In Planargia nella città di Bosa che è l’unico centro fluviale della Sardegna con il Castello di Serravalle e con i suoi dintorni
In questa tappa del nostro viaggio, partendo da Alghero seguiremo la costa verso sud e passato capo Maragiu entreremo nella regione storica della Planargia arrivando a Bosa dove ci fermeremo a visitare l’unica vera città fluviale della Sardegna. Visiteremo la città con il suo centro storico, il Castello di Serravalle e la antica Chiesa dedicata a San Pietro. Vedremo poi le bellezze nei dintorni di Bosa. La regione storica della PlanargiaLa Planargia è una piccola regione sulla costa occidentale della Sardegna. Si tratta di un vasto e fertile altopiano vulcanico che si estende dal Marghine fino al mare, fra i territori di Villanova a nord ed il Montiferru a sud, attraversato dalla valle del fiume Temo. Il nome deriva dall’andamento pianeggiante della sua conformazione geografica. La Planargia si trova interamente in Provincia di Oristano ed i comuni che ne fanno parte sono Bosa, Flussio, Magomadas, Modolo, Montresta, Sagama, Sindia, Suni, Tinnura e TresNuraghes. regione fortunata per la sua posizione geografica e per il clima mite tutto l’anno, la Planargia occupa un posto rilevante nella produzione vitivinicola della Sardegna, grazie soprattutto alla malvasia di Bosa. La Planargia si sviluppava interamente nella Provincia di Nuoro, ma, dopo la nascita della nuove province della Sardegna, tutta la sua zona costiera è stata portata all’interno della Provincia di Oristano. In viaggio verso BosaDa Alghero prendiamo verso sud la SP105 che ci porta a capo Marargiu, sempre ammirando lo spettacolare panorama. Dopo ventitre chilometri, entrati in Provincia di Oristano, proseguiamo dopo capo Marargiu verso Bosa sulla stessa strada, che cambia il suo nome in SP49, e, dopo poco più di venti chilometri, ci porta a Bosa. Nell’ultimo tratto prima dell’arrivo in città, la strada passa all’interno impedendoci di vedere la costa. Dal Monicipio di Alghero a quello di Bosa si percorrono 45.8 chilometri. La città di BosaDistante 45 chilometri da Alghero, Bosa (altezza metri 2 sul livello del mare, abitanti 7.465 al 31 dicembre 2021) è la principale città della Planargia. È la più caratteristica città storica dell’Isola, addensata sulla riva destra del breve estuario del fiume Temo, in una fertile conca protetta da severe colline. Si tratta dell’unica città fluviale della Sardegna, entrando in Bosa, infatti, la prima cosa che si nota è il fiume Temo con gli ampi Viali che lo costeggiano e che costituiscono il lungotemo. La città consta di una parte antica, che sale verso l’altura dove è stato edificato il Castello di Serravalle, e da una parte moderna che si espande verso il mare. Il territorio comunale, classificato di collina, ricco di uliveti e solcato dalle acque del fiume Temo, presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate. Uno dei borghi più belli d’Italia che fa parte dell’Associazione nazionale delle città dell’Olio e delle città del VinoBosa è uno dei sei comuni sardi che sono stati inseriti nella lista dei Borghi più belli d’Italia, dato che il piccolo comune nella Planargia ha ottenuto il riconoscimento dall’Associazione, che è nata su impulso della Consulta del Turismo dell’Associazione nazionale dei comuni Italiani per valorizzare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presente nei piccoli centri italiani che sono, per la grande parte, emarginati dai flussi dei visitatori e dei turisti. I sei comuni sardi inseriti in questo elenco sono Atzara, Bosa, Carloforte, Castelsardo, Posada e Sadali. Questo paese fa, inoltre, parte dell’Associazione nazionale città dell’Olio, che ha tra i suoi compiti principali quello di divulgare la cultura dell’olivo e dell’olio di oliva di qualità, tutelare e promuovere l’ambiente ed il paesaggio olivicolo, diffondere la storia dell’olivicoltura, e garantire il consumatore attraverso le denominazioni di origine. Le città dell’Olio in Sardegna sono ad oggi Alghero, Berchidda, Bolotana, Bosa, Cuglieri, Dolianova, Escolca, Genuri, Gergei, Giba, Gonnosfanadiga, Ilbono, Ittiri, Masainas, Olbia, Oliena, Orgosolo, Orosei, Osini, Riola Sardo, Samatzai, Santadi, Seneghe, Serrenti, Siddi, Sini, Uri, Usini, Ussaramanna, Vallermosa, Villacidro, Villamassargia. Questo paese fa parte dell’Associazione nazionale città del Vino, il cui obiettivo è quello di aiutare i Comuni a sviluppare intorno al vino, ai prodotti locali ed enogastronomici, tutte quelle attività e quei progetti che permettono una migliore qualità della vita, uno sviluppo sostenibile, più opportunità di lavoro. Le città del Vino in Sardegna sono ad oggi Alghero, Arzachena, Atzara, Badesi, Benetutti, Berchidda, Bonnanaro, Bosa, Calangianus, Dolianova, Donori, Dorgali, Jerzu, Loceri, Luogosanto, Luras, Meana Sardo, Modolo, Monti, Neoneli, Olbia, Samugheo, San Nicolò di Arcidano, Sant’Antioco, Selargius, Sennori, Serdiana, Sorgono, Sorso, Tempio Pausania. Origine del nomeIl nome è di origine prelatina, e viene attestato nelle forme Bessenses e Bosanenses. La sua origine, comunque, non è chiara. La sua economiaLa sua economia è basata sulle tradizionali attività agricole, affiancata da un crescente sviluppo dell’industria e del turismo. Il settore primario è presente con la coltivazione di cereali, ortaggi, foraggi, soprattuttodi viti dalle quali si produce il famoso vino Malvasia, e di ulivi, agrumeti e alberi da frutta. Presenta anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L’industria è costituita da numerose aziende che operano nei comparti: estrattivo, alimentare, tessile, delle calzature, editoriale, del vetro, dei laterizi, della fabbricazione di apparecchi medicali, cantieristico, dei mobili, della gioielleria e oreficeria, edile ed elettrico. Interessante è l’artigianato, in particolare quello specializzato nella lavorazione orafa e nella realizzazione di pregiatissimi Filet di Bosa. Il terziario si compone di una buona rete distributiva e dell’insieme dei servizi. Si tratta di una rinomata località turistica estiva, le cui spiagge costituiscono uno dei più belli e più incontaminati ambienti naturali costieri dell’isola. Oltre alle splendide spiagge di Bosa Marina, è molto frequentata anche la costa di capo Marargiu, costituita essenzialmente da tufi trachitici e da rocce di colore rossastro, che danno loro un’aria particolarmente aspra. L’apparato ricettivo offre possibilità di ristorazione e di soggiorno. La viticoltura con le uve per la produzione della Malvasia di BosaLa produzione più rinomata è quella vitivinicola, in particolare del vino bianco prodotto con il vitigno Malvasia di Sardegna, ed il paese rientra nell’area di produzione del vino Malvasia di Bosa Doc. La Malvasia di Bosa deve venir prodotta con almeno il 95% di uva Malvasia di Sardegna, condizione più severa rispetto a qualsiasi altro vino Doc in Sardegna, lasciando solo il 5% di margine per la presenza di varietà diverse nei vigneti, che viene permesso solo per permettere l’impollinazione incrociata nei vigneti, a condizione che poi i produttori cerchino di escludere queste uve nella produzione del vino. La zona di produzione delle uve atte a produrre la Malvasia di Bosa comprende territori nei Comuni di Bosa, Flussio, Magomadas, Modolo, Suni, Tinnura e TresNuraghes, tutti in Provincia di Oristano. Brevi cenni storiciIl territorio è abitato già in epoca prenuragica e nuragica come dimostrato dai resti rinvenuti nel paese e nei dintorni. Per quanto riguarda la sua storia, secondo la tradizione Bosa sarebbe stata fondata addirittura da Clamedia, moglie o figlia del Sardus Pater. Storicamente di origine fenicia, Bosa, il cui nome risulta in un’iscrizione risalente forse al nonno secolo avanti Cristo, si sviluppa in epoca punico-romana. Nel Duecento appartiene al Giudicato di Logudoro e fa parte della curatoria di Planargia. Spopolatosi in periodo medioevale a causa delle scorrerie dei pirati saraceni, passa poi alla potente famiglia dai Marchesi Malaspina dello Spino Secco, una famiglia di nobili della Lunigiana, che edificano il Castello sul colle di Serravalle. Dopo una breve appartenenza al Giudicato d’Arborea, viene conquistata dagli Aragonesi e nel 1330 viene concessa in feudo al catalano Pietro Ortiz. Tornata agli Arborea con Mariano IV, dopo un secolo viene riconquistata dagli Aragonesi. Intorno al 1420 passa sotto il dominio aragonese nel Regno di Sardegna e diviene un feudo, concesso nel 1430 a Guglielmo Raimondo de Moncada, poi confiscata dalla Corona, che la cede nel 1468 alla famiglia Villamarì. Nel 1469 il feudo viene concesso al cagliaritano Antonio Brondo, a cui viene confiscato nel 1670, dopo essere stata elevata nel 1499 al rango di città. Nel 1698 appartiene alla famiglia Olives e infine nel corso del diciottesimo secolo viene incorporata nel Marchesato della Planargia, periodo durante il quale dal 1756 passa per vie ereditarie alla famiglia dei Paliacio, i cui discendenti assumono i titoli di marchese della Planargia ed i primogeniti di conti di Sindia, Marchesato che viene incorporato nel diciottesimo secolo dai Savoia, che confermano il possesso dei Paliacio. Nel diciannovesimo secolo Bosa conosce un notevole risveglio economico, soprattutto nel 1807 quando diviene capoluogo di provincia. Si sviluppa l’attività conciaria e la popolazione subisce un graduale aumento. Viene riscattato agli ultimi feudatari nel 1839 con la soppressione del sistema feudale e diviene un comune autonomo. Nel 1887 vengono inaugurati l’acquedotto, a ricordo del quale viene edificata la fontana in piazza Costituzione, e la rete fognaria. Nel 1870 viene costruito il porto e l’anno successivo viene inaugurato il ponte a tre arcate sul fiume Temo, in sostituzione di quello in legno a sette archi che era crollato all’inizio del diciannovesimo secolo. Si sviluppa la produzione vinicola, in particolare la famosa Malvasia di Bosa, e la produzione artigiana, oltre alla pesca che si svolge soprattutto nel tratto di costa verso nord, fino a capo Marargiu. Nel 1927 il comune di Bosa viene trasferito dalla Provincia di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, alla neonata Provincia di Nuoro. Successivamente nel 2005, con la riorganizzazione delle province della Sardegna, viene trasferito da questa nella Provincia di Oristano. Bosa in età spagnola viene elevata al rango di cittàIn età spagnola, Bosa nel 1499 viene elevata dal re Ferdinando II detto il Cattolico al rango di città regia, e viene a costituire una delle sette città regie. Esse non sono infeudate ma sottoposte alla diretta giurisdizione reale, e godono di privilegi e concessioni, derivanti dal loro status. Sostanzialmente le città hanno poteri amministrativi di autogoverno, che esercitano attraverso propri rappresentanti eletti chiamati consiglieri, sui quali l’amministrazione regia interviene per sancire o rigettare le decisioni assunte, tramite un rappresentante chiamato vicario, ossia Veguer, o podestà. Inoltre le città regie hanno anche poteri politici, in quanto i loro rappresentanti, chiamati sindaci, costituiscono uno dei tre bracci del Parlamento del regno, ossia dello stamento reale, e generalmente la rappresentanza è inibita ai nobili, che fanno invece parte dello stamento militare. Il governo sabaudo del Regno di Sardegna, utilizza ancora per gli stessi centri la terminologia di città, secondo la consuetudine diffusa in Piemonte, ma in modo puramente onorifico e senza privilegi. Titolo che viene confermato dal successivo regno d’Italia e dalla repubblica Italiana. Alcuni dei principali personaggi legati alla città di BosaBosa ha dato i natali a Pietro Delitala, poeta del Regno di Sardegna spagnolo ricordato per essere stato il primo nell’isola a scrivere poesie in italiano, ed al cavalier Giovanni Antonio Pischedda, fondatore della Scuola agraria. Vi è morto lo storico e Vescovo sassaresse Giovanni Francesco Fara. A Bosa si è trasferito a vivere ed è morto anche il pittore Emilio Scherer. Il pittore Emilio Scherer nasce a Parma nel 1945. Formatosi soprattutto in ambito scenografico, dal 1872 si trasferisce a Napoli per raggiungere il maestro Domenico Morelli, dal quale eredita le innovazioni del genere storico, lontano da presupposti romantici, ed anche l’impronta orientalista, diffusa all’epoca, che approfondirà con il successivo soggiorno a Tunisi dal 1879. Arriva a Bosa quasi per caso, quando il clima culturale del paese è tra i più vivi della Sardegna, e rappresenta per Bosa un episodio complesso e straordinario, tanto che la sua opera e la sua figura, a cavallo fra l’ottocento ed il Novecento, divengono centrali nella vita del paese. A Bosa muore nel 1924. |
Le principali feste e sagre che si svolgono a BosaA Bosa sono attivi l’Associazione Culturale Folk regnos Altos, l’Associazione Folkloristica Culturale città di Bosa, ed il Gruppo Polifonico Coro su Traggiu Osincu, i cui componenti si esibiscono nelle principali feste e sagre che si svolgono nel comune ed anche in altre località, e nelle cui esibizioni è possibile ammirare il costume tradizionale di Bosa. Tra le principali feste e sagre che si svolgono a Bosa vanno citati, a gennaio, la Festa di Sant’Antonio Abate; a febbraio, il Carnevale di Bosa; i riti della Settimana Santa; il 23 aprile, la Festa di San Giorgio; il 14 maggio, la Festa di Santa Giusta nell’omonima Chiesa campestre; il 28 maggio, la Festa dei patroni Santi Emilio e Priamo; il 3 giugno, la Festa del Sacro Cuore; il 24 giugno, la Festa di San Giovanni Battista; il 29 giugno, la Festa di San Pietro; la prima domenica di agosto, la Festa di Santa Maria del Mare; verso il 10 agosto, la Festa di Santa Filomena; l’8 settembre, la Festa di Santa Maria di Caravetta nella Chiesa campestre a lei dedicata; il 26 settembre, la Festa dei Santi Cosma e Damiano, nella loro Chiesa campestre; la seconda domenica di settembre, la Festa di Nostra Signora di requos Altos; l’1 dicembre, la Festa di Sant’Eligio, nell’omonima Chiesa campestre. Il Karrasegare Osinku ossia il Carnevale di BosaIl Karrasegare Osinku, il Carnevale di Bosa, è la Festa che mantiene la caratteristica del festeggiamento spontaneo e improvvisato, nella quale i ruoli sociali diventano meno rigidi. È quindi caratterizzato da aspetti parodistici e satirici, che prevedono la messa in scena di eventi che coinvolgono tutti gli abitanti del paese, che eseguono canti satirici. Si comincia il giovedì che precede il giovedì grasso con Gioggia laldaggiolu ’Osincu, sfilata di maschere tipiche con la partecipazione delle scuole, nella quale le maschere vanno per case e negozi chiedendo un’offerta detta appunto Su laldaggiolu, da riconoscere alle maschere che canzonano il malcapitato di turno. Al termine, distribuzione di frittelle e panini. Il giovedì grasso va di scena la sfilata in maschera delle scuole mentre il giorno successivo sfilano le maschere regionali. Il lunedì grasso per le vie cittadine si svolge una sfilata in maschera e carri, ed inoltre Frisciolas longas a Tottu, con la preparazione e distribuzione delle frittelle lunghe che si preparano a Carnevale. I festeggiamenti raggiungono il culmine il martedì grasso, che inizia la mattina con il lamento funebre di S’Attittidu, per il quale le maschere delle Attittadoras piangono la morte di Gioldzi, che è raffigurato da un bambolotto, spesso smembrato, portato in braccio o su una carriola, facendo riecheggiare i loro esagerati lamenti. Le maschere si vestono a lutto e, portando in braccio la bambola fatta di stracci, passano si casa in casa a chiedere Unu Tikkirigheddu de latte, ossia un goccio di latte, per il neonato Gioldzi, abbandonato dalla madre distratta dalla festa. La richiesta di latte, che in pratica si trasforma in richiesta di vino o Malvasia di Bosa, permette di allacciare rapporti metaforici giocati a livello di allusioni sessuali. Al tramonto del sole si assiste ad un cambio di scena, l’abito delle maschere cambia e diventa bianco, e le maschere escono per le strade a cercare il Gioldzi Morto, ed effettuano la caccia al Carnevale, che fugge e si nasconde nel sesso delle persone. I Giolzi illuminano con un lampioncino la parte puberale delle persone che incontrano gridando: Gioldzi! Gioldzi! Ciappadu! Ciappadu! Ossia l’ho preso. Segue Gioldzi a su Fogu, con un falò che brucia enormi pupazzi per le vie e nelle piazze del centro, a simboleggiare il Carnevale che muore e torna a nuova vita. Un piccola ripresa del Carnevale di ha la prima domenica di Quaresima, in occasione della Festa della Pentolaccia che si svolge per i bambini, con una grande zeppolata per tutti gli intervenuti. I riti della Settimana Santa a BosaI riti della Settimana Santa, a Bosa, sono organizzati dalla Confraternita della Santa Croce, che ha la sua sede presso l’omonima Chiesa. Il Martedì Santo si svolge a Bosa, per le strade strette del centro storico, la Processione dei Misteri detta anche Sos Misterios, nella quale le imponenti statue dei Misteri rappresentanti i momenti della passione di Cristo vengono portate dalla Chiesa ed Oratorio della Santa Croce alla cattedrale. Le diverse stazioni della processione sono scandite dal canto del Miserere, il salmo 50, e dello Stabat Mater. La sera del Giovedì Santo nelle diverse Chiese vengono allestiti maestosi sepolcri aperti ai fedeli per tutta la notte. Il Venerdì Santo dalla Chiesa del Carmelo ha inizio la processione che si conclude nella Cattedrale dove ha luogo il rito de S’Iscravamentu, ossia della crocifissione di Gesù. La sera, dopo la deposizione nel sepolcro, segue la processione del Cristo morto che si snoda per le vie del centro fino a ritornare alla Chiesa del Carmine dove i fedeli possono venerare il simulacro di Cristo. Anche in questo caso la processione è accompaganta dal canto del Miserere e dello Stabat Mater. A differenza di altre località dell’isola come Castelsardo, Santulussurgiu, Cuglieri, dove il canto è prerogativa delle Confraternite ed è eseguito da un solo cantore per parte, a Bosa partecipano all’esecuzione tutti coloro che conoscono i canti che, da oltre ottant’anni, si caratterizzano per la presenza di più cantori per parte, e sono coordinati dall’associazione Coro di Bosa. Visita del centro della città di BosaL’abitato, interessato da forte espansione edilizia, si estende in una conca rivolta verso il mare. Arrivando a Bosa con la SP49, subito prima del cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato, si trova il cartello indicatore dell’incrocio, che indica come dritti si arrivi a Bosa Marina, a destra alla via Sas Covas che porta sulla costa a nord dell’abitato, Ed a sinistra al viale Alghero che porta verso Bosa centro. Percorsi duecentocinquanta metri, si arriva alla rotonda dell’incrocio, e, proseguendo dritti, dopo trecento metri si può imboccare il Ponte Nuovo sul fiume Temo. Il fiume Temo che attraversa Bosa, l’unica città fluviale della SardegnaIl fiume Temo, l’unico navigabile della Sardegna, attraversa la città di Bosa provenendo dalle alture sopra Villanova Monteleone, quindi si allarga e costituisce un vero e proprio porto collegato con il mare, che ne fa l’unica città fluviale della Sardegna. Dal Ponte Vecchio, costruito sul Temo in pietra trachitica rossa, vediamo il duomo e tutto il lungotemo e si intravede anche, sia pur da lontano, il Castello di Serravalle che domina dall’alto il vecchio centro storico, costituito dal quartiere medievale di Sa Costa. Sul lato sinistro del fiume invece sono presenti le Sas Conzas, le antiche concerie in corso di ristrutturazione. Da qui si ha una bellissima vista di tutto il vecchio centro storico, sul lato destro del Temo, caratterizzato dalle pittoresche case a tre piani. La Chiesa di Santa FilomenaArrivando da nord con la SP49, dalla rotonda dell’incrocio prendiamo verso sinistra il viale Alghero, e lo seguiamo per ottocentocinquanta metri fino ad arrivare nella piazza Dante Alighieri. Qui prendiamo a sinistra, ossia verso nord, la via Pietro Pinna Parpaglia, la seguiamo per poco più di cento metri, e svoltiamo a sinistra nella via San Francesco. La via San Francesco lascia a sinistra il Colle di Santa Filomena, mentre a destra, in una settantina di metri, si trova la Chiesa di Santa Filomena. Questa Chiesa appartiene alla Piccola casa della Divina Provvidenza Cottolengo, una residenza per l’accoglienza di ospiti portatori di handicap ai quali offre l’assistenza non erogabile a domicilio. Ogni anno verso il 10 agosto, giorno nel quale la Santa è morta nel 304 dopo Cristo, si svolge la Festa di Santa Filomena, con la messa presso il sagrato della Chiesa di Santa Filomena, seguita dalla processione accompagnata dalla Confraternita della Santa Croce, dai Gruppi folk e dalle associazioni. Segue una serata musicale con l’organetto, balli sardi per tutti, e con la partecipazione dei gruppi folk. La Chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di GesùProseguendo lungo la via Pietro Pinna Parpaglia verso nord, dopo poco più di una cinquantina di metri si arriva nel piazzale del Sacro Cuore, sul quale, alla sinistra della strada, si trova la Chiesa del Sacro Cuore che è una della nuove Chiese parrocchiali di Bosa, la più grande per estensione e numero di fedeli, il cui indirizzo è al civico numero 8 della via Pietro Pinna Parpaglia. Ogni anno, verso il 3 giugno, si celebra nella omonima Chiesa parrocchiale, la Festa del Sacro Cuore. Al mattino le celebrazioni religiose all’interno della Chiesa, mentre la sera è l’ampio sagrato ad ospitare la messa, alla quale segue la processione per le vie di Bosa allietata dall’accompagnamento musicale proposto dai gruppi folk. Al corteo religioso partecipano la Confraternita della Santa Croce da Bosa e quelle in arrivo dai paesi vicini, i rappresentati delle associazioni civili, ed i Cavalieri dell’ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Dopo la benedizione solenne si ritorna sul sagrato della Chiesa per dare spazio ad un rinfresco ed ai balli sardi sulle note dell’organetto. Il Municipio di BosaArrivando con la via Pietro Pinna Parpaglia alla piazza del Sacro Cuore, prendiamo a sinistra il corso Giuseppe Garibaldi, lo seguiamo per poco meno di centocinquanta metri, e vediamo, alla sinistra della strada, l’edificio nel quale si trova il Municipio di Bosa, con la sua sede e gli uffici che forniscono i loro servizi ai cittadini. La sede Comunale di Bosa occupa gli edifici che ospitavano in passato l’orfanotrofio Puggioni Piga, realizzati tra il 1912 ed il 1913 su progetto dell’ingegnere Antonio Baldino. La costruzione si sviluppa su due piani, ed occupa un’ampia superficie che ne valorizza l’aspetto monumentale, sviluppandosi su ampio fronte rientrante, nel quale si innestano i due corpi laterali sporgenti. L’uso della vulcanite rossa, tipica delle architetture cittadine, si segnala con evidenza nei pilastri d’angolo, nelle cornici, nelle fasce che attraversano tutto il perimetro dell’edificio. La Chiesa di Santa Maria degli Angeli situata all’interno del convento dei CappucciniPercorsa ancora un’ottantina di metri lungo il corso Giuseppe garibaldi, alla sinistra della strada si trova il cancello, passato il quale si arriva nel piazzale dal quale si accede alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli, che è situata all’interno del convento dei Cappuccini. La costruzione di entrambi ha avuto inizio nel 1608, per iniziativa del Vescovo Manca De Cedrelles e dei consiglieri cittadini, in una zona un tempo periferica ma ormai inglobata dallo sviluppo urbano della città, a nord ovest rispetto al nucleo insediativo più antico. I frati vi sono rimasti fino al 1867, anno in cui sia la Chiesa che il convento sono divenuti proprietà dello Stato. La Chiesa di Santa Maria degli Angeli il cui ingresso principale dà sul piazzale esterno, ha un’unica navata coperta a botte, che ospita sul lato destro tre cappelle voltate a crociera, separate dalla navata da massicci pilastri. Al presbiterio, con altare in stucco, si accede attraverso una breve scalinata decorata ai lati da leoni, anch’essi di stucco, ed anche il presbiterio è voltato a botte, e si prolunga nell’abside semicircolare, che riceve la luce da un ampio finestrone. La concezione generale di quest ’edificio appartiene a quella fase dell’archiettura sarda, nella quale le linee predominanti che esprimevano codici manieristici semplificati, si sono affiancate a strutture di tradizione gotica, come si rileva nella copertura delle cappelle. Il portale è di ispirazione classicheggiante. Gli arredi, tra i quali spiccavano un bell’altare ligneo e la statua della Madonna degli Angeli, non sono più presenti. Dal 1963 al 1987 la Chiesa ha ospitato la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù. Attualmente la Chiesa è sconsacrata e chiusa al culto, ma viene aperta in occasione di concerti musicali, convegni e rappresentazioni teatrali. I recenti restauri hanno, in parte, snaturato le forme originarie dell’edificio, con un rimpicciolimento del presbiterio ed un innalzamento del piano di calpestio della navata, portato a livello di quello delle cappelle, e di conseguenza con la sparizione delle tombe dei frati. Il convento dei Cappuccini recentemente restaurato, è, tra i complessi monastici secenteschi, uno dei pochi che restano ancora quasi intatti. Ad esso si accede tramite un portichetto che conduce direttamente al chiostro, caratterizzato da un quadriportico sul quale, su due piani, si aprono gli ambienti del convento. Al pianterreno si trovano gli ambienti comuni mentre, al piano superiore, un corridoio conduce all’entrata delle celle in alcune delle quali sono rimasti intatti gli arredi fissi, come panche e graziosi lavabi tra i quali uno monumentale. Oggi il convento ospita, nel piano inferiore, gli uffici della Polizia Municipale e, in quello superiore, attività legate all’Amministrazione Comunale ed esposizioni culturali di vario genere. Gli impianti sportivi di BosaProseguiamo per centocinquanta metri lungo il corso Giuseppe Garibaldi, fino a che questo sbocca sulla via Alfonso lamarmora, che prendiamo verso sinistra. La strada procede in direzione nord est, e, dopo un centinaio di metri, vediamo, alla sinistra, al civico numero 27 della via Alfonso lamarmore, l’ingresso degli impianti sportivi di Bosa. All’interno è presente il campo Italia, un Campo da Calcio con fondo in erba, dotato di tribune in grado di ospitare 1.000 spettatori. In esso gioca le sue partite casalinghe la Centro sportivo Bosa calcio, che è la prima squadra calcistica di Bosa, nata nel 1929, vincitrice della Coppa Italia di Promozione 2015-2016, che partecipa al campionato di calcio di Promozione, Girone B in Sardegna. Il Cimitero di Bosa con la Chiesa di San Giovanni Battista al CimiteroSeguiamo la via Alfonso lamarmora per una trentina di metri, fino a che questa strada sbocca sul viale Guglielmo Marconi, che prendiamo verso destra. La strada procede in direzione sud est, e, dopo centosettanta metri, prendiamo a sinistra la via del Castello, che dopo un poco inizia a costeggiare il muro esterno del Cimitero di Bosa, che si trova alla sua sinistra. Sul viale Guglielmo Marconi, subito prima della via del Castello, si trova il cancello di ingresso del Cimitero. Entrando nel Cimitero, si trova subito la Chiesa di San Giovanni Battista al Cimitero che, nelle sue forme attuali, sarebbe derivata dall’ingrandimento, effettuato nel diciassettesimo secolo, di una precedente Chiesa del 1122. Infatti, l’iscrizione sopra la porta, che può essere tradotta in An. MCdecimododicesimo Valerio lixio, nobile Calmedino, colla moglie donna Berengaria fondarono, edificarono dalle fondamenta questa Chiesa di San Giovanni Battista, rivela la sua antica origine. Oggi la Chiesa si presenta con un’unica navata, con un accenno di cappelle tra i contrafforti incassati nelle pareti laterali. Il pavimento della navata conserva intatte le tombe dei personaggi che in essa sono stati sepolti. Sul lato destro della navata è venuto alla luce un frammento d’affresco sbiadito, quasi illeggibile, del periodo della erezione della facciata e della prima campata, in via ipotetica databile al quattordicesimo secolo. L’abside, a pianta rettangolare, è sopraelevata rispetto all’aula e presenta una copertura a botte. La facciata è essenziale, a spioventi sormontata da un piccolo campanile, e presenta un portale archiacuto modanato, sovrastato da un rosone. Presso questa Chiesa, ogni anno il 24 giugno, giorno che ricorda la sua nascita, si svolge la Festa di San Giovanni Battista. La processione del Santo, dalla Chiesa di San Giovanni lungo le strade del paese, viene seguita dalla messa. Al termine della cerimonia religiosa hanno avvio le corse di cavalli, a volte accompagnate anche da canti e balli sardi. Il Castello di SerravalleL’abitato di Bosa è dominato dalla grande mole del Castello di Serravalle noto anche come Castello Malaspina edificato su un colle a nord est dell’antico abitato a partire dal 1112 per difendersi dagli assalti dei pirati arabi dai Marchesi dell’omonima famiglia di nobili toscani trapiantati nell’isola alla metà dell’undicesimo secolo, per la precisione i Malaspina dello Spino Secco. Per arrivare a visitarlo, prendiamo la via del Castello, la seguiamo per duecentocinquanta metri, poi svoltiamo a destra, prendiamo la via Canonico Gavino Nino, e, dopo quattrocento metri, troviamo alla sinistra della strada una lunga e ripida scalinata, che ci porta al Castello. È uno dei castelli fortificati meglio conservati di tutta la Sardegna. Una doppia cerchia di mura, con numerose torri, racchiude una superficie di diecimila metri quadri, ed èdotato di due porte, una verso la città e l’altra verso la campagna. La meglio conservata è la torre nord in trachite rossa a pianta quadrangolare, simile alle torri pisane di Cagliari. Anche la torre ovest, costruita nel Trecento dagli Aragonesi, a pianta ottagonale è ben conservata. Il Santuario di Santa Maria de Sos regnos AltosNella vasta piazza d’armi all’interno delle mura del Castello, si trova il piccolo Santuario di Santa Maria de Sos regnos Altos, Cappella palatina del Castello edificata nel 1300, che era originariamente dedicata a Sant’Andrea Apostolo e solo intorno alla fine del diciannovesimo secolo ha assunto il nome odierno. La cronologia della Cappella è incerta, dato che non si è ancora riusciti a stabilire se sia stata costruita prima del Castello e poi restaurata, o se fosse successiva alla struttura fortificata. Gli studi più recenti hanno proposto una datazione dell’edificio al dodicesimo e una serie di interventi successivi nel corso del quattordicesimo secolo. Non si hanno menzioni della struttura originaria dell’edificio, che nei secoli ha subito interventi pesanti, ed oggi si presenta ad aula unica, dove la zona presbiteriale è stata interamente rifatta. All’interno del Santuario si venera la statua della Madonna de Sos regnos Altos, la quale fu ritrovata i primi anni dell’ottocento tra le rovine del mastio. Secondo la tradizione proprio dalla statua avrebbe avuto orgine il culto verso la Madonna di Sos regnos Altos. Gli abitanti del luogo attribuiscono alla Madonna la protezione particolare ricevuta in tanti anni di guerre. della statua non si conosce né la fattura né la datazione certa, in quanto non è mai stata sottoposta a esami particolari. Non si esclude che l’opera sia stata donata da un devoto di cui non si hanno più notizie. All’interno del Santuario, inoltre, durante i restauri del 1975 è stato trovato uno straordinario ciclo di affreschi trecenteschi attribuiti ad età giudicale, molto rari in Sardegna, realizzati presumibilmente da un pittore di origine toscana. Li possiamo ammirare in tre delle quattro pareti della Chiesa, nella controfacciata e nei due lati lunghi, ma sono stati pesantemente mutilati dalla ricostruzione dell’abside. La Chiesa viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, per la devozione dei fedeli alla piccola statua lignea della Madonna conservata al suo interno. Suggestiva è, la seconda domenica di settembre, la Festa di Santa Maria de Sos regnos Altos. La Festa nasce nel 1847, quando tra le rovine del Castello un bambino ha rinvenuto la piccola statua lignea della Madonna, forse tardomedievale. La statuetta è stata esposta alla venerazione della gente nella Chiesa di Sant’Andrea, che si trovava all’interno del Castello, e la notizia si è diffusa nella città, dopo di che da ogni paese ha cominciato ad accorrere la gente per venerare la Madonna ritrovata. Da allora la statuina viene conservata in una piccola nicchia nella piccola Chiesa all’interno del Castello. Durante la festa, viene portata in processione la statua della Madonna, accompagnata dalla Confraternita e dai gruppi folcloristici, attraverso le vie del centro storico in un percorso che si inerpica tra il Castello e la Cattedrale dell’Immacolata, facendo tappa ai tipici altarini, detti Altarittos, disposti lungo le strade. Infatti, alcuni giorni prima, il colle e le vie sono state addobbate dagli uomini con frasche, canne e bandierine, mentre le donne, il sabato pomeriggio, nei vicoli, negli spiazzi e nelle grotte naturali del rione, in segno di devozione, hanno allestito gli Altarittos, piccoli altari ornati di fiori e dei migliori pizzi di Filet, ricamati dalle stesse, su cui si collocano pregiate Madonnine. Si tratta di una bella Sagra popolare, durante la quale si possono gustare i piatti tipici della cucina bosana, come Fae a landinu, Azzada, e lumache, che sono abbondantemente innaffiati dalla malvasia e dagli altri vini locali. Dirigendoci verso il centro storico vediamo il Monumento ai CadutiArrivando con la SP49, dalla rotonda dell’incrocio con il viale Alghero prendiamo verso sinistra il viale Alghero, e lo seguiamo per ottocentocinquanta metri fino ad arrivare nella piazza Dante Alighieri. Proseguiamo dritti lungo la prosecuzione del viale Alghero, che assume il nome di viale Giovanni XXIII, e, dopo quattrocentocinquanta metri, nella grande alberata piazza 4 Novembre che si apre alla sinistra della strada, si vede l’imponente Monumento ai Caduti realizzato tra il 1932 ed il 1934 ad opera dell’architetto Cesare Bazzani. Si tratta di un monumento a grandi blocchi squadrati di trachite locale rosa, che funge da quinta e piedistallo per la grande statua in bronzo della Vittoria alata realizzata nel 1932 dallo scultore e incisore Publio Morbiducci, uno degli artisti che ha maggiormente caratterizzato gli spazi pubblici romani durante il ventennio fascista, la cui collaborazione con l’architetto Cesare Bazzani è stata lunga e duratura. La Chiesa di Nostra Signora del CarmeloPassata la piazza 4 Novembre, dal viale Giovanni XXIII prendiamo a sinistra la via Vincenzo Gioberti e, dopo cento metri, arriviamo in piazza Vincenzo Gioberti. Qui prendiamo la terza uscita, che è la via Ginnasio, e, in centocinquanta metri arriviamo nella piazza del Carmine. Nel 1606 i Carmelitani, che da secoli occupavano il monastero di Sant’Antonio Extramuros oggi distrutto, che era stato reso insalubre per la vicinanza del fiume Temo, ottennero l’autorizzazione a trasferirsi nella vecchia Chiesa di Nostra Signora del Soccorso, presso la Porta di San Giovanni, che era uno dei tre accessi al paese. Solo dopo un secolo e mezzo iniziarono i lavori per la realizzazione della nuova Chiesa di Nostra Signora del Carmelo detta anche Chiesa del Carmine, completata nel 1779, la cui consacrazione avvenne nel 1810 per opera del Vescovo Gavino Murro. Il nuovo sito, prossimo alla porta cittadina di San Giovanni e ad una delle strade che collegavano la città col nord dell’isola, ed ha ospitato i frati fino alla seconda metà del Diciannovesimo secolo, quando le leggi sabaude sulla soppressione degli Ordini monastici e l’incameramento dei loro beni determinarono il progressivo abbandono di Bosa da parte dei Carmelitani. Si tratta di una Chiesa a navata unica con volta a botte, divisa in quattro campate con quattro cappelle per lato, e un alto presbiterio quadrangolare con una cupola emisferica. All’interno sono da vedere l’altare maggiore in stile rococò del 1791, una bella bussola lignea, i dipinti, gli altari delle cappelle e gli arredi che appartenevano alcuni alla Chiesa di Nostra Signora del Soccorso, altri alla Chiesa della Maddalena demolita alla fine dell’ottocento. Il corso Vittorio Emanuele II e la piazza Costituzione con la fontana Umberto IPer la visita del centro storico, dalla piazza 4 Novembre proseguiamo sulla continuazione del viale Giovanni XXIII che è il corso Vittorio Emanuele II, e dopo un centinaio di metri troviamo subito, sulla sinistra, la piazza Costituzione con la Fontana Umberto I detta Sa Fhuntana Manna. A Bosa, in piazza Costituzione, di fronte alla fontana Umberto I si trova il Palazzo don Carlos un edificio abitativo fortificato del settecento. Qui, molti anni fa, abbiamo effettuato una piacevole fermata a quello che era il classico Caffè Chelo, per degustare la rinomata malvasia di Bosa. La malvasia di Bosa è un vino intenso dal colore dorato e con un sapore pieno ed avvolgente, dal lungo invecchiamento che va da un minimo di due anni fino a tre ed oltre. Come aperitivo abbiamo assaggiato la malvasia giovane, leggermente frizzante e già saporitissima. Oggi il classico Caffè Chelo non c'è più, ed al suo posto è presente lo snack bar, ristorante e pizzeria La Caffetteria. La Chiesa della Santa CroceSul retro della piazza Costituzione prendiamo verso est la via Santa Croce, che è parallela al corso Vittorio Emanuele II ed anche al lungotemo. Lungo la via Santa Croce si trova, a una cinquantina di metri, sul lato destro della strada, la Chiesa della Santa Croce. L’edificio di origine cinquecentesca in origine era un Oratorio dedicato alla Santissima Trinità, e viene affidato nel 1648 ai frati dell’ordine di San Giovanni di Dio, che dal 1644 curavano la gestione dell’attiguo Ospedale della Misericordia. La facciata originaria della Chiesa è espressione della corrente artistica del tardo manieristico, ed il portale d’ingresso si può considerarsi una versione molto sobria di stilemi barocchi. Dopo vari restauri, oggi la Chiesa si presenta con una navata centrale affiancata da tre cappelle sul lato destro e da due sul sinistro. Al suo interno conserva affreschi ottocenteschi opera del pittore Emilio Scherer, nato a Parma nel 1845 e morto a Bosa nel 1924. Nella Chiesa sono custodite le imponenti statue dei Misteri che tradizionalmente vengono condotte in processione il Martedì Santo, e presso il suo Oratorio ha sede la Confraternita della Santa Croce, cui sono affidati i riti della Settimana Santa. Proseguiamo lungo corso Vittorio Emanuele la visita del centro storicoPassata le deviazione per visitare la Chiesa della Santa Croce, proseguiamo lungo il corso Vittorio Emanuele II la visita del centro storico, con le sue strette viuzze con slarghi, portici e piazzette collegati da suggestive rampe e scalinate. A Bosa, sono molte le facciate di edifici decorate con un costante e caratteristico contrasto di trachite rossa e calce bianca. Qui visiteremo una vecchia Osteria, e vediamo fuori dalle case le anziane signore assorte sui loro telai nella lavorazione del famoso Filè di Bosa. La Chiesa della Madonna del RosarioPercorsa un’ottantina di metri dalla piazza Costituzione, passato l’incorcio con la via palestro, si vede, ad angolo con la via del Rosario, alla sinistra della strada, la facciata della Chiesa di Nostra Signora del Santo Rosario un tempo chiamata Oratorio del Rosario essendo la sede dell’omonima Confraternita. Si ignora la data della sua edificazione, ma probabilmente l’edificio oggi esistente, ampiamente rimaneggiato nel Diciannovesimo secolo, dovrebbe sorgere sui resti di una Chiesa precedente. La facciata è stata costruita seguendo il prospetto in stile barocco della Chiesa del Carmine, di cui riprende le forme semplificandole nella sommità con una slanciata struttura campanaria sotto la quale è ospitato, dal 1875, un orologio pubblico con mensola in aggetto. Il portone d’ingresso si rifà a forme del tardo rinascimento, fiancheggiato da colonne a sezione quadrata e sormontato da un timpano curvilineo spezzato. Il semplice interno, ad una navata, con coperture a crociera e sottarchi che scandiscono le campate, non mostra niente di notevole. Gli altari laterali, in stucchi dipinti sicuramente successivi alla costruzione originaria dell’Oratorio, sono dedicati a San Domenico, alla Vergine della Salute, a San Nicola ed a Sant’Antonio da Padova. La Cantina Giovanni Battista ColumbuGuardando la facciata della Chiesa della Madonna del Rosario, prendiamo lungo il suo fianco sinistro la via del Rosario, che, dopo una cinquantina di metri, va ad immettersi sulla via del Carmine, che prendiamo svoltando leggermente a sinistra. La seguiamo per una quarantina di metri e, alla destra della strada, al civico numero 104, si trova l’ingresso della Cantina Giovanni Battista Columbu, una delle più famose per la produzione della Malvasia di Bosa. La Cantina Giovanni Battista Columbu è un’azienda vinicola sarda che ha origine nel 1957, quando Giovanni Battista Columbu, insegnante barbaricino, si stabilisce a Bosa. Qui, insieme a proprietari di vigneti e operai vignaiuoli, otterrà nel 1972 l’iscrizione nell’albo dei vini Doc del vino Malvasia di Bosa, tra i primi in Italia ad ottenere questa certificazione. Nel periodo successivo avvengono cambiamenti entro i limiti di tradizione e razionalità di una coltivazione ecocompatibile, ed oggi l’azienda conta su circa 3cinquemila metri quadrati di superficie vitata divisa tra due vigneti. Nel 1992 esce sul mercato la prima bottiglia di Malvasia di Bosa G.B.Columbu riserva e nel 2003 si accosta alla tradizione un altro prodotto, l’Alvarega, sempre ottenuto da uve Malvasia. Questa è una variante dolce rispetto alla classica, che interpreta l’usanza ormai consolidata di consumare la Malvasia anche nella sua fase più giovanile. |
La Chiesa di Santa TeresinaProseguendo lungo il corso Vittorio Emanuele II dopo la Chiesa di Nostra Signora del Rosario, dopo una settantina di metri prendiamo a sinistra la via Solferino, che seguiamo anche seguendo le sue curve per cinquanta metri, poi svoltiamo leggermente a sinistra e prendiamo la via Malaspina, dopo una quarantina di metri svoltiamo a destra e prendiamo la via Serravalle, e, percorsa per una trentina di metri, si immette sulla via montenegro. Presa la via montenegro verso sinistra, dopo una cinquantina di metri vediamo, alla destra della strada, la Chiesa di Santa Teresina. Quella che allora era un piccola abitazione privata situata nella via montenegro, è stata acquistata e consacrata come Chiesa da un parroco della Cattedrale di Bosa nei primi anni Trenta, ed è stata donata agli abitanti del centro storico per agevolare le famiglie numerose che non potevano accompagnare i propri figli al catechismo presso la cattedrale. La ConCattedrale di Santa Maria ImmacolataIl corso Vittorio Emanuele II ci porta in appena un’altra cinquantina di metri nella piazza Duomo, che si apre alla destra del corso, sul lato sinistro della quale si affaccia la ConCattedrale di Bosa, Chiesa con la stessa dignità e gli stessi privilegi della Cattedrale di Santa Maria Vergine di Alghero, alla quale viene parificata. Si tratta della Chiesa dedicata a Santa Maria Immacolata che era anticamente una Chiesa romanica risalente agli inizi del dodicesimo secolo, restaurata probabilmente nel 1400, ma deve il suo aspetto attuale all’architetto bosano Salvatore Are che la ha interamente ricostruita tra il 1805 e il 1809. della struttura originaria restano solo poche tracce soprattutto nel campanile. All’interno la Chiesa è formata da un’ampia navata con il presbiterio caratterizzato da una volte a botte, spezzata in sostituzione della tradizionale copertura a crociera. Nella navata si aprono quattro cappelle per lato, con begli altari in marmo. La prima di queste, posta a destra dell’ingresso, è dedicata al Sacro Cuore e contiene altre quattro piccole cappelle. La Cappella di sinistra, invece, ospita il fonte battesimale. Altre caratteristiche sono il grande organo, l’altare maggiore costruito in finissimo marmo, tre statue marmoree raffiguranti l’Immacolata Concezione e i due martiri sardi Emilio e Priamo, nonché numerose dipinti di Emilio Scherer raffiguranti generalmente Santi che compivano il loro martirio in paesaggi bosani. All’esterno la facciata ha tre portali di cui il centrale, ad arco acuto modanato, contiene l’ingresso della Chiesa. Più che per la facciata la Cattedrale è particolare per il gioco della tettatura, da cui svetta il campanile e le pittoresche cupole che si specchiano sulle acque del Temo. Il campanile, tuttora incompiuto, porta scolpita la data 1683 nella parte terminale. Presso la Cattedrale di Bosa, ogni anno, il 28 maggio si svolge la Festa dei patroni Santi Emilio e Priamo, durante la quale vengono organizzate manifestazioni folkloristiche e musicali in onore dei due patroni della città. Non esiste a Bosa una Chiesa dedicata a questi Santi, ma i Bosani, a loro tanto devoti, hanno voluto collocarli nell’altare della cattedrale, dove vengono ricoperti di fiori in occasione della festa. Il Ponte Vecchio chiamato anche Ponte nazionaleDal corso Vittorio Emanuele II prendiamo a destra la piazza che fiancheggia la facciata della cattedrale, e che incrocia il lungotemo Alcide De Gasperi a destra e la via Santa Giusta a sinistra. Dalla piazza arriviamo al Ponte Vecchio chiamato anche Ponte nazionale, che permette di passare il fiume Temo e ci porta sul lato medionale dell’abitato. Il quartiere Sas ConzasScesi dal Ponte Vecchio, arriviamo dove parte verso sud la sua prosecuzione che è la via Roma, verso destra la via sas Conzas e verso sinistra la via Sant’Antonio Abate. Prendiamo verso destra la via Sas Conzas, che ci porta nel quartiere artigiano di Sas Conzas ossia delle antiche conceria. Gli edifici, articolati su due piani, si distinguono sia per la loro disposizione a schiera, sia per la semplicità dell’architettura esterna caratterizzata dalla tradizionale facciata decorata con trachite rossa. Al pianterreno si trovavano, oltre ad un pozzo e alle presse, le grandi vasche in muratura rivestite in legno nelle quali venivano immerse le pelli. La vicinanza al fiume era dovuta proprio alla necessità di enormi quantità d’acqua. Al piano superiore, collegato a quello inferiore da una scala in legno, erano collocati un piccolo ufficio, nel quale si curava l’amministrazione delle attività, e le macchine per la rifinitura. Di attività conciarie a Bosa si ha notizia già dal seicento anche se il periodo di maggiore attività risale all’ottocento, quando si contano 28 imprese. Col passare del tempo esse si riducono sempre più di numero, finché nel 1962 anche l’ultima non cessa la sua attività. dichiarati nel 1989, per decreto ministeriale, monumento nazionale, sono stati sottoposti a tutela e da qualche anno è iniziato un intervento di recupero architettonico delle strutture, riadattate a uso residenziale o a locali commerciali. Il Museo delle ConceSulla via Sas Conzas, a un centinaio di metri da dove la abbiamo imboccata, al civico numero 62 della via Sas Conzas, alla destra della strada, si trova l’ingresso del Museo delle Conce. Il Museo è stato realizzato in una conceria risalente al settecento ed ampliata nel 1840, appartenente in passato alla famiglia Poddighe. Concepito secondo moderni principi allestitivi, il piano terra dell’edificio conserva le originali vasche in muratura nelle quali avveniva la prima fase della conciatura delle pelli. Al piano superiore sono esposti, oltre ad antiche fotografie, parte dei macchinari e degli attrezzi adoperati all’epoca. La Chiesa di Sant’Antonio AbateScesi dal Ponte Vecchio, prendiamo verso sinistra la via Sant’Antonio Abate, la seguiamo per una settantina di metri, e vediamo, in uno spiazzo alla destra della strada, la facciata della Chiesa di Sant’Antonio Abate il cui primo impianto viene fatto risalire al Dodicesimo secolo, e sembra che in seguito sia appartenuta in origine all’Ordine dei Camaldolesi che vi abitavano in un annesso piccolo monastero. L’edificio attuale, in forme chiaramente legate a moduli gotico catalani, risale al Sedicesimo secolo, quando fu concessa dal Vescovo locale ai Carmelitani, che la abitarono dal 1580 al 1606, fino a quando si trasferirono presso la Chiesa della Vergine del Soccorso, che un tempo era presente dove ora esiste la Chiesa del Carmine. La Chiesa di Sant’Antonio Abate si trovava al di fuori delle mura cittadine, e per questo motivo veniva chiamata Sant’Antonio Extramuros, e dato che sorgeva nei pressi dell’antico ponte in trachite rossa col quale condivideva anche l’uso del locale materiale costruttivo, veniva chiamata anche Sant’Anton de Pont. Composta da una sola navata, voltata a crociera su pilastri addossati ai muri perimetrali, che scandiscono lo spazio in quattro campate divise da archi a sesto acuto. Il presbiterio è introdotto da un arcone su semicolonne dotate di capitelli a motivi vegetali, e recanti uno lo stemma della casa d’Aragona e l’altro una effigie inusuale che rappresenta un moro bendato. La facciata, interamente in trachite a vista, termina a capanna, con coronamento d’archetti pensili nascente dalle due paraste d’angolo. In asse al portone, con modanatura ad arco inflesso, si apre il rosone circolare, strombato e recante nel traforo un motivo di stella a cinque punte. Il muro perimetrale destro è rafforzato da un robusto contrafforte, avanzato rispetto alla facciata, e terminato sul fronte parallelo a questa da un elemento timpanato. Così pure timpanato, ma ancor più arretrato rispetto al contrafforte, si presenta il tozzo campanile addossato all’opposto versante della Chiesa, suddiviso in tre ordini, nel più alto dei quali si apre ad arco la cella campanaria. Attualmente la Chiesa viene aperta al culto solo dall’inizio della tredicina, fino al 17 gennaio, quando si tiene la Festa di Sant’Antonio Abate. La Festa inizia il 16 gennaio con la messa celebrata nella Chiesa omonima, e durante la celebrazione viene consegnato il pane benedetto. La parte civile dell’evento comincia verso sera, quando, nel piazzale antistante la Chiesa viene acceso un grande falò benedetto dal cappellano. Durante quest’occasione molte persone danzano attorno al fuoco e tanti sono quelli che ancora, secondo l’antica tradizione, fanno attorno al falò di Sant’Antonio tre giri a destra e tre a sinistra, per scongiurare il mal di pancia. Durante i giorni dei festeggiamenti si esibiscono gruppi folkloristici e vengono allestite delle bancarelle nelle quali si vendono i prodotti tipici. E’ proprio la Festa di Sant’Antonio Abate a segnare la data di inizio del carnevale. Visita dei dintorni della città di BosaVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Bosa, sono stati portati alla luce i resti delle domus de janas Capitta, domus de janas di Coroned, domus de janas di Funtana lacos, domus de janas di Monte Furru, domus de janas Silattari; delle necropoli di Badde Orca, necropoli di Ispiluncas, necropoli di Pontes, necropoli di Sa Pala Sa Terra, necropoli di Tentizzos, necropoli di torre Argentina, necropoli di Tuccaravo, necropoli Ipogeica di Sorighes; della stazione preistorica Punta Titanis; del pozzo nuragico di S’Abba Druche; dei Nuraghi semplici monte Furru, e Rocca Pischinale; del Nuraghe complesso di S’Abba Druche, Nuraghe San lò ossia San'Eligio; delle tomba di Giganti di S’Abba Druche, tombe in località Managu, tombe romane di Monte Furru; dell’insediamento romano con la necropoli romana di Abba Druche; delle vasche di Abba Druche che si trova nella sua area archeologica; del villaggio nuragico-romano di lumenera; ed altri reperti sono stati rinvenuti nell’area di San Pietro-Messerchimbe, in località Calameda, in località Sa Rughe ’e Sa Mendula. Visitiamo ora i dintorni di Bosa, vedendo le sue principali aree archeologiche e la ex Cattedrale di San Pietro Apostolo, con le diverse Chiese campestri. L’area archeologica di S’Abba DrucheA poche centinaia di metri dalla costa, è presente l’Area archeologica di S’Abba Druche nella quale è stato possibile documentare un vasto insediamento abitativo e produttivo, ascrivibile ad un arco di tempo che va dall’epoca nuragica, con la presenza di una necropoli, fino all’età romana imperiale, caratterizzata dalla presenza di vasche risalenti all’epoca romana. Le prime indagini a S’Abba Druche risalgono al 1985, a seguito del ritrovamento fortuito di ceramiche e sepolture fatto da un pescatore. Gli scavi hanno portato alla luce i resti del pozzo sacro di S’Abba Druche, di piccole dimensioni, realizzato in blocchi di calcare ben squadrati e lavorati, costituito da un vano circolare, nel cui perimetro sono ricavate tre nicchie, e da una canaletta laterale esterna, posta obliquamente rispetto all’apertura di accesso della fonte. Del Nuraghe complesso di S’Abba Druche non rimane alcuna tracca dato che è stato demolito per realizzare l’insediamento romano.. All’epoca romana vengoro attribuite alcune strutture murarie, costituenti la Necropoli romana di S’Abba Durche con numerosi ambienti contigui, a modulo rettangolare, tipici di un centro abitativo, e sono anche presenti due vasche rettangolari, accuratamente scavate nella roccia, a breve intervallo l’una dall’altra, con gli spigoli arrotondati. Sono stati poi individuati anche i resti della Tomba di giganti di S’Abba Druche, segnalata in un terreno all’altro lato della provinciale SP49 che collega Alghero con Bosa. La Chiesa di San Giorgio MartireArrivando con la SP49, dalla rotonda dell’incrocio con il viale Alghero prendiamo verso sinistra il viale Alghero, che entra nell’abitato diventando il corso Giovanni XXIII, e poi, nel centro, il corso Vittorio Emanuele II. Dal corso Vittorio Emanuele II, presa a destra la piazza che fiancheggia la facciata della cattedrale, e che incrocia il lungotemo Alcide De Gasperi a destra e la via Santa Giusta a sinistra, siamo arrivati al Ponte Vecchio. Scesi da questo, abbiamo preso verso sinistra la via Sant’Antonio Abate, la abbiamo seguita per una settantina di metri fino a vedere alla destra della strada la facciata della Chiesa di Sant’Antonio Abate. Proseguendo lungo la strada, che è diventata la via San Pietro, per Ottocento metri, si vede, alla sinistra della strada, la Chiesa di San Giorgio Martire ora abbandonata. Il culto di questo Santo è stato introdotto in Sardegna da Monaci orientali durante il periodo della dominazione bizantina, e dunque si può ipotizzare che la Chiesa a lui dedicata, sia stata innalzata prima dell’anno Mille ed in seguito restaurata più volte. La costruzione attuale S’inquadra, probabilmente, tra il Diciassettesino ed il Diciottesimo secolo, e ciò sembra testimoniato dal portale, caratterizzato da un frontone arcuato, secondo il gusto barocco. In passato la Confraternita di San Giorgio Martire amministrava e curava questa Chiesa, ma quando, in seguito alle leggi del 1866, è stato espropriato il vasto e produttivo terreno attiguo, sono venute a mancare le risorse necessarie per la manutenzione dell’edificio, che, abbandonato, si è ridotto a un rudere. Nei primi anni ottanta del secolo scorso, grazie all’impegno di alcuni muratori locali, la piccola Chiesa è stata riportata in vita, e nello stesso periodo vi è stato collocato, sull’altare, un moderno quadro del Santo titolare. Ma, purtroppo, nel recente passato la Chiesa è stata nuovamente trascurata, ed ora essa versa in condizioni di estrema precarietà. La Festa di San Giorgio Apostolo, secondo il calendario liturgico, veniva celebrata il 23 aprile, ma ora non si svolge da diversi anni, poiché la Chiesa ad esso dedicata si trova in stato di abbandono. L’ex Cattedrale di San Pietro ApostoloProseguendo lungo la via San Pietro per seicentocinquanta metri, a un paio di chilometri dal centro, in uno slargo sulla sinistra, in una posizione pittoresca, si trova il monumento più importante e più conosciuto di Bosa, La Chiesa romanica più antica della Sardegna. È la Chiesa dedicata a San Pietro che si trovava al di fuori delle mura cittadine, e per questo veniva chiamata anche San Pietro Extramuros. La Chiesa, situata nella località campestre di Calameda, sulla riva sud del fiume Temo, a poca distanza dal centro cittadino, è stata la ex Cattedrale della diocesi di Bosa. Un’iscrizione posta all’interno, sulla pila dell’acquasantiera, ricorda la posa della prima pietra nel 1062, e la costruzione, ad opera di Sisinnio Etra, del seggio vescovile. Questa prima fase viene completata nel 1073 ad opera del Vescovo Costantino de Castra. Nel secondo decennio del Dodicesimo secolo vengono eretti l’abside, con le due campate contigue, quattro campate verso la facciata, il robusto campanile e parte delle murature laterali, con le monofore gradonate, che alcuni studiosi hanno Giudicato molto arcaiche e quindi influenzate da quelle del San Matteo di Pisa. La terza fase costruttiva risale all’ultimo decennio del Tredicesimo secolo, e comprende il prospetto e parte della fiancata nord occidentale e due sottarchi costolati della navatella, elementi tutti decisamente riferiti a forme gotiche francesi, importate dai Monaci Cistercensi, che possedevano a Bosa i Monasteri di Santa Maria di Caravetta e di Santa Maria Salvada. La Chiesa si presenta con un interno a tre navate, divise da tre robusti pilastri rettangolari, con tetto centrale a capriate, le volte a crociera sulle navatelle, ed un’unica abside. Nella facciata, attribuita ad Anselmo di Como, costruttore anche della Chiesa di San Pietro di Zuri, si nota la caratteristica edicoletta sulla cuspide, i tre rosoni quadrilobati e gli archi a sesto acuto con agli scarichi gli altorilievi che rappresentano i simboli dei quattro evangelisti. Sull’architrave, in calcare, sono raffigurati San Pietro, San Paolo, la Madonna col Bambino, e San Costantino, omonimo del Vescovo Costantino de Castra al quale si deve il completamento della sua prima fase costruttiva. Durante i recenti lavori di restauro della Chiesa, sono stati trovati sotto di essa numerosi reperti del periodo romano, e sono ancora in corso scavi archeologici. Preceduta da un triduo religioso, la Festa di San Pietro Apostolo culmina nella sera del 29 giugno, con la processione in barca sul fiume Temo, quando le statue dei Santi Pietro e Paolo vengono portate dalla parrocchiale all’antica Cattedrale dedicata a San Pietro. Il monte Nieddu sul quale forse era l’antica città di CalmediaGuardando la facciata della Chiesa di San Pietro, sul retro di essa si vede in lontananza quello che un tempo era il Vulcano di Monte Nieddu, che milioni di anni fa ha dato origine all’intera vallata del Temo, oggi ricca di ulivi secolari. Nella seicentesca relación de la antigua ciudad de Calmedia y varias antigüedades del mundo, opera anonima conservata nella Biblioteca universitaria di Cagliari, si narra che Calmedia figlia o moglie del Sardus Pater, mitico padre dei Sardi, figlio dell’Ercole che era arrivato dalla libia e fondatore della Sardegna, giunta nella vallata attraversata dal fiume Temo e colpita dalla bellezza dei luoghi, abbia deciso di fermarsi in essa e di fondarvi una città, che da lei avrebbe preso nome, nella località attualmente conosciuta come Calameda. L’anonimo autore racconta delle rovine della città romana, paragonandola per grandezza all’antica Babilonia. Descrive le mura che la cingevano presso l’attuale monte Nieddu e ne menziona una delle porte nelle vicinanze della fonte di su Anzu. La città di Calmedia sarebbe stata nell’antichità un fiorente centro culturale e avrebbe per secoli convissuto con la vicina città di Bosa, con cui si sarebbe alla fine confusa. |
La Chiesa campestre di Santa GiustaDal corso Vittorio Emanuele II, presa a destra la piazza che fiancheggia la facciata della Cattedrale e che incrocia il lungotemo Alcide De Gasperi a destra, svoltiamo a sinistra sulla sua continuazione che è la via Santa Giusta. Questa strada, dopo centottanta metri svolta a sinistra e, dopo un’altra quarantina di metri arriva ad incrociare il corso Vittorio Emanuele II che arriva da sinistra e prosegue verso destra come via Salvador Allende. Dopo l’incrocio, passata la piazza Santa Giusta, prendiamo la strada campestre che è la continuazione della via Santa Giusta, la percorriamo per trecentocinquanta metri, e vediamo alla sinistra della strada uno spiazzo sul quale si affaccia la Chiesa campestre di Santa Giusta. Edificata nel seicento, all’esterno delle antiche mura e a poca distanza dalla Porta di Santa Giusta, che era uno dei tre accessi al paese, con il restauro del 1876 è stato aggiunto alla facciata originale un frontone in stile classico, sorretto da due paraste con capitelli ionici. Questa Chiesa è chiusa durante tutto l’anno, e viene aperta al culto solamente il 14 maggio, giorno nel quale si celebra la Festa di Santa Giusta. La Chiesa campestre di Sant’EligioDalla via Santa Giusta, arrivati all’incrocio dove arriva da sinistra il corso Vittorio Emanuele II, prendiamo la sua continuazione sulla destra, che è la via Salvador Allende. Percorsa per cinquecento metri, arriviamo a un trivio, dove la via Salvador Allende prosegue, leggermente verso sinistra, nella via regennara. Tra questa e la strada a destra, in uno spiazzo, si trova la Chiesa campestre di Sant’Eligio dedicata al protettore dei fabbri e degli orefici. La Chiesa è stata edificata in epoca medievale, ed appoggia le sue fondamenta sui ruderi di un Nuraghe, come avveniva per la maggior parte delle Chiese paleocristiane e del primo medioevo. Questa Chiesa è chiusa durante tutto l’anno, e viene aperta al culto solamente il primo dicembre, in occasione della Festa di Sant’Eligio. La Chiesa campestre di San Martino VescovoDalla via Santa Giusta, arrivati all’incrocio dove arriva da sinistra il corso Vittorio Emanuele II, prendiamo la sua continuazione sulla destra, che è la via Salvador Allende. Percorsa per cinquecento metri, arriviamo a un trivio, dove la via Salvador Allende prosegue, leggermente verso sinistra, nella via regennara. Arrivati al trivio dove si trova la Chiesa campestre di Sant’Eligio, prendiamo la prosecuzione della via Salvador Allende, che è la via regennara, segue la riva destra del fiume Temo, ed è la strada che conduce alla località Prammas. La percorriamo per circa un chilometro e quattrocento metri, e vediamo, alla destra della strada, l’ingresso della Chiesa campestre di San Martino Vescovo. Edificata anch’essa nel seicento in località Prammas, attualmente è chiusa durante tutto l’anno. La Chiesa campestre dei Santi Cosimo e DamianoUna quarantina di metri prima di arrivare alla Chiesa campestre di San Martino Vescovo, dalla via regennara parte verso sinistra una strada sterrata che, in meno di duecento metri, porta alla Chiesa campestre dei Santi Cosimo e Damiano. La Chiesa è stata ricostruita nel Novecento su un’antica Chiesa medioevale. Questa originariamente, era dedicata a San Bachisio, ma la sua dedicazione è stata sostituita, nel periodo delle terribili pestilenze tra il Quindicesimo ed il Diciassettesimo secolo, da quella ai Santi martiri Cosma e Damiano, noti medici e guaritori. Molto bello è il portale che richiama al primo manierismo toscano. L’interno della Chiesa è costituito da una sola navata, con due altari laterali dedicati ai due Santi. Il monte Furru con il Nuraghe e con le tombe romane di Monte FurruLungo la strada che conduce dall’abitato di Bosa Marina alla frazione Villaggio Turas, alla sinistra della strada, si vede sullo sfondo il Monte Furru un vasto altopiano trachitico che domina Bosa da sud, raggiungendo una altezza di 201 metri sul livello del mare. Sul margine meridionale del monte Furru sorge il Nuraghe Furru, ed, a una sessantina di metri di distanza verso nord est, si trovano due tombe del periodo romano. Il Nuraghe e le tombe sono stati dettagliatamente descritti dall’archeologo Alberto Moravetti nel suo volume Ricerche archeologiche nel Marghine-Planargia, al quale si fa riferimento per questa decrizione. Sul margine meridionale del monte Furru sorge il Nuraghe Furru situato a un’altitudine di 136 metri, a meno di cinquecento metri a nord rispetto al rio Turas, ed a circa trecento metri ad est dell’attuale linea di costa. Si tratta di un Nuraghe complesso, costituito da un monotorre al quale è stato aggiunto in seguito almeno un corpo laterale, edificato in posizione dominante e strategicamente privilegiata. La torre, a pianta circolare con un diametro di quasi undici metri ed uno spessore di tre metri e mezzo, si conserva per una altezza massima di quasi due metri e mezzo, con cinque o sei filari. All’interno del mastio è presente una camera centrale, circolare con un diametro di poco più di tre metri e mezzo, arricchita da tre nicchie disposte a croce che sono in gran parte colme di pietrame. A causa del crollo non sono attualmente rilevabili l’ingresso, e nemmeno l’andito e gli eventuali spazi sussidiari, come la nicchia e la scala, anche se la loro presenza può considerarsi certa data la tipologia evoluta della camera. La torre era protetta ad est da una torretta che, con base ad una quota inferiore di circa sei metri, si raccordava fra spuntoni di roccia al profilo del mastio. L’opera muraria è costituita da pietre di grandi e medie dimensioni, poliedriche, sbozzate talora con una certa cura e messe in opera a filari orizzontali non sempre regolari. Ad una sessantina di metri a nord del Nuraghe,su un affioramento trachitico ben spianato, sono state scavate due Tombe del periodo romano affiancate tra loro e disposte, nel senso della lunghezza, lungo l’asse da nord a sud. La tomba I, quella ad ovest, ha forma ellittica, irregolare, con le estremità rastremate. È separata dalla tomba II da una canaletta che taglia la piattaforma rocciosa per tutta la sua ampiezza. La tomba II, ellittica, è più regolare nella forma della precedente. E vicino alle tombe sono visibili i resti di una capanna, che, in base ai frammenti fittili raccolti in superficie, può essere datata al terzo secolo dopo Cristo. La Chiesa campestre di Santa Maria di CaravettaUsciti dal villaggio Turas, prendiamo la strada Comunale che si dirige verso est e che porta in direzione di Modolo. La seguiamo per due chilometri e cento metri e, dopo i segnali stradali che indicano un passaggio a livello che si troverà più avanti, prendiamo la stretta deviazione verso destra, dopo centocinquanta metri arriviamo a un bivio dove prendiamo di nuovo a destra, seguiamo la strada per duecentocinquanta metri, poi svoltiamo a destra e, dopo una settantina di metri, vediamo un cartello che segnala Caravetta ed indica una sterrata sulla destra. La sterrata in trecento metri ci porta a vedere, tra le vigne di Abbamala, la Chiesa campestre di Santa Maria di Caravetta alla sinistra della strada, passata la linea ferroviaria. La piccola Chiesa risale al Dodicesimo secolo, edificata dai Monaci Cistercensi, che possedevano a Bosa ilmonastero a lei dedicato, ora andato distrutto, che era annesso alla Chiesa ed è rimasto in attività per circa Duecentocinquanta anni. La Chiesa, al suo interno, è molto semplice, ad una sola navata, con un rudimentale altare in pietra e una piccola ancona lignea. Questa Chiesa è chiusa durante tutto l’anno, e viene aperta al culto solamente l’8 settembre, in occasione della Festa di Santa Maria di Caravetta che si svolge presso di essa. Una domus de janas appena scopertaRiportiamo alcune foto scattate qualche anno fa, nelle quali documentiamo la visita che abbiamo fatto a una domus de janas appena scoperta con il suo contenuto conservato ancora intatto sul posto. Ci siamo limitati a fotografarla, senza ovviamente asportare o danneggiare alcunche. La natura nei dintorni di BosaNel nostro viaggio siamo arrivati a Bosa lungo la strada costiera proveniente da Alghero. Ci possiamo arrivare anche deviando a Macomer dalla SS131 di Carlo Felice e spostandosi verso il mare. Arrivando da questa strada la città appare all’improvviso, all’interno di una fertile vallata, sulla riva destra del fiume Temo. L’entroterra ed i dintorni di Bosa sono rimasti in gran parte selvaggi e naturali, per cui estremamente caratteristiche sono Sia la flora che la fauna locali che meritano l’organizzazione di escursioni e visite guidate. Si incontrano, percorrendo i diversi sentieri sulla collina e sulla montagna, Fiori dai colori stupendi Altissimi agave Boschi fitti di vegetazione all’interno ed affacciati sul mare lungo le coste. Sulla montagna si incontrano facilmente Animali selvatici ad esempio maiali e capre. Non sono invece riuscito a fotografare il Grifone l’ultimo avvoltoio rimasto in Europa, del quale sono presenti poche colonie con numero limitato di esemplari proprio qui, dove nidifica in cavità tra rocce e dirupi sulle ripide pendici dei monti. E da queste montagne si lascia andare in volo portato dalle correnti d’aria, per arrivare al Supramonte dove trova ancora nelle zone, non antropizzate, la sua alimentazione fatta di carogne e piccoli animali, e da dove, sempre portato dalle correnti d’aria, riesce poi a rientrare in serata negli anfratti sopra la montagna nei quali ha il suo nido. Antiche conceria, un villaggio minerario abbandonato e fortini per la difesa delle costeSempre nei dintorni di Bosa si incontrano testimonianze di diversi periodi storici. Riportiamo alcune foto dei resti di Antiche concerie del periodo romano. Si incontrano quindi i resti di un Villaggio minerario abbandonato purtroppo non ben conservati. Un restauro ne potrebbe fare una interessante tappa per chi visita la zona. Sulla montagna si possono incontrare poi diversi Fortini utilizzati per la difesa delle coste che venivano controllate dalle feritoie dalle quali ancora oggi si riesce ad ammirare il panorama del mare sottostante. Immagini dell’entroterra di BosaNon abbiamo riportato le foto in base alla località, ma le abbiamo riunite per analogie del soggetto rappresentato. L’Entroterra di Bosa offre uno spettacolo di natura in gran parte ancora intatta e incontaminata. Riportiamo le foto di Molte rocce dell’entroterra di Bosa, delle quali la più significativa è quella che viene chiamata la roccia del grifone. Oltre alle rocce all’interno, anche sul mare si affacciano rocce altrettanto affascinanti e spettacolari. Percorso un sentiero attraverso la macchia mediterranea ed il bosco, Arriviamo al mare. Riportiamo anche altre vedute del mare da diverse località dei dintorni. Indimenticabili i colori ed i riflessi del mare di Bosa. Il mare di Bosa offre numerose Cale, spiagge e spiaggette che spesso si incontrano in località difficilmente raggiungibili e che quindi conservano intatta tutta la loro bellezza. La costiera di BosaVediamo ora le diverse spiagge che si trovano sulla costiera di Bosa, e visitando la frazione Bosa Marina, con il suo porticciolo turistico, la Torre dell’Isola Rossa o Torre di Bosa, e le sue spiagge. Nel 2017 Legambiente attore protagonista dell’ambientalismo italiano, con le rilevazioni effettuate dalla sua Goletta Verde, e con la collaborazione del Touring Club Italiano, ha assegnato il riconoscimento di 5 Vele al comprensorio della Planargia nel quale si trova la costiera di Bosa. I parametri considerati per l’assegnazione delle vele sono la qualità delle acque di balneazione, efficacia della raccolta differenziata dei rifiuti, la gestione delle risorse idriche, la presenza di aree pedonali, efficienza dei servizi, la valorizzazione del paesaggio e delle produzioni locali. |
Lungo la strada verso Bosa incontriamo a nord del promontorio di capo Marargiu la Cala IttiriArrinado Sa Alghero lungo la SP49, una decina di metri prima del chilometro 14, è presente un cancello sulla destra della strada, che porta su una strada sterrata che conduce sino alla Cala Ittiri, che si trova lungo la costa a nord del promontorio di capo Marargiu. Occorre camminare per una ventina di minuti, per poter arrivare sino alla cala, per cui, il metodo più agevole per raggiungerla, rimane quello via mare. La Cala è situata poco più a nord dell’isolotto Sa Pagliosa. La stupenda Cala Ittiri è tra le più belle cale di tutta la costa della Sardegna nord occidentale, con un fondo roccioso, e si affaccia su un mare dalla policromia tra il verde smeraldo, il turchese e l’azzurro, con un fondale anch’esso roccioso, mediamente profondo. Come il resto della costa bosana, anche questa Cala è molto apprezzata dagli amanti dello Snorkeling, ossia del nuoto in superficie utilizzando il boccaglio, per la ricchezza dei suoi fondali, con piccoli anfratti e grotte dove spesso si nascondono pesci e molluschi. Per le notevoli difficoltà che si trovano per raggiungerla via terra, la Cala è carsamente frequentata anche nei mesi estivi. Non sono presenti servizi in questa località. |
A sud del promontorio di capo Marargiu si trova la piccola Cala Bernardu con la sua spiaggiaVerso il chilometro 12,5 della SP49, si trova sulla sinistra una piccola piazzola, dalla quale comincia una strada sterrata, la si segue e, a un bivio, si prende a destra. Occorre percorrere un lungo tratto a piedi giù per la collina, non certo agevole e pertanto consigliato solo agli esperti, che porta sino alla piccola Cala Bernardu con la sua spiaggia, una Cala che si trova lungo la costa a sud del promontorio di capo Maragiu. La strada è molto lunga, per cui il modo più agevole per raggiungerla, rimane quello via mare. Le piccole Spiagge della Cala Bernardu si trovano in una piccoLa Caletta, e che presentano una grande roccia nel centro della spiaggia, che forma una sorta di tetto sopra il mare. L’arenile è caratterizzato da un misto di sabbia e ciottoli, di colore chiaro, e si affaccia su un mare è di colore azzurro con un fondale di media profondità. Alle spalle della spiaggia si trova una fitta macchia mediterranea che sale fin sopra la collina. La spiaggia è scarsamente frequentata a causa delle difficoltà d’accesso, ed in essa non sono presenti servizi. |
Un poco più ad est la piccola Cala Giuncheza e la Cala di Santa Maria con la sua spiaggiaSempre verso il chilometro 12,5 della SP49, trovata sulla sinistra una piccola piazzola, dalla quale comincia una strada sterrata, la si segue e, al bivio, si prende a sinistra. Occorre percorrere un lungo tratto a piedi giù per la collina, non certo agevole e pertanto consigliato solo agli esperti, che porta sino alla piccola Cala Giuncheza, che si trova un poco più ad est della Cala Bernardu. La strada è molto lunga, per cui il modo più agevole per raggiungerla, rimane quello via mare. La Cala Giuncheza è una piccola Cala rocciosa, poco frequentata, con la presenza di rocce e scogli lungo tutto il suo arenile, che si affaccia su un mare trasparente di uno stupendo colore verde bottiglia. Il fondale roccioso offre uno scenario molto apprezzato dagli amanti dello Snorkeling, ossia del nuoto in superficie utilizzando il boccaglio, per la presenza di numerosi anfratti lungo la costa circostante. Alle spalle della spiaggia si trova una fitta macchia mediterranea che sale veloce fin sopra la collina. Non sono presenti servizi su questa spiaggia. |
Arrivati poco dopo il chilometro 9 della SP49, parcheggiamo e prendiamo una strada sterrata sulla destra. Procediamo a piedi attraverso un difficoltoso percorso di oltre due chilometri tra le alte colline, verso la Cala di Santa Maria con la sua spiaggia. La Cala appare isolata e solitaria, tra le alte colline, riparata da due pareti rocciose che le danno una forma allungata. La strada è molto lunga, per cui il modo più agevole per raggiungerla, rimane quello via mare. La piccola spiaggia della Cala di Santa Maria si trova in una piccola cala, ed ha l’arenile caratterizzato da un fondo di sabbia a grani medi mista a ciottoli levigati, affaciato su un mare di colore azzurro, con acque cristalline con sfumature di turchese, ed ha un fondale di media profondità, sabbioso nel tratto prossimo alla spiaggia e roccioso, con tavolati, per la restante parte. Alle spalle della spiaggia si trova una fitta macchia mediterranea che sale veloce fin sopra la collina. La spiaggia è scarsamente frequentata a causa delle difficoltà d’accesso, ed in essa non sono presenti servizi. |
La spiaggia di Porto ManaguCi rechiamo ora a visitare la spiaggia di Porto Managu, che si trova a sud rispetto alla spiaggia della Cala di Santa Maria ed un poco più a nord rispetto allla costa della torre Argentina. Per raggiungerla, la si raggiunge al chilometro 8,8 della SP49, dove, sulla sinistra della strada, si vede l’ingresso di una strada sterrata. Occorre percorrere tutta questa strada sterrata sino ad arrivare fino alla spiaggia, che si presenta come affascinante per la presenza di un isolotto proprio davanti all’arenile, isolotto che la rende unica nel suo genere. La strada per raggiungere la spiaggia è molto lunga, per cui è preferibile, invece che via terra, arrivarci via mare, ammirando lungo il viaggio tutta la bella costiera. La spiaggia di Porto Managu è caratterizzata da un arenile con la parte più prossima all’acqua caratterizzata da sabbia finissima di colore ambrato chiaro, molto compatta, mentre nella parte più interna la sabbia lascia spazio ad un fondo di ciottoli levigati dal mare. Si affaccia su un bellissimo mare di un colore azzurro, con un bellissimo fondale basso, misto tra il sabbioso e roccioso, e, sull’arenile, sono presenti piccoli scogli che lo rendono molto interessante. Alle spalle della spiaggia si trova una fitta macchia mediterranea, che corre fin sopra le colline circostanti. Ben riparata dai venti, è mediamente frequentata nei mesi estivi, ed in essa non sono presenti servizi. |
Quanto è successo nel settembre 2014 nel tratto di mare di Managu è stato un evento veramente eccezionale, un avvoltoio grifone si è posato su una barca che si trovava all’ancora e si è trattenuto per un bel pò spostandosi a bordo in apparente assoluta tranquillità. Le persone che stavano a bordo l’hanno visto planare e quindi appoggiarsi con grazia sul tendalino della barca, poco dopo il grifone si è spostato e si è sistemato a prua, dove è rimasto a farsi fotografare tra la meraviglia di tanti testimoni che hanno assistito all’evento. Probabilmente si è trattato di un esemplare giovane, lo farebbe pensare sia la tranquillità con cui l’animale si è avvicinato agli uomini, possibile, a quanto pare, in esemplari non adulti, sia per le dimensioni che, seppure ragguardevoli per chi se lo è trovato di fronte, sarebbero proprie di un grifone di circa sei mesi di età. La torre ArgentinaScendendo lungo la costa, si passa per un paesaggio di cale e rocce sul mare. Prima di arrivare a Bosa, lungo la costa provenendo da Alghero, con una strada sterrata che parte da una rotonda che troviamo verso il chilometro 6 della SP49, arriviamo alla Torre Argentina situata sopra un promontorio calcareo a 33 metri sul mare. Si tratta di una delle tante torri di avvistamento distribuite lungo tutto il territorio costiero sardo, ed è stata edificata in epoca spagnola, probabilmente nel 1578. Costruita con materiale di tufo e trachite, ha una volta a fungo, sostenuta da un pilastro centrale, ed è inoltre dotata di caminetto cucinino e scala interna allo spessore murario, che immette alla terrazza. Oltre alla torre aragonese di Torre Argentina, sono presenti anche diversi Ruderi e resti di edifici costruiti negli anni in cui erano ancora operative le miniere della zona, dalle quali si estraeva principalmente manganese e argento. Nelle vicinanze della torre si trova tutta una serie di calette, poste a poche centinaia di metri l’una dall’altra, e l’assenza di grandi spiagge è compensata dalla presenza di scogli piatti, che conferiscono al paesaggio un aspetto quasi lunare. Le acque del mare sono basse e limpide, cristalline, e l’acqua è di un colore blu cobalto. Vicino alla torre sono presenti servizi, quali bagni, docce, bar ed una zona di ristoro, che rendono il luogo adatto anche ai camperisti. Salendo a piedi verso la torre si passa accanto a un grande ovile dei pastori. La spiaggia di CompoltituCirca cinque chilometri prima di Bosa lungo la SP49, sulla sinistra della strada, si trova un parcheggio debitamente segnalato, con il nome della spiaggia di Cumpoltitu, in cui lasciare la macchina. Percorrendo un centinaio di metri a piedi, si scende sulla costa seguendo un sentierino e d’improvviso ci si presenta la spiaggia di Compoltitu. La spiaggia di Compoltitu è una spiaggia nascosta in una rada parzialmente chiusa, a pochi chilometri dal centro di Bosa. L’arenile è formato da sabbia bianca non finissima, di sabbia bianca, affacciata su un’acqua chiarissima di un colore tra il turchese e l’azzurro, con un fondale basso e sabbioso. Si tratta di una piccola spiaggia, protetta in entrambi i lati da bellissimi promontori che scendono sino al mare, sormontati dalla macchia mediterranea, e sono presenti rocce e scoglie in prossimità di questi promontori. Incorniciata da un bello scenario roccioso, la spiaggia è ben riparata dai venti, Mediamente frequentata nei mesi estivi, in essa non sono presenti servizi. |
La spiaggia di S’Abba DrucheMeno di quattro chilometri prima di Bosa lungo la SP49, troviamo il cartello S’Abba Druche, che in lingua sarda significa Acqua Dolce, e sulla sinistra della strada è ben visibile il parcheggio e l’accesso al viottolo che ci porta a raggiungere la spiaggia. La spiaggia di S’Abba Druche è una spiaggia di non grandi dimensioni, facilmente raggiungibile, caratterizzata da un arenile composto da sabbia bianca non finissima, con la presenza di conchigliame e di ciottolame di fiume. Il mare, compreso tra due piccoli bracci di scogli, è estremamente limpido e trasparente, di colore verde, profondo, ed ha un fondale mediamente basso e sabbioso, con la presenza di qualche scoglio. Abbastanza riparate dal vento, tutto il contesto che la circonda è molto rilassante. Non essendo di grandi dimensioni, risulta per questo abbastanza affollata in alta stagione. Sulla spiaggia è presente un punto ristoro a ridosso della spiaggia, un ristorante e una pizzeria, ed è presente anche l’area di sosta attrezzata per i camper. un’altra spiaggia, situata un poco più a nord rispetto a quella più frequentata, è costituita da un fondo prevalentemente roccioso che arriva sino al mare. |
Proseguendo oltre il litorale sabbioso si trova una grande distesa di scogli piatti di calcare candido, levigati dal lavorio del mare, sui quali è possibile adagiarsi per prendere il sole ed immergersi nel mare cristallino. Passato il porto fluviale di Bosa visiteremo le cale a nord dello sbocco sul mare del fiume TemoArrivando da nord con la SP49, dalla rotonda dell’incrocio con il viale Alghero prendiamo verso destra la via Sas Covas, che costeggia il porto fluviale di Bosa, e che ci porta a visitare due piccole cale situata sul promontorio che chiude a nord lo sbocco sul mare di Bosa, ma che sono molto difficili da raggiungere seguendo i precorsi via terra, e si visitano di solito arrivandoci via mare. Percorsi trecento metri sulla via Sas Covas, troviamo alla sinistra della strada, sulla sponda destra del fiume Temo, a circa Novecento metri dalla foce, la Nuova Darsena il porto fluviale di Bosa con pontili galleggianti da 220 posti barca. Possono accedere nel porto canale natanti con pescaggio massimo di 4 o 5 metri, imboccando l’ingresso sud della diga foranea e mantenendosi prudentemente sul centro del letto fluviale, prima di imboccare, sulla sinistra, l’entrata della Nuova Darsena. La posizione geografica, le condizioni climatiche e l’ubicazione in città, con la facile fruizione delle opportunità da questa offerte, rendono la Nuova Darsena la base ideale per la partenza, l’approdo e lo scalo per ogni tipo di natante e per lo svernamento delle unità da diporto durante la bassa stagione. La piccola Cala del Moro con la sua spiaggiaPercorso ancora circa un chilometro e mezzo in direzione nord, continuando in direzione di Sa Sea ed aggirando il costone, arriviamo alla fine della via Sas Covas, e qui prendiamo il sentiero molto ripido alla sinistra. Si tratta di un sentiero per persone attrezzate ed esperte, che ci porta alla Cala del Moro un percorso ideale per gli amanti del Trekking. Si tratta di una piccola cala, Protetta da alte colline di roccia sedimentaria, e sormontata da una fitta macchia mediterranea. Incantevole il lavoro che l’azione erosiva del mare ha compiuto sul promontorio a sud della cala, con piccole grotte aperte a ridosso dello specchio d’acqua. La strada per raggiungerla è difficoltosa, e quindi il modo più semplice per raggiungerla, resta quello via mare. La spiaggia della Cala del Moro spesso deserta, è caratterizzata da sabbia chiara, a grani grossi, con la presenza dominante di ciottoli levigati, di colore chiaro. Il bellissimo mare, ha un fondale prevalentemente roccioso con splendide trasparenze cristalline. Ha un colore tra il verde smeraldo e l’azzurro, grazie ai giochi di luce e riflessi dei raggi solari. I fondali sono molto apprezzati dagli amanti dello Snorkeling. Per le difficoltà di raggiungerla, è poco frequentata anche durante l’alta stagione, soprattutto raggiungendola via mare. Non sono presenti servizi su questa spiaggia, ma la natura ed il panorama sono molto interessanti. |
Lungo la costa meridionale della Cala si trovano fortificazioni antisbarco del regio Esercito Italiano utilizzate durante la Seconda guerra mondiale. La piccola cala Rapina con la sua spiaggiaalla fine di via Sas Covas, prendiamo la strada sterrata a destra, e procediamo fino a incontrare il bivio, dove prendiamo la strada che ci fa salire in cima alla collina. Fermiamo il veicolo in prossimità della Cala e procediamo a piedi lungo uno dei lunghi sentieri che portano giù, dalla collina verso la costa, in direzione nord ovest, per raggiungere la Cala Rapina che si trova più a nord rispetto alla Cala del Moro. Si tratta di una piccola Cala isolata, ben riparata dai venti, immersa nella macchia mediterranea e circondata da una natura incontaminata ed interessante. La strada per raggiungerla non solo è difficile da trovare, ma è anche molto lunga e difficoltosa, e quindi il modo più semplice per raggiungerla, resta quello via mare. La spiaggia di Cala Rapina è caratterizzata da un arenile composto da un fondo di sabbia granulosa mista a ciottoli levigati di colore chiaro, affacciata su un mare molto trasparente, di un colore tra il verde smeraldino e l’azzurro chiaro, con un fondale prevalentemente roccioso e di media profondità. Sono presenti scogli e massi, che si ergono dal mare e dalle due scogliere ai lati della cala. Per le notevolo difficoltà di accesso, è poco frequentata anche durante l’alta stagione, soprattutto raggiungendola via mare. Non sono presenti servizi su questa spiaggia. |
La frazione Bosa Marina con la Chiesa parrocchiale Santa Maria del MareArrivando da nord con la SP49, dalla rotonda dell’incrocio con il viale Alghero prendiamo verso sud la continuazione della strada provinciale, che è il viale del Corallo, e lo seguiamo per cinquecento metri, passando sopra il Ponte Nuovo, ed arrivando alla rotonda dove il viale del Corallo si immette sulla via Cristoforo Colombo, che costeggia il lato meridionale del fiume Temo. Presa verso destra, ossia verso la costa, la via Cristoforo Colombo, la strada ci porta alla frazione marittima Bosa Marina (altezza metri 3, distanza in linea d’aria circa 2.3 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti), nata intorno alla Chiesa di Santa Maria del Mare, che si trova sulla riva sinistra della foce del Temo verso il mare. La frazione Bosa Marina è una località balneare in forte espansione, con il suo piccolo porto e con una bella spiaggia sabbiosa, protetta da un molo collegato all’Isola Rossa sulla quale si trova la Torre dell’Isola Rossa. Percorsa la via Cristoforo Colombo per trecento metri, si vede alla destra della strada la Chiesa di Santa Maria del Mare che è la Chiesa parrocchiale di Bosa Marina, il cui frontale a capanna si trova affacciato sulla prima traversa a destra. Per quanto riguarda la sua origine, narra la leggenda che una pesante statua della Santa, probabilmente la polena di una nave, trasportata dalla corrente, sarebbe giunta miracolosamente sulle rive del mare di Bosa. Il ritrovamento, avvenuto pare nel 1675, è stato considerato prodigioso, e la statua è stata inizialmente portata nella piccola Chiesa di San Paolo Eremita, che sorgeva sopra uno scoglio vicino alla foce del fiume Temo, finché Giorgio Sotgia, allora Vescovo di Bosa, decide di dedicare alla Santa una Chiesa, che viene edificata nel 1686 sul luogo del ritrovamento. La Chiesa è caratterizzata da un’unica navata, con quattro cappelle alla sinistra e tre alla destra, secondo uno schema tipico dell’Isola. L’altare maggiore, in stile barocco, risale al 1815. La facciata ha subito recentemente un rifacimento, che non ne ha alterato, però, del tutto l’originaria fisionomia a capanna, testimoniata da un dipinto del pittore Emilio Scherer. La Chiesa è quotidianamente aperta al culto. La prima domenica di agosto presso quasta Chiesa si svolge la Festa di Santa Maria del Mare, che è una delle più importanti di Bosa. La domenica mattina una processione di barche abbellite con bandierine, canne e fiori accompagna la Madonna lungo il fiume, dalla Chiesa di Bosa Marina alla cattedrale, dove si celebra la messa. Il pomeriggio, la Madonna fa rientro alla sua Chiesa e, se il mare lo permette, si arriva fino alla spiaggia, dove si depone una corona e si recita una preghiera ai caduti in mare. Il sabato e la domenica sera vengono organizzate manifestazioni folkloristiche accompagnate da spettacolari fuochi pirotecnici, che i turisti attendono gustando i prodotti tipici proposti dalle bancarelle che per l’occasione animano le vie di Bosa Marina. Sull’Isola Rossa si trova la Torre dell’Isola Rossa chiamata anche Torre di BosaProseguendo lungo la via Cristoforo Colombo, dopo duecento metri parte sulla sinistra il viale Italia, che porta verso sud e conduce nel centro dell’abitato di Bosa Marina. Proseguendo per altri centocinquanta metri si arriva a uno svincolo, dal quale parte sulla sinistra il viale Mediterraneo, che porta verso sud est seguendo la costa, e sul quale andrà ad immettersi il viale Italia. Noi proseguamo dritti proseguendo dalla via Cristoforo Colombo sulla via muraglione caduti di Cefalonia, che collega Bosa Marina con l’Isola Rossa La quale non è più veramente un’isola e progressivamente si è andata unendo e confondendo con la terra ferma. Si tratta di una piccola penisola in parte artificiale, ubicata a ridosso dell’abitato di Bosa Marina, arricchita dalla presenza della torre costiera, ed, al suo estremo meridionale, del faro con il fanale lampeggiante. Percorso per quattrocento metri, la via muraglione caduti di Cefalonia porta sotto la seicentesca Torre dell’Isola Rossa chiamata anche Torre di Bosa edificata in epoca aragonese, probabilmente nella metà del Sedicesimo secolo, citata per la prima volta nel 1572 e già restaurata nel 1579. Sopra l’ingresso è ancora visibile l’arma, con quattro pali verticali, appartenente ai Villamarì, signori della città fino al 1556. Considerata una delle Torri più grandi in Sardegna, veniva utilizzata per la difesa pesante, ed era presidiata da un Alcaide, un artigliere e sei soldati. Oltre che come difesa contro i pirati barbareschi, ha assolto anche funzioni di prigione, doganali, sanitarie e di Guardia del porto. Si trova a quattordici metri sul mare, ed è realizzata con tufi trachitici rossi. L’interno, a cui si accedeva tramite una scala di legno, era tramezzato in modo da ricavarne le camere, ed era provvisto di grande camino. Presenta tuttora numerosi elementi decorativi catalano aragonesi, la volta a cupola con grandi nervature ed un pilastro centrale esagonale. È dotata di una scala interna al muro, per consentire l’accesso all’ampio terrazzamento che la sovrasta. La torre è in stretto collegamento visivo con la Torre di Columbargia a sud, e con la torre Argentina a nord. Oggi, nel periodo estivo, la torre viene utilizzata per l’allestimento di mostre. Il porticciolo turistico di Bosa Marina ed il suo faroLungo il lato sud orientale dell’Isola Rossa si trovano il molo ed i pontili di ormeggio del piccolo Porticciolo turistico equidistante da Alghero ed Oristano. Il porticciolo turistico è la base ideale per la nautica da diporto, dato che da maggio ad ottobre consente di alternare gli sport nautici con escursioni e percorsi naturalistici. Il porto è dotato di circa centoquarante ormeggi per barche fino a cinquanta metri, con fondali di pescaggio da un metro e mezzo fino a nove metri e ottanta. Dispone inoltre di docce, telefono wi-Fi, bar e di molti altri servizi, è senza pompa carburante, ma è, comunque, di grande utilità dato il limitato numero di ripari situati lungo la costa occidentale della Sardegna. L’insenatura naturale che protegge il porticciolo permette l’accesso e l’approdo senza alcuna difficoltà. A sud del porticciolo turistico, sulla sommità di quel grande e nudo scoglio tufaceo che è l’Isola Rossa, accanto alla torre aragonese, si trova il Faro dell’Isola Rossa un faro ad ottica fissa costruito nel 1883. E più a sud, all’estremo meridionale dell’Isola Rossa, è posizionato un Fanale che emette una luce lampeggiante rossa, di periodo di tre secondi, e della portata di undici miglia. Sul lungomare si trova l’Hotel Al GabbianoDallo svincolo al quale eravamo arrivati con la via Cristoforo Combo, prima di imboccare la via muraglione caduti di Cefalonia, prendiamo a sinistra il viale Mediterraneo, che è il lungomare di Bosa Marina. Percorsi trecento metri, di fronte alla spiaggia, al civico numero 5 del viale Mediterraneo, si trova l’Hotel Al Gabbiano. La Villa e l’Hotel Ristorante Al Gabbiano sono incastonati nella suggestiva e silenziosa Baia di Bosa Marina, tra il promontorio di capo Marrargiu a nord e la Torre di Foghe e gli isolotti di Corona Niedda a sud. Si tratta di un piccolo albergo, semplice, ma sempre ben tenuto dalla famiglia che lo gestisce sino dalla sua fondazione. All’ultimo piano si trovano le camere più recenti, tra le quali quelle più panoramiche rivolte verso il mare. Oltre al ristorante, spesso ci si può accomodare anche in pizzeria. |
La spiaggia di Bosa MarinaDavanti alle case, a sud del molo e dell’Isola Rossa, caratterizzata dall’omonima, si sviluppa l’ampia spiaggia di Bosa Marina, La spiaggia principale del comune di Bosa, raggiungibile alla destra del viale Mediterraneo che la fiancheggia. La spiaggia di Bosa Marina è costituita da un arenile di grandi dimensioni, di sabbia di colore ambrato chiaro e grigio dorato scuro, soffice e calda, a grani medi, che si affaccia su un mare dalle trasparenze invidiabili, di un bellissimo colore verde smeraldo impreziosito da striature di azzurro cangiante, poco profondo. Nella spiaggia, che risulta molto ampia e comoda, sono disponibili diversi punti ristoro ben attrezzati, con la possibilità di noleggiare attrezzature da spiaggia come lettini, ombrelloni e moto d’acqua. Sono, inoltre, presenti market, pizzerie, ristoranti e una discoteca nelle immediate vicinanze. La spiaggia è relativamente affollata anche in alta stagione, grazie alla vastità dell’arenile, e, non a caso, è tra le spiagge più apprezzate della costa. |
La frazione Turas con la sua spiaggiaDal litorale di Bosa Marina, prendiamo il lungomare verso sud, e, dopo poco più di un chilometro e mezzo, raggiungiamo la frazione Villaggio Turas (altezza metri 111, distanza in linea d’aria circa 4.8 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 32), dove si trova il villaggio omonimo che è in parte in territorio di Bosa ed in parte in quello di Magomadas, e l’ampia spiaggia sabbiosa di Turas interamente in territorio di Bosa. La spiaggia di Turas è costituita da un arenile della lughezza di circa trecento metri, costituito da sabbia di colore beige intenso, a grani medio grossi e scura, molto calda e compatta, che si affaccia su un mare dai colori tra il verde e le varie sfumature di turchese, con un fondale prevalentemente sabbioso e medio basso. Il mare è spesso molto mosso, e per questo costituisce una meta ideale degli amanti del surf. Sulla spiaggia di Turas non è presente alcun tipo di servizio. Mediamente affollata anche in alta stagione, la spiaggia è molto frequentata anche da coloro che amano passeggiare sul bagnasciuga alla ricerca di sassolini colorati, coralli e occhi di Santa Lucia. La strada litoranea da Bosa Marina verso sud ci presenta una bella veduta di tutta l’insenatura. |
Nelle acque di fronte alla spiaggia Turas sono stati rinvenuti numerosi reperti storici tra i quali anche una contromarra, scoperta assieme a diversi ceppi d’ancora, che oggi sono conservati al Museo Nazionale Giovanni Antonio Sanna di Sassari. Le marre sono i bracci dentati dell’ancora, e le contromarre erano grosse pietre che venivano usate con l’ancora di legno, e che in seguito sono state sostituite da grossi pezzi di piombo, usate per evitare che l’ancora arasse, ossia che fosse trascinata dalla barca in presenza di marosi o vento. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, da Alghero passata Villanova Monteleone raggiungeremo da nord l’abitato di Montresta che è raggiungibile anche da sud provenendo da Bosa, e lo visiteremo con il suo centro nel quale si trovano i suoi murali e con i suoi dintorni dove si trova l’unica testimonianza di insediamenti punici in Planargia. |