Aritzo famosa per il commercio della neve e per aver dato i natali al poeta barbaricino Bachisio Sulis
In questa tappa del nostro viaggio proseguiamo la visita della Barbagia di Belvì recandoci ad Aritzo paese reso famoso dal commercio della neve e per il sorbetto al limone chiamato Sa Carapigna, oltre che per avere dato i natali al poeta barbaricino Bachisio Sulis, che viene chiamato Bachis Sulis. La regione storica della Barbagia di Belvì La Barbagia di Belvì (nome in lingua sarda Barbàgia de Brevìe), chiamata anche Barbagia centrale, è una regione storica della Sardegna centrale. Corrisponde alla parte centrale della Barbagia e si trova tra le regioni del Mandrolisai a nord, il Sarcidano e la Barbagia di Seulo a sud. In periodo giudicale ha fatto parte del Giudicato d'Arborea del quale costituiva una Curatoria. È una delle regioni della Barbagia che fu meno sottoposto all'egemonia dei feudatari, a parte qualche tentativo sfociato in insurrezioni popolari. Fino alla metà del 1700 il paese chiamato Belvì era, infatti, governato da un rappresentante scelto tra i capifamiglia. della Barbagia di Belvì fanno parte i comuni di Aritzo, Belvì, Gadoni e Meana Sardo.
In viaggio verso AritzoDa Belvì prendiamo via Roma, è questo il nome che assume all'uscita dal paese la SS295, verso Aritzo. Procediamo in un paesaggio di folte foreste, lungo le falde del Gennargentu. Dal Municipio di Belvì a quello di Aritzo abbiamo percorso solo 2,4 chilometri. Il comune chiamato Aritzo che è il paese del commercio della neve Pochi chilometri separano Belvì da Aritzo (nome in lingua sarda Aritzu, altezza metri 800 sul livello del mare, abitanti 1.223 al 31 dicembre 2021), l'ottavo paese più alto della Sardegna, il più importante centro della Barbagia di Belvì che sorge nella parte meridionale della Provincia di Nuoro, alle pendici della Punta Funtana Congiada, una punta che si trova sui monti di Gennargentu, ed è attraversato dalla SS295 proveniente da Tonara. Aritzo è molto conosciuto in Sardegna e nel continente soprattutto come centro di villeggiatura montana sia estivo che invernale, vista la posizione strategica ai piedi del monte Gennargentu, a 800 metri sul livello del mare.
Origine del nomeIl nome del paese si caratterizza per il digramma Tz, che viene interpretato come una Z sorda, frequente nella lingua sarda. L’origine del nome del paese è poco chiara, probabilmente preromana, mentre sono da escludere le interpretazioni che vedono il nome derivato della voce fenicia Haratz, ossia Forte, sicuro, oppure Arutz, ossia Fosso, valle. La sua economiaL'economia di Aritzo è basata sulla coesistenza delle attività agricole, industriali e commerciali. Il settore primario dell'economia di Aritzo è dato dalla coltivazione di cereali, ortaggi, foraggi, ulivi, viti e altri alberi da frutta. Presente anche l'allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L'industria fa registrare una discreta produttività, ed interessa i settori estrattivo, dei materiali da costruzione, edile e della produzione e distribuzione di energia elettrica. Interessante è l'artigianato, in particolare quello specializzato nella produzione di cassapanche intagliate. La produzione locale comprende soprattutto il torrone sardo, del quale con Tonara e Desulo anche Aritzo è considerata una delle patrie, i formaggi caprini ed i tipici biscotti, che costituiscono una variante sarda dei savoiardi. Il terziario si compone di una buona rete distributiva. Le creste frastagliate del Gennargentu, formate da caratteristiche scisti, costituiscono una forte attrazione per numerosi turisti, sia d’inverno sia d’estate. Aritzo è stata ed è, ancora oggi, il principale centro del turismo interno della Sardegna, il paese viene, infatti, invaso da un esercito di turisti, sia nei mesi estivi per visitare gli splendidi dintorni, che d'inverno. I suoi paesaggi montani presentano, infatti, un notevole valore naturalistico, con la presenza di foreste di lecci, roverelle, aceri, agrifogli, ginepri e tassi, nonche di una ricca fauna, con numerosi esemplari di mufloni. Brevi cenni storiciIl suo territorio è abitato fino dall’età preistorica, come è testimoniato dai diversi rinvenimenti archeologici. In epoca medievale appartiene al Giudicato di Arborea, nella curatoria della Barbagia di Meana e poi a quella della Barbagia di Belvì. Nel 1478 viene inglobata nella Conte di Santa Sofia, di cui segue le vicende storiche. In età recente vi si svolge il commercio della neve, che serve per produrre gelati, e viene trasportata in tutta l’isola. Durante il Regno d'Italia, del comune di Aritzo nel 1927, dopo la creazione della Provincia di Nuoro, viene cambiata la Provincia da quella di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, alla neonata Provincia di Nuoro. Alcuni dei principali personaggi che sono nati ad AritzoAd Aritzo è nato Bachisio Sulis, detto Bachis, chiamato il bandito poeta, e, successivamente, il bandito ottocentesco liberato Onano, detto Liberau. Il poeta Bachisio Sulis detto Bachis e chiamato il bandito poeta, nasce ad Aritzo nel 1795. di corporatura snella, veste signorilmente ed usa come copricapo la berretta sarda. regolatissimo nel vivere, temperante e quasi astemio, il Sulis apre per tre anni la Scuola elementare di Aritzo per salvare i bambini dalla strada e dallo stato di ignoranza nel quale si trovavano, coltivando contemporaneamente la sua passione per la poesia. Le sue disavventure hanno inizio nel 1818 quando, a soli 23 anni, viene ingiustamente accusato di un attentato di cui era rimasto vittima un signorotto locale. Abbandonato il paese che già lo apprezza come poeta, si dà a dodici anni di latitanza, ed in questo periodo viene in contatto con i numerosi banditi. Solo nel 1830 i suoi familiari riescono a farlo prosciogliere dalle false accuse, ed egli, a 35 anni, torna nel paese per riprendere la vita consueta. Probabilmente però alcune frequentazioni del periodo di latitanza riemergono, e in una notte del maggio 1838, a soli 43 anni, viene freddato da un colpo di fucile esploso per vendetta nel cortile della casa Devilla. Per lunghi anni, compresi quelli della latitanza, aveva coltivato la poesia ed aveva raccolto in un volume le sue composizioni. Molti versi erano diretti contro il potere ed anticlericali, ma c'erano anche poesie d'amore delicatissime, come Barigada si ch'est S'istella mia, ossia tramontata è la mia stella. Dopo la sua morte, la sorella, istigata dal prete del paese, distrugge tutti i manoscritti. Soltanto alla fine del secolo un suo nipote, Sebastiano Devilla, raccoglie quanto rimane dei suoi versi nella memoria di parenti e compaesani, e li fa pubblicare nel 1906, con il titolo Poesie Sarde di Bachisio Sulis. Nel 1995 con il contributo del comune di Aritzo per il bicentenario della sua nascita viene pubblicato il volume Bachis Sulis bandito poeta di Barbagia a cura di Tonino Mameli, dal quale sono tratte le poesie qui pubblicate.
|
Ad Aritzo nasce anche Liberato Onano detto Liberau, un bandito di grosso calibro che rimane latitante per ben 21 anni. La sua carriera criminale ha inizio il 27 aprile del 1878, quando viene accusato di aver partecipato a una grassazione in banda armata. Il 12 marzo del 1881 gli viene contestato un tentato omicidio e dopo tre giorni un'altra grassazione in banda armata. Il 13 aprile 1882 gli viene attribuito uno stupro, ed, il 9 ottobre del 1883, un furto aggravato. Risale al 5 giugno del 1884 la prima accusa di omicidio, mentre il 7 giugno del 1886 una rapina in banda armata. Dopo sette anni viene accusato di un furto aggravato. Sulla sua testa viene posta una taglia di 5mila lire. Negli ultimi anni della sua lunga latitanza, diventa inseparabile compagno di Michele Moro, detto Tottacorte, di Gadoni. Con lui viene arrestato dai Carabinieri del capitano Manai, il 27 agosto del 1899, nelle campagne di Aritzo. Il primo processo, celebratosi a Cagliari l'1 ottobre del 1900, si conclude con una condanna a 9 anni di reclusione per una serie di furti, ricettazione e associazione a delinquere, ed il 17 novembre dello stesso anno viene condannato all'ergastolo per concorso, insieme a Michele Moro, nell'omicidio di Salvatore Boi Poddi. Liberau morirà in carcere.
|
Le principali principali feste e sagre che si svolgono ad Aritzo Ad Aritzo sono attive l'Associazione Teatrale Culturale Aritzese ed il Gruppo Folk Texile, ed è attivo, inoltre, il Coro Polifonico Bachis Sulis, intitolato appunto a questo importante poeta. Nelle principali feste e sagre che si svolgono ad Aritzo e negli altri paesi alle quali partecipano, è possibile assistere all'esibizione dei costumi tradizionale. Tra le tradizionali principali feste e sagre che si svolgono ad Aritzo si segnalano, il 16 e il 17 gennaio, la Festa di Sant'Antonio Abate, con l'accensione del grande falò in piazza de S'Erriu; l'8 maggio la Festa di San Michele, che è il Santo patrono del paese; il 5 agosto la Festa di Santa Maria della Neve; la prima domenica di settembre la Festa di San Basilio. Sono da segnalare, inoltre, dal venerdì all'ultima domenica di ottobre la rinomata Sagra delle Castagne e delle Nocciole, e la seconda domenica di agosto la Festa di Sant'Isidoro con la Sagra de Sa Carapigna, con degustazione del tipico sorbetto sardo.
Il commercio della neve e la preparazione di Sa Carapigna Aritzo è stata famosa, fino alla fine del novecento, per il commercio della neve e per la produzione del suo famoso sorbetto, chiamato Sa Carapigna. Nei suoi dintorni, in località Funtana Cungiada ossia fontana chiusa, nei canaloni dove d'inverno la neve si ammassava per effetto del vento formando le cosiddette Bigas, venivano edificate le Domos de su Nie, ossia le case della neve. Erano le neviere, pozzi profondi diversi metri sovrastati da muretti a secco. La neve veniva raccolta dai nevieri, i Niargios, con secchi e ceste, veniva pressavano nella neviera con appositi pali e ricoperta di paglia, felci e terra. Poi d'estate veniva raccolta, sotto forma di blocchi di ghiaccio, e trasportata nelle feste paesane di tutta la Sardegna, destinata principalmente alla produzione di un sorbetto al limone, antenato dell'attuale gelato, chiamato Sa Carapigna. Era tale l'importanza di questa attività che persino il pascolo del bestiame era proibito entro una certa distanza dalle neviere. Alla fine dell'ottocento la raccolta della neve venne sostituita dall'importazione del ghiaccio dalla Norvegia e poi, dal 1920, dall'acquisto direttamente dalla prima fabbrica di ghiaccio che era stata aperta a Cagliari. La Carapigna viene prodotta utilizzando Su Barrile, un piccolo contenitore di legno riempito di ghiaccio e sale, nel quale viene inserita una sorbettiera contenente acqua, limone e zucchero. La sorbettiera viene fatta girare alternativamente in un senso e nell'altro, e dopo un'ora e mezzo o due ore il sorbetto è pronto... Il sabato che la precede e la seconda domenica di agosto, nel centro dell'abitato si tiene la Festa di Sant'Isidoro con la Sagra de Sa Carapigna, per la quale è prevista la preparazione e la degustazione dell'antico e famoso sorbetto al limone ottenuto con una particolare tecnica di conservazione della neve, ed anche la degustazione del torrone caldo e del miele di Aritzo. Durante la Festa si tiene anche l'esposizione dei diversi prodotti tipici dell'artigianato locale.
La Festa di San BasilioLa tradizionale Festa di San Basilio, che accomuna al ricordo di questo Santo anche il ricordo dei Santi Demetrio e Nicola, si celebra ogni anno ad Aritzo nella prima domenica di settembre. Fino alla fine degli anni '50 è stata la grande Festa veramente popolare con la quale si dava l'addio ai pastori in procinto di affrontare le fatiche della transumanza verso il Campidano. Ancora oggi, in piazza de S'Erriu, si organizza Su Pinnone, ossia l'albero della cuccagna, al quale seguono molti altri giochi come ad esempio, la corsa nei sacchi. Seguono la processione in costume, i Gosos, antichi canti sacri di origine spagnola, esibizioni di musica tradizonale e moderna. La Sagra delle Castagne e delle Nocciole Dal sabato all'ultima domenica di ottobre, ad Aritzo, si tiene la Sagra delle Castagne e delle Nocciole, una vera e propria fiera dei prodotti della montagna di Aritzo, conosciuta da sempre come il paese dei parchi e delle castagne, che riesce a contare quasi 50mila visitatori nei due giorni festivi. Durante la manifestazione vengono cucinate ed offerte le castagne, accompagnate dalla degustazione di vini novelli e dolci tipici. Durante la sagra, è possibile assistere a mostre dell'artigianato tipico locale, esposizioni di opere d'arte, spettacoli di musiche tradizionali e sfilate dei gruppi folkloristici.
Visita del centro di Aritzo Entriamo in Aritzo provenendo da Belvì, e la SS295 entra nel paese da ovest. La strada statale assume, all'interno del centro abitato, il nome di corso Umberto, è la principale via del paese e si sviluppa all'interno del suo centro storico, lungo tutto l'abitato, prima da ovest verso est, poi verso sud, fino a piazza S'Erriu. Dopo aver passato questa piazza, la strada statale assume il nome di via John Fitgerald Kennedy, e da qui in avanti si dirige verso sud ovest fino ad uscire dall'abitato. Nella descrizione che segue, vedremo tutte le principali caratteristiche del paese, e vedremo anche uno dei principali torronifici che hanno fatto di Aritzo una delle patrie del torrone sardo.
Il Cimitero di AritzoPassato il cartello indicatore di Aritzo, la SS295 prosegue lasciandosi a sinistra la collina sulla quale sorge la parte più moderna dell'abitato. Percorsi circa settecento metri, troviamo sulla sinistra le prime abitazioni di Aritzo. Percorsi altri trecento metri, prendiamo tutto a sinistra la via Nuova, dopo un centinaio di metri arriviamo a un bivio dove prendiamo verso destra, e, dopo centottanta metri, arriviamo di fronte al Cimitero di Aritzo. Il Torronificio MaxiaLa via Nuova prosegue con ampie curve, e ci porta in località Gidilau. Percorsi circa ottocento metri, si trova sulla destra la breve via Grazia Deledda, nella quale, al civico numero 7A, si trova la sede del Torronificio Maxia di Antonio Maxia. Nel 2014 è morto Michele Maxia, noto come Pippo Maxia, uno dei decani degli ambulanti aritzesi, che nei suoi quasi novant'anni di vita ha girato tutte le principali piazze della Sardegna contribuendo a diffondere il nome del torrone di Aritzo. Ed ancora oggi il figlio Antonio continua la tradizione familiare, che ha creato il Torronificio Maxia un torronificio ereditato da due generazioni, e quindi molto antico. Le macchine del torrone adoperate per la produzione sono infatti degli anni '68-70, con i contenitori in rame e cottura a bagnomaria, come si usava una volta. Antonio prosegue anche nell'attività ambulante del padre, ed il suo torrone viene venduto specialmente al minuto. Oltre ai torroni, il torronificio Maxia produce anche croccanti e praline.
|
L'EcoMuseo della Montagna Sarda o del GennargentuProseguendo lungo corso Umberto, dopo centocinquanta metri prendiamo verso destra la via Guglielmo Marconi, e, dopo poche decine di metri, troviamo alla destra della strada, al civico numero 1, l'edificio che ospita la Scuola elementare, un caseggiato degli anni cinquanta. Nei locali al pianterreno è ospitato l'EcoMuseo della Montagna Sarda o del Gennargentu che ospita un patrimonio straordinariamente ampio e variegato delle attività più rappresentative della cultura barbaricina. Il percorso museale si articola in due sezioni. La prima ospita una Rassegna di costumi tradizionali maschili e femminili e una collezione di maschere ferine locali quali Su Mamutzone, S'Ulzu ossia l'orso, Sa Maltenica ossia la scimmia, e Su Boe ossia il bove, tutte realizzate con pelli di capra o di pecora. Nell'altro spazio è esposto il materiale che racconta tutta la cultura agricola e pastorale di un popolo, ed in esso troviamo gli attrezzi del contadino, del boscaiolo, del falegname, del pastore, del fabbro e del bottaio, ma anche gli oggetti relativi alla tessitura, all'artigianato ed alla sfera magica e religiosa. All'interno sono presenti oltre tremila reperti, che ci fanno conoscere la cultura artigianale, la lavorazione del ferro battuto, del legno e delle cassapanche, la tessitura della lana, i campanacci. E soprattutto il commercio itinerante, dato che vi sono conservate le botti, i mastelli, le sorbettiere in stagno o zinco, necessari per preparare la Carapigna, l'antico sorbetto di Aritzo. 
Dietro l'edificio che ospita le Scuole Elementari, si trovano il Campo da calcetto ed il Campo di pallacanestro di Aritzo. Dal Municipio alla casa Devilla che oggi ospita la mostra Permanente delle Casse Intagliate Proseguendo lungo il corso Umberto per un'ottantina di metri, troviamo alla sinistra della strada, al civico numero 43, l'edificio che ospita la sede e gli uffici del Municipio di Aritzo. Passato il Municipio, subito dal corso Umberto parte sulla sinistra la stretta strada chiamata via Caserma, affiancata sulla sinistra da una scalinata che, al civico numero 1 della via Caserma, ci porta a viitare la Casa Devilla una seicentesca casa padronale con all'interno importanti arredi e oggetti, che era appartenuta ad una famiglia che era stata molto influente dato che aveva in esclusiva la produzione del ghiaccio nei nevai del Gennargentu. La casa Devilla è un complesso architettonico che conserva intatto il nucleo originario, nonostante sia il risultato di varie fasi costruttive. La struttura si sviluppa su tre livelli ed è introdotta da un imponente ingresso in muratura costruito nel 1889. Da qui si accede ad un cortile la cui forma trapezoidale accentua l'effetto scenico, favorito dalla particolare percezione prospettica dello spazio ed impreziosito dalla ricchezza dell'intera casa, volta ad evidenziare il ruolo sociale dei Devilla nella comunità aritzese.

La casa Devilla è stata il Teatro dell'Omicidio del poeta bandito aritzsese Bachisio Sulis, il quale è stato freddato per vendetta la notte del 13 maggio 1838 con un colpo di fucile nel cortile della casa. Attualmente la casa ospita la Mostra Permanente delle Casse Intagliate di tradizione artigiana aritzese e, occasionalmente, eventi di carattere letterario culturale. La chiesa parrocchiale di San Michele ArcangeloNella visita del centro storico, circa cinquanta metri più avanti, non può mancare, a metà di corso Umberto, una puntata alla Parrocchiale di San Michele Arcangelo. La parte più antica, risalente all'undicesimo secolo, è stata oggetto dl numerosi interventi, tanto che la struttura attuale si ritiene sia stata realizzata tra il quattordicesimo ed il quindicesimo secolo in stile tardo-gotico, e più volte rimaneggiata. L'intervento che ne ha cambiato sostanzialmente lo stile risale all'anno 1914, che ha lasciato intatte le parti più antiche, ma ha conferito alla struttura eleganza e maestosità. Le parti più antiche, realizzate in trachite di Fordongianus, sono evidenti, all'esterno, sia nella torre campanaria sia nella facciata principale. La chiesa parrocchiale di Aritzo si presenta, oggi, estremamente sobria ed elegante nelle sue linee architettoniche, la composta facciata e le finestre strombate distribuite lungo le navate, ed il suo bel campanile. Sopra il portone d'ingresso si vede un dipinto che raffigura San Michele Arcangelo, a cui è stata dedicata la chiesa nel 1745. 
All'interno, superata la bussola, realizzata nel 1934, nella navata destra si trova la cappella del fonte Battesimale; la cappella seguente è dedicata alla Pietà, un gruppo scultoreo ligneo realizzato Intorno ai settimo secolo con gusto spagnolo; proseguendosi trova la cappella dedicata al Rosario, nella quale si trova una grande tela del pittore aritzese Antonio Mura; e più avanti, prima del presbiterio, la cappella di San Cristoforo, nella quale è rappresentato il Santo con una statua del diciottesimo secolo alta un metro e novanta, in legno policromo di esecuzione che appartiene al gusto della scultura spagnola. La statua del Santo veniva portata in processione per propiziare la pioggia, ed il rito consisteva, oltre alle preghiere, nella immersione della statua nell'acqua. Sul presbiterio l'altare maggiore in marmi policromi, opera di Domenico Franco, realizzato nel periodo del restauro, con nella nicchia centrale la statua di San Michele Arcangelo. Nella navata di sinistra si trova la cappella di San Giuseppe, nella quale è presente un quadro raffigurante il Cristo sulla croce opera di Antonio Mura; subito appresso si trova la cappella intitolata a San Francesco, nella quale si trova un quadro raffigurante Sant'Ignazio da Laconi poi la capella del Sacro Cuore raffigurante il Cristo; e per ultima la cappella di Sant'Antonio che ospita le tombe di Antonio Arangino e della moglie Marianna Vargiu, i quali hanno provveduto a sostenere le spese del restauro della chiesa del 1914. Nella sacrestia si trovano interessanti arredi lignei ed un prezioso organo del settecento. 
L'8 del mese di maggio a Belvì si celebra la Festa di San Michele Arcangelo, che è il Santo patrono del paese, con riti religiosi e con le manifestazioni civili che coinvolgono tutta la popolazione. Visita del centro storicoCaratteristica del Centro storico del paese sono, nelle viette interne, le antiche case realizzate in scisto. Nel corso e nelle vie trasversali possiamo vedere alcune abitazioni tipiche, quasi mai intonacate, senza cortile nè pozzo. Hanno scalette esterne in legno per salire al primo piano, e larghi ballatoi di legno di castagno che circondano la facciata principale. Passata la chiesa, alla sinistra del corso si trova la piazzetta nella quale sbocca la via Arangino, che è la prosecuzione della via Bachis Sulis. Nella piazza, sul lato sinistro si trova l'abside posteriore della chiesa, mentre sul lato destro possiamo ammirare un notevole murale realizzato nel 1995 del pittore Mauro Angiargiu, di Sanluri ed oggi residente a Lanusei, che rappresenta la figura leggendaria di Bachisio Sulis, bandito poeta che morì nel 1838 dopo una breve vita leggendaria e travagliata. 
A destra della piazzetta, si trova la bella piazza Bastione e Belvedere, dalla quale si possono ammirare tutti i dintorni di Aritzo, con lo sguardo che spazia fino al Tacco Texile, che descriveremo più avanti. Le vecchie carceri spagnole Sa Bovida con la mostra dedicata alle BruxasAlla destra della parrocchiale, dalla piazza Bastione e Belvedere, partono in discesa le scalette di Sa Bovida, conosciute anche come via Carceri, che conducono alle vecchie Carceri spagnole di Sa Bovida. Si tratta di un vecchio e massiccio edificio di origine spagnola, interamente realizzato in pietra di scisto e legno di castagno, adibito a carcere fino agli anni '40 del novecento. È caratterizzato da un sottopassaggio a volta a sesto acuto, appunto Sa Bovida, ed ha nel cortile interno una bella antica meridiana. Comprende un piccolo locale utilizzato come postazione di sorveglianza, due celle per le donne ed una terza cella, priva di qualunque apertura, per i prigionieri maschi. 
All'interno delle vecchie carceri è custodita la Mostra dedicata alle Bruxas ossia alle streghe sarde, con inquietanti xilografie, alcune delle quali disegnate da Goya, che illustrano scene di sabba e sacrifici cruenti. Nella mostra sono esposti i classici strumenti della strega, ossia la bambola di stoffa per lanciare fatture a distanza, i falcetti, gli scapolari, i fili di lana usati per curare S'istriadura, ossia l'itterizia, la riproduzione della civetta, animale totemico della strega, il sanbenito ossia l'abito penitenziale che le condannate erano costrette a portare, le pozioni, i veleni, i medicamenti, le erbe, i calderoni, i mortai, e numerosi altri piccoli oggetti. Grande importanza è stata data agli strumenti di tortura che gli inquisitori usavano per estorcere la confessione agli imputati. La chiesa campestre di Sant'Antonio da PadovaDalle antiche carceri prendiamo verso nord ovest la via Guglielmo Marconi, che ci porta fino alla Scuola elementare che ospita il Museo della Montagna Sarda o del Gennargentu che abbiamo già visitato. Percorsi centocinquanta metri lungo questa strada, arriviamo in piazza Sant'Antonio da Padova, ossia Pratza e Sant'Antoni e Jaria, da dove prendiamo a sinistra la via Sant'Antonio, il cosiddetto Carrone, che ci porta verso ovest fuori dall'abitato, di fronte alla Chiesa campestre di Sant'Antonio da Padova. La chiesa, che è stata costruita nel quindicesimo secolo nella parte bassa di Aritzo, è un edificio dalle linee piuttosto semplici. Presenta, nella larga facciata, un modesto portone in legno sormontato da una finestra rettangolare con cornice. Al centro del tetto a capanna, con copertura in tegole, si trova un campanile a vela ad una sola luce dotato di campana. All'interno della chiesa si trovano un bell'altare in legno e diverse belle nicchie. 
Il cosiddetto Castello AranginoDalla piazza Bastione e Belvedere, percorsi meno di centocinquanta metri sul corso, arriviamo nella parte sud del paese, dove, alla sinistra della strada, si trova il cosiddetto Castello Arangino, Del 1917, fatto costruire nel 1917 dal cavalier Vincenzo Arangino ed appartenente alla famiglia estintasi nel 1954 per un tragico fatto di sangue. Si tratta di un'elegante palazzo in pietra che rientra nel modello del Castello di tipo medioevale in stile neogotico, esempio di eclettismo architettonico, con eleganti interni arricchiti di splendidi arredi e decorazioni ornamentali. 
La piazza de S'ErriuProseguendo lungo il corso, arriviamo in Piazza de S'Erriu la piazza nella quale si svolgono le principali feste e manifestazioni di Aritzo, e dove viene piantato Su Pinnone nella Festa di San Basilio. Uscendo da Aritzo verso sudEvitando di prendere a destra la via Marginigola, proseguiamo verso ovest con la via John Fitgerald Kennedy, che esce dall'abitato e riprende il nome di SS295, per muoversi verso sud ovest. Visita dei dintorni di AritzoVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell'abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Aritzo di trova il Tacco Texile, la chiesa campestre di Santa Maria della Neve, e diversi siti archeologici, tra i quali la domus de janas di Seilatzu; le tombe di giganti di su Carragione, quella di Talanusè. Il Tacco Texile Da qualsiasi punto del paese si può vedere,su una collina, il Tacco Texile chiamato in lingua Su Texile o Meseddu de Texile, uno dei più noti tacchi che caratterizzano il paesaggio del sud della Barbagia e dell'Ogliastra. I tacchi sono aridi, isolati altopiani che contribuiscono con il loro aspetto a rimarcare il carattere aspro del territorio. Per raggiungere il Tacco Texile usciamo da Aritzo lungo la SS295 in direzione sud ovest, e, a 3,2 chilometri dalla piazza de S'Erriu, troviamo la deviazione sulla destra, opportunamente indicata, che, dopo 1,8 chilometri, ci porta alla base del monumento naturale. Il Tacco Texile è un roccione calcareo di tipo dolomitico, che si trova a un'altezza di 975 metri, con una caratteristica forma larga in alto e stretta alla base che lo rende simile ad un enorme fungo, che si erge solitario con pareti a strapiombo, in una zona fittamente ricoperta di boschi. La larghezza massima del tacco è di 70 e la minima di 50 metri, con una altezza relativa di 24 metri.
Il Campo Sportivo di AritzoDal ccassentro di Aritzo, seguiamo il corso Umberto verso sud che, passata la piazza de S'Erriu, assume il nome di via John Fitgerald Kennedy e si dirige verso sud ovest. A centottanta metri dalla piazza de S'Erriu, prendiamo sulla destra la via Marginigola seguendo le indicazioni per il Campo Sportivo e per il passo di Tascusì, ed usciamo dall'abitato verso sud ovest. Dopo poco meno di un chilometro, la via Marginigola si immette sulla strada Cossatzu-Tascusì che prendiamo verso sinistra, ossia verso est, e che in poco meno di un chilometro ci porta al Campo Sportivo di Aritzo. Potevamo arrivarci anche seguendo la via John Fitgerald Kennedy che esce dall'abitato con il nome di SS295, seguendola per 2,2 chilometri dalla piazza de S'Erriu, ed alla Cantoniera Cossatzu prendendo a sinistra la strada Cossatzu-Tascusì, che, in altri 2,2 chilometri, ci porta al Campo Sportivo. La chiesa campestre di Santa Maria della Neve Arrivati al Campo Sportivo di Aritzo, di fronte alla deviazione sulla sinistra che porta appunto a questo impianto, troviamo, in prossimità di una fontana, una stradina in salita che muove verso destra, in direzione sud ovest, e che, dopo meno di un chilometro e mezzo, porta, in località di Serra Santa Maria, alla piccola Chiesa di Santa Maria della Neve ossia Santa Maria 'e su Nie. Non si hanno notizie certe riguardo l'origine dell'antica chiesa che probabilmente risale al seicento, ma si Sa che, alla fine dell'ottocento, il viaggiatore francese Gaston Vuiller la menziona nel suo itinerario in Barbagia. Col tempo la chiesa cade in rovina, ma la popolazione rimane legata a questo luogo, che si trova lungo il sentiero percorso sino al secolo scorso dai Niargios, i raccoglitori della neve. Perciò, in occasione del pellegrinaggio del 5 agosto del 1919, il Vescovo concede la ricostruzione dell'edificio, che viene benedetto nel 1925. Anche la chiesa ricostruita subisce l'abbandono, ma la popolazione non si Rassegna e la fa ricostruire, nella sua forma attuale, nel 1994. La chiesa, che viene benedetta il 5 agosto del 2007, realizzata interamente in pietrame locale di scisto, ha una struttura a capanna, con un loggiato sul fianco sinistro, e sullo stesso lato del tetto si trova il campaniletto a vela. L'interno ha una copertura a capriate di legno, e sul presbiterio lievemente rialzato si trova un massiccio altare in legno. Presso questa chiesa campestre si svolge, il 5 agosto di ogni anno, la Festa di Santa Maria 'e su Nie, che prevede un pellegrinaggio della popolazione dal paese.
I resti della tomba di giganti di TalanusèSubito dopo aver passato la deviazione per chiesa, proseguiamo dritti ed arriviamo in circa tre chilometri a sud est dell'abitato, in località Perda Istanagialoi, nelle vicinanze del rio Bau Alasi, in una zona interessata al pascolo e alla coltivazione. Qui, presa una stradicciola sulla destra, si arriva alla Tomba di giganti di Talanusè che conserva ancora la camera funeraria, di pianta rettangolare, costituita da conci ben sagomati disposti a filari regolari. Nelle immediate vicinanze, invece, sono visibili ancora dei blocchi che appartenevano all'esedra. La domus de janas di SeilatzuProseguendo per poco più di altri cinque chilometri, arriviamo più a sud est, in località Seilatzu nei pressi del rio Corruda, dove, a nord della strada, si trova quello che resta della Domus de janas di Seilatzu scavata su di una parete scistosa. Si presenta in pessimo stato di conservazione. È molto semplice, con l'apertura a circa cinquanta centimetri da terra, e l'interno della cella, monocellulare, si presenta con una pianta irregolarmente ellittica e con andamento curvilineo. I resti della tomba di giganti di su CarragioneProseguendo per altri cinque chilometri e mezzo, arriviamo ancora più a sud est, quasi ai limiti del territorio comunale di Aritzo al confine con quello della Barbagia di Seulo, dove si trova, a circa trecento metri in direzione nord dall'omonimo nuraghe, la Tomba di giganti di su Carragione che si trova in buono stato di conservazione. L'ingresso da accesso alla tomba rettangolare, lunga circa dieci metri e alta circa un metro e venti, costituita da conci ben sagomati e disposti a filari regolari. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio proseguiamo la visita della Barbagia di Belvì recandoci a Gadoni il paese più a sud di questa regione, che visiteremo con la sua frazione Funtana Raminosa. |