Santadi famosa per la cerimonia del Matrimonio Mauritano e con le grotte di su Benatzu e di Is Zuddas
In questa tappa del nostro viaggio, da Villaperuccio ci recheremo a Santadi famosa per la cerimonia del Matrimonio Mauritano, che visiteremo con il suo centro ed i dintorni dove si trovano le grotte di su Benatzu e di Is Zuddas. Il Sulcis nella regione storica del Sulcis-IglesienteL’area della regione storica del Sulcis-Iglesiente si estende a nord della valle del Cixerri. Confina a nord est con il Campidano ed ha una forma vagamente triangolare. Il Sulcis (nome in lingua sarda Sa Meurreddìa) si estende nella porzione sudoccidentale dell’isola, parte integrante della regione storica del Sulcis-Iglesiente, ed appartiene alla Provincia del Sud Sardegna ed a quella di Cagliari. I suoi comuni nella Provincia del Sud Sardegna sono Calasetta, Carbonia, Carloforte, Domus de Maria, Giba, Masainas, Narcao, Nuxis, Perdaxius, Piscinas, Portoscuso, San Giovanni Suergiu, Sant’Anna Arresi, Sant’Antioco, Santadi, Siliqua, Teulada, Tratalias, Villamassargia e Villaperuccio. Quelli nella città Metropolitana di Cagliari sono Pula, Sarroch e Villa San Pietro, che si trovano però tra il Sulcis ed il Campidano di Cagliari, per cui possono essere considerate appartenenti all’una o all’altra di queste regioni. È un territorio in cui la natura è incontaminata, nel tratto costiero caratterizzato da ampie spiagge, tra cui spicca Piscinas, con le sue metafisiche dune di sabbia, o la splendida insenatura di Masua, che guarda il faraglione calcareo di Pan di Zucchero. In viaggio verso SantadiDa Villaperuccio, prima di scendere verso la costa, effettuiamo una deviazione proseguendo con la via Cagliari che si dirige verso sud est e, dopo aver passato la frazione Villaperuccio denominata Is Pireddas, in poco più di quattro chilometri ci porta a Santadi. Dal Municipio di Villaperuccio a quello di Santadi si percorrono 4.7 chilometri. Il comune chiamato SantadiIl comune chiamato Santadi (altezza metri 135 sul livello del mare, abitanti 3.156 al 31 dicembre 2021), paese che si estende nella parte meridionale della Provincia del Sud Sardegna, nel Sulcis, attraversata dall’omonimo rio che sfocia nel rio Mannu. Il paese, che è distinto in due rioni detti Santa ’e Basciu, ossia di basso, e Santadi ’e Susu, ossia di sopra, è raggiungibile dalla SS293 di Giba, che dista soli tre chilometri dall’abitato. Il territorio comunale è occupato da un fitto bosco di lecci, filliree, sughere, ginepri, infoltito e talvolta sostituito da un impenetrabile sottobosco di corbezzoli, lentischi, eriche, cisti, mirti, agrifogli e altre essenze tipiche della macchia mediterranea, e presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate. Caratterizzato da una forte presenza di rocce calcaree e dolomitiche, di arenarie e di scisti, esso si presenta ricchissimo di stupende cavità naturali, all’interno delle quali ha avuto luogo la formazione di molteplici varietà di concrezioni e cristallizzazioni. Questo paese fa parte dell’Associazione nazionale delle città dell’OlioQuesto paese fa parte dell’Associazione nazionale città dell’Olio, che ha tra i suoi compiti principali quello di divulgare la cultura dell’olivo e dell’olio di oliva di qualità, tutelare e promuovere l’ambiente ed il paesaggio olivicolo, diffondere la storia dell’olivicoltura, e garantire il consumatore attraverso le denominazioni di origine. Le città dell’Olio in Sardegna sono ad oggi Alghero, Berchidda, Bolotana, Bosa, Cuglieri, Dolianova, Escolca, Genuri, Gergei, Giba, Gonnosfanadiga, Ilbono, Ittiri, Masainas, Olbia, Oliena, Orgosolo, Orosei, Osini, Riola Sardo, Samatzai, Santadi, Seneghe, Serrenti, Siddi, Sini, Uri, Usini, Ussaramanna, Vallermosa, Villacidro, Villamassargia. Origine del nomeIl nome viene citato nel Codex Diplomaticus Sardiniae e in una delle Carte Volgari campidanesi, dell’anno 1075 circa, come Sancta Agatha de Zulkes, la quale era una Vergine Martire di Catania vissuta nel terzo secolo dopo Cristo, ed in questa forma compare negli elenchi delle parrocchie della diocesi di Sulcis che nella metà del quattordicesimo secolo versavano le decime alla curia romana. Viene citato, in seguito, in documenti del Codex Diplomaticus Ecclesiensis come Santa Ada, Santa Adi e Santadi. La sua economiaSi tratta di un centro collinare che, accanto alle tradizionali attività agropastorali dove spiccano le produzioni dei vini e dei formaggi, ha sviluppato il tessuto industriale e incrementato il turismo. Il settore primario è presente con la coltivazione di cereali, frumento, ortaggi, foraggi, vite, olivo, agrumi e frutta e con l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L’economia agropastorale di Santadi e di tutto il territorio circostante comprende la produzione di uva da vino, e notevole e rinomata è la produzione della locale Cantina sociale che ha nel vino Carignano il suo punto forte. Il settore economico secondario è costituito da imprese che operano nei comparti alimentare, tra cui il lattiero caseario, del legno, della produzione e distribuzione di energia elettrica, metalmeccanico ed edile. Il terziario si compone di una sufficiente rete distributiva. La sua favorevole posizione geografica ha da sempre incentivato il turismo, degne di nota sono le suggestive grotte di Is Zuddas, mentre notevole valore archeologico riveste la grotta Pirosu, per la presenza, al suo interno, di un Santuario ipogeico di periodo nuragico. Meritano, inoltre, una visita la grotta del Campanaccio e la grotta della Capra, particolarmente adatte al turismo speleologico. Le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione ma non di soggiorno. Brevi cenni storiciIl territorio di Santadi viene abitato dalla preistoria, dato che numerose vestigia documentano la presenza della civiltà nuragica e poi di quella fenicio punica. Ai Romani si devono le terme in località Is Figueras. Durante il periodo medioevale Santadi era nota come Sant’Agata o Santa Ada de Sulcis, facente parte del Giudicato di Càralis, nella curatoria del Sulcis. Nel 1258, alla caduta del Giudicato, passa sotto il dominio dei della Gherardesca pisani, poi al comune di Pisa, ed in seguito, nel 1324, degli Aragonesi. Dal quattordicesimo secolo insieme a Tratalias forma una Baronia che viene concessa al Vescovo di Sulci, dal quale passa poi al Vescovo di Iglesias, fino al 1759 quando passa all’arcivescovo di Cagliari. A quest'ultimo viene riscattato nel 1839, con la soppressione del sistema feudale e diviene un comune autonomo. Nel diciottesimo secolo il territorio di Santadi, rimasto spopolato per secoli, rifiorisce con la ripresa delle attività legate all’agricoltura, ed inoltre, tra l’ottocento e i primi decenni del Novecento, si ha un forte impulso del settore minerario con lo sfruttamento di vari giacimenti. Del comune di Santadi nel 2005, con la riorganizzazione delle province della Sardegna, viene cambiata la Provincia da quella di Cagliari, alla quale precedentemente apparteneva, a quella nuova di Carbonia e Iglesias, ed in seguito, con la sua abolizione, nel 2016, passa alla nuova Provincia del Sud Sardegna. Le principali feste e sagre che si svolgono a SantadiA Santadi è attivo il Gruppo Folk Sant’Agata di Santadi, nelle cui esibizioni sia nel paese che in altre località dell’Isola è possibile ammirare il costume tradizionale locale. Tra le principali feste e sagre che si svolgono a Santadi vanno citati il Carnevale Santadese; i riti della Settimana Santa, con soprattutto la cerimonia de S'Incontru, ossia la rappresentazione dell’incontro del Cristo Risorto con la Madonna, alla quale viene tolto il velo nero che la ricopriva; il 28 aprile, la manifestazione Sa Die de Sa Sardigna che vuole ricordare la sommossa dei vespri sardi del 28 aprile 1794 che costrinse alla fuga da Cagliari il vicer Vincenzo Balbiano e i funzionari sabaudi; il 29 e 30 aprile, la manifestazione Pantaleo Fest, ossia la Festa di San Pantaleo, la quale prende il nome dalla Foresta di San Pantaleo, che si trova tra i monti del Sulcis e fa parte del Parco naturale regionale di Gutturu Mannu; a fine giugno, la Festa di Sant’Isidoro Agricoltore, con la processione dei trattori dedicata al patrono dei contadini. In seguito la prima domenica d’agosto, si svolge la rievocazione di Sa Coia Maureddina, ossia del Matrimonio Mauritano, il rito nuziale con antiche usanze tramandate da secoli; la domenica più vicina al 16 agosto, la Festa di San Giovanni Bosco nella Chiesa parrocchiale omonima in località Terresoli; la terza domenica di agosto, la Festa di San Giuseppe, nella Chiesa campastre omonima che si trova nella frazione Is Cattas; la prima domenica di settembre, la Festa di San Nicolò e Sant’Isidoro, che sono i Santi Patroni di Santadi, ed il lunedì successivo è il giorno di astensione dal lavoro; la seconda domenica di settembre si celebra la Festa di Santa Maria, presso la Chiesa parrocchiale di Santa Maria di Monte Fracca in località Barrue de Basciu; a fine settembre, la Festa di Santadi Basso, con diverse manifestazioni tra cui la Sagra della Pecora, che si svolge in questo quartiere periferico; a fine novembre, la manifestazione Pane e Olio in Frantoio. Visita del centro di SantadiL’abitato, interessato da un fenomeno di forte crescita edilizia, è situato quasi nel cuore di un’ampia vallata, verso la quale degrada un gruppo montuoso che nel territorio raggiunge la massima altitudine con i 1.104 metri del monte Tiriccu. Arriviamo a Santadi provenendo da Villaperuccio con la via Cagliari che all’interno dell’abitato assumerà il nome di via Roma. La piazza Guglielmo MarconiArrivati a Santadi, dal cartello segnaletico che indica l’ingresso all’interno dell’abitato, dopo aver percorso cinquecento metri, arriviamo a un incrocio, con la via Is Collus a destra e via Bosa a sinistra. Passato l’incrocio, la strada che ci ha portati a santadi prosegue con il nome di via Roma, la seguiamo per duecentocinquanta metri ed arriviamo a una rotonda dove prendiamo a sinistra la seconda uscita, che è la via Brigata Sassari, la quale, dopo centocinquanta metri, sbocca sulla via del Camposanto. Prendiamo la via del Camposanto verso destra e, dopo poche decine di metri, la strada ci porta nella bella piazza Guglielmo Marconi. La Chiesa parrocchiale di San Nicolò di BariSulla piazza Guglielmo Marconi, alla sinistra sul suo lato orientale, al civico numero 35, si affaccia la Chiesa di San Nicolò di Bari che è la parrocchiale di Santadi, la quale sorge in un territorio attestato fin dal 1066 come appartenente al regno Giudicale di Cagliari e alla curatoria di Sulci, successivamente passato sotto il dominio pisano prima e aragonese e spagnolo successivamente, e che addossata alla omonima collina. L’attuale edificio di culto deriva da numerosi restauri e ampliamenti avvenuti nel corso del tempo, che hanno modificato l’impianto originario, di cui non si conosce la data precisa di fondazione che alcuni ritengono possa risalire al quindicesimo secolo, e che è documentata nel Cabreo delle Baronie della Diocesi di Iglesias, realizzato dal misuratore Giuseppe Maina nel 1794. Tra le ristrutturazioni più importanti vi è quella avvenuta nel terdo settecento, quando è stata ricostruita la facciata, di gusto neoclassico, che ha il terminale coronato da un timpano triangolare modanato. Accessibile mediante una scalinata, la facciata compresa fra due corpi di fabbrica non omogenei, il primo dei quali, attestato sul versante sinistro, risulta coperto dalla prosecuzione della falda del tetto della Chiesa. La specchiatura, rinserrata entro paraste schiacciate con capitelli modanati, presenta due aperture disposte in asse. A prolungare il vertice della facciata, è stato eretto, tra il 1929 e il 1934, il campanile a vela con due luci gemelle ad arco a tutto sesto. Questo campanile è stato demolito nel 1974 perché pericolante, e ricostruito nel 1979 in calcestruzzo nella parte basale e in muratura di mattoni nella parte terminale, con successivo intonaco. L’interno è costituito da un impianto planimetrico, che potrebbe risalire al tardo settecento, a croce latina costituita da una navata unica absidata e un transetto di modeste dimensioni nel quale sono ricavate due cappelle. Due file di quattro ampi archi a tutto sesto impostati su massicci pilastri reggono la copertura in muratura, articolata mediante archi trasversali in due campate. La navata unica termina, a sud est, nell’abside semicircolare voltata a botte, nella cui parete si apre una finestra lunettata. Annesso all’abside un piccolo locale adibito a sacrestia. Il presbiterio, rialzato di due gradini, è privo di balaustra. Sulla mensola a sinistra dell’ingresso si trova la statua di San Nicolò, in legno intagliato e policromo, della prima metà del diciannovesimo secolo. Presso questa Chiesa si svolge, la prima domenica di settembre, la Festa di San Nicolò e Sant’Isidoro, che sono i Santi Patroni di Santadi, ed il giorno di astensione dal lavoro è il lunedì successivo. Sempre presso questa Chiesa si compie anche, la prima domenica di agosto, il rito di Sa Coia Maureddina, ossia del Matrimonio Mauritano, che descriveremo più avanti. La cerimonia di Sa Coia Maureddina ossia del Matrimonio MauritanoDal 1986, la prima domenica di agosto si svolge a Santadi con grande successo di pubblico una affascinante cerimonia chiamata Sa Coia Maureddina ossia il Matrimonio Mauritano, si tratta di un rito antico nel corso del quale due giovani vengono uniti in matrimonio religioso nella piazza del paese secondo la più antica tradizione pastorale e contadina. La tradizione del Matrimonio Mauritano, in lingua sarda Sa Coia Maureddina, si fa risalire a quando, nella prima metà del primo millennio dopo Cristo, la popolazione del luogo entrò in contatto con i Mori d’Africa, che vi approdarono nel corso delle loro incursioni. Secondo una teoria basata su fonti storiche come il Bellum Vandalicum di Procopio, la derivazione sarebbe da Mauri, abitanti della romana Mauretania, corrispondente ai territori settentrionali degli odierni Stati dell’Algeria e del Marocco. In base a questa teoria, all’epoca dell’invasione vandalica della Sardegna e del nord Africa, nel sesto secolo dopo Cristo, alcuni di questi Mauri sarebbero stati trasferiti nel sud ovest dell’Isola. Da allora i Sardi avrebbero preso a chiamare Maureddinus gli abitanti di questa parte della Sardegna. La processione per le vie del paese inizia con la sfilata dei gruppi folk provenienti da tutta l’isola. Seguono, su carri trainati da buoi detti Is traccas, gli sposi che hanno indossato nelle rispettive case di primo mattino il costume tradizionale di Is Maurreddus, come vengono indicati gli abitanti di Santadi e dell’intero Basso Sulcis. Poi sfilano i cavalieri ed i gruppo folkloristici. La processione arriva nella grande piazza del paese dove, di fronte alla Chiesa troppo piccola per accogliere tutto il pubblico convenuto, è allestito il palco sul quale si svolge la cerimonia del matrimonio. alla fine, la madre della sposa e il padre dello sposo offrono agli sposi un bicchiere di acqua e spargono come augurio di felicità, su loro e sugli invitati, Sa gratzia, costituita da petali di rose, chicchi di grano, granellini di sale, monetine. Le madri poi rompono il piatto che la conteneva. Nella casa della sposa si tiene il banchetto nuziale, mentre i festeggiamenti proseguono fino a notte con musica e balli tradizionali offerti dai gruppi folk. Il Municipio di SantadiNel lato meridionale della piazza Guglielmo Marconi, prima dell’inizio della prosecuzione della via del Camposanto che è la via Vittorio Veneto, prendiamo verso destra lungo il lato meridionale della piazza, e qui, al civico numero 1 della piazza Guglielmo Marconi, vediamo l’edificio che ospita il Municipio di Santadi, con la sua sede e con gli uffici in grado di fornire i loro servizi ai cittadini. Si tratta degli uffici dell’Area Amministrativa e alla persona, ossia del Servizio Socio Culturale, del Servizio Protocollo, e del Servizio Anagrafe; dell’Area Finanziaria, ossia del Servizio Commercio e attivit inerenti la caccia, del Servizio Tributi, e del Servizio SUAP; dell’Area Tecnica, ossia del Servizio Urbanistica, del Servizio Vigilanza, e del Servizio Cimiteriale. Il Civico Museo ArcheologicoPassata la piazza Guglielmo Marconi, dove inizia la prosecuzione della via del Camposanto che è la via Vittorio Veneto, prendiamo invece a sinistra la via Umberto I, la seguiamo per quasi un centinaio di metri, e vediamo alla sinistra della strada, al civico numero 17, l’edificio che ospita il Civico Museo Archeologico di Santadi, che raccoglie reperti dell’età preistorica, nuragica e punica, provenienti da diverse località, rinvenuti nel territorio comunale ed in tutto il comprensorio del basso Sulcis. Concepito come Museo del territorio, custodisce i reperti provenienti dai principali siti archeologici del Basso Sulcis in un’esposizione organizzata secondo la successione cronologica delle diverse civiltà, dagli insediamenti primitivi del sesto millennio avanti Cristo, sino alle fasi fenicio puniche e romane del primo millennio avanti Cristo. Sono presenti inoltre ceramiche, oggetti metallici tra cui i pugnali e il tripode bronzeo di tipo cipriota, e migliaia di vasi rinvenuti nel deposito votivo della grotta di su Benatzu, che descriveremo più avanti. Supporti multimediali, applicativi smartphone e audioguide diversificano le modalità di fruizione, facilitando la contestualizzazione dei reperti e dei siti del territorio che attestano l’evolversi dei modelli di insediamento nel tempo. Il Museo Etnografico denominato Sa Domu AntigaPassata la piazza Guglielmo Marconi, prendiamo la prosecuzione della via del Camposanto che è la via Vittorio Veneto, la seguiamo per un centinaio di metri fino a che la strada incrocia la via Giuseppe Mazzini. Prendiamo la via Giuseppe Mazzini verso destra, ossia verso ovest, e la seguiamo per centoventi metri, fino a vedere, alla sinistra della strada, al civico numero 47, l’edificio che ospita il Museo Etnografico detto Sa Domu Antiga che ha sede in una vecchia casa dei primi del Novecento appartenuta ad una famiglia di Santadi, restaurata e recentemente acquistata dal comune. L’edificio, conserva l’aspetto della tradizionale casa contadina sulcitana, suddivisa in aree ancora oggi ben distinguibili, ossia l’anticamera, la sala da pranzo ed in posizione opposta la camera da letto e la cucina che prospetta sulla corte interna. La pianta, rettangolare allungata, e la copertura a doppia falda con sotto gronda in coppi aggettanti, attentamente recuperati, murature di grande spessore, verosimilmente in pietra e terra, intonaci che sebbene di recente realizzazione ben accompagnano i materiali tradizionali, insieme a serramenti lignei e grate. Il Museo rispecchia la classica abitazione contadina ancora presente nel territorio del Sulcis, e presenta un affascinante percorso tra gli stili di vita sino ai primi del Novecento, tra attrezzi testimoni del lavoro agricolo. L’allestimento nasce con l’intento di rappresentare l’arredo delle case agro pastorali del periodo in tutte le sue funzioni e complessivamente raccoglie circa 800 pezzi. All’interno si trovano l’anticamera, la camera da letto dove dormiva tutta la famiglia, e la sala da pranzo, tutte arredate con mobili antichi. All’esterno si trovano esposti gli utensili per la preparazione e il consumo dei cibi e nelle vicinanze Is lollas, ossia le lolle sotto le quali vengono riposti gli attrezzi utilizzati per il lavoro agricolo. Il Museo delle BambolePassato il Museo Etnografico, proseguendo appena una trentina di metri lungo la via Giuseppe Mazzini, subito dopo la farmacia, sempre alla sinistra della strada al civico numero 55, si vede l’edificio che ospita il Museo delle Bambole, ossia il Dolls Museum, che è ospitato nell’abitazione privata che era di propriet di Maddalena Ibba, colei che lo ha allestito e che lo ha curato fino a quando si spenta nel 2019. La collezione, che ha avuto inizio nel 1966, costituita da una collezione di bambole con costumi tradizionali e d’epoca provenienti da tutti i paesi del mondo. Si tratta di bambole vestite nei costumi tipici dei luoghi di provenienza, che attualmente conta oltre 1500 pezzi provenienti da tutto il mondo. L’ex Monte GranaticoProseguendo lungo la via Giuseppe Mazzini ancora verso ovest, dopo una settantina di metri arriviamo a un incrocio, dove a destra parte la via Emilio Lussu, ed a sinistra la via Risorgimento. Ad angolo con la via Emilio Lussu si trova l’edificio che ospitava il Monte Granatico di Santadi, con ingresso alla destra della via Emilio Lussu, al civico numero 25, e che attualmente è sede del Banco di Sardegna. I Monti Granatici, chiamati anche Monti Frumentari, sono atati istituiti fino dalla alla fine del quindicesimo secolo allo scopo di distribuire ai contadini poveri, con l’obbligo di restituzione, il grano e l’orzo di cui avevano bisogno per la semina. Si rivolgevano in particolare a coloro che vivevano in condizioni di pura sussistenza quando, per il bisogno, erano costretti a mangiare anche quanto doveva essere riservato alla semina, oppure erano costretti a rivolgersi agli usurai. Il Monte Granatico di Santadi è stato costruito alla fine dell’ottocento. Le Scuole secondarie nell’Istituto Comprensivo di SantadiDalla via Giuseppe Mazzini svoltiamo a sinistra nella via Risorgimento, la seguiamo per un centinaio di metri e vediamo, alla destra della strada, al civico numero 10, il cancello di ingresso del complesso di edifici che ospitano l’Istituto Comprensivo di Santadi nel quale si trovano le Scuole secondarie del paese. All’interno di questo complesso scolastico, è presente un Campo da Calcetto, ossia da Calcio a cinque, con fondo in erba sintetica, che non è dotato di tribune per gli spettatori. Il Museo del libro presso le Scuole secondarieAll’interno degli edifici scolastici delle Scuole secondarie ha sede il quarto Museo di Santadi, ossia il Museo del libro meglio definibile come mostra permanente del libro. Suddiviso in diversi settori, è stato creato dai bambini di un età compresa tra i 4 e i 13 anni, con l’ausilio degli insegnanti delle diverse classi. I lavori in esso racchiusi, vengono creati in specifici laboratori attraverso attività manuali, eseguite dai più piccoli delle Scuole primarie, e multimediali, eseguite dai ragazzi delle Scuole secondarie. Aperto al pubblico dal 2002, in esso sono raccolti lavori provenienti da tutta Italia, eseguiti negli ultimi anni scolastici. Inoltre l’Istituto Comprensivo di Santadi è promotore dei concorsi a livello nazionale Leggilo anche tu e Scrivilo anche tu. Il Monumento ai Caduti di SantadiRitornati sulla via Giuseppe Mazzini, proseguiamo ancora verso ovest finché, dopo un centinaio di metri, la strada termina all’altezza del civico numero 101, in uno slargo che viene a volte indicato con il nome di piazza 4 Novembre, dato che da destra in essa arriva la via 4 Novembre. Subito al di là dello slrgo si vedono le Scuole primarie dell’Istituto Comprensivo di Santadi. Al centro della piazza 4 Novembre è presente il Monumento ai Caduti di Santadi durante la prima e la seconda guerra mondiale. Si tratta di un monumento a fontana di forma rotonda, con al centro una scultura, e con accanto diverse lapidi nelle quali sono presenti iscrizioni con i nomi dei caduti. Il monumento è stato realizzato in pietra tra il 1990 ed il 1999, e la scultura è l’allegoria di un soldato che viene rappresentato come un eroe antico. Le Scuole primarie nell’Istituto Comprensivo di SantadiSul retro del Monumento ai Caduti si affaccia l’edificio che ospita l’Istituto Comprensivo di Santadi nel quale si trovano le Scuole primarie, al quale si accede prendendo dalla via Giuseppe Mazzini, prima di arrivare alla piazza 4 Novembre, a destra la via 4 Novembre e poi, dopo una settantina di metri, svoltando a sinistra nella via Cuccaionis, lungo la quale dopo una trentina di metri si vede alla sinistra il cancello di ingresso. All’interno di questo complesso scolastico, è presente un Campo Polivalente all’aperto, senza tribune, nel quale è possibile praticare come discipline il Calcetto ossia il calcio a cinque, la Pallavolo ed il Tennis. È presente anche una Palestra con all’interno il Campo Polivalente al chiuso, dotate di tribune in grado di ospitare un centinaio di spettatori, nel quale è possibile praticare come discipline le Attività ginnico motorie, oltre al Calcetto ossia il calcio a cinque, la Pallacanestro, e la Pallavolo. In localtà su Vaticano si trova il Campo da Calcio parrocchialeDal centro di Santadi, dalla piazza Guglielmo Marconi prendiamo verso sud la via Vittorio Veneto, poi, dopo trecento metri, prendiamo verso sud est la via Grazia Deledda, che dopo quattrocento metri va ad immettersi sulla via Fontana Noa, che arriva da ovest e che uscirà dall’abitato verso est come SP1, assumendo il nome di via Case del Frate. Tornati indietro per un centinaio di metri verso ovest lungo la via Fontana Noa, prendiamo a sinistra la strada che porta in località su Vaticano e, dopo un centinaio di metri, si vede alla destra della strada il cancello che immette al Campo da Calcio parrocchiale. Si tratta di un Campo da Calcio dipendente dalla Chiesa parrocchiale di San Nicola, con fondo il terra battuta, che non è dotato di tribune per gli spettatori. Il Cimitero di SantadiCi rechiamo ora a visitare il Cimitero Comunale di Santadi. Dal cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato, percorsi cinquecento metri eravamo arrivati all’incrocio con la via Is Collus a destra e via Bosa a sinistra. Passato l’incrocio, la strada proseguiva con il nome di via Roma, la abbiamo seguita per duecentocinquanta metri ed eravamo arrivati a una rotonda dove avevamo preso a sinistra la seconda uscita, che è la via Brigata Sassari, la quale, dopo centocinquanta metri, sbocca sulla via del Camposanto. Prendiamo questa strada verso verso sinistra e la seguiamo per trecento metri, fino a vedere, alla destra della strada, il muro di cinta e l’ingresso del Cimitero Comunale di Santadi. Gli impianti sportivi lungo la via Is CollusPer visitare gli impianti sportivi di Santadi, dal cartello segnaletico che indica l’ingresso nell’abitato, percorsi cinquecento metri eravamo arrivati all’incrocio con la via Is Collus a destra e via Bosa a sinistra. Presa a destra la via Is Collus, subito alla sinistra della strada si trova il Palazzetto dello Sport di Santadi, che ospita una Palestra, ossia un impianto polivalente al chiuso dotato di tribune in grado di ospitare 220 spettatori, nel quale praticare le discipline calcio, calcetto ossia calcio a cinque, handball’ossia pallamano, pallacanestro, pallavolo. Il rione periferico Santadi Basso o Santadi InferioreDalla piazza Guglielmo Marconi che è il centro dell’abitato di Santadi, prendiamo verso sud la via Vittorio Veneto, dopo un centinaio di metri svoltiamo a desta in via Giuseppe Mazzini, passata un’ottantina di metri a sinistra la via fontale, che uscirà dall’abitato come via rio Manno. In Ottocento metri arriviamo al rione Santadi Basso ossia Santadi ’e Basciu (altezza indefinita, distanza in linea d’aria circa 0.95 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti), il rione periferico che si trova a sud dell’abitato del centro di Santadi, e che viene chiamato anche Santadi Inferiore. Visita dei dintorni di SantadiVediamo ora che cosa si trova di più sigificativo nei dintorni dell’abitato che abbiamo appena descritto. Per quanto riguarda le principali ricerche archeologiche effettuate nei dintorni di Santadi si trovano due belle grotte, la più bella delle quali sono le grotte di Is Zuddas; tra Santadi e Giba si trova l’importante insediamento fenicio punico di Pani Loriga. Sono stati, inoltre, portati alla luce i resti della Tomba di giganti di Barrancu Mannu o Sa Tuerredda; della fonte sacra di Nanniechi; della grotta Santuario di Pirosu o di su Benatzu; del Protonuraghe Diana; dei Nuraghi complessi di Monte Murecci, Sanna, e Serra Andria Santus; del Nuraghe semplice di Monte Moddizzi; ed inoltre dei Nuraghi Arcu de Mesu, Brenticotta, Case Chirigus, Cirixi, de su Schisorgiu, Mannu de Barrua, di Monte Fenugu, Monticello, Nuraxi Mannu, Pimpini, di Punta Crisioni, Sa Mariga, Sa Tutta de Fai Grau, San Nicola, Sedda Candiazzus, Senzu, Terra Arrubia, Terresoli, tutti di tipologia indefinita. L’insediamento fenicio punico di Pani LorigaDal centro del rione di Santadi Basso, prendiamo a destra, verso nord ovest, la via rio Cane che, in due chilometri e trecento metri, ci porta alla biglietteria dell’insediamento dell’Insediamento fenicio punico di Pani Loriga. L’insediamento sorge su un rilievo isolato all’incrocio tra due vie al centro della piana di Su Pranu, una verso il Campidano e l’altra lungo il corso del fiume rio Mannu di Santadi verso il Cirrexi. Si tratta di un sito di notevole importanza, ubicato in una collina che non supera i 200 metri di altezza, che ospita un enorme insediamento civile e militare di epoca fenicio punica. Fondata nel settimo secolo avanti Cristo da coloni fenici insediatisi lungo la costa sud occidentale dell’Isola, con l’area circostante è stato frequentato fino in epoca romana, ed ha avuto una lunga sopravvivenza poiché si presentava isolata e quindi idonea ad un insediamento di carattere militare, e quindi, nell’altura di Pani Loriga, gli avvicendamenti culturali si ritrovano stratificati quasi ininterrottamente dal quarto millennio avanti Cristo fino all’ottavo secolo dopo Cristo, con chiare tracce di frequentazione fenicio punica, romana e bizantina. La scoperta del settore funerario lungo il versante occidentale della collina di Pani Loriga avviene nel 1969, quattro anni dopo l’individuazione del sito grazie alle ricognizioni del territorio sulcitano dirette da Ferruccio Barreca, e nel maggio di quell’anno, in occasione dei lavori di sterro per la realizzazione della nuova strada di accesso al sito, si incorre, in modo fortuito, nel rinvenimento della necropoli fenicia. Gli scavi, proseguiti poi negli anni settanta del secolo scorso, hanno consentito l’individuazione di tre distinte cinte murarie avvolgenti la collina ad altezze diverse. È evidente l’importanza strategica del sito, che è composto da un’Acropoli, con le abitazioni civili, e da una necropoli, il Tophet fenicio ed un Santuario. L’Acropoli ha un’estensione di cinquanta metri per duecentotrenta, e si trova all’interno di una prima cinta di mura. La necropoli comprende circa centocinquanta tombe di due diverse tipologie. Ci sono le tombe fenicie a fossa, che documentano il rito dell’incinerazione, dalle quali provengono corredi funebri che hanno restituito bocchette con orlo a fungo o bilobato, orecchini a cestello e scarabei, piatti e tazze. Ci sono poi le tombe puniche a camera, con accesso a gradini, costituite da un breve corridoio che immetteva nella camera sepolcrale con il soffitto piatto e pareti verticali, e con nicchie rettangolari per le offerte funebri. A valle è presente una seconda cinta muraria, distante circa trenta metri dalla prima, che avvolgeva l’Acropoli e l’area urbana. Intorno alle pendici della collina si vedono i resti di una terza cinta muraria. Due torrioni difendevano l’accesso all’Acropoli, trasformandolo in uno stretto passaggio che portava ad uno slargo, con il tipico ingresso a tenaglia. resti del Protonuraghe DianaIl sito era già frequentato in epoca prenuragica e nuragica, come testimoniato dalla presenza di alcune domus de janas nonché i resti dell’imponente Protonuraghe Diana, edificato in materiale indeterminato a 157 metri di altezza. Si trova sulla collina del sito fenicio punico di Pani Loriga, inglobato nella doppia cinta muraria di fortificazione del colle, e si tratta di un probabile Nuraghe a corridoio, del quale non è stata però effettuata finora alcune indagine archeologica. Le frazioni Is Vaccas e Is Sinzus raggiungibili da Santadi BassoDa Santadi Basso, prendiamo verso est la via Is Sinzus e, percorsa per due chilometri, arriviamo alla frazione Is Vaccas (altezza indefinita, distanza in linea d’aria circa 2,26 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti). Cinquecento metri più avanti lungo la via Is Sinzus, raggiungiamo la frazione Is Sinzus (altezza 145 metri, distanza in linea d’aria circa 3.01 chilometri sul livello del mare, abitanti 35). Le frazioni Morimenta ’e Susu e Morimenta ’e Basciu che si trovano ad est dell’abitatoProseguiamo lungo la via Is Sinzus verso est e, dopo poco meno di un chilometro, arriviamo in località Morimenta, nella quale si trovano due agglomerati di abitazioni denominati Morimenta ’e Sosu e Monimenta ’e Basciu. Subito dopo il cartello segnaletico che indica la località, svoltiamo a destra e, in trecento metri, raggiungiamo la frazione Morimenta ’e Sosu (altezza 165 metri, distanza in linea d’aria circa 3.19 chilometri sul livello del mare, abitanti 17). Se evitiamo la deviazione a destra e proseguiamo dritti lungo la via Is Sinzus, entriamo dopo un centinaio di metri nella frazione Morimenta ’e Basciu (altezza 151 metri, distanza in linea d’aria circa 4.08 chilometri sul livello del mare, abitanti 18). Le frazioni Barrua ’e Susu e Barrua ’e Basciu che si trovano a sud dell’abitatoDal rione Santadi Basso, continuamo sulla prosecuzione della strada che ci ha portato fino ad esso, e che diventa la SP70. Percorsi un chilometro e duecento metri, arriviamo nella località Barrua, nella quale sono presenti due agglomerati di abitazioni denominati Barrua ’e Susu e Barrua ’e Basciu. Per prima raggiungiamo la frazione Barrua ’e Susu (altezza 132 metri, distanza in linea d’aria circa 2.37 chilometri sul livello del mare, abitanti 43), dalla quale, proseguendo per altri Ottocento metri lungo la SP70, raggiungiamo la frazione Barrua ’e Basciu (altezza indefinita, distanza in linea d’aria circa 3.15 chilometri, non è disponibile il numero di abitanti). Dalla frazione Barrua ’e Susu si raggiunge la frazione CrabìDalla frazione Barrua ’e Susu prendiamo la strada verso sinistra, che si dirige verso est, e, in un chilometro e mezzo, raggiungiamo la frazione Crabì (altezza 129 metri, distanza in linea d’aria circa 2.69 chilometri sul livello del mare, abitanti 26). Tra la frazione Barrua ’e Susu e la frazione Crabì si trova la Chiesa parrocchiale di Santa Maria di Monte FraccaLungo la strada che porta da Barrua ’e Susu a Crabì, percorse appena poche decine di metri, parte una deviazione a destra che, in trecento metri, ci porta a vedere, alla sinistra della strada, la Chiesa di Santa Maria di Monte Fracca, posta ai piedi di una collina chiamata Monte Fracca, che nel 1986 è stata nominata Chiesa parrocchiale per soddisfare le esigenze della popolazione dei dintorni. Futuri approfondimenti dovranno chiarire l’eventuale legame fra il toponimo Monte Fracca, attualmente in uso, e quello di Monte Falchi, utilizzato nella prima attestazione della sua esistenza nel 1638, in un testo del padre predicatore denominatosi Salvatore Vitale, dell’ordine dei minori osservanti, nato come Giovanni Andrea Simone Contini a Maracalagonis nella diocesi di Cagliari nel 1581, che quando è entrato nell’ordine francescano all’età di 36 anni ha cambiato il suo nome in Salvatore Vitale o Salvador Vidal, nome che poi ha utilizzato senza cognome per firmare tutte le sue opere scritte indifferentemente in latino, sardo campidanese, sardo logudorese, spagnolo, castigliano, toscano ed italiano. Sempre con il nome di Santa Maria di Monte Falchi viene, inoltre, citata molti anni dopo, nel 1794, nel Cabreo delle Baronie, realizzato per ordine di Giuseppe Domenico Porqueddu, vescovo di Iglesias, dal misuratore Giuseppe Maina, per la liquidazione di tutte le Baronie che erano appartenute a questo vescovo. Al momento non esistono riscontri certi sulla datazione dell’edificio. Il suo originario impianto dovrebbe risalire al quattordicesimo secolo, ed è da verificare l’ipotesi che gi nel corso del trecento qui fosse stata edificata una Chiesa dedicata alla Madonna, suffragata dal fatto che fra le rendite della diocesi di Cagliari nel 1365 risultasse anche una Terra de Santa Maria situata nel territorio di Santa Ada de Sols, l’odierna Santadi. L’impianto attuale è frutto di rimaneggiamenti di inizio del settecento, che alcuni studiosi datano al 1724, tanto che una tradizione locale, tramandata oralmente e poi riferita in una anonima preghiera tradizionale in versi cantata, un Coggius del 1924, racconta del ritrovamento nel 1724 del simulacro di una Madonna da parte di un cacciatore del luogo e della conseguente realizzazione del piccolo edificio che a quella dedicato. È probabile che in quell’anno l’edificio sorto nel trecento abbia subito quei rifacimenti che lo caratterizzano tuttora, tra i quali, il tamponamento dell’abside. In seguito, nel 1980 e 1981, la Chiesa ha subito un intervento di ristrutturazione totale, in occasione del quale sono state ripristinate le murature ed è stata completamente sostituita la copertura. La Chiesa campestre di Santa Maria, che sorge nelle vicinanze dell’abitato di Barrua, collocata su una base di altezza irregolare atta a sopperire alla disomogeneit altimetrica del terreno. L’edificio, dalle linee semplici ed essenziali, privo di qualsiasi decorazione, contraddistinto da una facciata con terminazione a capanna, all’apice della quale realizzato un piccolo campanile a vela, in asse con il quale sono posti un oculo altrettanto piccolo e l’ingresso principale. La struttura portante costituita da murature in pietre e la copertura in legno con tetto a doppia falda retto da travi longitudinali. Il manto esterno in tegole curve. Sui fianchi, nessun ingresso secondario, solo una stretta luce per ciascun lato, ma la Chiesa era in origine dotata anche di un ingresso laterale e di una finestra ricavata sulla parete di fondo, successivamente ridotta a nicchia. L’interno si compone di un unico vano a pianta rettangolare, coperto da due falde lignee spioventi. L’aula ha il soffitto ligneo e si conclude con l’altarino, addossato al muro di fondo, che ha occluso l’abside semicircolare, rimasta visibile esternamente. E' ancora presente l’altare originale e, per le celebrazioni, nel 1970 stato inserito un piccolo altare in legno e l’ambone, in posizione avanzata rispetto al vecchio altare. La seconda domenica di settembre, a Barrua si celebra la Festa di Santa Maria, per la quale, alcuni giorni prima, la statua di Santa Maria viene portata a Santadi, e la sera del vespro, riportata in processione alla piccola Chiesa di Santa Maria. La domenica pomeriggio, si svolge, poi, la processione all’interno della frazione di Barrua. Dalla frazione Barrua ’e Basciu si raggiunge la frazione su BenatzuDalla frazione Barrua ’e Basciu, percorsi lungo la SP70 quasi due chilometri e mezzo verso sud, raggiungiamo la frazione su Benatzu (altezza 105 metri, distanza in linea d’aria circa 4.93 chilometri sul livello del mare, abitanti 19), nel cui territorio si trovano la Grotta Santuario di Pirosu e la Grotta di Is Zuddas. La grotta Santuario di Pirosu chiamata anche grotta di su BenatzuL’intero territorio comunale di Santadi è ricco di grotte e cavità, che per la diversità delle condizioni geologiche hanno determinato grandiosi fenomeni carsici. In località su Benatzu, alle pendici del Monte Meana, un rilievo collinare che raggiunge appena 237 metri di altezza, ma che nel corso degli anni ha riservato numerose sorprese agli speleologi, nel giugno 1968 alcuni speleologi dell’ASI, l’Associazione Speleologica Iglesiente, hanno scoperto un tempio ipogeico all’interno di una vasta grotta carsica chiamata Grotta Santuario di Pirosu, chiamata anche Grotta di su Benatzu. Il nome della grotta deriva dal cognome della famiglia Pirosu, proprietaria del furriadroxu ossia del cascinale ad essa vicino. Al suo interno, a circa centocinquanta metri dall’ingresso, si trova, preceduto da una camera ricca di pozze d’acqua e formazioni stalattitiche, il tempio, ossia quella che era stata chiamata la Sala del Tesoro, con centinaia di ciotole di varia forma e dimensione, accatastate in tre grandi cumuli. Ma l’elemento più importante era una colonna stalagmitica spezzata alta un metro e ottanta, che fungeva da altare, vicino al quale sono stati trovati accatastati numerosi reperti, oltre duemila. Riportiamo il video, girato dalla Rai, purtroppo senza audio, nel quale si può vedere l’interno della grotta e i reperti che vi furono trovati dentro, durante l’esplorazione del 1968. Tra gli oggetti in metallo ritrovati vi erano pugnali, spade, armi in genere; oggetti ornamentali come bracciali, anelli e collane; utensili domestici come falce e specchio ed infine oggetti votivi e talismanici tra cui un tripode in bronzo, di scuola cipriota micenea, ed un pugnale ad elsa gammata; e sempre in bronzo alcuni altri pugnali, bracciali e anelli. Ai piedi dell’altare vi era un pozzetto d’acqua e accanto ad esso si trovava un grande cumulo di cenere, che costituiva il focolare, dove sono state trovate ossa di animali, segni di sacrifici rituali. Le popolazioni eneolitiche e nuragiche hanno utilizzato sempre come altari delle rocce che venivano scavate opportunamente per ottenerne cavità sia per la raccolta del sangue delle vittime animali e sia per la combustione di visceri degli animali stessi in offerta alla divinità eneolitica del toro e a quella solare nuragica. L’analisi al Carbonio 14 ha consentito di datare i reperti tra l’820 e il 730 avanti Cristo. Il Tesoro è oggi esposto nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, nel Museo Archeologico Villa Sulcis di Carbonia e nel Civico Museo Archeologico di Santadi. La grotta di Is ZuddasLa più conosciuta tra le grotte e cavità presenti nel territorio di Santadi è la Grotta di Is Zuddas, situata in località su Benatzu alle pendici del Monte Meana, il rilievo collinare che raggiunge appena 237 metri di altezza, ma che nel corso degli anni ha riservato numerose sorprese agli speleologi. Il nome della grotta deriva dal cognome della famiglia Zuddas, proprietaria del furriadroxu ossia del cascinale ad essa vicino. Si raggiunge uscendo da Santadi verso sud con la SP70 in direzione di Teulada, dopo sei chilometri si trova l’indicazione per la grotta, che si raggiunge seguendo le indicazioni, alla sinistra della strada provinciale, dopo cinquecento metri. Proprio all’ingresso della grotta è presente un fossile, il Prolagus sardus, vissuto nella zona tra i 25 ed i 10 milioni di anni fa, simile alla lepre ma senza la coda. La grotta è scavata nella roccia calcarea del Monte Meana, a 236 metri sul livello del mare, e costituisce uno splendido scenario sotterraneo creato dall’azione dell’acqua, iniziato nel periodo Cambrico Inferiore, circa 600 milioni di anni fa, e non ancora esaurito dato che la grotta viene considerata ancora in attività. All’interno la temperatura è pari a 16° costanti con un’umidità vicina al 100%, per un percorso turistico di circa 500 metri. Sono presenti stalattiti e stalagmiti, aragoniti, colate, concentrate quasi interamente all’interno di una grande sala. Nel periodo natalizio all’interno di questa sala viene allestito un presepio estremamente suggestivo. Da alcuni anni poi, le sculture in trachite alte 30/40 centimetri di Giovanni Salidu, di Sant’Antioco, rendono il presepe ancora più suggestivo. La grotta, aperta al pubblico dal 1985, ha avuto nei primi anni novanta, il più alto numero di presenze, ossia circa 60.000, che è andato calando col passare degli anni fino ad arrivare alle attuali 30.000 presenze. La grotta del Monte Meana nella quale sono stati rinvenuti i famosi idoletti femminili in ossoA circa quattro chilometri da Santadi, subito dopo l’area delle famose grotte di Is Zuddas, si trova la Grotta del Monte Meana, un’area ad uso funerario ossia un sepolcreto rupestre. Un luogo impervio, circa cento metri sopra il livello della strada montana che congiunge Santadi a Teulada. Dal basso solo con molta attenzione si può scorgere la cavità che si apre nella fitta macchia. A fatica si sale tra i cespugli lungo un sentierino tracciato dagli archeologi e si arriva all’ingresso della cavit naturale dotata di due ingressi, uno dei quali introduce nella Sala Archeologica, una camera larga otto metri, profonda trenta metri, ed alta dodici metri. In questa sala sono statue rinvenute le tracce del più antico insediamento nuragico, costituite da centinaia di frammenti di ceramica e una scala a gradoni perfettamente conservata. Attraverso uno stretto cunicolo si accede al ramo speleologico della cavit carsica. La grotta di Monte Meana è un’autentica miniera per gli studiosi e lo è stata negli anni cinquanta del Novecento anche per gli estrattori di onice. Per un ventennio è stata utilizzata come cava, finché a metà degli anni settanta è stata abbandonata. In quel periodo è stata saccheggiata dai tombaroli. Da questo sito provengono gli Idoletti femminili in osso rappresentanti la Dea Madre, riferiti alla Cultura di Bonu Ighinu che si è sviluppata nel Neolitico Medio, il periodo che si sviluppa secondo la cronologia calibrata tra il 4700 ed il 4200 avanti Cristo e secondo la datazione tradizionale tra il 4000 ed il 3400 avanti Cristo. Le tre statuine di osso erano state consegnate da tombaroli pentiti al professor Enrico Atzeni negli anni settanta del Novecento, e da allora sono esposte al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, eccezionali testimonianze nel Sulcis dell’uomo dell’età della pietra. A spingere gli archeologi ad effettuare ricerche su questo sito nel 2009 è stata l’ipotesi di esplorare il contesto in cui sono state recuperate le tre statuine megalitiche. «Volevamo verificare il processo di formazione del Neolitico nel Sulcis - spiega l’archeologa Giuseppa Tanda - Il Sulcis è la regione italiana che ha restituito il numero più alto di siti risalenti al Neolitico antico. Nessuna meraviglia se dovessimo trovare reperti dell’uomo del Mesolitico visto che ad Arbus è stata rinvenuta una tomba con due scheletri di circa 8 mila anni fa, chiamati Beniamino e Amanda». Più a sud si raggiunge la frazione Is Cattas nella quale si trova la Chiesa campestre di San GiuseppePercorsi ancora un chilometro e settecento metri verso sud lungo la SP70, troviamo una deviazione verso sinistra che, in quattrocento metri, ci porta all’interno della frazione Is Cattas o Is Scattas (altezza 132 metri, distanza in linea d’aria circa 6.18 chilometri sul livello del mare, abitanti 34). All’interno di questa frazione si trova la Chiesa di San Giuseppe, appartenente alla parrocchia di Santa Maria di Monte Fracca ed edificata per soddisfare le esigenze della popolazione del luogo. La Chiesa stata costruita tra il 1965 e il 1966, e si tratta di un edificio di piccole dimensioni. La facciata della Chiesa, sormontata dalle falde spioventi della copertura, presenta l’ingresso e una finestra circolare, poste in asse fra loro e con il culmine della copertura. Internamente l’unico vano di cui la Chiesa si compone scandito dalla presenza di paraste, sulle quali poggiano le capriate della copertura in legno. In corrispondenza della zona presbiteriale le pareti laterali presentano delle aperture. A Is Cattas, presso questa Chiesa, la terza domenica di agosto si svolge la Festa di San Giuseppe, con le cerimonie religiose che sono seguite dalla processione per le strade del posto, ed eventi e manifestazioni che si prolungano per un altro paio di giorni. A nord ovest dell’abitato si trova la frazione Is CollusDal centro di Santadi, dalla piazza Guglielmo Marconi dove si trova il Municipio, prendiamo verso nord ovest la via Roma. Percorsi trecentocinquanta metri lungo la via Roma, dove questa strada termina prima di uscire dall’abitato con il nome di via Cagliari, prendiamo a sinistra la via Is Collus. Seguiamo la via Is Collus e, dopo circa un chilometro, subito dopo la partenza sulla destra della via Sardegna, arriviamo alle prime abitazioni della frazione Is Collus (altezza 96 metri, distanza in linea d’aria circa 1.48 chilometri sul livello del mare, abitanti 129). Gli impianti sportivi lungo la strada per Is CollusPrima di arrivare all’interno della frazione Is Collus, seguita dal centro di Santadi la via Is Collus per appena seicento metri, all’angolo con una deviazione in una strada bianca sulla sinistra, lungo la via Is Collus si vede alla sinistra della strada il cancello di ingresso che porta al Campo da Calcio Comunale Is Collus. All’interno di questo complesso sportivo si trova il Campo da Calcio con fondo in erba naturale, dotato di tribune in grado di ospitare una novantina di spettatori. Attorno al campo da Calcio è presente una Pista Anulare d’atletica leggera nella quale praticare le discipline atletica leggera, corse su pista, salto in alto, salti in estensione, salto con l’asta, lancio del disco, lancio del peso, lancio del martello, lancio del giavellotto. All’interno della frazione Is Collus si trovano i resti del Nuraghe omonimoArrivati alle prime case dell’abitato della frazione Is Collus, proseguendo per circa duecento metri, dove la via Is Collus si immette sulla via Monte Fenosu, si vedono i pochi resti del Nuraghe Is Collus. Si tratta di un Nuraghe complesso edificato in materiale indeterminato a 98 metri di altezza, caratterizzato da una torre principale e bastioni con quattro torri aggiunte, del quale solo piccola parte si trova in superficie, dato che la maggior parte è stata ricoperta dall’abitato moderno. Le autorità competenti sono al corrente della sua presenza, sono state inviate copie della cartina con le torri che ormai non si evidenziano più. Le foto rappresentano ciò che resta del Nuraghe situato nella frazione Is Collus. In seguito alla segnalazione fatta alla Soprintendenza, sono state effettuate delle indagini archeologiche, delle quali non è noto però il risultato. Sono stati fatti degli scavi ma poi tutto è caduto nel dimenticatoio. A nord ovest dell’abitato di Santadi si trovano i resti della Stazione ferroviaria dismessaDal centro di Santadi, dalla piazza Guglielmo Marconi dove si trova il Municipio, prendiamo verso nord ovest la via Roma. Percorsi trecentocinquanta metri lungo la via Roma, dove questa strada termina prima di uscire dall’abitato, prendiamo la sua prosecuzione che è la via Cagliari e la seguiamo per un chilometro e cento metri. Passata alla destra della strada l’Area Industriale di Su Pranu, si vedono alla sinistra della strada i resti della ex Stazione ferroviaria di Santadi che era una stazione sulla linea ferroviaria che collegava Siliqua con San Giovanni Suergiu e poi con Calasetta. La stazione viene realizzata dalla Ferrovie Meridionali Sarde negli anni venti del Novecento nell’ambito della fase di costruzione della rete ferroviaria pubblica a scartamento ridotto per il Sulcis Iglesiente progettata nel decennio precedente. Questa scalo rappresentava il termine della parte in comune tra i due progetti proposti per il collegamento su ferro tra Calasetta e Cagliari: il primo prevedeva che da Santadi la linea proseguisse verso Capoterra per raggiungere il capoluogo regionale senza trasbordi, mentre il secondo, che venne effettivamente realizzato, sarebbe risalito verso Narcao e da qui sino a Siliqua, collegata anche dalla rete delle Ferrovie dello Stato con il Cagliaritano. La stazione, il cui fabbricato viaggiatori viene decorato da Stanis Dessy come altri edifici analoghi delle Meridionali Sarde, è inaugurata nel 1926, e l’esercizio ferroviario prosegue sino alla chiusura della rete FMS nel 1974, quando le relazioni su ferro vengono sostituite da servizi di autolinee. Proprio a tal fine l’area della stazione, continua ad essere impiegata come fermata e deposito per gli autobus delle FMS sino al 2008, anno in cui la ex concessionaria ferroviaria viene assorbita dall’ARST, che da allora usufruisce della struttura per il rimessaggio dei propri mezzi. Le principali Cantine e la latteria Sociale di SantadiAl termine della via Roma, prendiamo la via Cagliari e la seguiamo per due chilometri e trecento metri, fino ad arrivare a una rotonda dove la strada incrocia la SS293 di Giba, prima di arrivare alla frazione Villaperuccio denominata Is Pireddas. Prima dell’incrocio, alla destra della strada si sviluppa un’area industriale, dove sono presenti la Cantina di Santadi, la Cantina denominata Agricola Punica, e la Latteria Sociale di Santadi. La Cantina di Santadi è ubicata nel Sulcis, nata nel 1960, superate le prime difficoltà con l’arrivo di un gruppo dirigente animato da quella determinazione che genera entusiasmo e passione, ha adottato strategie diverse che le hanno dato un nuovo volto con direttive più coerenti per i soci produttori. La Cantina di Santadi lavora principalmente uve rosse, circa il 75 per cento della produzione totale. I vitigni più importanti sono il Carignano, il Monica, il Sangiovese, il Syrah, il Merlot, il Bovaleddu per quanto riguarda i rossi, il Vermentino, il Nuragus, lo Chardonnay e il Nasco per i bianchi. Con l’impegno ed il meticoloso lavoro in vigna vengono mantenute basse produzioni per ceppo per garantire uve di grande pregio, figlie dell’antica tradizione enologica abbinata all’impiego delle nuove tecnologie in materia di vinificazione, stabilizzazione e imbottigliamento. La Cantina di Santadi ha ottenuto dalla guida Vini d’Italia 2023 del Gambero Rosso il riconoscimento dei Tre Bicchieri per il suo vino Carignano del Sulcis Superiore Terre Brune 2018. |
La Agricola Punica è uno dei nomi più rinomati al mondo nella produzione del vino, nata da una collaborazione dell’enologo Sebastiano Rosa di Tenuta San Guido, la Cantina Sociale di Santadi, ed il leggendario enologo toscano Giacomo Tachis. La sua storia ha inizio verso la metà degli anni Ottanta, ed è proprio Giacomo Tachis a pensare alla Sardegna, convincendo tutti del fatto che potessero produrre un fantastico vino dalle uve coltivate nel Sulcis. Nel 2002, agricola Punica acquista un terreno diviso in due tenute, Barrua e Narcao, nelle quali i vigneti situati sono caratterizzati da 15 ettari di Carignano, piantato nel 1990, e 50 ettari di nuovi impianti di Carignano, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot. I terreni sono molto profondi e sassosi con una media quantità di argilla. I suoi vini sono denominati IGT isola dei Nuraghi, nome che si riferisce alle antiche torri di pietra costruite dalla civiltà nuragica. L’azienda produce due grandi vini rossi, Barrua e montessu, ed un ottimo vino bianco chiamato Samas. |
Mistero, silenzio, colore, profumo di mirto, terre brune con dolci pendii punteggiati da greggi tintinnanti, caratterizzano questo spicchio di Sardegna. Il Sulcis, abitato da tempi lontani ha accolto popoli e genti che, valorizzando un industria millenaria, la natura, hanno avviato la tradizionale produzione di formaggio. Qui, al civico numero 68 di via Cagliari a Santadi, la Latteria Sociale di Santadi dal 1962, con i suoi numerosi soci continua la tradizione locale lavorando latte di prima qualità in un caseificio moderno dove si produce un formaggio certificato di carattere forte e generoso, particolare e vivo, in sintonia con il gusto del consumatore internazionale. La latteria produce pecorini di diverse stagionature, caprini e formaggi spalmabili. |
Le frazioni Is Pisanus e Is Pinnas a nord ovest dell’abitato di Santadialla rotonda prendiamo la SS293 di Giba che ci porta a visitare altre due frazioni di Santadi. Seguiamo la SS239 di Giba verso nord est per circa un chilometro e vediamo, alla destra della strada, la deviazione con le indicazioni che ci portano alla frazione Is Pisanus (altezza 102 metri, distanza in linea d’aria circa 3.02 chilometri sul livello del mare, abitanti 13). Evitando la deviazione per la frazione Is Pisanus, proseguiamo lungo la SS293 di Giba per cinquecento metri, poi prendiamo a destra e, dopo quattrocentocinquanta metri, la strada diventa la via Is Sollais, che ci conduce all’interno della frazione Is Pinnas (altezza 117 metri, distanza in linea d’aria circa 2.91 chilometri sul livello del mare, abitanti 60). La prime frazioni Is Lois de Basciu e Is Piroddis a nord est dell’abitato di SantadiProcedendo lungo la via Murdeu, passiamo l’incorcio con la via delle Mimose a destra e via degli Ulivi a sinistra, poi più avanti, a due chilometri da dove la avevamo imboccata, dalla via Murdeu svoltiamo a destra e, in duecentocinquanta metri, arriviamo nella località Is Lois, dove troviamo prima la frazione Is Lois de Basciu (altezza 158 metri, distanza in linea d’aria circa 2.40 chilometri sul livello del mare, abitanti 12), poi, percorsi altri cinquecento metri, troviamo la località Is Lois de Susu. Dove dalla via Murdeu avevamo svoltato a destra per raggiungere la località Is Lois, svoltiamo, invece, a sinistra, e, dopo settecentocinquanta metri, raggiungiamo la frazione Is Piroddis (altezza 144 metri, distanza in linea d’aria circa 2.50 chilometri sul livello del mare, abitanti 51). La frazione Is Sabas con la Chiesa parrocchiale di Nostra Signora di FatimaProseguendo per altri quattrocentocinquanta metri svoltiamo a sinistra e, dopo duecento metri, arriviamo alla frazione Is Sabas (altezza 143 metri, distanza in linea d’aria circa 2.91 chilometri sul livello del mare, abitanti 43), il cui nome deriva dal cognome dei proprietari di un Furriadroxu, ossia di un cascinale, col plurale di famiglia. All’interno di questa frazione è stata fondata la Chiesa parrocchiale di Nostra Signora di Fatima una delle nuove Chiese parrocchiali di Santadi, la cui erezione è stata deliberata con Decreto del Presidente della repubblica nel dicembre 1967 per soddisfare le esigenze della popolazione della zona. La facciata della Chiesa è improntata alla massima semplicità e, nella parte alta, segue l’andamento della copertura a due falde. Nel vertice più alto è presente una croce metallica. Lo spazio interno è internamente articolato in un unico ambiente a sviluppo longitudinale le cui pareti sono continue e dotate di ampie finestre che garantiscono un discreto illuminamento. Il presbiterio risulta rialzato di un gradino rispetto all’aula. Il soffitto internamente è costituito da solaio piano. Le altre frazioni Is Scanus, Is Pirosus e Is Xianas a nord est dell’abitato di SantadiEvitando la deviazione per Is Sabas, continuiamo sulla strada proveniente da Is Piroddis e, dopo trecento metri, raggiungiamo la frazione Is Scanus (altezza 144 metri, distanza in linea d’aria circa 3.24 chilometri sul livello del mare, abitanti 11). Ripresa la via Murdeu, passate le deviazioni verso destra per Is Lois e verso sinistra per Is Piroddis, proseguiamo dritti e, dopo circa tre chilometri, arriviamo alla frazione Is Pirosus (altezza 191 metri, distanza in linea d’aria circa 3.40 chilometri sul livello del mare, abitanti 34). Passata la frazione Is Pirosus, percorsi appena circa trecento metri, entriamo nella piccola frazione Is Xianas (altezza imprecisata, distanza in linea d’aria 3.67 chilometri sul livello del mare, non è disponibile il numero di abitanti). Le prime frazioni Casa del Frate e Is Cosas ad est dell’abitato di SantadiDal centro di Santadi, dalla piazza Guglielmo Marconi prendiamo verso sud la via Vittorio Veneto, poi, dopo trecento metri, prendiamo verso sud est la via Grazia Deledda, che dopo quattrocento metri va ad immettersi sulla via Fontana Noa, ed esce dall’abitato verso est come SP1, che qui assume il nome di via Case del Frate. Percorsi trecentocinquanta metri sulla SP1, arriviamo alla frazione Case del Frate (altezza 113 metri, distanza in linea d’aria circa 1.03 chilometri sul livello del mare, abitanti 24). Dalla frazione Case del Frate, proseguiamo lungo la SP1 che assume il nome di via Terresoli per poco più di un chilometro, poi svoltiamo a sinistra in via Is Cosas, e, dopo Ottocento metri, raggiungiamo la frazione Is Cosas (altezza 166 metri, distanza in linea d’aria circa 1.64 chilometri sul livello del mare, abitanti 13). La frazione Terresoli con la Chiesa parrocchiale di San Giovanni BoscoEvitando la deviazione per Is Cosas, proseguiamo lungo la SP1 e, dopo trecento metri, entriamo nella grande frazione Terresoli (altezza 127 metri, distanza in linea d’aria circa 2.66 chilometri sul livello del mare, abitanti 390), il cui nome va interpretato come Terra ’e soli ossia Terra esposta al sole. All’interno della frazione Terresoli è presente, duecentocinqanta metri più avanti lungo la via Terresoli, al civico numero 122 di questa strada, la Chiesa parrocchiale di San Giovanni Bosco che è una delle Chiese parrocchiali di Santadi, edificata nei primi anni settanta del Novecento. L’edificio si contraddistingue in facciata per la presenza di un corpo addossato, la cui altezza di poco inferiore a quella dell’edificio stesso; a pianta rettangolare, aperto su tre lati, coperto da falde spioventi, esso funge da pronao. Sul lato sinistro della Chiesa, allineato con la facciata, il campanile, realizzato con materiali analoghi a quelli della facciata. Internamente lo schema รจ di grande semplicit , si tratta infatti di un unico vano con copertura piana; una trave a vista segna l’ingresso alla zona presbiteriale. Gli impianti sportivi nella frazione TerresoliSul retro della Chiesa parrocchiale si trovano gli impianti sportivi di Terresoli, che comprendono un Campo da Calcetto, gestito dall’Associazione Culturale Punto d’Incontro, con fondo in erba sintetica, dotato di tribune in grado id ospitare un centinaio di spettatori, nel quale è possibile praticare incontri di calcetto, ossia di calcio a cinque. All’interno dell’abitato di Terresoli è presente anche un Campo da bocce, gestito anch’esso dall’Associazione Culturale Punto d’Incontro, dotato di una pista per il gioco delle bocce, nel quale non sono presenti tribune per gli spettatori. La frazione Barrancu MannuDalla Chiesa parrocchiale di San Giovanni Bosco, proseguiamo nell’abitato di Terresoli e poi, seguendo ancora la SP1, percorriamo un chilometro e trecento metri, quindi seguendo le indicazioni prendiamo la deviazione a sinistra che, in trecento metri, ci porta nella frazione Barrancu Mannu (altezza 160 metri, distanza in linea d’aria circa 5.09 chilometri sul livello del mare, abitanti 117), famosa perché nel suo territorio si trova una famosa Tomba di giganti. La Tomba di giganti di Sa Tuerredda detta anche di Tomba di giganti di Barrancu MannuDall’abitato di Barrancu Mannu, proseguiamo vedendo dopo poco più di un centinaio di metri a sinistra la via Is Pisanus, la evitiamo e proseguiamo lungo la strada bianca seguendo le indicazioni, dopo duecentocinquanta metri vediamo a sinistra, ossia verso nord, il sentiero che, in quasi cinquecento metri, ci porta al parcheggio per la Tomba di giganti di Sa Tuerredda, chiamata anche Tomba di giganti di Barrancu Mannu dal nome della località nella quale si trova, e la raggiungiamo con un sentiero di altri cinquecento metri. La tomba si erge in uno scenario naturale incantevole, tra dirupi e picchi granitici, e le vecchie popolazioni attribuirono al sito lo strano nome di Barrancu Mannu, poiché sostanzialmente si tratta di una tomba collettiva, in cui al suo interno venivano sepolte le genti del vicino villaggio nuragico che era verosimilmente più a valle, protetto in molti tratti da muraglie difensive ciclopiche. Costruita con grossi blocchi di granito giallo rosa, la pianta si articola in un corpo principale absidato lungo venti metri che ospita la camera funeraria coperta ad ogiva tronca, e in un’esedra arcuata di larghezza massima di quasi quindici metri, i cui bracci si protendono dai lati della facciata. Nella facciata, conservata per quasi cinque metri, spicca la coppella al centro dell’architrave. La tomba è stata eretta in una zona strategica da cui era possibile controllare le valli sottostanti, con lo scopo di difendere l’attività pastorale della comunità del luogo e le proprie genti. Alcuni attribuiscono a questo sito dei poteri curativi, quasi magici, dovuti ai particolari campi magnetici ivi presenti. Le ultime frazioni Is Langius e Is Canis ad est di SantadiDalla frazione Terresoli, proseguiamo con la SP1 verso est, saltiamo la deviazione a sinistra per Barrancu Mannu e continuiamo dritti, dopo un centinaio di metri prendiamo a destra la deviazione sulla via Is Sinzus che, in circa duecento metri, ci porta alla frazione Is Langius (altezza 169 metri, distanza in linea d’aria circa 4.82 chilometri sul livello del mare, abitanti 20). Evitata la deviazione verso destra sulla via Is Sinzus per Is Langius, proseguiamo sulla SP1 e, dopo un chilometro e mezzo, prendiamo la deviazione a destra che, in trecentocinquanta metri, ci porta alla frazione Is Canis (altezza 200 metri, distanza in linea d’aria circa 6.68 chilometri sul livello del mare, abitanti 26). La località Pantaleo con la sua foresta demanialePer chi ama il verde e la pace dei boschi, Santadi possiede un patrimonio boschivo straordinario. Evitata anche la deviazione per Is Canis, proseguiamo lungo la SP1 e, dopo due chilometri e duecento metri, arriviamo nella località Pantaleo, sede del Complesso Forestale di Pantaleo che cura oltre ottomila ettari di superficie, e comprende quattro unità gestionali, tra cui tre foreste demaniali, ricadenti nei comuni di Narcao, Nuxis, Santadi, Siliqua, Villamassargia. In questa località, a pochi chilometri dal centro abitato, si estende la splendida Foresta demaniale di Pantaleo che comprende alberi secolari, querce, filliree, sughere ma soprattutto importante in quanto unica in Europa, la lecceta. Tutta la zona è ricca di sorgentie di uno straordinario sottobosco ricco di funghi. Il bosco ha consentito la sopravvivenza del cervo sardo e del daino che vengono protetti per assicurarne la continuità della specie. Sempre ai piedi del bosco si trova l’edificio che ospita il cantiere dell’Ente Foreste, che si occupa di ripristinare la vegetazione nelle aree degradate, vigilare sulla presenza e la diffusione degli animali che abitano il bosco e la difesa degli incendi. I resti delle industrie di PantaleoLa storia del Complesso di Pantaleo nasce quando Leone Goüdin, proprietario della miniera di ferro di San Leone presso Capoterra, per conto della società francese Petin et Gaudet conosciuta in paese come Des Forges, ha acquistato sul finire dell’ottocento una vasta estensione di bosco nei monti del Sulcis. La zona tra Santa Lucia e Pantaleo è stata da lui sfruttata per la produzione di carbone da legna. Successivamente, nel 1913, è stata impiantata a Pantaleo un’industria per la distillazione del legno, che produceva alcool metilico, acetone e acido acetico, per la quale è stata realizzata una ferrovia che collegava la fabbrica con Porto Botte per l’imbarco dei prodotti. Tra il 1915 ed il 1918 si è verificato il boom dell’attività, con un calo verso il 1919. La società francese ha continuato le attività di taglio del legname e produzione del carbone fino alla fine degli anni trenta del Novecento. Le attività nei boschi hanno attirato numerosi lavoratori forestieri, molti provenienti dalla Toscana, alcuni dei quali si sono stanziati a Santadi ed hanno messo su famiglia, tanto che molti cognomi santadesi richiamano queste origini. Cessata la produzione industriale, dopo anni di abbandono la vasta foresta di Pantaleo nella quale era presente il complesso industriale è ritornata in mano pubblica intorno al 1980. A testimonianza del suo passato industriale, nella foresta di Pantaleo sono presenti ancora oggi numerosi edifici, alcuni dei quali oggi ridotti a ruderi, mentre altri invece si trovano in buono stato di conservazione. I ruderi della fabbrica sono stati, in seguito, restaurati, e Pantaleo è diventato il centro per le visite alla foresta demaniale di ottomila ettari. Il più imponente albero di eucalipto della Sardegna, con oltre sei metri e mezzo di circonferenza e ventisette metri di altezza, piantato a fine del diciannovesimo secolo, si fa ammirare nel piazzale davanti agli edifici dell’antico complesso industriale. La Cappella di PantaleoTra gli edifici che costituivano il complesso industriale di Pantaleo è presente anche un piccolo edificio religioso, la Cappella di Pantaleo, della quale non si conosce l’intitolazione, probabilmente perché è priva di uno specifico Santo titolare. La Cappella è stata costruita dalla società francese che era dedita allo sfruttamento boschivo del territorio santadese, per le esigenze spirituali dei suoi operai e dirigenti. Si tratta di una Chiesa di piccole dimensioni, immersa nella vasta foresta di lecci presente sul massiccio montuoso sulcitano. Ancora oggi, all’interno della Cappella di San Pantaleo, viene custodita una statua della Madonna di Lourdes. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, da Santadi scenderemo a Piscinas che visiteremo con il suo centro dove si trova la villa patrizia della famiglia Salazar. |