'ambiente si trova anche un caminetto cucinino. La scala esterna è stata realizzata successivamente. Era una Torre del tipo sencillas, che rimaneva in contatto con le altre tramite segnali di fumo.
Dal posteggio, percorrendo circa un chilometro e mezzo in direzione ovest lungo la SP9 si arriva all'estremo inferiore dello Stagno di Cabras, dove si trova un Canale Scolmatore, ossia il Canale di Pontis, che collega lo Stagno di Cabras con il mare, e sbocca in prossimità del Porticciolo Turistico di Marina di torregrande.
Allo sbocco del canale nel mare, si trova la grande Peschiera di Pontis, dove si trova l'Ittiturismo Sa Pischera e Mar'e Pontis, che si raggiunge, a metà strada tra il posteggio ed il Canale Scolmatore, prendendo verso sinistra una strada trasversale, che percorriamo per quattrocentocinquanta metri. La peschiera, che risale al quindicesimo secolo, è compresa all'interno di una fitta rete di canali che collegano lo Stagno al mare, insieme alle altre dello Stagno di Cabras, continua ad essere, come nel passato, una risorsa produttiva fondamentale per l'economia del paese. Si tratta di un aggregato architettonico modesto e semplice, che, recentemente ristrutturato, mantiene un'interessante tessitura muraria costituita essenzialmente di mattoni crudi e di arenarie grigie e gialle. Nel compendio ci sono l'antica casa padronale e l'officina dove una volta si lavorava il pesce, rinnovate parecchie volte in varie epoche. Attorno al palazzetto della amministrazione, Su Poatziu, vi sono diverse costruzioni di servizio come cucine, magazzini, depositi per barche e attrezzi.
Al tempo del Giudicato d'Arborea, lo Stagno e le sue peschiere fanno parte del demanio, e tali continuano a restare sotto il dominio aragonese e nei primi secoli della dominazione spagnola, fino a che, nel 1652, il re Filippo IV non vende i diritti di pesca a Girolamo Vivaldi, ed in seguito, nel 1853, i loro successori, ossia i Pasqua Vivaldi, cedono gli stessi diritti alla famiglia Carta di Oristano. Dal 1982 lo stagno, acquisito dal demanio regionale, viene gestito da un consorzio di pescatori.
A pochi passi dalla Peschiera di Pontis, esternamente alle strutture che ne costituiscono il compendio, si trova una piccola Chiesa che probabilmente è stata edificata alla fine del sedicesimo, o forse nel diciassettesimo secolo il che sarebbe la prova di un insediamento successivo alla formazione della peschiera. Si tratta della piccola Chiesa di San Vincenzo, che viene chiamata in lingua sarda Sa Cresiedda de Santu Bissenti. Costruita interamente in mattoni crudi, la piccola Chiesa campestre non è più, attualmente, aperta al culto.
Nei dintorni di Cabras sono stati individuati diversi siti archeologici, ai quali si devono scoperte in grado di modificare sostanzialmente la storia dell'archeologia, e che più avanti descriveremo in modo approfondito. Alla sinistra del ponte sul Canale di Pontis, all'interno del canale, si trova una piccola isola, raggiungibile solo via mare, all'interno della quale è stato individuato l'importante villaggio prenuragico di Cuccuru Is Arrius. Per raggiungere quest'isola mancano le indicazioni, ma, in ogni caso, non conviene recarci a visitarla dato che del sito archeologico non rimane più alcuna traccia. Dal ponte sul Canale di Pontis, proseguiamo verso ovest sulla SP6 per circa quattro chilometri, e troviamo al deviazione a destra sulla SP7, che si dirige verso nord e costeggia il lato occidentale dello Stagno. Seguita per poco più di un chilometro e seicento metri, da questa strada parte a sinistra la SP59, che si dirige verso Is Arutas, della quale visiteremo nella prossima pagina la bellissima spiaggia di quarzo. Evitiamo questa deviazione e proseguiamo dritti, percorsi appena cinquecento metri troviamo una deviazione sulla destra in una strada sterrata conduce verso lo stagno, la quale ci condurrebbe al sito archeologico di Conca Illonis, per il quale mancano le indicazioni, ma che, in ogni caso, non conviene recarci a visitare dato che non rimane più alcuna traccia. Proseguendo verso nord lungo la SP7 per altri quasi tre chilometri e mezzo, possiamo recarci, alla sinistra della strada, agli scavi che hanno portato al rinvenimento degli ormai famosi giganti nell'area archeologica di Mont'e Prama. Il sito archeologico è attualmente in fase di scavo, e per questo non è visitabile.
Nei dintorni di Cabras sono stati portati alla luce i resti dei villaggi prenuragici di Cuccuru Is Arrius e di Conca Illonis; i resti dei giganti di Mont'e Prama; delle tavolette in bronzo di Tzricotu; della Tomba di giganti Sa Gora de Sa Scafa; dei Nuraghi semplici Abba chene Sole, Antioco Crobis I, Antioco Crobis II, Baboe Cabitza, Barrisi II, Benas de Marchi, Cadaane II, Conc'Ailloni, Costa Randada, Costa Randada II, Covili Sa Serra Su Sipiri, Crichidoreddu, Figus de Cara Pittiu, Maimoni, Maistu Andria, Muras, Ollastu, Paegrevas, Roia Sa Murta, S'Arrieddu, Sa Bingia, Sa Carroccia, Sa Gora de Sa Scafa, Sa Gora de Sa Scafa II, Sa Naedda, Sa Pedrera, Sa Piscina, Sa Piscina II, Sa Roia de Pusedda, Sa Roia Traversa I, Sa Roia Traversa II, Sa Roia Traversa III, Sa Tiria, Sa Tiria II, Su Archeddu de Su Cani Mau, Su Archeddu Su Procou, Su Murru Mannu, Su Pranu Nurachedus I, Su Pranu Nurachedus II, Su Pranu Nurachedus III, Su Pranu Nurachedus IV, Suergiu, Zinnibiri, Ziricottu; dei Nuraghi complessi Angios Corruda, Barrisi I, Barrisi III, Cadaane, Cannevadosu, Caombus, Crichidoris, Figus de Cara, Giovanni Nieddu, Isola Mal di Ventre, Leporada, Marghini Grutzu, Matta Tramontis, Molas, Monti Chibuddas, Monti Corrighias, Monti Prama, Piscina Rubia, S'Archeddu 'e Sa Canna, S'Argaru, Sa Ruda, Santu Sadurru, Serra 'e Cresia, Sianeddu, Siau Mannu, Su Nurasci, Zianeddu, Zianeddu II; del Nuraghe S'Ungroni de Pontis, di tipologia indefinita; mentre nulla rimane dei Nuraghi Grisanti, Matta 'e Canna, Monti de Mesu, Muru Zoppu, Nase Canna, Paegrevas II, che sono stati completamente distrutti.
Fino dalla torre aragonese di Su Pottu, possiamo vedere, quando il lago è basso, l'area archeologica parzialmente sommersa dalle acque. Sopra un isolotto si trova, infatti, il villaggio prenuragico di Cuccuru Is Arrius, che è posizionato accanto alla riva sud dello stagno. Il sito non è visitabile se non per mezzo di un natante, ma non è fruibile dal pubblico. A Cuccuru Is Arrius sono stati trovati diversi reperti, molti dei quali sono visibili presso il Museo Civico Archeologico di Cabras, mentre altri, tra i quali alcune delle statuine della Dea Madre, sono esposte presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.
Il sito di Cuccuru is Arrius si colloca lungo la sponda meridionale dello stagno di Cabras su una duna eolica oggi quasi del tutto asportata a seguito dell'escavazione del canale scolmatore. Il villaggio viene scoperto nel 1976, quando cominciano i lavori per la realizzazione del Canale Scolmatore, che funge da raccordo tra lo Stagno di Cabras ed il golfo di Oristano.
Le indagini archeologiche condotte tra il 1976 e il 1980 hanno documentato nel sito un'intensa frequentazione umana, a partire dal Neolitico Medio, secondo la cronologia calibrata, tra il 4700 ed il 4200 avanti Cristo e secondo la datazione tradizionale tra il 4000 ed il 3400 avanti Cristo, periodo al quale risale la Necropoli, che si attribuisce alla cultura Bonu Ighinu. La Necropoli annessa a questo villaggio è composta dalle tombe ipogeiche più antiche mai rinvenute in Sardegna, ed è anche una tra le più importanti, soprattutto per i corredi ritrovati all'interno delle tombe. La Necropoli è formata da diciannove tombe con ingresso a pozzetto e cella di sepoltura a forno, sono tombe di forma ellittica, e sono accessibili lateralmente tramite un pozzetto. estremamente significativa è la tomba 387.
Nelle tombe veniva deposto il corpo del defunto rannicchiato in posizione fetale. Il rito della sepoltura ipogeica nel grembo della Madre Terra, ha lasciato, all'interno di queste tombe, vicino o nelle mani del defunto, diversi esemplari di rarissime e splendide statuine antropomorfe della Dea Madre, in stile geometrico. Hanno la testa cilindrica, con folta capigliatura, l'arcata sopraccigliare disegna una T col naso triangolare, gli occhi semichiusi. Il corpo nudo e obeso ha tutti i particolari ben definiti, le mammelle, le grosse gambe, le braccia con le mani ben delineate, abbandonate sui fianchi. Alcune di queste statuette portano uno strano copricapo a tamburello cilindrico, con tre bande sfrangiate e traforate, che scendono sulle orecchie e sulla nuca.
Le ceramiche rinvenute in queste tombe sono di tipo inornato, hanno pareti sottili, sono ben lisciate, e vanno dal rosso bruno al grigio. Sono state trovate anche punte di zagaglia in osso, elementi di collane, strumenti in selce e in ossidiana, accette levigate.
L'habitat favorevole favorisce l’insediamento umano anche durante le successive fasi del Neolitico Recente, nel quale si sviluppa la Cultura di San Ciriaco, secondo la cronologia calibrata, tra il 4200 ed il 4000 avanti Cristo e secondo la datazione tradizionale tra il 3400 ed il 3200 avanti Cristo, e del Neolitico finale, nel quale si sviluppa la Cultura di San Michele di Ozieri, secondo la cronologia calibrata tra il 4000 ed il 3200 avanti Cristo e secondo la datazione tradizionale tra il 3200 d il 2800 avanti Cristo.
I villaggi che si formano nel sito in questi periodi sono contraddistinti da strutture abitative parzialmente infossate nel terreno e delimitate e coperte con materiali vegetali. Sono, infatti, emersi i fondi capanne, parzialmente interrate, formate da pali ricoperti da erbe palustri ed argilla. La popolazione che viveva in questo villaggio praticava la caccia, e coltivava il grano duro, l'orzo, le lenticchie e le fave.
Dopo un lungo periodo di apparente abbandono, l’area di Cuccuru Is Arrius viene nuovamente occupata in età nuragica. Nell'Età del Bronzo finale, considerata tra il 1150 e l'850 avanti Cristo, viene edificato un piccolo Tempio a pozzo dedicato al culto delle acque, simbolo di vita e di fertilità. Si tratta di un tempio di piccole dimensioni, ma realizzato con grande perizia, con vestibolo, un vano scala e la cella ipogeica a tholos. La cella circolare, coperta in origine a tholos, e il vano scala, che residua con sei gradini, presentano paramenti murari costruiti con massicci conci isodomi di arenaria perfettamente combacianti tra loro.
Una nuova fase di frequentazione si apre nel sesto secolo avanti Cristo e, senza soluzione di continuità, perdura fino ad età romana. In Età Repubblicana romana, di fronte al pozzo nuragico, viene costruito un piccolo edificio di culto rettangolare dedicato ad una divinità salutifera e propiziatrice di abbondanti raccolti. All’interno è presente un piccolo altare sacrificale, mentre all’esterno è stata individuata un insieme di oggetti votivi, ossia numerose statuine fittili raffiguranti una divinità femminile velata, insieme a frammenti di lucerne e di bruciaprofumi con la forma di testa femminile.
In Età Imperiale romana, nel settore sud orientale della collina, viene realizzata una vasta Necropoli composta da cinquantacinque tombe. In esse il rito prevalente è quello dell’inumazione, mentre quello della cremazione è documentato soltanto in cinque casi. Per le inumazioni sono attestate tombe a fossa semplice, tombe a cassone con pareti e fondo rivestite da lastre di pietra o da laterizi, e tombe in anfora, mentre i resti delle cremazioni sono contenuti in urne fittili o in cassette di piombo.
Altre testimonianze di età preistorica sono state individuate nel territorio di Cabras nelle località di Conca Illonis. Più a nord rispetto al villaggio Cuccuru Is Arrius si trova, infatti, un altro villaggio della stessa epoca, il villaggio di Conca Illonis.
Il villaggio, realizzato attorno all'omonimo Nuraghe, insieme all'insediamento di Cuccuru Is Arrius, si è rivelato, alla luce delle più recenti indagini, uno dei Villaggi preistorici più vasti dell'Oristanese e tra i maggiori dell'intera Sardegna. Esso è ascrivibile alle stesse fasi cronologiche e culturali documentate a Cuccuru Is Arrius, ed anche alla Cultura di Monte Claro, nell'Eneolitico recente, che si sviluppa, secondo la cronologia calibrata, tra il 2700 ed il 2400 avanti Cristo, e, secondo una datazione più tradizionale, tra il 2400 ed il 2100 avanti Cristo.
Nel villaggio di Conca Illonis sono stati trovati numerosi fittili votivi ed altri oggetti in ceramica e ossidiana. Riportiamo le imagini di una statuina acefala di un idolo femminile di probabile derivazione assira con le braccia incrociate e con una decorazione a S nella parte inferiore, ed un frammento di figura fittile femminile attribuita alla Cultura di Ozieri. Gi anni Atzori ha collaborato con l'amico l'archeologo Enrico Atzeni nel rinvenimento di alcuni preziosi reperti rinvenuti in buona parte nel Sinis, oggi esposti nei principali musei sardi, tra i quali l'idolo di Conca Illonis, pubblicato da Enrico Atzeni. Sono riportati, inoltre, due pissidi su peducci decorati.
Nel 1974, in località Mont'e Prama, ossia sul monte delle palme nane, si p sempre ritenuto che, mentre sta arando, al contadino Sisinnio Poddi finisce, sotto la lama dell'aratro, la testa di pietra gigantesca di un arciere. Ma le cose non stanno così. Sulla carta d'identità dell'uomo che ha effettuato uno dei più clamorosi ritrovamenti dell'archeologia mediterranea ci sono le generalità di Battista Meli, contadino cabrarese classe 1947 che coltivava, a mezzadria, un campo sulla collina di Monte Prama. Sisinnio Poddi, il collega di Meli a cui per quarant'anni è stato attribuito il ritrovamento, arriva quando Battista aveva già ripulito dal fango la testa di pietra che s'era incastrata tra le lame del suo aratro, quando dall'orizzonte era sbucata l'auto di Sisinnio. Il breve discorso tra i due contadini avrebbe innescato una vicenda sul ritrovamento che è durata per quarant'anni.
La testa di pietra finisce nelle mani dell'allora curatore dell'Antiquarium Arborense, lo studioso Peppetto Pau, il quale allerta la Soprintendenza ai Beni archeologici di Cagliari e Oristano. Durante la prima fase della scoperta, l'archeologo Giuseppe Atzori denuncia insistentemente alle autorità la mancata protezione del sito, nonostante si trovi in una zona archeologica già conclamata, dato che dieci anni prima del ritrovamento di queste statue gigantesche, una testa affine a quella rinvenuta su Monti Prama, era stata rinvenuta a Narbolia, ed ora si trova esposta all'interno dell'Antiquarium Arborense di Oristano. Nel 1979 iniziano gli scavi per portare alla luce i giganti di Mont'e Prama. Racconta Giovanni Lilliu: «C'è un episodio che mi mette ancora i brividi. Fu quando con Enrico Atzeni scoprimmo a Mont'e Prama le grandiose statue nuragiche in arenaria ai bordi dello Stagno di Cabras. C'era un sole bellissimo, poi il cielo improvvisamente si oscurò, venne la tempesta mentre le statue tornavano alla luce. Dio mio, gli dei nuragici si stanno risvegliando, pensai. Non lo dimenticherò mai». La loro scoperta non è mai stata molto pubblicizzata, forse perché mette in dubbio tante presunte certezze archeologiche, non esistono infatti altri esempi di statuaria del periodo shardana o Fenicio. Le statue per trent'anni rimangono nascoste nei magazzini del Museo Archeologico di Cagliari. In questi oltre trent'anni dal ritrovamento pare siano stati pubblicati alcuni saggi, ma solo nel 2005 lo studioso Leonardo Melis nel volume «Shardana: i Principi di Dan» documenta l'esistenza di circa 30 statue gigantesche alte due metri dimenticate nel Museo Archeologico di Cagliari, notizia che verrà ripresa nel «Giornale di Sardegna» il 22 giugno da Giandomenico Mele con un articolo nel quale parla del contadino che trovò le prime statue e riporta all'attenzione del grande pubblico il loro ritrovamento. Scoppia uno scandalo, il governatore della Sardegna Renato Soru le fà togliere dallo scantinato e le manda a restaurare nel laboratorio di Li Punti, presso Sassari.
Il mistero dei giganti continua, fino a che non verrà fornita una loro datazione certa. Peccato che Lilliu e gli altri archeologi che hanno studiato queste statue le abbiano poi nascoste, per oltre trenta anni. L'arco di tempo nel quale si colloca la creazione di queste statue, alte tra i due metri ed i due e mezzo e che probabilmente erano dipinte, oscilla presumibilmente tra il decimo ed il settimo secolo avanti Cristo, che ne fanno, in ogni caso, le più antiche statue a tutto tondo del bacino mediterraneo occidentale, antecedenti anche rispetto alla statuaria greca. I giganti di Mont'e Prama riprendono in dimensioni sovrumane i modelli di alcuni bronzetti dell'ultimo periodo, e, come nota Leonardo Melis, sono identiche nell'abbigliamento, nei lineamenti e nell'acconciatura ai bronzetti di Abini-Serri e pongono tutti gli stessi problemi di datazione.
Si tratta di un ritrovamento che riscrive la storia archeologica dell'intero Mediterraneo. Vuol dire che le Città finora ritenute fenicio-puniche erano abitate precedentemente dalla stessa popolazione che aveva realizzato i bronzetti, quella che noi chiamiamo i Shardana. Che avevano realizzato in un primo tempo i bronzetti di Uta, che raffigurano qui Shardana di stanza in Egitto al tempo dei Faraoni, splendidamente raffigurati ad Abu Simbel, Medinet Habu, Luxor ecc.
Poi sono partiti dopo la grande catastrofe del 1200 avanti Cristo, ma i loro eredi nell'isola, o loro stessi quando sono poi rientrati nell'isola, vi hanno realizzato, tra il decimo ed il settimo secolo avanti Cristo, i bronzetti di Abini-Serri e queste gigantesche statue. Il modello Abini risulta essere più recente e rappresenta dei guerrieri con un vestiario e acconciature evolute, i capelli non sono corti, ma raccolti in lunghe trecce, l'elmo è sempre munito di corna, ma più lunghe che in passato, gli scudi risultano essere più elaborati, alcune armi, come il boomerang, non esistono più.
Siamo nel periodo dell'arrivo dei Fenici, che conservavano la Cultura e le tradizioni dei Shardana, e quindi probabilmente erano, come sostiene Melis, loro stessi i Shardana che tornavano nella loro isola. Del resto, che i Fenici fossero in realtà i Shardana di ritorno, lo attesta uno dei più grandi archeologi della storia: sir Leonard Wooley, lo scopritore di Ur, che sostiene «L'espansione marinara dei Fenici fu dovuta all'installazione degli Asiani (così erano chiamati i Popoli del Mare) nei territori della fenicia stessa intorno al 1200 avanti Cristo, lo stesso periodo quindi dell'ultima invasione dei Popoli del Mare che ne avevano occupato i porti». Le statue furono spezzate e distrutte volutamente e sistematicamente dai cristiani dopo che, con Teodosio il Grande, l'impero da pagano era diventato cristiano. Teodosio emanò anche una legge, con la quale si ordinava la distruzione di tutti i templi pagani.
Il professor Massimo Pittau, ordinario di Linguistica Sarda nella facoltà di Lettere dell'Università di Sassari, nel libro «Il Sardus Pater», arriva alla conclusione che a due passi dalla spiaggia di Is Arutas ci fosse un tempio che i nuragici avevano dedicato a Sardon, il figlio di Ercole che occupò l'isola, che allora i Greci chiamavano Ichnusa, e la ribattezzò con il suo nome. Le statue dei giganti, sarebbero state sistemate all'interno del tempio per sorreggere le travi della copertura. «Quale fosse la loro funzione lo dimostra l'altezza di due metri e mezzo e anche il fatto che fossero state realizzate con le mani sulla testa, cioè in posizione di sostegno». Il tempio del Sardus Pater, secondo Pittau, sarebbe stato realizzato dai nuragici per festeggiare la vittoria dell'esercito sardo sui Cartaginesi intorno al 440 avanti Cristo e sarebbe stato costruito dai capi delle tribù che vivevano intorno ai trentacinque Nuraghi ritrovati nella penisola del Sinis. «Non a caso l'archeologo Carlo Tronchetti ha individuato nella zona ben trentatre tombe: appartengono ai capi dei villaggi. Tra l'altro, in occasione della grande vittoria sui Cartaginesi, i nuragici avevano coniato una moneta, ritrovata di recente, dove era raffigurato il volto del Sardus Pater». Ma abbiamo molti dubbi su questa ricostruzione: figuriamoci se delle statue in calcare fragilissimo potessero sostenere le travi di un tempio...
Alcuni resti delle statue, portati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, sono stati esposti al pubblico, gli altri sono stati restaurati a Li Punti, presso Sassari. Sui banchi di lavoro c'erano teste, archi, busti, scudi, gambe, piedi, modellini di Nuraghe. I frammenti da ricomporre erano 4.880, per un totale di quasi dieci tonnellate di pietra. Sulla superficie di un frammento è stata trovata una traccia di colore. Le sculture di Mont'e Prama non erano bianche, come la gente è ormai abituata a immaginarle, ma erano colorate di rosso e di nero. Spiega Roberto Nardi, direttore del Centro di Conservazione Archeologica di Roma a cui sono stati affidati i lavori: «La quantità di colore trovata fino a ora, però, non è sufficiente per fare una datazione. Si può però affermare che le sculture sono state dipinte. Una colorazione di quel genere non è casuale. Cosa che, invece, si può dire per le altre macchie scure trovate su diversi pezzi e che hanno avuto origine da un incendio».
A Li Punti, presso Sassari, dal 23 novembre al 30 dicembre 2011 è stata aperta al pubblico la mostra «La Pietra e gli Eroi - Le sculture restaurate di Mont'e Prama», nella quale sono state presentate al pubblico per la prima volta le sculture restaurate. Le sculture ricomposte sono risultate in totale trentotto, suddivise in cinque arcieri, quattro guerrieri, sedici pugilatori, tredici modelli di Nuraghe. Sono state destinate al Museo Archeologico Comunale Giovanni Marongiu di Cabras, dove è stato esposto il complesso scultoreo originale di Mont'e Prama; ed al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, nel quale sono stati esposti esemplari per ogni tipologia scultorea, ossia diverse statue e un modello di Nuraghe, al fine di descrivere in successione cronologica, dalle dee madri di età neolitica, alle figure geometriche del periodo Eneolitico, ai bronzetti nuragici ed a queste statue, la rappresentazione della figura umana nelle diverse culture preistoriche sarde.
Il 5 maggio 2014 è partito nell'area di Mont'e Prama un nuovo progetto di ricerca. Il piano si divide in due interventi distinti, il primo dei quali vede coinvolti le Università di Sassari che coordina i lavori, quella di Cagliari e la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Cagliari e Oristano, il Comune di Cabras e carcere di Oristano con il coinvolgimento dei detenuti. Prevede la ricognizione del territorio, indagini geofisiche realizzate dall'Università di Cagliari anche grazie a un'apparecchitura unica al mondo costituita da sedici georadar posizionati a una distanza di dodici centimetri l'uno dall'altro che vengono trascinati da un'auto a una velocità mai superiore ai venti chilometri orari. Questa strumentazione permette di esaminare il sottosuolo da una profondità che va dai cinquanta ai centottanta centimetri, e si è in grado di rilevare le anomalie nel sottosuolo. Nella zona di queste anomalie ne sono state rilevate ben 56mila, si tratta di pietre di dimensioni superiori a quelle che si dovrebbero trovare in quell'ambiente, con un diametro che supera i quindici centimetri e quindi devono essere elementi non naturali, anche perché spesso queste pietre sono posizionate in maniera geometrica. È qualcosa di assolutamente straordinario, forse si tratta di un Santuario, ma forse è addirittura di più, ad esempio una metropoli, se si considerano le dimensioni delle Città dell'epoca.
Il secondo intervento, condotto dalla Soprintendenza, è un progetto di scavo sistematico finalizzato ad ampliare le aree dei vecchi scavi, concentrato inizialmente sulla zona della Necropoli e poi esteso alle aree contigue. Parlare di scoperte forse è improprio, però, dai primi interventi qualcosa è già saltato fuori. Due conci in arenaria che, per le particolarità con cui sono stati lavorati, fanno pensare che appartenessero a una struttura imponente come un Santuario. Ma è stata riportata alla luce anche una struttura circolare, delimitata da pietre, che potrebbe essere una capanna preistorica. Per ora si tratta di ipotesi, gli esperti sono impegnati nella prima campagna di scavi, e ad agosto è stato rinvenuto il busto di un arciere con tanto di faretra sulle spalle e uno spettacolare piede calzato, poi il basamento di una statua con i piedi ancora attaccati e un'altra testa. Il catalogo dei reperti restituiti dal sito si arricchisce ogni giorno che passa.
L'appassionate storia della tavoletta in bronzo del Sinis con la scrittura shardana nasce nel 1996, quando due studiosi oristanesi, Gi anni Atzori e Gigi Sanna, mettono nella prima pagina del loro storia della letteratura sarda «Lingua» la foto di una misteriosa tavoletta che rappresenta il calco di un ritrovamento avvenuto a Tzricotu nel Sinis. Succesivamente Atzori e Sanna pubblicano un secondo libro, «Omines», interamente dedicato alla tavoletta in bronzo, che vengono accuratamente studiate e comparate con gli analoghi più noti ritrovamenti del mediterraneo. Conclusione dello studio comparato: la tavoletta è un sigillo reale di tipo funerario, databile tra il quattordicesimo e il dodicesimo secolo avanti Cristo. Ma il tutto deriva da una foto, dell'originale non c'è traccia. Però il 19 giugno 1998 un giovane agricoltore di Cabras, Andrea Porcu, consegna al professor Raimondo Zucca, curatore del Museo di Oristano, in originale la famosa tavoletta bronzea. Si tratta di una tavoletta in bronzo di ottima fattura e in ottimo stato di conservazione. La tavoletta è di 6,4 centimetri di altezza, 3,5 di larghezza e 0,9 di spessore. Il peso è di 118 grammi. Il ritrovamento è avvenuto in località Tzricottu, non lontano dal sito archeologico denominato Mont'e Prama. La sua eccezionalità è data dal fatto che si tratta del primo ritrovamento in Sardegna, che connota una scrittura cuneiforme. Invece che salutare con entusiasmo la consegna alla Soprintendenza di un reperto che rischiava di essere venduto nel mercato clandestino, si preferisce minimizzare la portata del ritrovamento o addirittura arrivare ad insinuare che sia stato artefatto. Ha, infatti, dichiarato il professor Raimondo Zucca, che «deve formularsi ogni dubbio sull'origine e sulla cronologia dell'oggetto costituente un 'mostrum' tipologico e caratterizzato da una differenza di patina tra il diritto (recante i segni) e il rovescio, così da autorizzare l'ipotesi di un intervento secondario per la realizzazione dei segni stessi». E così, le tavolette, come era avvenuto per i giganti di Mont'e Prama, vengono tenute nascoste agli studiosi internazionali, per non compromettere la ricostruzione storica ufficiale di una Sardegna incapace di leggere e di scrivere.
Lo studioso Gigi Sanna, a partire dal 1995, ha analizzato dei reperti in ceramica, in bronzo e in pietra rinvenuti in Sardegna che mostrano delle incisioni a sua opinione considerabili come scritte nuragiche risalenti alla seconda metà del II millennio avanti Cristo. I testi studiati appartengono a svariate tipologie alfabetiche, protosinaitica, ugaritica, gublitica, protocananaica e Fenicia. Lo studioso identifica gli autori con l'antico popolo dei Shardana, sostiene che essi parlassero una lingua indo-europea simile al latino e che utilizzassero codici di scrittura semitici, esibendo a sostegno delle sue tesi svariati documenti come il sigillo di Sant'Imbenia rinvenuto vicino ad Alghero, le tavolette di Tzricottu di Cabras, l'anello sigillo di Su Pallosu rinvenuto a San Vero Milis, l'iscrizione rinvenuta su un'anfora nel sito di S'Arcu e Is Forros presso Villagrande Strisaili, il coccio di Pozzomaggiore documentato nel 2010 da Leonardo Melis.
Nella prossima tappa del nostro viaggio, visiteremo la affascinante penisola di Sinis. La parte meridionale della costa, verso San Giovanni, è rocciosa, per poi diventare risalendo dapprima sabbiosa, con la splendida spiaggia di quarzo di Is Arutas. Quindi verso nord la costa viene caratterizzata da alte falesie fino alla sommità di Capo Mannu.
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