Monastir con il Castello di Baratuli e con le aree archeologiche presenti nel suo territorio
In questa tappa del nostro viaggio, da San Sperate ci recheremo a Monastir che visiteremo con il suo centro ed i dintorni con il Castello di Baratuli e con le varie aree archeologiche presenti nel suo territorio. Il Campidano di CagliariIl Campidano è la grande pianura della Sardegna sud occidentale compresa tra il golfo di Cagliari e quello di Oristano, ha una lunghezza di circa cento chilometri e presenta la massima altitudine di settanta metri sul mare. Deve le sue origini al colmarsi di una depressione geologica terziaria da parte di sedimenti marini, fluviali e vulcanici. Sono frequenti gli stagni costieri con acque salmastre, nell’angolo nord ovest della regione sfocia il fiume Tirso, che contribuisce all’irrigazione del Campidano, la rete idrografica è inoltre formata da piccoli Torrenti. La principale risorsa è l’agricoltura e si coltivano specialmente grano, viti, olivi, frutta e agrumi. Il Campidano di Cagliari comprende nella Provincia del Sud Sardegna i comuni di Decimoputzu, Monastir, Nuraminis, Samatzai, San Sperate, Villasor e Villaspeciosa. Comprende, inoltre, nella città metropolitana di Cagliari i comuni di Assemini, Cagliari, Capoterra, Decimomannu, Elmas, Maracalagonis, Monserrato, Quartu Sant’Elena, Quartucciu, Selargius, Sestu, Settimo San Pietro, Sinnai, Uta. I comuni di Samassi, Serramanna e Serrenti si trovano tra il Monreale ed il Campidano di Cagliari, i comuni di Pula, Villa San Pietro e Sarroch si trovano tra il Sulcis ed il Campidano di Cagliari, così come Soleminis si trova tra il Campidano di Cagliari e il Parteòlla, per cui possono essere considerate appartenenti all’una o all’altra di queste regioni. Geograficamente rappresenta la parte più meridionale della pianura del Campidano, che ha come suo centro principale Cagliari, nonche Quartu Sant’Elena ed i comuni immediatamente a nord ovest del capoluogo sardo. Si affaccia sul mare e comprende la costa orientale del golfo di Cagliari, fino al paese chiamato Villasimius. In viaggio verso MonastirUsciamo San Sperate la via Risorgimento, che diventa via Monastir e poi esce dal paese come SS130dir, la quale si dirige verso nord est. A quattro chilometri dal cartello segnaletico che indica l’uscita da San Sperate, arriviamo alla rotonda, passata la quale si entra in Monastir. Dal Municipio di San Sperate a quello di Monastir si percorrono 5.7 chilometri. Il comune chiamato MonastirIl comune Monastir (nome in lingua sarda Muristeni, altezza metri 83 sul livello del mare, abitanti 4.432 al 31 dicembre 2021) si trova in un territorio proprio all’inizio della pianura del Campidano, che è situato nella zona centro meridione della Provincia del Sud Sardegna, ai condini con l’Area Metropolitana di Cagliari, e si trova a venti chilometri a nord del capoluogo della regione. Il paese, denso di tradizione e cultura, circondato da un paesaggio collinare le cui vette conservano i segni di una storia millenaria che parte dal neolitico fino ad arrivare ai giorni nostri, è situato tra la SS130dir, che scorre accanto all’abitato ad ovest, e la SS131 di Carlo Felice, che scorre accanto ad esso al est. Il territorio comunale presenta un profilo geometrico ondulato, con variazioni altimetriche che non sono però molto accentuate, dato che vanno da un minimo di 48 a un massimo di 235 metri sul livello del mare. Origine del nomeIl nome del paese potrebbe derivare dal catalano Monestir, con il significato di monastero, ed il monastero da cui il villaggio ha preso nome sarebbe stato dei Camaldolesi e le sue rovine si trovavano fino all’ottocento nel sito detto su Fr igu, ossia il Fabbricato, a circa tre chilometri dal villaggio odierno. Ma la ricostruzione forse più attendibile circa l’origine del nome lo farebbe derivare dalla lingua sarda, infatti Monastir si chiama in sardo Muristeni, che deriva dal termine Muristene che indica i posti dedicati alla sosta e al rifornimento dei viveri per i viandanti nel loro viaggio verso Cagliari, cosa avallata anche dal fatto che Monastir è sempre stato un punto importante per chi viaggiava lungo l’asse dal nord al sud dell’Isola. La sua economiaSi tratta di un centro di pianura che, accanto alle tradizionali attività agricole, ha sviluppato il tessuto industriale. Il settore economico primario è presente con la coltivazione di cereali, frumento, ortaggi, foraggi, olivo, agrumi, uva e altra frutta; si pratica anche l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. Il settore secondario è costituito da imprese che operano nei comparti alimentare, tra cui il lattiero caseario, quello della carta, dei materiali da costruzione, della fabbricazione delle macchine per l’agricoltura e di strumenti ottici, dei mobili, metalmeccanico, cantieristico ed edile. Il terziario si compone di una buona rete distributiva. Nato intorno ad un monastero di camaldolesi edificato in epoca medioevale, il centro abitato di Monastir si presenta come una meta immersa nella storia e nella cultura, come testimoniano i molteplici siti di interesse archeologico e culturale che determinano il fascino del luogo, inserito in un caratteristico paesaggio collinare. Monastir offre, quindi, a quanti vi si rechino la possibilità di godere delle bellezze dell’ambiente naturale, di gustare i semplici ma genuini prodotti locali ed effettuare interessanti escursioni nei dintorni. Le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione e di soggiorno. Brevi cenni storiciIl territorio presenta molteplici testimonianze dell’occupazione umana già dal Neolitico, ma vari rinvenimenti archeologici relativi al periodo nuragico, punico e romano testimoniano che il territorio continua ad essere popolato anche nei millenni successivi. Nel Medioevo sorge l’attuale abitato, ad opera di monaci Camaldolesi. Monastir in epoca giudicale fa parte del Giudicato di Càralis, nella curatoria di Parte Olla. Nel 1258, con la caduta del Giudicato di Càralis, passa sotto il controllo di quello di Arborea finché, nel 1295, viene ceduto da Mariano II di Arborea alla repubblica di Pisa. Dopo il periodo di appartenenza pisana, passa nel 1324 al Regno di Sardegna, dominio degli Aragonesi. Concessa in feudo, nel 1352, dal re d’Aragona ad Arnaldo Cavan, passa in seguito ai de Dusay, e poi a Niccolò Cassiano. La villa viene venduta nel 1455 al mercante Pietro Bellit, e un suo discendente, lodovico Bellit, nel 1519 viene creato barone, tanto che Monastir ottiene da allora il titolo di Baronia. Dai Bellit la Baronia passa ai Gualbas e, infine, nel 1839, ai Crispi, Marchesi di Valdura. Il paese viene riscattato, con la soppressione del sistema feudale, nel 1839 all’ultimo feudatario Joaqu n Bou Cresp de Valldaura y Carvajal, Conde de Orgaz, Castrillo y Sumac rcer, Marquchés de Villasidro y Palmas, Conde de Serramagna. Diventa un comune amministrato da un sindaco e da un consiglio Comunale e resta nella Provincia di Cagliari fino alla riforma del 2016, quando il paese viene aggregato alla nuova Provincia del Sud Sardegna. Principali feste e sagre che si svolgono a MonastirA Monastir è attivo il Gruppo Folk Janas di Monastir, nelle cui esibizioni sia nel paese che in altre località dell’Isola è possibile ammirare il costume tradizionale del posto, che a settembre 2023 ha festeggiato i deci anni di attività, sempre al fianco della popolazione nel nome della tradizione del paese; ed è inoltre attiva la Banda Musicale di Monastir, impegnata nello studio e nell’ampliamento del repertorio di musica originale oltre che in un’intensa attivit concertistica. Tra le principali feste e sagre che si svolgono a Monastir si segnalano, la domenica più vicina al 17 gennaio, la Festa di Sant’Antonio Abate; la domenica più vicina al 20 gennaio, la Festa di San Sebastiano; in occasione del carnevale, i festeggiamenti del Carnevale Monastirese; solitamente l’ultimo fine settimana di marzo, si tiene la Sagra della patata di Monastir; il 29 giugno, la Festa patronale dei Santi Pietro e Paolo; il 25 luglio, la Festa di San Giacomo, il primo Apostolo Martire, ed insieme a lui il giorno successivo vengono festeggiati anche San Gioacchino e Sant’Anna, i genitori della Madonna; l’ultima domenica di agosto, la Festa di Santa Lucia, nella sua Chiesa campestre; a inizio dicembre, la sagra Sapori d’Autunno, che propone la degustazione di prodotti alimentari con i sapori ed i profumi della cucina sarda. La Sagra della patataL’ultimo fine settimana di marzo a Monastir si svolge la Sagra della patata di Monastir, una Festa del cibo con prodotti agroalimentari, artigianato, tradizioni, visite guidate e escursioni che celebrano una grande produzione locale, la patata a pasta gialla monastirense. Qui la coltivazione della patata, che stando allo storico Goffredo Casalis era diffusa già all’inizio dell’ottocento, è da decenni una delle voci economiche principali. La fama della patata di Monastir ha saputo travalicare i confini del Campidano, conquistando la Sardegna e il resto d’Italia perchché sana, genuina e nutriente. Per onorare il suo prodotto preferito, ogni marzo Monastir si veste a Festa con musica, folklore, artigianato e street food. Non stupisce quindi che a base di patata siano tanti piatti della cucina tipica di questa zona, dai culurgiones al sugo di funghi al purè, dai pani di patate alla torta di pasta violada passando per l’agnello in casseruola con patate, la pecora a cappotto e le squisite patatas a schiscionera, la fantasia degli chef non conosce limiti. Vale la pena di passare da Monastir anche solo per assaggiare questi piatti squisiti realizzati con alimenti coltivati biologicamente e in modo naturale. Visita del centro di MonastirMonastir si presenta come un centro abbastanza attivo a livello culturale, animato da diversi gruppi di cittadini che in forma privata si ritrovano al fine di mantenere vive le diverse tradizioni religiose. L’abitato, interessato da un fenomeno di forte crescita edilizia, mostra l’andamento altimetrico tipico delle località pianeggianti. All’interno del suo abitato vi è il centro storico, delimitato da alcune Chiese, che attualmente si presenta con delle viuzze strette e pavimentate con lastricati. La Chiesa di San Sebastiano MartireArrivando a Monastir con la SS131dir, a circa quattro chilometri dal cartello segnaletico che ha indicato l’uscita da San Sperate, arriviamo a una rotonda, nella quale, seguendo le indicazioni, prendiamo verso destra la via Nazionale, che porta all’interno dell’abitato di Monastir e lo attraversa interamente da nord ovest a sud est. Percorsi centottanta metri lungo la via Nazionale, prendiamo verso destra la via Oristano. Dopo poco più di una sessantina di metri, troviamo sulla destra la scalinata che porta sul colle di Su Cucuru de Monti, dove si trova la Chiesa di San Sebastiano Martire. Questa Chiesa, risalente agli anni immediatamente successivi alla grande epidemia di peste che si è sviluppata tra il 1652 ed il 1656, è intitolata a San Sebastiano, eletto a protettore contro la peste. L’esterno ha un prospetto a capanna, ed un piccolo campanile a vela monofora termina superiormente la facciata. L’interno è costituito da un’unica navata, e nell’area presbiteriale è̀ presente una nicchia molto spoglia, oggi nascosta da un’immagine del Santo, che conteneva la statua di San Sebastiano ricavata da un tronco di ciliegio nero, la quale attualmente è conservata nella Chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo. un’altra immagine del Santo è presente in un dipinto nella parete sinistra. Di particolare interesse è un capitello corinzio scavato, che viene utilizzato come acquasantiera. In questa Chiesa è stato sepolto un tale Giuseppe Vivanet, della famosa famiglia cagliaritana, morto il 13 aprile 1843. Ogni anno a Monastir la domenica più vicina al 20 gennaio si svolge la Festa di San Sebastiano, organizzata da un apposito comitato. Il piccolo simulacro del Santo, custodito nella Chiesa parrocchiale, viene portato in processione nella sua Chiesa, con canti sacri in sardo. Egli viene invocato per ottenere grazie, ed in suo onore viene innalzata una gigantesca catasta di legna, offerta generosamente dai fedeli, che all’alba del sabato si riuniscono per la raccolta della legna. Dopo i riti liturgici del sabato e la benedizione del fuoco, la gente si trattiene a lungo presso il falò, parlando e degustando i prodotti sardi realizzati per l’occasione. Il falò, chiamato Su fogadoi, arde benefico e purificatore, tutta la notte. Il suo svolgersi è caratterizzato da elementi magici che convivono con motivazioni religiose, mentre l’atmosfera della Festa coinvolge i fedeli e rafforza i legami sociali. La domenica il simulacro è trasferito dalla piccola Chiesa di San Sebastiano alla parrocchia, con la processione che ripete a ritroso il percorso fatto due giorni prima. La sepoltura di epoca bizantina rinvenuta sul colle di San SebastianoNella stessa area, alle pendici del colle di Su Cucuru de Monti, nota in letteratura archeologica per un insediamento pluristratificato, dalla preistoria all’epoca tardo antica, verso la fine del terzo millennio è sorto un agglomerato di capanne, mentre all’et nuragica risale un villaggio di capanne ubicato tra la Chiesa e la via Oristano. A poca distanza dal retro della Chiesa, è stata portata alla luce una Sepoltura di epoca bizantina in muratura a camera rettangolare, delimitata da muri in pietre, disposte su filari, rinzeppati con pietrame e malta di fango. Le pareti si rastremano verso l’alto cos da consentire l’appoggio delle grandi lastre piane di chiusura. L’intera struttura realizzata in calcare che si distacca, anche per il colore, dalla pietra scistosa naturale nel cui banco è inserita, e che, livellata, fà da pavimento alla camera. Questa tomba riveste notevole importanza perché incrementa il numero delle sepolture bizantine a camera interrata già note in diverse località della Sardegna centro meridionale. La Cappella votiva dedicata Sacro Cuore di GesùDopo aver incontrato la scalinata sulla destra che ci ha portati a visitare la Chiesa di San Sebastiano Martire, proseguiamo verso nord ovest lungo la via Oristano che, in circa duecento metri, sbocca sulla via Vittorio Veneto. Prendiamo verso destra la via Vittorio Veneto e la seguiamo per una settantina di metri, fino a che la strada ci porta nella piazza del Sacro Cuore, una piccola piazza alberata triangolare, situata tra la prosecuzione verso sinistra della via Vittorio Veneto, ed a destra la via Flumineddu. Proprio nell’angolo tra le due strada, si vede una piccola Cappella votiva, che è la Cappella dedicata Sacro Cuore di Gesù nella quale è presente una piccola statua che rappresenta, appunto, il Sacro Cuore. La Chiesa di Sant’Antonio AbateEvitando la deviazione nella via Oristano, proseguiamo lungo la via Nazionale e, dopo appena una sessantina di metri prendiamo a destra la via Savoia. Dopo una cinquantina di metri arriviamo a un bivio dove prendiamo a sinistra la via Sant’Antonio che, in una quarantina di metri, ci porta a una piazza con al centro una rotonda, sulla quale si affaccia la Chiesa di Sant’Antonio Abate. Questa Chiesa, databile al quattordicesimo secolo, è stata realizzata in stile gotico, ma oggi non conserva molto del suo aspetto originario. Il portale è architravato, ha due stipiti monolitici con arco di scarico ogivale. In asse con il portale si dispongono, un piccolo rosone traforato e il campanile a vela con luce semicircolare. Dal 1519 al 1839 è stata definita Chiesa Baronale, al tempo della realizzazione della Baronia di Monastir. Ogni anno a Monastir la domenica più vicina al 17 gennaio si svolge la Festa di Sant’Antonio Abate, organizzata da un apposito comitato. I simulacri di Sant’Antonio Abate e del suo discepolo Sant’Atanasio, custoditi nella Chiesa parrocchiale, vengono portati in processione nella Chiesa di Sant’Antonio Abate, con canti sacri in sardo. Essi vengono invocati per ottenere grazie ed in loro onore viene innalzata una gigantesca catasta di legna, offerta generosamente dai fedeli, che all’alba del sabato si riuniscono per la raccolta della legna. Dopo i riti liturgici del sabato e la benedizione del fuoco, la gente si trattiene a lungo presso il falò, parlando e degustando i prodotti sardi realizzati per l’occasione. Il falò, chiamato Su fogadoi, arde benefico e purificatore, tutta la notte. Il suo svolgersi è caratterizzato da elementi magici che convivono con motivazioni religiose, mentre l’atmosfera della Festa coinvolge i fedeli e rafforza i legami sociali. La domenica i simulacri sono trasferito dalla piccola Chiesa di Sant’Antonio alla parrocchia, con la processione che ripete a ritroso il percorso fatto due giorni prima. Il Municipio di MonastirEvitando la deviazione nella via Savoia, proseguiamo verso sud lungo la via Nazionale per quasi centocinquanta metri e, dopo il civico numero 30, si apre alla sinistra della strada la piazza del Municipio, sulla quale si pu vedere la facciata principale del palazzo che ospita il Municipio di Monastir. Proseguendo per un’altra cinquantina di metri lungo la via Nazionale, appena passata la piazza, prendiamo a destra la via Tempio. Dopo un’ottantina di metri questa strada incrocia la via del Progresso e, alla sinistra della via del Progresso, al civico numero 17, si trova l’ingresso del Municipio, che ospita la sua sede e gli uffici che forniscono i loro servizi agli abitanti del paese. Nell’Aula Consiliare del Municipio è esposto il manufatto litico in arenaria, rinvenuto nel villaggio nuragico di Bia ’e Monti sul Monte Zara, identificato come presunto torchio per il vino a torricella con vasca, riferibile ad una attrezzatura per la vinificazione nell’età nuragica. La Chiesa parrocchiale di San Pietro ApostoloPassata la deviazione in via Tempio, proseguiamo lungo la via Nazionale per poco più di una cinquantina di metri, e prendiamo a destra la via San Pietro. Percorsi centoventi metri lungo la via San Pietro, si vede, alla sinistra della strada, la facciata della Chiesa di San Pietro Apostolo che è la parrocchiale di Monastir. Edificata nel dodicesimo secolo in stile romanico, delle strutture originarie della Chiesa non restano che poche tracce. Incastonate nelle pareti posteriori si trovano delle lastre decorate che si possono far risalire all’ottavo secolo, e all’interno si trovano elementi scultorei medio bizantini di spoglio, appartenuti ad arredi architettonici e liturgici, del decimo secolo, il che fa presupporre la presenza di un luogo di culto già prima dell’anno mille, confermata dalla presenza nei dintorni di un antico Cimitero. Nel corso dei secoli ha subito diverse modifiche e trasformazioni, fu modificata soprattutto nel cinquecento in stile tardo gotico aragonese. Oggi questa Chiesa patronale presenta una bianca e sobria facciata in conci di arenaria rettangolare, che presenta un terminale piatto, impreziosito da un ampio portale strombato riccamente lunettato, sormontato da un ampio rosone vetrato. A destra della stessa si erge un caratteristico campanile a pianta quadrata, che è stato realizzato ai primi anni dell’ottocento in conci squadrati di basalto e arenaria a vista, ornato da deliziose cornici marcapiano a contrasto. L’interno della Chiesa è formato da un ampio spazio a una sola navata, coperta da una volta a botte stellare e gemmata, con cappelle laterali che si aprono su entrambi i fianchi con archi a sesto acuto sulla navata principale. L’area presbiteriale è rialzata e divisa da una balaustra di marmo costruita agli inizi dell’ottocento, e l’altare maggiore è datato alla seconda metà del settecento. Ai lati dell’altare maggiore vi sono due sepolture, in una delle quali è sepolta una baronessa di Monastir Francesca Torellas, morta nel 1713 e ricordata in un’iscrizione oggi non più visibile, mentre l’altra sepoltura, distrutta negli anni settanta, era dedicata ad un personaggio della famiglia Bellit. Sul lato sinistro interno è visibile un pulpito marmoreo della prima metà dell’ottocento. Nella Cappella della Madonna del Rosario si conserva un altare di marmo policromo realizzato nel 1779 da Michele Spazzi, contenente la statua in estofado de oro dell’Addolorata. Nella Cappella del Santissimo Crocifisso, del 1648, è visibile un Paliotto di marmo policromo di bottega ligure del diciottesimo secolo, sopra cui è poggiato un tabernacolo in legno dorato. Di particolare pregio, inoltre, sono gli argenti sacri del diciassettesimo secolo e l’organo a canne settecentesco. San Pietro è il patrono del paese e viene festeggiato, insieme a San Paolo, ogni anno il 29 di giugno nella Festa patronale dei Santi Pietro e Paolo. I festeggiamenti religiosi si sviluppano attraverso funzioni solenni in onore dei Santi, e con due processioni che vengono accompagnate dal suono delle launeddas, fisarmonica, banda musicale e dalla presenza di costumi tradizionali. Per l’occasione le strade vengono addobbate con fasci di canne, bandierine, arazzi che abbelliscono le case, mentre le strade profumano di Su Scommu, ossia menta selvatica, e di Sa Ramadura, ossia i petali di fiori sparsi lungo le vie del paese. La Festa civile si svolge nella piazza con musica, balli in piazza e spettacoli. L’ex Monte Granatico che oggi ospita la Biblioteca Comunale Grazia DeleddaPassata la Chiesa parrocchiale di San Pietro, percorsa appena una diecina di metri lungo la via San Pietro, parte a destra una deviazione che assume anch’essa il nome di via San Pietro. All’inizio di questa deviazione, alla sinistra della strada, al civico numero 1, si trova l’edificio che storicamente aveva ospitato il Monte Granatico di Monastir, nato nel diciassettesimo secolo con lo scopo di conservare le sementi e distribuirle ai contadini poveri per consentire loro la semina, con l’obbligo poi di restituirle dopo il raccolto. Oggi l’edifico ospita la Biblioteca Comunale che è intitolata a Grazia Deledda, biblioteca che aderisce al Sistema Bibliotecario Joyce Lussu che ha la sua sede presso la Biblioteca Comunale di Ussana. La Chiesa di San Giacomo, San Gioacchino e Sant’AnnaDa dove avevamo preso la deviazione a destra della via San Pietro, passata la Biblioteca proseguiamo costeggiando la fiancata della Chiesa e, in una cinquantina di metri, arrviamo alla piazza della Chiesa, sulla quale, alla sinistra, si affaccia l’antica Chiesa di San Giacomo Maggiore protettore di pellegrini, viandanti, cavalieri e soldati, dedicata anche a San Gioacchino e Sant’Anna. La Chiesa sarebbe stata, probabilmente, costruita tra il 1100 e il 1200 dai monaci Camaldolesi dell’ordine di San Benedetto, come risulta da un documento dei 1778 conservato nella curia arcivescovile di Cagliari, mentre risale al settecento la sua ristrutturazione. La struttura dell’edificio è piuttosto semplice, esternamente si presenta con una facciata essenziale e liscia con coronamento a capanna dotato di cornice, al cui culmine si trova una croce in pietra scolpita su entrambe le facce. Il portone è adornato da una decorazione in rosette che risale probabilmente al diciassettesimo secolo, e immediatamente sopra quest'ultimo si trova una finestra di piccole dimensioni. Completa il quadro un basso campanile cuspidato molto semplice che, incluso per buona parte nella porzione muraria destra della facciata dell’edificio, svetta verso l’alto dominando la piazza. L’interno presenta una pianta pseudo basilicale, a navata unica dotata di una semplice copertura in legno, caratterizzata da archi estesi della tipologia a tutto sesto, ed ai lati due cappelle per parte, coperte con volta a botte in pietra. Nell’area presbiteriale, che mostra un’arcata a tutto sesto, è collocato un altare in marmo di bottega lombarda sarda della seconda metà del settecento. Le cappelle laterali sono separate dalla porzione centrale per mezzo di archi, sia a sesto ribassato che a tutto sesto, e sulle pareti sono presenti affreschi di innegabile valore artistico. Conserva un retablo con rappresentati San Giacomo e Santa Lucia, ed una pregevole acquasantiera in arenaria, con il catino sistemato su una balaustrina decorata, ed il basamento che presenta sul lato frontale l’immagine di un Santo, forse San Giacomo. Nella prima Cappella di sinistra si conserva una piccola statua lignea raffigurante San Raffaele Arcangelo e Tobiolo, attribuibile a una bottega sarda del diciessettesimo secolo. Nel 1820, è stato scoperto, reimpiegato in un angolo della Chiesa, un miliario, ossia un pilastrino di pietra su cui venivano incise informazioni sia sul nome della strada sia sulla distanza dal centro urbano di riferimento, testimonianza dei lavori di recupero della via A Karalibus Turrem per volontà dell’Imperatore Settimio Severo e degli imperatori correggenti, Caracalla e Geta nel terzo secolo. Il reperto è oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, ed una copia si trova appoggiato al lato sinistro della Chiesa. Ogni anno a Monastir il 25 luglio si celebra la Festa di San Giacomo, il primo Apostolo Martire, ed insieme a lui il giorno successivo vengono festeggiati anche San Gioacchino e Sant Anna, i genitori della Madonna. Si tratta di feste molto sentita dalla popolazione. Alcuni giorni prima i simulacri dei Santi vengono vestiti a Festa dalle donne del Comitato, mentre nella processione gli uomini portano a spalI Santi per le vie del paese facendo poi rientro nella Chiesa, con l’accompagnamento musicale delle launeddas e il consueto contorno di gruppi folk nel tipico costume tradizionale. Oltre alla manifestazione religiosa, il programma prevede balli in piazza, concerti e fuochi d’artificio fino a tarda sera. Sa Cruxi SantaPassata la Chiesa parrocchiale di San Pietro, percorsa appena una diecina di metri lungo la via San Pietro, parte a destra una deviazione che assume anch’essa il nome di via San Pietro. Saltando questa deviazione, proseguiamo lungo la via San Pietro che, dopo una ventina di metri, incrocia la via Roma. Svoltiamo a destra e seguiamo la via Roma, dopo centosessanta metri prendiamo a sinistra la via San Sperate, che, dopo un centinaio di metri, arriva a un incrocio, dove da destra arriva la via Sandro Pertini, mentre a sinistra parte la via del Camposanto. Al centro dell’incrocio,su un piedistallo, si trova Sa Cruxi Santa una croce posta, in età contemporanea, per indicare il Cimitero, al quale porta la via del Camposanto. L’Anfiteatro nella piazza fratelli Cervi e GovoniDove la via San Pietro incrocia la via Roma, la prosecuzione della via San Pietro, che è la via del Tramonto, dopo una sessantina di metri, incrocia la via Michelangelo. Sulla sinistra, tra la via Michelangelo e la prosecuzione della via del Tramonto, si sviluppa la Piazza fratelli Cervi e Govoni che è un ampio spazio aperto con gradinate e con uno spazio attrezzato per spettacoli, che costituisce l’Anfiteatro di Monastir, nel quale si tengono tutte le principali feste e sagre che si svolgono nel paese. Il colle Pedrera sul quale si realizzarà il parco ComunaleRitorniamo sulla via Nazionale, che attraversa tutto l’abitato da nord ovest a sud est. Dal punto dove avevamo preso verso destra la via San Pietro, proseguendo lungo la via Nazionale per duecentocinquanta metri, arriviamo a dove parte a sinistra la via Tripoli. Prendiamo verso sinistra la via Tripoli e la seguiamo per centotrenta metri, fino a che questa strada incrocia la via del Progresso. Passato l’incrocio, la prosecuzione della via Tripoli continua in forte salita, cementata e con scanalature per agevolare il transito degli autoveicoli, fino a terminare, in una trentina di metri, di fronte al Colle Pedrera un promontorio dell’altezza di 195 metri un tempo adibito a cava di pietre che sovrasta una fetta del centro storico, e che si affaccia ai piedi del Monte Zara, sul quale è in progetto la realizzazione di un parco Comunale, con la realizzazione di un percorso ginnico con staccionate ed altro. La Tomba di giganti del colle PedreraDa dove è arrivata la via Tripoli, proseguiamo verso sud est lungo la via del Progresso, e, dopo un centinaio di metri, troviamo, alla sinistra della strada, un cancello, passato il quale una scalinata porta, in prossimità del civico numero 80 della via del Progresso, nel punto dove nel 1991, a seguito di alcuni lavori edilizi, un mezzo meccanico in maniera fortuita ha portato ad individuare i resti della Tomba dei giganti di Pedrera. La tomba, situata a un’altezza di 101 metri ai piedi del colle, nella sua estremità a sud occidentale, è stata indagata in uno scavo archeologico negli anni tra il 2009 ed il 2010. Il vano funerario, di forma rettangolare allungata, ha una lunghezza esterna di nove ed una lunghezza interna di otto metri, che va costantemente a restringersi dall’ingresso fino alla parte terminale. La camera sepolcrale era stata concepita attraverso una tecnica a filari, con l’ausilio di blocchi di roccia andesitica locale di dimensioni variabili. L’interno della sepoltura, al momento dello scavo, ha rivelato la presenza di numerose ossa umane di adulti e bambini frammentate, in cattivo stato di conservazione, ed i resti risultano riferibili a 136 persone. Si tratta di una tomba collettiva secondaria, ossia con i resti degli inumati raccolti in una sepoltura diversa da quella originaria, e non in posizione fisiologica. La tomba ha restituito anche nove punteruoli bronzei, sette schegge di ossidiana e dodici frammenti ceramici. La Chiesta della Madonna di FatimaRitorniamo sulla via Nazionale, che attraversa tutto l’abitato da nord ovest a sud est. Dal punto dove avevamo preso verso destra la via San Pietro, proseguendo lungo la via Nazionale per cinquecento metri, arriviamo a dove parte a destra la via Grazia Deledda, che prenderemo più avanti per andare a visitare gli impianti sportivi. Proseguiamo per un’altra cinquantina di metri, e vediamo, alla destra della strada, la facciata della Chiesa della Madonna di Fatima nota anche come Chiesa della Beata Vergine Maria o Chiesa della Madonnina. La Chiesa è di recente costruzione essendo stata costruita negli anni novanta del Novecento. Presenta un’aula a una sola navata, e all’interno si trova un affresco che occupa l’intera parete del presbiterio e raffigura la crocifissione di Cristo, realizzato da Salvatore Atzeni, l’artista e musicista nato a Monastir nel 1944. Gli impianti sportiviLungo la via Nazionale, una cinquantina di metri prima della Chiesa della Madonna di Fatima, prendiamo a destra la via Grazia Deledda, che un tempo era chiamata via Gutturu su Para, alla destra della quale si trovano gli impianti sportivi di Monastir. Lungo la via Grazia Deledda, dopo quaranta metri, svoltiamo e prendiamo a destra la via Michelangelo e, dopo centoventi metri, vediamo sulla sinistra il cancello di ingresso della Palestra Pallone. Si tratta di una Palestra coperta contenuta in una struttura gonfiabile, dotata di tribune in grado di ospitare 200 spettatori, nella quale praticare come discipline la pallacanestro e la pallavolo. Ad essa si sarebbe potuti arrivare anche proseguendo dalla Piazza fratelli Cervi e Govoni lungo la via Michelangelo, e si sarebbe raggiunta la Palestra dopo circa trecentocinquanta metri, vedendone l’ingresso alla destra della strada. A centoventi metri dall’ingresso della Palestra pallone, torniamo sulla via Grazia Deledda, che prendiamo verso destra in direzione ovest e, dopo appena pochi metri, vediamo, alla destra della strada, l’ingresso della Palestra coperta della Scuola Media di Monastir. Nella palestra, che non è dotata di tribune, si praticano come attività sporive la pallacanestro ed Attività ginnico motorie. Percorso un altro centinaio di metri dall’ingresso della Palestra coperta, si vede, sempre alla destra della strada, l’ingresso del Campo Sportivo Comunale. All’interno di questo impianto, si trova un Campo da Calcio, con fondo in terra battuta, dotato di tribune in grado di ospitare 400 spettatori. In questo campo gioca le partite casalinghe la quadra della Associazione Sportiva Dilettantesca Monastir Kosmoto, partecipante al campionato di calcio di Eccellenza nel Girone A in Sardegna. Intorno al campo da Calcio si sviluppa una Pista di atletica, nella quale praticare come discipline corse su pista. Sul retro di una delle porte del Campo da Calcio, quella che si trova a sud, si trova un più piccolo Campo polivalente, non dotato di tribune per gli spettatori, nel quale praticare calcetto ossia calcio a cinque, pallavolo, hockey e pattinaggio a rotelle. Il Cimitero ComunaleDopo aver passato il cancello di ingresso del Campo Sportivo, proseguiamo verso ovest lungo la via Grazia Deledda, e, dopo circa quattrocento metri, continuiamo sulla via del Camposanto, che, dopo un’altra settantina di metri sbocca su una traversale, che si chiama anch’essa via del Camposanto. La prendiamo a destra, ossia verso nord, e la seguiamo per poco meno di trecento metri, fino a vedere, alla sinistra della strada, il muro di cinta con il cancello di ingresso del Cimitero Comunale di Monastir. Ad esso si sarebbe potuti arrivare dall’incrocio nel quale è posizionata Sa Cruxi Santa, prendendo la via del Camposanto e seguendola verso sud per quattrocento metri, fino a vedere il muro di cinta ed il cancello di ingresso del Cimitero alla destra della strada. Visita dei dintorni di MonastirVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Monastir, sono stati portati alla luce i resti della Tomba di giganti del colle Pedrera; del villaggio nuragico e della necropoli sul Monte Zara con gli insediamenti di Bia ’e Monti, Sa Costa ’e su Cadru, Sa Pranedda, Is Obias; del villaggio S’Ollastu; del villaggio nuragico sul Monte Olladiri e della necropoli di Is Aruttas; e Santu Sadurru; del Nuraghe a corridoio Santu Marcu; dei Nuraghi semplici Cannas Beccias, e su Cuccumeu; e dei Nuraghi di Monte Olladiri, di Monte Zara, e del Nuraghe Nuraxi, tutti di tipologia indefinita. La frazione Is ArgiddasDal centro del paese prendiamo verso sud la via Nazionale, che seguiamo fino a dove arriva da sinistra la via Europa e si trova il cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato provenendo da sud ossia da Monserrato. Una cinquantina di metri più avanti, svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Oristano e per Sassari, la strada scavalca la SS131 di Carlo Felice e la seguiamo per circa duecento metri, fino a vedere sulla destra la deviazione per Sassari. Evitando questa deviazione, la strada prosegue verso sud e alla sua destra si vedono i cancelli di ingresso dell’area artigianale presente nella frazione Is Argiddas (altezza metri 83, distanza 1,27 chilometri sul livello del mare, abitanti circa 3). Ad est dell’abitato si trova il Monte Zara con la sua area archeologicaPer raggiungere il Monte Zara, un colle alto 226 metri situato subito ed est dell’abitato, dal centro del paese centro del paese prendiamo verso sud la via Nazionale, che seguiamo fino a dove arriva da sinistra la via Europa e si trova il cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato provenendo da sud ossia da Monserrato. Una cinquantina di metri più avanti, svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Oristano e per Sassari, la strada scavalca la SS131 di Carlo Felice e la seguiamo per circa duecento metri, fino a vedere sulla destra la deviazione per Sassari. Evitando questa deviazione, la strada prosegue verso sud e, dopo circa centocinquanta metri, prendiamo la prima deviazione a sinistra, poi dopo una cinquantina di metri svoltiamo a sinistra nella via Monte Zara, che si dirige verso nord. Percorsi circa settecentocinquanta metri, la via Monte Zara termina sboccando su una traversale dove, prendendo a sinistra, la strada porta all’azienda di produzione e commercio di prodotti avicoli, selvaggina e zootecnici denominata Covatoio Italo Olandese. Vicino a questa azienda, verso nord, si trovano i resti dei villaggi nuragici presenti sulle pendici del Monte Zara, mentre più lontano di trovano i resti della necropoli di domus de janas del Monte Zara. All’area archeologica si arriva più comodamente dal centro del paese. Dal cancello che porta alla Tomba di giganti del colle Pedrera, proseguendo lungo la via del Progresso per una cinquantina di metri, dopo di che la via del Progresso svolta leggermente a sinistra e diventa la via Genova. Seguita la via Genova per trecentocinquanta metri, si arriva all’incrocio con il viale Europa, proprio a ridosso della SS131, dove si può prendere il ponte pedonale che collega il sito archeologico all’abitato. resti del villaggio di Bia ’e MontiSul pendio occidentale del Monte Zara, vicino a dove sbocca il ponte pedonale che lo collega al paese, una scalinata porta all’area scoperta, alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, durante i lavori di sbancamento per l’allargamento della SS131 di Carlo Felice, nella quale sono presenti i resti dell’abitato nuragico di Bia ’e Monti, ossia la via per il monte. I lavori compiuti tra il 1986 ed il 1987 sotto la direzione scientifica di Giovanni Ugas, hanno portato all’individuazione di ben quarantuno edifici abitativi di età nuragica, insieme a nove tombe a fossa di et tardo punica, databili tra il quarto e il terzo secolo aventi Cristo, presenti in due settori distinti indicati come A e B. Nell’area indicata come Settore A, sono riferibili all’Età del Bronzo recente le capanne numero 1, 3 e 16 con andamento circolare, zoccolo murario, a semplice fossa mancante di mura perimetrali. La capanna circolare più grande, indicata come la capanna 3, presenta due nicche che assieme all’ingresso formano un triangolo, un bancone sedile interno solo in parte conservatosi, ed il focolare centrale, e parrebbe un prototipo di quelle capanne delle riunioni sorte in seguito tra il Bronzo Finale e la prima Età del Ferro. All’interno di questo edificio, nel 1993 durante la campagna di scavi condotta dall’archeologo Giovanni Ugas, sono stati rinvenuti diversi reperti, tra i quali una macina da grano, un forno per il pane, cocci intrisi di olio e ultimo, ma molto importante, un importante manufatto litico in arenaria per molto tempo identificato come un presunto torchio per il vino a torricella con vasca, riferibile probabilmente ad un’attrezzatura per la vinificazione in età nuragica. Sempre nel medesimo settore, si trovano gli edifici denominati α e β, di una fase di passaggio dal Bronzo recente al Bronzo Finale, archeologicamente piuttosto significativi visto che in essi è documentato l’impiego di mattoni d’argilla, i cosiddetti ladiri, utilizzati per l’alzato dei muri sopra gli zoccoli in pietra realizzati con l’ausilio del basalto locale. Altri edifici, le capanne 5 e 6, mostrano basi di pilastri addossate alle pareti. L’unica fossa del settore indicata come 6 e 7 ha un andamento irregolare, lobato nel lato est, profonda una cinquantina di centimetri, e probabilmente la sua destinazione d’uso era quella di semplice discarica delle capanne numero 1 e 3. A sud rispetto a questa area, nell’area indicata come Settore B, sono riferibili all’Età del Bronzo Finale alcuni edifici quadrangolari suddivisi in pi ambienti. In questo settore, per le sacche 32 e 34 si è proposta una destinazione abitativa, e per via di una profondità di circa cinquanta centimetri rispetto al piano di calpestio esterno, questi ambienti sono stati definiti semi-Ipogeici. della sacca 35 invece non si pu delineare l’andamento planimetrico. Ancora, a svolgere un ruolo di prim’ordine è un grande recinto megalitico reniforme costruito con massi poligonali chiamato l’edificio γ: la struttura era ubicata nei pressi di un declivio naturale e l’altezza residuale delle pareti che raggiungeva i due metri e venti nel lato su ovest, il che ha portato ad avanzare l’ipotesi che si trattasse di un complesso fortificato. La presenza nel vano 41 di una feritoia confermerebbe la natura difensiva della costruzione. L’edificio, che risale alla prima Et del Ferro, rivestiva una profonda cavit rocciosa, in parte naturale e in parte adattata artificialmente per una destinazione cultuale, e comprendeva anche alcune conche destinate alla raccolta dell’acqua. Per la comprensione e datazione dell’intero contesto, si sono rinvenuti vasellame dagli impasti e superfici color grigio ardesia, ma soprattuto sette frammenti di importazione di ceramica micenea, dei quali quattro giungono dalla struttura 34. Le strutture 34 e 25 hanno restituio al contempo, residui di rame e grappe in piombo, riferibili a dei lingotti oxhide, non unici nel contesto sardo. Una seconda campagna di scavi tra il 1992 ed il 1993, ha portato all’indagine di un area pi a monte, ossia ad est, rispetto al settore A, indicata come Settore D, che era stata risparmiata dai lavori per l’allargamento della SS131 di Carlo Felice. L’unico ambiente pienamente indagato in quest'area la capanna numero 46, si tratta di un grande edificio di forma circolare, costituito da tre principali elementi costruttivi, il muro portante, una banchina mediana costituita da piccole pietre utilizzata come piattaforma per attrezzi o derrate alimentari, ed un ulteriore basamento interno intonacato, impiegato come panchina da lavoro. Ad est rispetto al bancone, all’altezza di quarantacinque centimetri circa, presente una base in argilla con zoccolo in muratura, interpretata come un forno, mentre a sud, nel lato opposto, ubicato un altro spazio di forma irregolare interpretato come una nicchia di funzione non chiara. I materiali rinvenuti in questa capanna, dimostrano con assoluta certezza l’utilizzo della stessa per impieghi lavorativi quotidiani, conferendole la funzione di laboratorio, nel quale sono documentate attivit quali la tessitura, pesatura, conservazione dell’olio, macinazione del grano e vinificazione. Il presunto torchio per il vino a torricella con vascaNell’edificio circolare più grande dell’abitato nuragico di Bia ’e Monti è stato rinvenuto dall’archeologo Giovanni Ugas nel 1993 un importante manufatto, per molto tempo identificato come un Presunto torchio per il vino a torricella con vasca riferibile probabilmente ad un’attrezzatura per la vinificazione in età nuragica. È formato da un basamento, sovrapposto mediante un supposto perno ligneo ad un fusto cilindrico, la cui parte superiore, leggermente concava, è stata adattata per la raccolta dei liquidi, i quali, attraverso un doccione, si riversano all’interno della vasca sottostante. Gli elementi che hanno indotto ad ipotizzare il suo utilizzo vinificatorio, sono in primo luogo una sostanza nerastra che impregnava sin dal momento della scoperta, il fondo della vaschetta, letta come deposito di decantazione del mosto, nella quale trovavano alloggiamento anche una Oinochoe di piccole dimensioni ed una scodella a calotta. Inoltre, ad avvalorare questa tesi, sarebbero gli stessi reperti rinvenuti all’interno dell’edificio, di chiaro valore domestico e non sacrale o cultuale. In anni recenti, la comunità scientifica ha revisionato l’interpretazione del torchio litico di Monastir, valutando l’ipotesi che si tratti di un manufatto nato primariamente come modellino di Nuraghe stilizzato, dove la vasca ha quasi una funzione accessoria, la cui destinazione non sarebbe legata ad attività come quella della vendemmia ma ad un ambito sacro, rituale, dunque realizzato come vero e proprio altare. Questo torchio è diventato un oggetto rappresentativo del passato di Monastir, tanto che il suo simbolo stilizzato è stato inserito nello stemma Comunale, ed il reperto è conservato oggi nell’Aula Consiliare del Municipio di Monastir. resti del villaggio di Sa Costa ’e su CadruUna volta superato il villaggio di Bia ’e Monti, procedendo verso est si raggiunge il versante ovest del Monte Zara, e qui ci si imbatte in un erto tratto della collina, in cui si scorgono pochi resti edilizi trasportati dalle acque meteoriche che sono le rovine dell’abitato di Sa Costa ’e su Cadru, ubicato a metà versante. La documentazione dell’abitato si ha tramite alcuni frammenti di ceramica d’importazione etrusca e ionica, una matrice litica per asce, e ceramica nuragica ascrivibile tra l’ottavo e il sesto secolo avanti Cristo. resti del villaggio di Sa PraneddaEssendo Bia ’e Monti l’agglomerato suburbano, il vicino abitato di Sa Pranedda, nome che sta ad indicare la piccola piana, costituiva l’Acropoli dell’intero complesso abitativo, localizzata nella sommità del Monte Zara. Il quartiere di Sa Costa ’e su Cadru era collegato con l’altro nucleo di Sa Pranedda con una scalinata monumentale di oltre sessanta gradini, che si conclude presso due altari rupestri. La cittadella era protetta nel settore nord est da una cinta muraria i cui resti sono ancora visibili, così come alcune strutture di età tardo nuragica, punica e romana. Il fabbisogno idrico era garantito da due grandi cisterne circolari, ricavate nel bancone roccioso nella cresta della collina. resti del villaggio di Is ObiasNel settore sud est di Sa Pranedda, si estende l’abitato di Is Obias nome che deriva dalla presenza di olivastri piantumati nel secolo scorso. Anche in questo abitato sono evidenti le tracce di imponenti crolli, resti di strutture di età nuragica e punica realizzate con lastrine di marna calcarea. Dopo il definitivo abbandono del villaggio di Bia ’e Monti al termine dell’ottavo secolo avanti Cristo, che è stato poi rifrequentato in maniera sporadica solo in età punica per scopi funerari, a rimanere vitale è stato l’insediamento in località di Is Obias, comprende ulteriori emergenze archeologiche. La prima campagna di scavo del 2011 e 2012, ha evidenziato una frequentazione che, partendo dall’età nuragica, giunge fino a quella fenicia, punica, romana repubblicana e imperiale. Tra le strutture messe in luce è di notevole rilievo una porta monumentale di accesso ad un’area sacra molto vasta, recintata da un grosso muro che si snoda a partire dai suoi lati dell’ingresso. A ovest della porta, l’indagine ha portato alla definizione di alcuni ambienti di diversa fisionomia di cui i materiali fittili testimoniano una frequentazione del sito fino al quarto secolo dopo Cristo. Sono riconoscibili, gi prima dell’intervento di scavo, un concio isodomo di forma regolare pertinente forse a un elemento di architrave, conci in andesite finemente lavorati che farebbero pensare ad un monumento preesistente, inoltre numerose lastrine in conglomerato in matrice arenacea arrossata, utilizzate nelle strutture murarie. L’area del sito, verosimilmente estesa, confermata dalla presenza di frammenti fittili abbondantemente presenti in superficie. La presenza di altri elementi strutturali si intuiscono e intravedono sotto gli olivastri che coprono buona parte dei versanti della collina. La necropoli del Monte ZaraSalendo sul versante occidentale del Monte Zara, si trova una Necropoli a domus de janas di Monte Zara, relative a un insediamento prenuragico comprendente un’area funeraria con diverse domus de janas risalenti alla Cultura di Ozieri, riconducibile a due zone diverse di sepoltura. Nella parte occidentale si trovano nove domus de janas in vari stati di conservazione. La necropoli è nota sino dal 1958 grazie alle segnalazioni di Enrico Atzeni, che ha segnalato la presenza delle prime sei tombe delle quali ha pubblicato anche la planimetria, ed ha anche individuato alla base del rilievo una stazione litica di ossidiana. Sono state poi individuate altre due tombe, la settima e l’ottava, finché Giovanni Ugas nel 1987, durante gli scavi nel sito di Bia ’e Monti, ha rinvenuto i resti della nona tomba ricavata in un banco di roccia andesitica, che allo stato attuale è interrata, e risulta ubicata in un lotto di proprietà privata, all’incrocio tra la vie del Progresso e la via Verdi all’interno dell’abitato. La ha rinvenuta coperta dagli strati di una struttura riferibile all’Età del Ferro, congiuntamente ad una statuina fittile neolitica. La seconda zona di sepoltura si trova nella parte orientale del Monte Zara, dove si trovano numerose altre sepolture isolate e difficilmente raggiungibili, tra le quali vanno citate tre domus de janas presenti all’interno del villaggio di Sa Pranedda. Le tombe più interessanti della necropoli sono sicuramente due, scolpite una accanto all’altra sul versante settentrionale, e conosciute come Is Ogus de su Monti, gli occhi del monte. Le diverse tombe sono scavate interamente nella roccia, ed hanno uno schema planimetrico semplice, composto da dromos, anticella e cella. L’interno delle camere funerarie si presenta spoglio, con una concavit del terreno roccioso dentro cui veniva adagiato il corpo del defunto insieme agli oggetti personali in rame o terracotta, utili per affrontare la vita nell’aldil . Nel 1958 Enrico Atzeni, oltre alla presenza delle prime sei tombe, ha segnalato anche il rinvenimento di un tripode a vasca emisferica che oggi è esposto al Museo Nazionale Archeologico di Cagliari. Il monte Olladiri con le sue cave di pietraSempre dal paese, possiamo raggiungere il Monte Olladiri, un colle alto 235 metri che si trova pochi chilometri più a sud rispetto al Monte Zara il cui nome si può ritenere un’italianizzazione di Boladiri o Bauladiri, che era il modo in cui i Sardi chiamavano il villaggio di Baratuli. Il Monte Olladiri è famoso per le sue necropoli e per il Castello di Baratuli che si trova sulla sua sommità. Dal centro del paese prendiamo verso sud la via Nazionale, che seguiamo fino a dove arriva da sinistra la via Europa e si trova il cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato provenendo da sud ossia da Monserrato. Una cinquantina di metri pi avanti, svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Oristano e per Sassari, la strada scavalca la SS131 di Carlo Felice e la seguiamo per circa duecento metri, fino a vedere sulla destra la deviazione per Sassari. Evitando questa deviazione, la strada prosegue verso sud e la seguiamo per un chilometro e mezzo fino a raggiungere l’area industriale Matzeddu di Monastir, qui svoltiamo a sinistra pendendo la strada che porta alle cave di pietra del Monte Olladiri. Seguiamo questa strada per un chilometro e trecento metri, arriviamo a un bivio dove svoltiamo a destra in una strada bianca, dopo quattrocentocinquanta metri svoltiamo di nuovo a destra, proseguiamo per circa quattrocento metri ed arriviamo alla base del Monte Olladiri. Il colle è stato letteralmente scavato per metà da una cava di pietra, che lo rende davvero particolare. Infatti quel colle, un tempo tondeggiante, oggi ha nel punto più alto uno strapiombo verticale, al di sotto del quale rimangono, oltre alla cava, in stato di completo abbandono, i macchinari arrugginiti che venivano utilizzati per il setacciamento della pietra estratta. Sulla sommità del Monte Olladiri si trovano i ruderi del Castello di Baratuli, mentre ai piedi del Monte Olladiri, verso sud, si espande l’area archeologica di Monte Olladiri, nella quale si trovano una necropoli costituita da cinque domus de janas, scavate sul fianco della collina basaltica, ed i resti del villaggio nuragico. Sulla sommità del Monte Olladiri si trovano i ruderi del Castello di BaratuliDalla strada bianca che curva costeggiando la base del monte Olladiri, arriviamo a dove parte a destra il sentiero che porta sulla sua sommità. Sulla vetta del monte, si trovano i ruderi del Castello di Baratuli, un prezioso testimone del sistema di sorveglianza e difesa del territorio campidanese in epoca medievale che letteralmente circondato da affascinanti eredit prenuragiche e nuragiche. Ad interessarsi per primi del Monte Olladiri, nella prima metà dell’ottocento sono stati Alberto Ferrero della Marmora, che ne ha studiato le caratteristiche geologiche, e Vittorio Angius, che ha per la prima volta descritto il Castello di Baratuli, che era stato già menzionato per la prima volta da Giovanni Francesco Fara nel cinquecento. Il Castello, edificato intorno alla metà del dodicesimo secolo dai conti Donoratico, giudici di Cagliari, al fine di controllare la parte meridionale del Campidano, è passato in seguiti agli Arborensi e poi alla famiglia toscana dei della Gherardesca, che possedeva anche i castelli di Acquafredda e di Gioiosa Guardia tra gli attuali territori di Siliqua e Villamassargia. Dopo la caduta del conte Ugolino, uno dei personaggi pi celebri e controversi dell’Inferno dantesco, finisce in mano alla repubblica di Pisa, che lo distrugge intorno al 1308, forse per evitarne la conquista da parte degli Aragonesi, ed assieme al maniero distrugge anche il villaggio omonimo di Baratuli, presente più a valle vicino alla Chiesa campestre di Santa Lucia. Osservando le fondamenta e la base muraria della fortezza, a pianta esagonale con al centro un cortile lastricato, si individuano anche i resti di una cisterna voltata a botte e altre strutture, adibite probabilmente a magazzini e alloggi. Sul lato opposto del cortile rispetto all’ingresso si trovano le fondamenta della torre principale, cui si accedeva tramite una scalinata. Oltre il cortile sono osservabili una fornace e tracce della cortina muraria. Dai resti del Castello il panorama si apre a 360 gradi e permette di scorgere, oltre a Monastir, i paesi di Ussana verso nord, Serdiana e Dolianova in direzione est e Sestu verso sud. resti del villaggio del Monte OlladiriNella valle ai piedi dell’altura sono stati trovati i resti di un Insediamento prenuragico costituiti da un edificio con muri in fango, e quelli di un grande Villaggio nuragico, un insediamento che si sviluppa sul versante meridionale e sulla valle sottostante il Monte Olladiri. Nel 1962 Enrico Atzeni, ha delimitato l’area archeologica da nord a sud indicando le diverse postazioni con le lettere dell’alfabeto, definendo il Settore A con 18 capanne della Cultura di Monte Claro e nuragiche; il Settore B con una sola capanna della Cultura Monte Claro; il Settore C con 21 capanne delle Cultura di Ozieri, di Monte Claro e nuragica; il Settore D con 31 capanne della Cultura di Ozieri, di Monte Claro e nuragica; il Settore E con 8 capanne della Cultura di Ozieri, di Monte Claro e nuragica; il Settori F ed il Settore G con 3 sole capanne di cultura nuragica. Sporadiche sono le testimonianze d’et punica. Durante gli scavi è stata rinvenuta anche la testa di una statuetta della Dea Madre alta dieci centimetri, in marmo, simile alla famosa statuetta trovata nel villaggio nuragico di Turriga, nei dintorni di Senorbì. Sono state rinvenute, inoltre, ceramiche d’influenza fenicia, etrusche e numerose ioniche, relative all’ultima fase di vita dell’abitato, tra l’altro una brocca askoide e la fiaschetta lenticolare che sono oggi esposte nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. A poche centinaia di metri di distanza, su un modesto colle della catena del Monte Olladiri denominato Is Aruttas, ossia le grotte, sono state scavate almeno cinque grotticelle artificiali del tipo a domus de janas, che costituivano il Cimitero del vicino villaggio neolitico ed eneolitico. La Necropoli di Is Aruttasalla base del Monte Olladiri, accanto al sentiero che permette di raggiungerne la cima, si notano delle cavit scavate nel bancone trachitico che affiora sul versante sud orientale della collina di Is Aruttas da cui si possono osservare a sud le graziose Chiese romaniche di Santa Lucia e di San Gemiliano di Sestu, nel raggio di tre chilometri, sfruttando probabilmente delle aperture naturali. Si tratta di una necropoli a domus de janas chiamata Necropoli di Monte Olladiri o anche Necropoli di Is Aruttas, costituita da cinque sepolture risalenti alla Cultura di Ozieri. Gli archeologi Edoardo Mannai e Romualdo loddo agli inizi del Novecento hanno realizzato una prima planimetria dell’area funeraria, segnalando quattro ipogei, e affermando che neppure Alberto Ferrero della Marmora aveva fatto alcuna menzione di esse nonostante avesse visitato Monastir nella seconda met dell’ottocento. Nell’estate del 1957 Enrico Atzeni ha individuato una quinta domus de janas non rilevata dalla precedente esplorazione di Mannai e loddo. Le sepolture sono costituite da un ingresso, un anticella e da una grande cella funeraria, ed accanto all’accesso di alcune domus è possibile vedere la canaletta per il deflusso delle acque scolpita nella roccia. I portelli sono del tipo quadrangolare o trapezoidale con o senza risega. Considerata la semplicit delle planimetrie e delle volte, gli ipogei riproducono gli ambienti delle capanne ipogeiche dei tempi neolitici e calcolitici. Le tombe si possono distinguere i due gruppi, nel bancone trachitico più a nord le tombe 1 e 2, ed in quello più a sud le tombe 3, 4 e 5. La Tomba 1 è costituita da dromos a pareti concave, cella irregolarmente ellittica, quasi semicircolare, con la volta piatta. L’ingresso della tomba è rivolto ad est. La Tomba 2 è costituita da dromos, anticella e cella con pareti concave e volte piane. Sulla parete della cella prospiciente all’ingresso è presente un abbozzo di portello per una nuova cella, sopra il portello è presente un canaletto orizzontale per il deflusso delle acque piovane, e vi è anche un altro canaletto alla base del portello e dell’anticella. Anche l’ingresso di questa tomba è rivolto ad est. La Tomba 3 è costituita da dromos, anticella simile alla precedente e cella di forma circolare, con volte pianeggianti. L’ingresso di questa tomba è rivolto a sud sud ovest. La Tomba 4, cha sembra aver avuto due celle oppure una sola cella divisa in due parti, è costituita da dromos rettangolare, con portello pure rettangolare che conduce all’anticella dove si apono due portelli dai quali si accede ad una cella allungata, in origine bipartita, con le volte piane. L’ingresso è rivolto a sud est. La Tomba 5 è quella individuata da Enrico Atzeni ed è costituita da un breve dromos irregolarmente semicircolare, anticella di pianta ellittica, cella di pianta trapezoidale, quasi in asse con la precedente, con uno dei due lati lunghi ricurvo. Il pavimento della cella è leggermente rialzato rispetto a quello dell’atrio e dell’anticella. Le volte sono piane, leggermente ricurve. L’ingresso di questa tomba è rivolto a sud. Probabilmente, oltre alle cinque sepolture, ve ne sono altre andate distrutte dall’utilizzo delle zona come cava o nascoste dalla vegetazione. L’area non è ancora stata studiata in modo approfondito, nonostante gli archeologici abbiano rinvenuto diversi reperti interessanti. La Chiesa campestre di Santa LuciaDa dove, con la strada che costeggia la SS131 di Carlo Felice, siamo passati con un viadotto sopra la strada statale, proseguiamo verso sud e la seguiamo per un chilometro e mezzo fino a raggiungere l’area industriale Matzeddu di Monastir, qui proseguiamo dritti attraverso quest'area industriale per un chilometro e duecento metri fino ad arrivare a un bivio dove svoltiamo leggermente a destra nella strada per Santa Lucia. La seguiamo e, dopo centocinquanta metri, arriviamo a trovare le indicazioni per il parcheggio del parco di Santa Lucia. All’interno del parco, si trova la piccola e graziosa Chiesa campestre di Santa Lucia realizzata nella seconda metà del tredicesimo secolo in stile tardo romanico nelle campagne a sud del paese. L’edificio ha subito un rifacimento nel diciassettesimo secolo, quando le sono stati aggiunti due portici laterali sorretti da pilastri in arenaria e tegole, e si è resa necessaria la costruzione di un piccolo vano, con funzione di sacrestia. La Chiesa di Santa Lucia viene citata in alcuni documenti del 1777 come iglesia antiquissima en la Villa despoblada di Baladiri, quindi è stata probabilmente la Chiesa parrocchiale del villaggio, allora gi scomparso, di Baladiri. Si tratta di una Chiesa a navata unica, con la facciata in pietra sormontata da un grande campanile a vela. L’edificio sacro si presenta interessante sotto molteplici aspetti. La facciata, rimasta pressoch immutata attraverso i secoli, realizzata in conci calcarei di vari colori e possiede degli archetti ogivali provvisti di un piccolo lobo pendulo nella chiave, mentre al centro fa bella mostra di s una bifora decorata con motivi geometrici. L’originale campanile a vela monofora, collocato al di sopra della facciata, attualmente sprovvisto della campana. L’interno della Chiesa, con una sola navata, un tempo era provvista di un abside semicircolare, oggi scomparso, del quale oggi si scorgono tracce nel muro posteriore. L’interno, provvisto di sacrestia, ospita il pregevole retablo di Santa Lucia, notevole dipinto risalente con ogni probabilit nella seconda metà del diciassettesimo secolo. Ogni anno, l’ultima domenica di agosto, preceduta dal vespro, si svolge la Festa di Santa Lucia, che è la santa copatrona di Monastir. I riti religiosi iniziano il sabato mattina, quando la statua della Santa, posta sul cocchio trainato da un giogo di buoi, lascia la Chiesa parrocchiale per quella campestre, accompagnata in processione dal parroco, da numerosi fedeli e con contorno di cavalieri, traccas, gruppi in costume e suonatori di launeddas. Il culmine della Festa è la domenica sera, con la grande processione De su rientru, alla quale partecipano, oltre a migliaia di persone, i vari gruppi che hanno accompagnato il simulacro della Santa il sabato mattina. La Festa religiosa si conclude il lunedì sera con la processione della statua per le vie del paese che per l’occasione si trasformano in tappeti fioriti suscitando ammirazione tra i fedeli. La Festa civile, si svolge sia nel parco adiacente la Chiesa campestre sia all’interno del paese. Nel parco vengono organizzati pranzi e cene a base di carne, oltre a spettacoli di vario genere, tra cui concerti, manifestazioni sportive, cabaret, balli e fuochi d’artificio. L’insediamento statrificato di S’OllastuDal centro dell’abitato prendiamo la via Nazionale che esce a nord ovest. Passiamo il cartello segnaletico che indica il paese e, dopo appena centocinquanta metri, arriviamo a una rotonda, dove prendiamo la prima uscita, che ci porta sulla SS466 e la seguiamo per circa cinquecento metri, poi svoltiamo a destra seguendo le indicazioni per Sassari ed andiano ad immetterci sulla SS131 di Carlo Felice. La prendiamo verso nord in direzione di Sassari e la seguiamo per quasi due e mezzo, poi ci portiamo sulla corsia di destra in direzione dell’inversione di marcia, dopo quattrocento metri svoltiamo a destra e prendiamo la Complanare Est che, percorsi appena centocinquanta metri, porta vedere alla sinistra della strada i campi, nei quali si trovano i pochi resti del Villaggio di S’Ollastu, un insediamento stratificato che copre un arco cronologico che va dall’epoca calcolitica ossia all’Età de Rame all’et tardo-antica, indice di una frequentazione dell’area costante e prolungata nel tempo. All’interno del villaggio di S’Ollastu sono stati individuati i resti della Capanna di S’Ollastu. L’area oggetto di scavo corrisponde ad una striscia stretta e allungata di un centinaio di quindici metri con orientamento da nord a sud, parallela alla strada verso ovest, e risulta attualmente ingombra di rifiuti e di terra riaccumulatasi sia naturalmente sia in seguito a deiezioni intenzionali ed , inoltre, coperta dalla vegetazione a nord. Le murature, di fattura non curata, sono realizzate con pietrame irregolare di medie e piccole dimensioni, prevalentemente di trachite e hanno un alzato residuo di una trentina di centimetri. L’intervento di scavo non stato pubblicato integralmente ma stata comunicata solo una breve notizia senza una descrizione delle evidenze e delle strutture messe in luce. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, da Monastir ci recheremo a Nuraminis dove visiteremo il suo centro e la frazione Villagreca e con i dintorni nei quali si trovano l’area funeraria di Santa Maria e la capanna megalitica Sa Corona. |