Un sito di oltre 450 pagine che descrive tutta l’Isola e che pur non vendendo niente riceve da 600 a oltre 1400 visitatori ogni giorno | ||||
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Sant’Antioco, l’antica Sulci dove sopravvive l’arte di tessere il bisso, con il Tophet fenicio e la necropoli punicaInizieremo ora la visita dell’isola di Sant’Antioco, che effettueremo in tre tappe. In questa prima tappa visiteremo il paese di Sant’Antioco e vedremo anche gli importanti resti archeologici presenti all’interno dell’abitato. Nella successiva tappa vedremo i resti del periodo nuragico e soprattutto del periodo fenicio punico nell’isola di Sant’Antioco, ed effettureremo la visita di tutte le coste dell’isola con le diverse cale e le sue diverse spiagge. Nella terza tappa ci recheremo a Calasetta, il secondo paese dell’isola, che vedremo con il suo centro abitato e con le sue spiagge. Il Sulcis nella Regione storica del Sulcis-Iglesiente
Da San Giovanni Suergiu la SS126 Sud Occidentale Sarda ci porta sull’isola di Sant’AntiocoDa San Giovanni Suergiu proseguiamo verso sud lungo la SS126 Sud Occidentale Sarda fino a raggiungere, dopo circa nove chilometri e mezzo, l’isola di Sant’Antioco. Arriviamo sull’isola attraverso uno Stretto istmo, lungo cinque chilometri, che collega l’isola di Sant’Antioco all’isola madre. L’Isola di Sant’Antioco si estende per 109 chilometri quadrati. È la quarta isola d’Italia come dimensione dopo Sicilia, Sardegna ed Elba. Ha due soli centri abitati, il paese di Sant’Antioco e il paese chiamato Calasetta, oltre all’importante complesso turistico di Maladroxia. La ex centrale Termoelettrica di Santa Caterina
La frazione Is loddis
Passata la frazione vediamo sulla sinistra lo stagno di Santa Caterina e la Salina di Stato di Sant’AntiocoLo stagno laguna di Santa Caterina e la Salina di Stato di Sant’Antioco costituiscono un sistema lagunare e stagnale legato all’emersione di barre sabbiose, che costituivano una zona umida di grande interesse, che è stata però fortemente condizionata dall’intervento dell’uomo, legato all’impianto delle saline, che si è manifestato attraverso la costruzione di argini provvisti di chiuse, che delimitano le vasche evaporanti e le caselle salanti. Lo stagno laguna di Santa Caterina ha una superficie di 690 ettari, e la sua profondità massima si aggira intorno ai due metri, mentre gli apporti idrici da parte dei corsi d’acqua sono assicurati dal rio Palmas, dal rio Sassu e dai numerosi canali di bonifica che costituiscono una fitta rete di drenaggio intorno alla zona. All’interno dllo stagno laguna si trovano quattro isolotti, ossia a nord est la piccola Isola de Sa Scruidda, più a sud ovest l’Isola Manna, a sud rispetto a questa l’Isola Porcu ’e Scriba, poi ancora a sud ovest l’Isola Gruccianas. All’attività della Salina di Stato di Sant’Antioco partecipano anche gli stagni delle zone di Porto Pino e di Porto Botte. Infatti, i bacini di Is Brebeis e di Porto Pino, vengono anche utilizzati come vasche presalanti dalla salina, il bacino di Maestrale funge da vasca di evaporazione per la stessa salina, e gli stagni della zona umida di Mulargia, Porto Botte e Baiocca sono utilizzati come vasche evaporanti dalla salina. L’elevata salinità delle acque e del suolo dei terreni circostanti, condiziona la vegetazione, che si sviluppa solo con specie Alofile, ossia con organismi che si sono particolarmente adattati a livelli di salinità piuttosto elevati, molto superiori a quelle normalmente tollerate dai normali organismi. Costituiscono, comunque, aree di sosta e riproduzione di una ricca avifauna di interesse comunitario. La parte meridionale dell’area dello stagno laguna era stata adibita a peschiera, costituendo la Peschiera di Palmas, che un tempo comprendeva tutta la laguna. La sua produttività è stata, però, notevolmente ridotta a causa dell’inquinamento determinato dagli scarichi urbani ed agricoli. Oggi, nello stagno laguna non viene esercitata l’attività di pesca in quanto le acque iperaline sono proibitive per la popolazione ittica. I menhir su Para e Sa Mongia
In localtà Ponti vediamo i resti del Ponte romano vicino al quale si trovava la Stazione Ferroviaria di PontiProseguiamo con la SS126 Sud Occidentale Sarda oltre l’istmo, ed imbocchiamo il nuovo ponte in cemento, aperto nei primi anni ottanta del secolo scorso, che ci porterà al paese di Sant’Antioco. Lungo la strada, a tre chilometri dalla frazione Is loddis, dopo aver incontrato il cartello indicatore dell’ingresso nell’abitato di Sant’Antioco, sulla sinistra della strada, in un’aiuola ci accoglie un accattivante Benvenuti a Sulci. Duecento metri più avanti, arriviamo in località Ponti (altezza indefinita, distanza in linea d’aria circa 3.0 chilometri da Sant’Antioco) dove vediamo sulla destra della strada il Vecchio Ponte romano chiamato Ponti Mannu, uno dei pochi resti del periodo della dominazione romana, che è stato utilizzato fino al 1984 come unica via di accesso all’isola. In località Ponti era attiva fino al 1974 la Stazione Ferroviaria di Sant’Antioco Ponti situata nel Porto Industriale antiochense, lungo la dismessa ferrovia che collegava Siliqua con San Giovanni Suergiu e da qui proseguiva per Calasetta. La stazione viene edificata prima della fine del primo decennio del novecento nell’area del vecchio ponte romano, che all’epoca era ancora in uso per scavalcare il canale che divideva in quei decenni l’isola antiochense dalla Sardegna, ed è legata principalmente al traffico merci, sebbene per tutta la sua vita venga impiegata anche come fermata per il servizio viaggiatori. Negli anni trenta, con la costruzione di uno stabilimento industriale vicino all’impianto e con l’aumento dell’attività estrattiva della zona, il porto diviene meta di un grosso movimento di treni, ed ancora di più dopo l’avvio dell’attività estrattiva nella miniera carbonifera di Serbariu, alle porte della nuova città di Carbonia. Nell’immediato dopoguerra, crollando per la progressiva dismissione del settore estrattivo sulcitano, si arriva alla riduzione dell’esercizio, ma la stazione rimane attiva nonostante la sua minore strategicità, fino a quando viene chiusa nel 1974. Da allora la stazione di Sant’Antioco Ponti non è più attiva e l’area in cui sorgeva è stata in gran parte disarmata negli anni successivi, tanto che oggi non ne rimane più che qualche traccia. Passato il Ponte romano arriviamo al porto IndustrialeLa SS126 Sud Occidentale Sarda passa sul nuovo ponte in cemento che attraversa il tratto di istmo, che è stato aperto e viene regolarmente dragato per consentire alle navi provenienti dal mare aperto sulla destra, attraverso la laguna di Sant’Antioco, di accedere al Porto Industriale che si vede sulla sinistra. Oltre il porto Industriale, si apre il Golfo di Palmas ed il mare aperto verso sud est. Il porto Industriale è stato realizzato negli anni trenta del secolo scorso come punto di imbarco per il prodotto dell’attività mineraria estrattiva dell’Iglesiente e del Sulcis. Entriamo nell’abitato di Sant’AntiocoPassato il Porto Industriale, la SS126 Sud Occidentale Sarda passa sul nuovo ponte in cemento che attraversa il tratto di istmo che unisce l’isola di Sant’Antioco con l’isola madre. Percorsi ancora settecentocinquanta metri, la strada statale assume in nome di via Nazionale e ci conduce all’interno dell’abitato di Sant’Antioco. Dal Municipio di San Giovanni Suergiu a quello di Sant’Antioco si percorrono 9.8 chilometri. Il comune chiamato Sant’Antioco
Questo paese fa parte dell’Associazione nazionale città del Vino
Origine del nomeIl suo nome è attestato fino nell’anno 1341, quando si trova la definizione di Pro grantitio de Pau rectore S. Antiocu diocesis sulcitane, e ripete, quindi, il nome del Santo titolare della chiesa parrocchiale. La sua economiaLa sua economia si basa su tutti i settori produttivi. Per qaunto riguarda il settore primario, l’agricoltura produce cereali, frumento, ortaggi, foraggi, vite, olivo, agrumi e frutta; si allevano anche bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. Nel settore secondario, l’industria è costituita da imprese che operano nei comparti alimentare, della lavorazione e conservazione della frutta e degli ortaggi, della produzione di sale, tessile, dell’estrazione, del vetro, dei materiali da costruzione, dei laterizi, metalmeccanico, cantieristico, dei mobili, della produzione e distribuzione di energia elettrica e dell’edilizia. Interessante in questo settore è anche l’artigianato, soprattutto quello specializzato nella produzione di tappeti e di arazzi, non mancano, inoltre, attività legate all’essiccazione dei giunchi per i cesti, l’intarsio del legno e la produzione di nasse. Ma soprattutto sopravvive oggi, grazie alla maestria di Ciara Vigo, una importante artigiana antiochense, la tecnica della produzione del bisso o seta marina, che è un pregiato e raro tessuto color rame realizzato con i filamenti di una conchiglia triangolare bivalve, la Pinna nobilis setacea. Per quato riguarda il settore terziario, le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione e di soggiorno Il ricco patrimonio archeologico unito a un mare splendido con fondali mozzafiato, spiagge lunghe e incantevoli che si alternano a calette rocciose, ne fanno una meta turistica molto ambita. Altro motivo di richiamo è la gastronomia locale che ha due origini, una pastorale, legata ai prodotti della terra e all’allevamento, e una marinaresca, legata all’attività della pesca. Brevi cenni storici
Sant’Antioco in una bella lirica di Salvatore Quasimodo
Le principali principali feste e sagre che si svolgono a Sant’Antioco
Visita del centro di Sant’AntiocoL’abitato, che si estende attorno ai resti del forte Sabaudo, interessato da un fenomeno di forte espansione edilizia, mostra l’andamento tipico delle località collinari, ed ha l’aspetto caratteristico dei villaggi di pescatori, con le piccole case basse e colorate dai tetti rossi, dalle strade strette ma con una struttura urbana complessa. All’arrivo nel paese dal ponte sull’istmo, si trova una deviazione verso destra che porta a percorrere tutto il lungomare caduti di Nassirya, che conduce al Porto Turistico, e proseguendo porta all’estremo del paese, nella zona archeologica. Proseguendo, invece, dritti, la SS126 Sud Occidentale Sarda diventa la via Nazionale, che porta all’interno del centro abitato. Prima di arrivare in centro si trovano gli Impianti Sportivi di Sant’AntiocoProseguendo lungo la via Nazionale, alla sinistra della strada si trova quello che resta degli impianti della Sardamag, una ex fabbrica di ossido di magnesio, che è stata totalmente demolita nella primavera del 2008. Dopo quattrocento metri si vede, alla destra della strada, lo storico ingresso del Campo Sportivo, in cui nuovo ingresso si trova però sul suo retro, nel lungomare Amerigo Vespucci, dove si trovano anche gli altri Impianti Sportivi di Sant’Antioco. Si tratta di un Campo da Calcio con manto in erba sintetica, dotato di tribune in grado di ospitare 1500 spettatori. Dopo l’uscita di scena nel 2015 dello storico Sant’Antioco calcio, gravato da un’infelice congiuntura finanziaria, nell’isola sono comparse due nuove realtà del pallone, la società Antiochense 2013 e la nuova formazione L’isola di Sant’Antioco, che sono partite nel 2016 dalla seconda categoria. All’altro lato del lungomare Amerigo Vespucci, si trovano gli ingressi del Campo da Calcetto, con tribune per 300 spettatori, e di due Campi da Tennis, con tribune per 500 spettatori. Prendendo per le spiagge si trovano le Cantine Sardus PaterPoco più avanti, svoltamo tutto a sinistra e prendiamo la via della Rinascita, seguendo le indicazioni per la Polizia Municipale, le Spiagge ed i Carabinieri. Prendendo l’indicazione per le spiagge, dopo trecentocinquanta metri, verso l’uscita del paese, si trova alla destra della strada l’ingresso delle Cantine Sardus Pater, le famose Cantine Sociali di Sant’Antioco. Nella piazza Aldo Moro si trova la chiesa parrochiale della Nostra Signora di Bonaria
Il nostro soggiorno a Sant’AntiocoNei nostri soggiorni a Sant’Antioco abbiamo alloggiato più volte in via Nazionale nel simpatico Hotel Moderno, situato al centro del paese. Da dove avevamo preso la via della Rinascita, proseguendo invece dritti, con la via Nazionale che ci porta nel centro del paese. Proseguendo per circa duecentocinquanta metri vediamo, alla sinistra della strada, l’Hotel Moderno nel quale abbiamo soggiornato spesso nelle nostre permanenze a Sant’Antioco. Il ristorante Da Achille consigliato dalla Guida MichelinIl ristorante dell’Hotel Moderno, con la sua ottima cucina, si è ormai reso del tutto autonomo rispetto all’Hotel, ed ha assunto il nome di ristorante Da Achille. Si tratta di un ristorante tipico consigliato dalla Guida Michelin. Lungo la via Nazionale si incontra la chiesa parrocchiale di Santa Maria Goretti Vergine MartireProseguendo lungo la via Nazionale, dopo circa trecento metri vediamo, alla sinistra della strada, la piazza della Repubblica, sulla quale si affaccia la chiesa di Santa Maria Goretti Vergine Martire che è la seconda chiesa parrocchiale di Sant’Antioco. Sebbene si trovi nella piazza, l’ingresso della chiesa viene indicato nella via Nazionale, al civico numero 2. La storia di questa chiesa inizia nel 1947, quando il parroco dell’allora unica parrocchia di Sant’Antioco, preoccupato dell’espandersi del paese verso il porto, si mettono alla ricerca di un locale da adibire almeno a Cappella per l’assistenza spirituale ai nuovi abitanti della periferia del paese. A loro viene concesso un piccolo magazzino usato come deposito attrezzi degli operai della carbonifera, che diviene la Cappella della zona Acai, dedicata a Nostra Signora di Bonaria, patrona dei marinai. Ma la Cappella si rivela subito molto ristretta, e si provvede alla costruzione di una nuova chiesa. L’edificio viene terminato nel 1959, e la chiesa viene completata nel 1966 e dedicata a Santa Maria Goretti. In piazza della Repubblica si trova l’agenzia di servizi turistici TuttoSantAntiocoIn piazza della Repubblica, al civico numero 11, si trova la sede dell’agenzia di servizi turistici TuttoSantAntioco. In piazza Italia si trovano i resti della fontana Romana di Sant’AntiocoPassata la piazza della Repubblica, la via Nazionale prosegue con la via Roma. Percorsi poco più di centocinquanta metri, alla destra della strada si apre la grande piazza Italia, con al centro la Fontana Romana o Fonte de Is Solus dove il termine Is Solus potrebbe essere il plurale di Su Solu, ad indicare la sorgente, che Vittorio Angius, nel 1849, chiama la fontana Is Quattru Solus. Si tratta di una depressione con scale di accesso, che doveva essere la testa di un acquedotto o di una falda sorgiva, le cui origini sono molto antiche, forse addirittura precedenti alla conquista romana della Sardegna. Dove attualmente si apre la fonte, a tre metri di profondità rispetto all’attuale livello della piazza, si trovava l’antico piano di calpestio praticabile in età punica e romana. Oggi si vede solo la parte ristrutturata agli inizi del diciannovesimo secolo, dato che i resti antichi si trovano al di sotto del piano della piazza e quindi non sono direttamente visibili. Dall’antichità e sino ai nostri giorni la fontana romana è stata l’unica forma di approvvigionamento idrico per la popolazione. Nella piazza Italia è presente anche una fontana nuova. Il corso Vittorio Emanuele nel quale si svolge la passeggiata serale di centinaia di giovani nelle sere d’estatePassata piazza Italia, parte verso destra la via Belvedere, mentre noi prendiamo la prosecuzione della via Roma, che è il corso Vittorio Emanuele, un bel viale alberato, nel quale si svolge la passeggiata serale di centinaia di giovani nelle sere d’estate. Il palazzo del MunicipioAll’inizio del Corso, si trova sulla destra il Palazzo del Municipio nello slargo antistante luogo di incontro di ragazzi e giovani e la sera luogo di esibizione degli appassionati di hip-hop. Fuori dal palazzo del Municipio vediamo le bandiere europea ed italiana, mentre all’interno qualche anno fa abbiamo trovato esposta la bandiera della pace (eravamo nell’estate del 2003, il periodo della guerra americana in Iraq). Proseguendo lungo il CorsoPoco più avanti lungo il Corso, siamo entrati per mangiare un gelato nel Bar centrale, e qui abbiamo trovato alle pareti vecchie foto di una mattanza di delfini avvenuta a Sant’Antioco negli anni trenta, quando erano arrivati in quantità tale da distruggere quasi completamente i pesci della laguna, obbligando i pescatori ad organizzare appunto la mattanza. Mentre bevevo al banco, è entrato e si è messo a svolazzare un uccello che ho fotografato appollaiato tra i bicchieri. La grande piazza Umberto dove si tengono in estate numerosi spettacoliProseguiamo quindi per il corso fino a raggiungere, a trecentocinquanta metri dalla piazza Italia, alla grande piazza Umberto, dove si tengono i diversi spettacoli che allietano le serate estive. La visiteremo, visiteremo anche diverse altre strade del centro, come la via Giuseppe Garibaldi che si dirige verso sud est in direzione del Porto Turistico, la via Eleonora d’Arborea che conduce verso ovest e porta fino sulla costa al lungomare Cristoforo Colombo, la via Regina Margherita che si dirige verso nord ovest in direzione della chiesa parrocchiale. Il Porto Turistico di Sant’AntiocoDa piazza Umberto parte verso sud est la via Giuseppe Garibaldi, la seguiamo per quattrocentocinquanta metri dove porta sulla costa e sbocca sul lungomare. Verso sinistra parte il lungomare Cristoforo Colombo, verso destra il lungomare caduti di Nassirya, e proseguendo dritti il lungomare Silvio Olla. Di fronte a noi si sviluppa il Porto Turistico di Sant’Antioco una nuova Marina per circa Duecento imbarcazioni, con pompa carburante e tutti i servizi più importanti disponibili in banchina. È sede di Circolo Nautico con barche a vela latina per le quali si organizzano importanti regate. Al Porto Turistico si poteva arrivare anche da sud, dal lungomare caduti di Nassirya, che avevamo visto entrando in Sant’Antioco, e che, in un chilometro e duecento metri, ci porta a raggiungere il lungomare Cristoforo Colombo, sul quale si affaccia il porticciolo. La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Il Bed & Breakfasts la VelaDalla piazza Umberto prendiamo verso nord la via Gialeto che, in un’ottantina di metri, incrocia la via Cavour. La prendiamo verso destra e, dopo trecentocinquanta metri, subito prima che quasta strada sbocchi sul lungomare Cristoforo Colombo, vediamo, alla sinistra della strada, ai civici numeri 243 e 245, l’ingresso del nuovo B&B la Vela. La basilica di Sant’Antioco Martire con le catacombe paleocristianeDalla piazza Umberto prendiamo verso sinistra, in direzione nord ovest, la via Regina Margherita, che è la prosecuzione della via Eleonora d’Arborea. La seguiamo per quattrocentocinquanta metri fino a che questa strada ci porta in piazza parrocchia. Qui, alla sinistra della strada, troviamo la basilica di Sant’Antioco Martire, che è anche la prima e la principale parrocchiale di Sant’Antioco, dedicata al Santo patrono della Sardegna. La chiesa ha ricevuto l’appellativo di basilica Minore, denominazione onorifica che il papa concede a edifici religiosi particolarmente importanti attribuendovi il rango di basilica. Sulci è stata anche sede episcopale, attestata a partire dal 484, quando il suo vescovo Vitalis partecipa al Sinodo di Cartagine. Il primitivo Martyrium era un semplice edificio a croce e a simmetria accentrata. La prima menzione del Monasterium Sancti Antiochi risale al 1089, quando Salusio II de Lacon-Gunale, giudice di Cagliari, dona la chiesa di Sant’Antioco ai monaci beneddettini dell’Abbazia di San Vittore di Marsiglia. Le aggiunte delle absidi del 1089 e del 1102 si devono ai monaci Vittorini di Marsiglia. Nel 1102 la chiesa, ristrutturata, viene riconsacrata dal vescovo sulcitano Gregorio, ed, entro il 1218, la cattedra vescovile di Sulci viene traslata a Tratalias. L’impianto originario della chiesa era quello di una chiesa altomedioevale cruciforme, come si deduce anche dai materiali scultorei che sono ora collocati nell’ingresso laterale e nella Cripta del Santuario, che era a pianta centrale, con quattro bracci voltati a botte e corpo centrale cupolato. In seguito la chiesa è stata oggetto di numerosi interventi edilizi. Nel seicento e nel settecento vengono aggiunte la prima campata e la facciata. Con l’aggiunta delle navate laterali e dei due vani absidali, ne è derivata l’attuale pianta longitudinale, con aula a tre navate ed altrettante campate, transetto largo quanto l’aula, e con l’abside affiancata da un’abside minore, relativa a un vano quadrangolare affacciato, con due arcate, sul capocroce e sul braccio sinisto del transetto. La facciata della chiesa è stata modificata nel tempo, e vedendola non ci si aspetterebbe di trovare il suo interno, del tutto intatto, nell’originale stile romanico con elementi bizantini. La Cripta che viene considerata il Santuario di Sant’AntiocoSotto la chiesa si trovano le Catacombe paleocristiane una necropoli che costituisce la testimonianza più antica del Cristianesimo in Sardegna. Il sito è stato realizzato nel quarto o quinto secolo, mettendo in comunicazione tra loro diverse camere funerarie puniche del quinto secolo avanti Cristo, ed il tutto perché i primi membri della nuova comunità cristiana potessero essere sepolti il più vicino possibile alla tomba di Sant’Antioco. La Cripta viene definita un Santuario, ossia un luogo ritenuto sacro dalla tradizione religiosa, perché in una Cripta del Cimitero catacombale, nel 1615, sono state rinvenute le presunte spoglie del Santo, e sul luogo del loro rinvenimento è stato eretto il Santuario a lui dedicato. Le spoglie sono attualmente conservate in un reliquiario nel Santuario di Sant’Antioco, reliquiario di età barocca a due scomparti, nello scomparto superiore si trova il teschio del Santo, in quella inferiore altre ossa del corpo. La statua del Santo, che si posiziona al suo interno, viene portata in processione in occasione della Sagra patronale.
Il Cimitero Comunale di Sant’Antioco
Visita dei resti archeologici e storici presenti all’interno del paeseVisitiamo, ora, la Sant’Antioco archeologica e storica. Sant’Antioco è stato un importante centro di commercio fenicio, poi occupato dai cartaginese e successivamente, con il nome di Sulci, dai Romani che vi iniziarono le attività estrattive. È possibile effettuare una visita guidata che porta a vedere, dopo il fortino Sabaudo, il Tophet fenicio, la necropoli punica, il villaggio Ipogeo, il Museo Etnografico, il Museo Archeologico. Nella nostra visita al paese di Sant’Antioco possiamo vedere dall’esterno anche alcune strutture murari della città antica, in un’area nella quale furono rinvenuti i due leoni un tempo posti all’ingresso della città. Faremo anche un’intervista a Chiara Vigo, l’ultima tessitrice del bisso, la seta di mare che tanto importante è stata per i Fenici e per i Caldei. Il fortino Sabuado chiamato anche forte su PisuLungo la via Regina Margherita, subito prima di arrivare in piazza parrocchia, prendiamo verso destra la via Castello, e, in un centinaio di metri, raggiungiamo su un piccolo colle alto una sessantina di metri il Fortino Sabaudo chiamato anche Forte su Pisu o Sa Guardia de su Pisu. All’epoca l’isola di Sant’Antioco era costantemente minacciata dalle incursioni dei pirati saraceni che, partendo da Tunisi, facevano razzia nei villaggi poco difesi della costa sarda. La struttura militare, di Duecentosettanta metri quadri, viene edificata tra il 1813 ed il 1815 per difesa contro gli attacchi dei pirati saraceni. Nell’ottobre del 1815, il Bey di Tunisi, in crisi per la scarsità dei raccolti di grano, invia una flotta di quindici navi che prendono d’assalto il villaggio di Sant’Antioco. Il comandante degli Artiglieri di Sardegna, Efisio Melis Alagna, insieme ai suoi soldati ed a volontari sardi, oppone una strenua resistenza, che però risulta vana per la scarsezza delle munizioni e per il numero dei nemici. Le mura del fortino vengono prese d’assalto, il fortino viene espugnato, ed i Tunisini portano in patria come bottino 133 prigionieri, mentre Melis e i suoi soldati preferiscono la morte alla schiavitù. Nel luogo dove è stato costruito il fortino si trovavano allora le mura puniche, per la cui costruzione era stato in parte demolito un Nuraghe. Nella seconda metà degli Novanta, il fortino Sabaudo ha subito un restauro ed in seguito è stato inserito nel tour delle aree archeologiche di Sant’Antioco. Visita del Tophet fenicioA Sant’Antioco è d’obbligo una visita al Tophet fenicio il limbo dei bambini perduti, dal quale iniziamo la nostra visita ai siti archeologici presenti all’interno dell’abitato. Subito prima di arrivare in piazza parrocchia, prendiamo verso destra la via Castello, la seguiamo per quattrocento metri, fino in fondo, e troviamo proprio di fronte l’ingresso del Parco archeologico, all’interno del quale si trova il Tophet fenicio. Verso nord, ad ovest della strada, si può vedere un’area all’aperto appoggiata su una collina di roccia trachitica, da sempre indicata dalla gente del posto come Sa Guardia de Is Pingiadas, ossia la Vedetta delle Pignatte o la Collina delle Pentole, a causa della gran quantità di urne cinerarie in essa recuperate. Ai piedi tale roccia, ad ovest della strada di accesso, si trova un recinto quadrangolare di età punica, che include quello più piccolo di età fenicia nel quale sono state ritrovate le urne. Più a sud, ad est della strada, si trova un recinto molto più grande, rettangolare, costituito da blocchi trachitici bugnati, che delimita verso sud l’intero Tophet, e costituisce un fortilizio di età punica edificato a difesa dell’area quando, nel quarto secolo avanti Cristo, sono state erette le fortificazioni. La parola Tophet è un termine di origine biblica che indica una località nei pressi di Gerusalemme, nella quale venivano bruciati e sepolti i bambini, ed oggi, convenzionalmente, indica le aree sacre di età fenicia e punica rinvenute in Sardegna, Sicilia e Tunisia, nella quale sono state recuperate urne contenenti ossa bruciate di bambini e animali. Nel periodo fenicio, e successivamente in quello punico, i bambini non potevano essere sepolti nella necropoli dato che non avevano ancora superato le cerimonie di iniziazione. Venivano quindi sepolti in una località separata, nella nuda terra, nel Tophet, dopo essere stati cremati. Il Tophet è stato attivo dall’ottavo al primo secolo avanti Cristo ed è il più importante di tutta la Sardegna ed uno dei principali al mondo, dato che solo quello di Cartagine è ad esso superiore come numero di urne e steli funerarie. Nel Tophet sono stati rinvenuti ben 3250 vasi di terracotta contenenti i resti bruciati di bambini, a volte accompagnati da piccoli animali domestici, ed oltre 1500 steli funerarie. Gli scavi proseguono dato che in gran parte è da portare alla luce, e si pensa esistano ancora almeno 2000 urne da disseppellire. Sulla collina viene oggi riproposto lo stato del Tophet al momento degli scavi, dato che i vasi di terracotta lì presenti sono solo ricostruzioni, tranne qualcuno originale che si vede affiorare dalla terra. In base ai resoconti degli antichi Romani, che però ne erano avversari e quindi ne davano un giudizio non certo imparziale, si è ritenuto che si trattasse dei sacrifici cruenti dei primogeniti delle più alte classi sociali, per dimostrazione che gli avversari dei Romani erano incivili e crudeli. Ma una interpretazione storica più attendibile porta ad escludere questa interpretazione, dato che si ritiene improbabile che, in un’epoca nella quale solo una minima percentuale dei bambini sopravviva alle malattie della prima infanzia ed arrivava alla maggiore età, venissero offerti in sacrificio i primogeniti, e soprattutto quelli delle famiglie più abbienti. Da analisi effettuate in questi ultimi anni proprio sui reperti del Tophet di Sant’Antioco, si è però visto che molti erano aborti, per cui oggi si tende a ritenere che in gran parte si sia trattato proprio di aborti o di morti premature avvenute prima delle cerimonie di iniziazione. I piccoli animali domestici venivano probabilmente sacrificati alla divinità per scongiurare il ripetersi di un simile luttuoso evento, e la stele funeraria veniva portata sul posto per ringraziare la divinità dopo la nascita di un nuovo figlio. I resti della necropoli punica in localtà Is PirixeddusDal cancello di accesso al Tophet, riprendiamo all’indietro la via Castello che ci porta verso il forte su Pisu. Poco più avanti, passata la deviazione a destra nella via necropoli, alla sinistra della strada si vede il cancello di accesso ai resti della Necropoli punica di Is Pirixeddus. Quella di Sant’Antioco, tra le necropoli di età punica in Sardegna, è la più importante per la vastità dell’impianto funerario, per la complessità architettonica e per i reperti archeologici rinvenuti nelle tombe durante gli scavi. L’estensione delle necropoli, che si sviluppa tra la via Castello ad est, la via Giosuè Carducci ad ovest, ed a sud la scalinata Due leoni che porta alla Scuola elementare di via Virgilio, era in origine di oltre sei ettari. Considerando che in media ogni tomba occupava 40 metri quadrati, si può valutare che il numero di ipogei fosse di circa 1.500, ed, in base a ciò, la popolazione allora residente può essere stimata in circa 9.000 o 10.000 abitanti, e quindi l’antica Sulky si può considerare tra le città più popolose ed estese del Mediterraneo. In età punica, il rito funebre era soprattutto quello dell’inumazione, ma esistono anche testimonianze successive attribuibili al rito d’incinerazione. Sono presenti numerose tombe a camera ipogeica, alle quali si accedeva da un ingresso a scalinata, ed alcuni rari esempi di tombe a fossa con copertura a lastre di tufo. Le tombe sotterranee sono spesso disposte a profondità differenti, a causa della quantità di tombe già esistenti, che hanno portato, nel tempo, a scavarle a profondità sempre maggiore. Ho visitato la necropoli molti anni fa, ma da una ventina di anni è purtroppo chiusa per restauri, comunque è stata riaperta gli ultimi anni, sia pure per un solo giorno all’anno, nel quadro degli eventi in programma per le Giornate Europee del Patrimonio in Sardegna. Per vedere una necropoli punica ben conservata conviene, oggi, recarsi al monte Sirai, vicino a Carbonia che abbiamo già visitato in una tappa precedente. I resti dell’Acropoli della città punica e di un tempio romano
Il rinvenimento dei leoni di Sulci
Il villaggio IpogeoCi possiamo fare un’idea di come fossero le tombe ipogeiche scavate tra il sesto e il terzo secolo avanti Cristo dai Cartaginesi, visitando quello che viene chiamato il Villaggio Ipogeo. Ritornati nella piazza parrocchia, proseguiamo lungo la via Calasetta, che è la prosecuzione della via Regina Margherita, e che uscirà dall’abitato con il nome di SS126 Sud Occidentale Sarda Diramazione e condurrà al paese di Calasetta. Percorsa sulla via Calasetta qualche decina di metri, prendiamo a destra la via necropoli, che costeggia il versante occidentale della collina sormontata dal fortino Sabaudo. Lungo questa strada, soprattutto alla destra, vediamo i resti di queste tombe, dato che gran parte delle camere funerarie scavate nel tufo sono state nel tempo riadattate ad abitazioni, spazi di lavoro e magazzini dagli abitanti di Sant’Antioco. La sua origine risale al medioevo, quando l’isola di Sant’Antioco viene attaccata e saccheggiata dai Saraceni, parte degli abitanti si trasferisce verso luoghi più tranquilli come Iglesias, mentre i pastori e gli agricoltori rimasti sul posto profanano le tombe puniche, che rimangono nascoste agli occhi degli invasori, e le trasformarono in abitazioni. Le tombe trasformate vengono chiamate Is Gruttas, ed i loro abitanti Is Gruttaiusu. Ancora negli anni trenta del secolo scorso dimoravano nelle grotte circa 700 persone, come attestano le relazioni di medici e ingegneri conservate nell’archivio storico. A metà degli anni ’90 un progetto portato avanti dall’Amministrazione Comunale ha permesso il recupero di queste grotte e la realizzazione del villaggio Ipogeo, uno dei siti tra i più visitati dell’intero percorso archeologico e storico. Come già detto, altre tombe ipogeiche scavate tra il sesto e il terzo secolo avanti Cristo dai Cartaginesi, si trovano sotto la basilica dedicata a Sant’Antioco, con accesso dall’interno della chiesa, e, nei primi secoli del Cristianesimo, sono state poste in comunicazione tra loro e riadattate come catacombe cristiane. I pochi resti della necropoli romanaNon vi sono molti resti della Necropoli romana. È detto già dall’epoca repubblicana siano state riutilizzate le tombe ipogeiche puniche, in cui vengono deposte le urne dei cremati, pratica molto comune nel secondo secolo avanti Cristo, ma che si è andata riducendo in quello successivo. In Età Imperiale, la necropoli romana continua ad occupare l’area delle tombe puniche a nord dell’abitato moderno, e si sovrappone a queste. I resti del CronicarioDel periodo romano non resta molto, soprattutto il ponte romano utilizzato fino al 1984 e le catacombe sotto la chiesa parrocchiale, considerate il più antico esempio di architettura paleocristiana di tutta la Sardegna, che abbiamo già descritti. All’interno dell’abitato si trovano, comunque, pochi resti di abitazioni del periodo romano. Dalla piazza parrocchia prendiamo la via Regina Margherita in direzione della piazza Umberto, dopo Duecentotrenta metri deviamo verso sinistra nella la via Cavour, e, dopo un’ottantina di metri, prendiamo a sinistra la via Massimo d’Azeglio. Seguita per un’ottantina di metri, vediamo, alla destra della strada, l’area archeologica del Cronicario scoperta negli anni ’80 del secolo scorso, quando gli scavi hanno rivelalo la presenza di insediamenti abitativi appartenenti ad un arco di tempo che va dal 3000 avanti Cristo al primo secolo dopo Cristo. I resti abitativi maggiormente visibili appartengono al periodo romano, si possono notare due strade che si intersecano in senso ortogonale, nelle quali si affacciano una serie di abitazioni ed edifici. Il nucleo meglio conservato è costituito da una serie di ambienti, aventi il pavimento in terra battuta mescolata a scaglie di tufo, e chiusi da muri con pietre irregolari. Sono presenti anche pozzi e cisterne. Al di sotto dell’abitato romano sono state trovate tracce di ambienti appartenenti al periodo fenicio. I resti di Sa Tribuna
Il Museo Archeologico ComunaleIniziamo, ora, la visita degli importanti musei di Sant’Antioco, partendo dal Museo Archeologico, per poi visitare il Museo Etnografico, e per finire con una visita al Museo del Bisso di Chiara Vigo.
Altri vasi e steli funerarie rinvenuti a Sant’Antioco, oltre a reperti del periodo punico e romano, li possiamo vedere al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari uno dei più completi e meglio organizzati musei d’Italia. Il Museo è intestato a Ferruccio Barreca, studioso e archeologo di fama mondiale nato a Roma nel 1923, che è stato un instancabile ricercatore ed animatore degli studi Fenici e punici in Sardegna. Considerato il grande archeologo dei Fenici, per vent’anni è stato Soprintendente ai Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e docente di archeologia fenicio punica nell’Università di Cagliari. Il Museo Etnografico di Sant’Antioco
Il Museo del Bisso dove nelle mani di Chiara Vigo sopravvive la tradizione della tessitura del bisso
della sua lavorazione ci parla Chiara Vigo l’ultima erede delle antiche tessitrici di bisso, che ne ha appreso il segreto dalla nonna e lo tramanderà a sua volta alla figlia Maddalena. Nel mare dell’isola cresce e si sviluppa, in fondali da 3 a 5 metri, la Pinna Nobilis Setacea, che solo a maggio è possibile sollevare dal fango per tagliarne il bioccolo di seta, facendolo possibilmente solo da animali anziani e nella quantità minima necessaria a tramandare la tradizione. La fibra viene dissalata nello stagno di Santa Caterina, la cui salinità è inferiore a quella marina, aggiungendo di tanto in tanto acqua dolce, in modo da non ridurre drasticamente la salinità per non irrigidirla, il che la renderebbe non più cardabile, e viene quindi asciugata all’ombra. Dalla cardatura con un cardo a spilli si ottiene una specie di bambagia setosa, scura al buio ma dorata alla luce del sole. Viene quindi filata ed il filato viene messo su una spola di canna, con la quale si passa alla tessitura, per la quale Chiara usa ancora oggi un telaio a tavola, che ci ricorda essere stato il modo più antico di tessere, perché la donna poteva portare la tavola sempre con se ovunque andasse. Il colore dorato dei tessuti più importanti si ottiene schiarendolo in un bagno di limone. Così Chiara ha fatto per il suo lavoro più noto, il Leone di Tiro, che ha dedicato a tutte le donne del mondo, al cui silenzioso lavoro nessuno da il giusto riconoscimento. E nel salutare e ringraziare Chiara Vigo per il tempo che ci ha dedicato, ricordiamo i tanti riconoscimenti che ha ricevuto per la conservazione di un’arte antica che senza di lei sarebbe andata persa. Che porta avanti con amore, sempre disposta a realizzare e donare un suo lavoro a qualsiasi Museo che voglia esporlo per raccontare ai giovani le antiche tradizioni. La prossima tappa del nostro viaggioNella prossima tappa del nostro viaggio, racconteremo i Resti archeologici presenti nell’isola di Sant’Antioco, per poi recarci a visitare le Coste e spiagge presenti sull’isola di Sant’Antioco ed appartenenti al comune di Sant’Antioco. | ||||
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