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La Sardegna agli Asburgo che la cedono ai Savoia ed inizia la lunga dominazione sabauda


In questa pagina vedremo come nel 1713 con il trattato di Utrecht la Sardegna viene assegnata agli Asburgo che nel 1720 con il trattato dell’Aia la cedono ai Savoia e con questo inizia il lungo periodo della dominazione sabauda.

Il contrasto tra Filippo V e Carlo III di Spagna con la cessione della Sardegna agli Asburgo

Filippo V di Borbone duca d’Angiò ossia Filippo V di SpagnaCarlo III d’Asburgo ossia Carlo III di SpagnaNel 1700 Carlo II di Spagna muore senza eredi e, per sua disposizione testamentaria, viene proclamato re, in quanto nipote di Maria Teresa di Spagna sorella di Carlo II, il figlio di Luigi di Borbone delfino di Francia, che è il diciassettenne Filippo di Borbone duca d’Angiò, nato a Versailles il 19 dicembre 1683 e che morirà a Madrid il 9 luglio 1746. A lui viene posta la condizione di rinunciare per sempre ai suoi diritti e quelli dei suoi discendenti sulla Corona francese, ed egli viene proclamato re a Madrid il 18 febbraio 1701 con il nome di Filippo V di Spagna. Temendo l’unione di Francia e Spagna, si forma una coalizione tra Inghilterra, Olanda ed Austria, e nel 1703 il principe Carlo d’Asburgo, figlio secondogenito di leopoldo I d’Asburgo e della sua terza moglie Eleonora del Palatinato-Neuburg, nato a Vienna l’1 ottobre 1685 e che morirà a Vienna il 20 ottobre 1740, ricusa il testamento ed inizia la guerra. Gli alleati si muovono subito e, dopo alcuni successi iniziali delle truppe franco spagnole, il pretendente Carlo d’Asburgo arciduca d’Austria, ha la meglio sbarcando a Barcellona dove si fa proclamare re il 7 novembre 1705 col nome di Carlo III di Spagna dai Catalani, Aragonesi, e dagli altri che formano il nucleo continentale dell’antica Corona d’Aragona. Da questa contrapposizione nasce la guerra di successione fra Spagna e Francia da una parte, e dall’altra Austria, Prussia, Inghilterra, Olanda, Portogallo, il Ducato di Savoia e il principato di Piemonte, ossia dagli alleati.

Durante la guerra di successione fra Spagna e Francia si sviluppano le due fazioni in Sardegna

Nell’agosto del 1706 il Portogallo, entrato a sua volta nella coalizione, fa penetrare le sue truppe in Spagna giungendo ad occupare Madrid, anche se per poco tempo. Nel 1707 si ha una lieve ripresa delle truppe di Filippo V, ma la guerra continua volgendo invece in favore della coalizione che sostiene Carlo III. Infatti nel 1708 gli alleati ottengono una grande vittoria a Oudenarde che sembra decisiva per le sorti della guerra. La Sardegna si divide in due fazioni, a favore dell’uno o dell’altro, e nel 1708 un contingente militare anglo olandese agli ordini degli Asburgo, composta da quaranta vascelli, si presenta nel Golfo di Cagliari, che, dopo un furioso bombardamento navale, si arrende il 13 agosto. Occupano il Castello di Cagliari a nome e per conto di Carlo III, e l’Imperatore d’Austria vi insedia un suo vicerè, aprendo le porte alla conquista dell’Isola. Il 16 agosto viene nominato vicerè il filoasburgico Fernando de Silva Conte di Cifuentes, che immediatamente chiede la consegna delle chiavi di tutte le città e paesi del regno, e poi pretende nuove tasse dai sudditi ed ordina il sequestro dei patrimoni di chi si era opposto alla conquista dell’Isola, mentre ai partigiani che avevano facilitato l’invasione vengono profusi titoli e benefici. Il 7 ottobre dello stesso 1708 i maggiorenti del regno, in una fastosa cerimonia nel duomo di Cagliari, giurano fedeltà al re Carlo III. Intanto Filippo V inizia una controffensiva, ed in breve tempo la situazione in Spagna, dove il popolo è a lui favorevole, viene ribaltata e le truppe di Carlo III vengono poste in difficoltà.

Il tentativo di sbarco dei legittimisti sardi a Terranova

Juan Francisco Pacheco duca di UzedaIVincenzo Bacallar Sanna governatore di Cagliari e della GalluraLa maggior parte degli esponenti del partito legittimista fuggono in Spagna. Da Madrid gli esuli, guidati da Vicente Bacallar y Sanna noto come Vincenzo Bacallar Sanna appartenente a una nobile famiglia sarda proveniente da Valencia nato a Cagliari il 6 febbraio 1669, che era stato nominato governatore del capo di Cagliari e di Gallura e governatore militare della Sardegna, e da Juan Francisco Pacheco Tchéllez-Gir n noto anche come Duca di Uzeda nato a Madrid l’8 giugno 1649, tentano nel 1710 di organizzare una controffensiva a favore di Filippo V. Il piano d’invasione doveva essere un’azione a sorpresa, con lo Sbarco a Terranova da parte di un contingente di mille uomini, lo sbarco di Duecento fanti sul litorale della rocca di Castel Aragonese, e lo sbarco della rimanente soldatesca nel porto di Torres, per l’assedio alla piazzaforte di Alghero. Iniziate le operazioni il 10 giugno, la battaglia si protrae con esito incerto, quando alle spalle degli invasori sopraggiungono mille soldati agli ordini dell’ammiraglio Norris, sbarcati alcune ore prima a Terranova dalla flotta inglese che veleggia nelle acque della Sardegna per contrastare gli Spagnoli. Gli invasori, stretti in una morsa, bloccati di fronte e assaliti alle spalle con ai lati una barriera di montagne di difficile accesso, non rimane che la resa il 16 giugno 1710.

Il trattato di Utrecht del 1713 consegna il possesso della Sardegna agli Asburgo

Intanto in Spagna sempre nel 1710 Filippo V riconquista Madrid attestandovisi saldamente. Nel 1711 muore Giuseppe I d’Asburgo che era divenuto imperatore dopo leopoldo I, e suo fratello Carlo diviene Imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Carlo sesto. L’Inghilterra domina in lungo e in largo nel Mediterraneo, arrivando fino ad occupare Gibilterra, e riuscendo a sbarcare a Barcellona. Nel marzo e aprile del 1713, con il Trattato di Utrecht e l’anno successivo con il Trattato di Rastadt a Filippo V viene concesso di rimanere sul trono di Spagna, ma deve cedere il possesso di Minorca e Gibilterra alla Gran Bretagna; quello dei Paesi Bassi, di Napoli, del Ducato di Milano e della Sardegna, agli Asburgo; e la Sicilia e una parte del milanese alla casa Savoia. Il duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, ottiene, quindi, il regno di Sicilia con il relativo titolo regio. La Sardegna viene assegnata all’Austria e diviene, comunque, una delle principali pedine di scambio, per il successivo riassetto degli equilibri europei.

La cessione della Sardegna dagli Asburgo ai Savoia

Dopo il trattato di Rastadt proseguono i contrasti fra Spagna e Francia ed Inghilterra. A quella data non vi è ancora una formale dichiarazione di guerra ma la tensione fra i paesi è piuttosto alta.

La guerra ldella Quadruplice Alleanza contro la Spagna

Il cardinale Giulio Alberoni primo ministro di Filippo V di SpagnaIl 2 agosto 1718 viene costituita la Quadruplice alleanza fra il Sacro Romano Impero, il regno di Francia, il regno della Gran Bretagna e la repubblica delle Sette Province Unite, la quale richiede alla Spagna il ritiro delle sue truppe dalla Sicilia e dalla Sardegna. La battaglia marina di capo PasseroMa Filippo V non accetta e, sostenuto dal suo primo ministro, il Cardinale Giulio Alberoni riprende le ostilità nel tentativo di riappropriarsi della Sicilia e della Sardegna. Comandata dall’ammiraglio Stefano Mari, una flotta di centodieci navi cannoneggia Cagliari, mentre ottomila soldati sbarcano sulla spiaggia del Poetto. ed, il 29 agosto 1717, la cillà si arrende. Un anno dopo gli Spagnoli riescono a prendere anche la Sicilia. Il conflitto aveva visto fronteggiarsi le quattro potenze europee, Gran Bretagna, Francia, Austria e Paesi Bassi, contro la Spagna di Filippo V e del cardinale Alberoni. La Spagna uscirà sconfitta dalla guerra, principalmente grazie all’intervento della flotta inglese che l’11 agosto 1718, nella Battaglia di capo Passero al largo dell’estremità sud orientale della Sicilia, distrugge gran parte di quella spagnola, rendendo difficile alla Spagna il sostegno alle sue truppe sbarcate prima in Sardegna e poi in Sicilia.

Le trattative diplomatiche di londra del 1718 e dell’Aia del 1720 assegnano la Sardegna ai duchi di Savoia

Segue un nuovo trattato di pace, il Trattato di londra del 1718, nel quale viene convenuto che la casa Savoia cede la Sicilia all’Austria in cambio della Sardegna. In ottemperanza al trattato di londra, viene sottoscritto l’Accordo dell’Aja dell’8 agosto 1720, che sancisce il passaggio della Sardegna che viene assegnata ai Savoia. Dal 1720 tutti gli stati appartamenti a casa Savoia, vanno a costituire il Regno di Sardegna, per il quale l’amministrazione statale utilizzerà l’aggettivo Sardo in tutti gli atti del regno, e la cittadinanza dei sudditi sarà quella Sarda, fino a quando non sarà sostituita, nel 1861, con il termine italiana. Cosi, i duca di Savoia, all’eterna ricerca di un regno, riescono ad ottenerlo. Il titolo regio è, infatti, per l’antica casata la realizzazione di un obiettivo antichissimo, perseguito con costanza e tenacia attraverso i secoli. Quindi, solo con i Savoia, il Regnum Sardiniae et Corsicae, che era uno Stato sovrano con un suo territorio, con un popolo ed un vincolo giuridico, diviene uno Stato perfetto ossia dotato di somma potestà, ossia della facoltà di stipulare autonomamente trattati internazionali. E viene, anche, ampliato territorialmente con gli stati ereditari della casata. Ed i Savoia vengono, a pieno titolo, annoverati fra le grandi casate d’Europa.

Breve storia del casato dei Savoia

Umberto Biancamano che ottiene nel 1032 la Conte  della SavoiaAmedeo VIII che nel 1416 ottiene il titolo ducaleEmanuele Filiberto che nel 1563 sposta la capitale a TorinoIl capostipite della casa Savoia è stato Umberto Biancamano detto altrimenti Dalle Bianche Mani o Dalle Mani Pulite, che nel 1032 ottiene dall’Imperatore Corrado II di Franconia detto Il Salico o Il Vecchio, la concessione della Conte della Savoia, della valle francese della Moriana, e di Aosta. La capitale è situata a Chambery, capoluogo della Savoia. Quindi, con varie successioni ereditarie, i Savoia ingrandiscono i loro territori posti a cavallo tra le Alpi Occidentali. La Conte di Savoia viene eretta in Ducato nel 1416, in seguito all’assegnazione del titolo ducale da parte dell’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo al Conte Amedeo VIII di Savoia. Quindi, Amedeo VIII ed i suoi eredi, che prendono il nome di Dinastia degli Amedei, assumono i titoli di Duchi di Savoia, Conti d’Aosta, Moriana e Nizza, Conti di Asti e Principi di Piemonte. Nel 1416 ottengono anche il titolo nominale, ma senza il territorio, di Re di Gerusalemme, lasciato in eredità da Carlotta di lusignano, che era stata regina di Cipro, regina titolare di Gerusalemme e d’Armenia, e principessa d’Antiochia. Nel 1563, la capitale viene spostata, per meglio difendersi dagli attacchi francesi, da Chambery a Torino da Emanuele Filiberto di Savoia detto Biòca 'd fer ossia Testa di ferro, che ha anche promosso la costruzione di un complesso sistema di fortificazione, detto Cittadella, che ancora oggi si può osservare. E nei secoli successivi, riescono a difendere i loro territori dalle mire espansionistiche del regno di Francia, ed a mantenere la propria autonomia.

La Sardegna nel periodo del Regno di Sardegna

Datazioni dell’occupazione piemonteseLa dinastia sabauda assume un’importanza fondamentale nella storia piemontese, mantenendo il dominio sul Ducato prima, e poi sul Regno di Sardegna, dal 1720 fino all’unità d’Italia. Il Regno di Sardegna si allarga territorialmente, con l’apporto degli stati ereditari della casata stessa, ed i re di Sardegna si fregiano dei titoli di: Duca di Savoia, di Monferrato, Chablais, Aosta e Genova; Principe di Piemonte ed Oneglia; marchese d’Italia Saluzzo, Susa, Ivrea, Ceva, Maro, Olistano, Sezana; conte di Moriana, Genova, Nice, Tenda, Asti, Alessandria, Goceano; Barone di Vaud e di Faucigny; Signore di Vercelli, Pinerolo, Tarantasia, lumellino, Val di Sesia; Principe vicario perpetuo del Sacro Romano Imperio in Italia; Re di Cipro, di Gerusalemme, di Armenia. In questo periodo d’incertezza politica, tra il 1700 ed il 1720, quando la corona di Spagna lascia il regno ai sovrani sabaudi, le condizioni economiche e sociali isolane sono però veramente deprimenti.

Vittorio Amedeo II di Savoia detto la Volpe Savoiarda che viene nominato re di Sardegna

Vittorio Amedeo II duca di SavoiaIn base all’accordo dell’Aja, nel 1720 Vittorio Amedeo II di Savoia detto La Volpe Savoiarda, nato a Torino il 14 maggio 1666 e che regna fino alla morte a Moncalieri il 31 ottobre 1732, diviene, contando anche i sovrani catalani e spagnoli, il diciassettesimo re di Sardegna. Egli il 10 aprile 1684 sposa Anna Maria di Orléans, figlia di Filippo di Francia duca d’Orléans che era il fratello di Luigi undicesimoV di Borbone detto il re Sole. Dal matrimonio nascono sei figli, Maria Adelaide, Maria luisa, Vittorio Amedeo, Carlo Emanuele, Vittoria Francesca, e Vittorio Francesco Filippo. In seguito il 12 agosto 1730, dopo la morte di Anna d’Orléans, sposa morganaticamente in seconde nozze Anna Canalis contessa di Cumiana, dalla quale non nascono figli. Vittorio Amedeo viene considerato come un despota illuminato, che amministra saggiamente tutti i territori del regno, e negli stati di terraferma attua una serie di riforme, alcune delle quali molto avanzate per quei tempi, come l’istituzione del catasto.

La ricostruzione di Torino in stile barocco e la scoperta del Monte Bianco

Fa costruire a Torino, nel 1715, la basilica di Superga, come ringraziamento alla Vergine Maria, dopo aver sconfitto i Francesi che assediano Torino nel 1706. Fa, inoltre, ricostruire l’antica capitale sabauda in stile barocco. Per questo, chiama a corte il grande architetto messinese Filippo Juvara, uno dei principali esponenti del barocco che opererà per lunghi anni a Torino come architetto di casa Savoia. E quindi Torino la città nella quale risiede la corte del regno e nella quale si concentrano tutte le funzioni politiche, si abbellisce, divenendo una città completamente barocca, con palazzi e Chiese molto belli, come quella di San Lorenzo, in piazza Castello. Nel 1741, due giovani aristocratici inglesi, William Windham e Richard Pocock, scoprono la bellezza dei ghiacciai di Chamonix, e le valli del Massiccio del Monte Bianco diventano la destinazione preferita degli aristocratici inglesi. Poi, nel 1786, la guida italiana Jacques Balmat effettua la prima scalata alla vetta del Monte Bianco, che sancisce la nascita dell’alpinismo. Tutto questo porta una certa crescita economica nei territori dele vallate alpine.

In Sardegna la repressione che alimenta l’appoggio della popolazione al banditismo

La Sardegna rimane senza controllo e la sua popolazione versa in un grave stato di miseria diffusa. Nascono in questo periodo il banditismo e la criminalità rurale, dei quali la miseria delle popolazioni è la causa prima, e che spingono il governo di Vittorio Amedeo II a tentare, senza successo, di cederla in cambio di qualche altro possedimento. Non riuscendoci, deve iniziare ad occuparsene. Pur passata sotto la dinastia dei Savoia, la Sardegna rimane un regno autonomo, con tutte le sue istituzioni e i suoi privilegi. Il vicerè di Sardegna Filippo Guglielmo Pallavicini Barone di Saint-RemyaCagliari-Frontale del bastione di Saint-Remy che si affaccia sulla piazza CostituzioneInfatti il luogotenente di Vittorio Amedeo II, ossia Filippo Guglielmo Pallavicini Barone di Saint-Remy, viene nominato il 2 settembre 1720 vicerè del Regno di Sardegna, al quale è intestata una delle fortificazioni più importanti di Cagliari, edificata alla fine del diciannovesimo secolo e chiamata appunto il Bastione di Saint-Remy. Come vicerè egli giura agli Stamenti di conservare le leggi e i privilegi concessi in epoca spagnola. Gli ordinamenti del periodo spagnolo rimangono, quindi, in vigore, anche se il governo piemontese evita di convocare il Parlamento, impedendo così alla nobiltà, al clero e alla borghesia di esprimere le esigenze della popolazione. Durante il regno di Vittorio Amedeo II, la popolazione dell’isola vive in una condizione di notevole arretratezza economica. Nei primi tempi, l’attenzione di Vittorio Amedeo è diretta al controllo del territorio, per garantirne l’ordine interno. Il governo piemontese tenta di risolvere la situazione del banditismo con Una forte azione repressiva come fa qualsiasi governo di occupazione non gradito dalla popolazione. Invia, quindi, contingenti militari per tentare di contrastare il banditismo, soprattutto nelle montagne del Logudoro e della Gallura. Ma il banditismo continua a resistere, mentre gli interventi repressivi colpiscono la popolazione dei villaggi, soggetta a perquisizioni ed arresti di massa. Aumenta quindi l’Appoggio della popolazione al banditismo si tratta di una popolazione che ha subito secoli di dominazioni ed oppressioni, e che vede i banditi come difensori del popolo in miseria. Le loro gesta vengono cantate nelle poesie popolari, poiché rappresentano l’unica forma di ribellione alle prepotenze delle classi dominanti e dello stato.

Carlo Emanuele III di Savoia detto il laborioso che viene nominato re di Saedegna

Carlo Emanuele III duca di SavoiaDopo la morte di Vittorio Amedeo II nel 1732, il nuovo re è Carlo Emanuele III di Savoia detto Il laborioso e soprannominato dai Piemontesi Carlin, nato a Torino il 27 aprile 1701 e che regna fino alla morte a Torino il 20 febbraio 1773. Egli sposa in prime nozze Anna Cristina del Palatinato Sulzbach, dalla quale nasce il figlio Vittorio Amedeo Teodoro; in seguito sposa in seconde nozze Polissena d’Assia Rheinfels Rotenburg, dalla quale nascono Vittorio Amedeo che gli succederà sul trono, Eleonora Maria Teresa, Maria luisa Gabriella, Maria Felicita, Emanuele Filiberto, e Carlo Francesco Romualdo; sposa infine Elisabetta Teresa di lorena, dalla quale nascono Carlo Francesco Maria, Vittoria Margherita, e Benedetto Maria Maurizio. Carlo Emanuele effettua opere di ammodernamento nel porto di Nizza, e nel vicino porto di Villafranca.

Due sanguinose guerre che sconvolgono l’Europa

Il suo lungo regno viene coinvolto in due sanguinose guerre che sconvolgono l’Europa. La prima è la Guerra di successione polacca iniziata nel 1733, dalla quale, dopo le vittorie in località Crocetta presso Parma, ed a Guastalla, riesce ad ottenere alcuni vantaggi, dato che, con il trattato di Vienna del 1738, gli viene imposto di abbandonare Milano, che aveva conquistata, ma gli vengono lasciati alcuni territori a sua scelta, tra cui le langhe, il Tortonese e Novara. Nella seconda, la Guerra di successione austriaca iniziata nel 1741, è decisamente meno fortunato, e vede, ancora una volta, i suoi territori invasi dai Francesi. Perse alcune battaglie, riesce però ad infliggere una pesantissima sconfitta ai Francesi, sulle alture dell’Assietta, nel 1747, ottenendo nuovamente, con il trattato di Aquisgrana del 1748, la piena sovranità sul Piemonte.

Carlo Emanuele affida ai tabarchini l’isola degli Sparvieri dove viene fondata la città chiamata in suo onore Carloforte

Poco dopo l’inizio del suo regno, nel 1738 Carlo Emanuele organizza il trasferimento di un centinaio di discendenti da un gruppo di pescatori liguri di Pegli che erano insediati nel paese costiero di Tabarka nei pressi di Tunisi, e si erano stancati delle continue vessazioni. I suoi abitanti, partiti nel 1542 da Pegli, oggi quartiere di Genova, al seguito dei lomellini, cospicuo casato genovese dedito ai traffici che aveva avuto concessioni territoriali in quei luoghi, si erano insediati sulla costa tunisina nell’isolotto di Tabarka presso il confine con l’Algeria, dove pescavano corallo e si dedicavano a traffici e commercio, ed erano stati per questo definiti Tabarchini. Negli ultimi anni a Tabarka era diminuito il corallo ed erano continue le loro disavventure commerciali con i diversi rais governanti il territorio, la concessione dei lomellini era diventata meno redditizia ed erano aumentati i dissidi con i rais che li rendevano liberi o viceversa li facevano schiavi a seconda di chi regnava a Tunisi o ad Algeri in quel momento. Per questo motivo, stanchi di queste vessazioni, nel 1738 alcuni tabarchini chiedono a Carlo Emanuele un luogo per continuare in tranquillità i loro commerci, soprattutto di spezie e stoffe pregiate, con il resto del Mediterraneo. L’intento del sovrano di Sardegna è quello di creare centri fortificati allo scopo di allontanare dalla Sardegna i pirati che avevano trasformato alcuni approdi sardi in loro covi, e l’Isola degli Sparvieri ossia la Accipitrum Insulla e che verrà in seguito chiamata isola di San Pietro, era una delle terre da popolare. L’isola viene esplorata nel 1737 da Agostino Tagliafico intraprendente mercante tabarchino che aveva ottenuto l’incarico dal Viceré di Sardegna di elaborare un progetto di colonizzazione dell’isola di San Pietro. Statua di Carlo Emanuele III a CarloforteIl 7 ottobre del 1737, i propositi di una nuova colonizzazione si concludono con la stipulazione di un contratto di infeudazione tra il vicerché di Sardegna Marchese di Rivarolo, e don Bernardino Genoves Conte di Cuglieri e Scano, uno dei più ricchi feudatari del regno che si accolla le spese per l’insediamento della colonia, ottenendo in cambio il titolo di duca di San Pietro. Al Tagliafico che aveva assunto l’incarico di Capitano di Giustizia verrà dato il titolo di Conte di San Pietro. Giunti nell’isola il 17 marzo 1738, i primi 462 coloni di cui 379 tabarkini e 83 provenienti direttamente dalla liguria, si mettono subito al lavoro e viene fondata su progetto dell’ingegnere regio Augusto de la Vallée la città chiamata Carloforte ossia il Forte di Carlo in onore di Carlo Emanuele.

La nuova politica di Carlo Emanuele che inizia a trattare la Sardegna come parte del regno

Il Conte  Giovanni Battista Lorenzo BoginoCarlo Emanuele rinuncia a considerare la Sardegna una terra di conquista e comincia a trattarla come parte del regno, questo soprattutto dopo che, con la pace di Aquisgrana, risulta chiaro che la Sardegna rimane al Piemonte. Dal 1759 il re affida al Conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino la direzione politica di tutti gli affari riguardanti la Sardegna allo scopo di modificare le condizioni dell’Isola. Egli ottiene la limitazione dei poteri del clero, razionalizza la magistratura e l’avvocatura, gli ospedali, il 19 settembre 1772 introduce il Servizio postale riordina l’amministrazione delle città e dei villaggi. Crea i Monti granatici detti poi monti frumentari, cioè i magazzini comunali costituiti allo scopo di distribuire ai contadini poveri con l’obbligo di restituzione, il grano e l’orzo di cui avevano bisogno per la semina, che si rivolgevano a coloro che vivevano in condizioni di pura sussistenza quando, per il bisogno, erano costretti a mangiare anche quanto doveva essere riservato alla semina, oppure erano costretti a rivolgersi agli usurai. Il primo Monte Granatico di cui si ha notizia è quello del villaggio di Terralba che risale al 1651, come risulta dal libro dell’amministrazione parrocchiale conservato nell’Archivio Diocesano di Ales, diocesi che si distingue per la sua funzione pionieristica. Nel 1760 stabilisce l’obbligo dell’uso della Lingua italiana in sostituzione dello spagnolo nelle scuole e negli atti ufficiali. Nel Settore dell’istruzione vengono riorganizzati gli studi universitari e le Scuole Medie, rimane però irrisolto il problema del controllo della chiesa sul settore dell’istruzione, e quello dell’analfabetismo. Nel 1764 viene riaperta l’Università di Cagliari e l’anno successivo quella di Sassari, entrambe create nel seicento sotto Filippo III di Spagna, ma che erano state chiuse dagli Spagnoli prima dell’abbandono dell’Isola. Architetti piemontesi realizzano il Palazzo ducale di Sassari ed il nuovo palazzo dell’Università di Cagliari progettato dall’ingegnere militare Saverio Belgrano di Famolasco per sistemare in un unico complesso il palazzo dell’Università, il Seminario Tridentino ed il Teatro, quest ultimo mai realizzato. C’è anche una ripresa dell’architettura ecclesiastica, con la realizzazione ad esempio della parrocchiale di San Paolo Apostolo ad Olbia in stile gallurese.

Sassari: il palazzo ducale Cagliari: a destra il nuovo palazzo dell’Università Olbia: chiesa di San Paolo

Creazione di nuovi centri abitati

Lo spopolamento è favorito dal clima insalubre, ma soprattutto dal banditismo e dall’insicurezza delle coste. Per risolvere il problema dello spopolamento, Vengono creati nuovi centri abitati. Dopo Carloforte, nel 1771 viene fondata Calasetta e nel 1808 verrà fondata Santa Teresa di Gallura. Altri tentativi di ripopolamento interessano le aree del salto di Santa Sofia, di Montresta, dell’Asinara, del Salto di Quirra, ma non hanno successo, mancando un progetto complessivo ed essendo i singoli interventi affidati a privati o feudatari. Nonostante queste iniziative, non avviene però un sostanziale cambiamento della situazione economica della popolazione, soprattutto per la opprimente presenza feudale, sulla quale non si effettua alcun intervento. Ciò a dimostrare che il governo piemontese non ha una volontà decisa di riformare la società isolana, e continua, invece, solo a Combattere il banditismo nell’isola.

Vittorio Amedeo III di Savoia che viene nominato re di Sardegna

Vittorio Amedeo III duca di SavoiaNel 1773 sale al trono il primo tra i figli sopravvissuti di Carlo Emanuele III, nato dalla sua seconda moglie Polissena d’Assia Rheinfels Rotenburg, che è Vittorio Amedeo III di Savoia nato a Torino il 26 giugno 1726 e che regna fino alla morte a Moncalieri il 16 ottobre 1796. Egli sposa Maria Antonia di Borbone Spagna e da loro nascono dodici figli, ossia Carlo Emanuele che gli succederà sul trono, Maria Elisabetta, Maria Giuseppina, Amedeo Alessandro, Maria Teresa, Maria Anna, Vittorio Emanuele che succederà sul trono a Carlo Emanuele, Maria Cristina, Maurizio Giuseppe, Maria Carolina, Carlo Felice che assumerà la carica di vicerè di Sardegna sotto Carlo Emanuele e sotto Vittorio Emanuele, e Giuseppe Benedetto. Subito dopo la Rivoluzione Francese la Francia repubblicana tenta di diffondere i principi di Libertà, uguaglianza e fraternità in tutta l’Europa. Alleandosi con l’Austria, la Spagna e la Prussia contro la Francia, Vittorio Amedeo III si espone alla vendetta dei rivoluzionari francesi, che occupano la Savoia e Nizza. Il 15 maggio la pace di Parigi conferma sostanzialmente i termini di un precedente armistizio, al Regno di Sardegna viene nuovamente riconosciuta la sovranità sulla città di Alba, che si era costituita in autonoma repubblica rivoluzionaria.

I moti antifeudali del 1783 in Sardegna

Durante il suo regno, in Sardegna aumenta, in modo spropositato, la pressione fiscale. In questa situazione, la povertà non si riduce ed il malcontento accresce i movimenti di rivolta. Per la prima volta, dopo secoli, la popolazione dell’isola decide di tornare a lottare per conquistare condizioni di vita migliori. Iniziano continue ribellioni e sommosse, che sconvolgono tutta la Sardegna, e si accentuano soprattutto con i primi grandi Moti antifeudali e antipiemontesi del 1783. Nel 1789 numerosi villaggi rifiutano di pagare i tributi feudali, provocando un nuovo intervento repressivo, in difesa degli interessi feudali, per riportare con la forza l’ordine. Il movimento di protesta della popolazione comincia ad avere anche l’appoggio di intellettuali e uomini di cultura, soprattutto dopo il 1789, anche per l’effetto della Rivoluzione Francese. Produzione anche domestica di distillati in SardegnaProbabilmente a questo periodo risale, tra le altre nuove tasse che vengono imposte, anche la Tassazione della produzione anche domestica dei distillati che costringe la popolazione a nascondere nella campagna i barilotti di Abbardente, acqua che arde, ossia di acquavite prodotta clandestinamente, segnando le posizioni con un fil di ferro sporgente piegato a uncino a mò di segnale che permetteva di individuarle e recuperarle agevolmente una volta cessato il pericolo. Da qui il nome Filu ’e ferru che conserva ancora oggi l’acquavite sarda. Giuseppe Dessì in Paese d’Ombre la definisce Fortissima acquavite che si usava per disinfettare le ferite, per prevenire la malaria e specialmente le infreddature e vi si inzuppavano i succhiotti dei lattanti, che smettevano di piangere e dormivano profondamente per ore, nelle loro Culle.

Le aggressioni dei pirati tunisini affrontati da Giò Agostino Millelire nel 1787

Agostino Millelire piloto sulla regia mezza-galera 'Beata Margherita'Iniziano, in questo periodo, anche le incursioni dei pirati tunisini. Il 15 aprile 1787 Giò Agostino Millelire nato a la Maddalena il 29 luglio 1758, piloto sulla regia mezza-galera Beata Margherita, prende parte al violento scontro armato contro uno sciabecco tunisino presso l’isola Spargi, nel quale egli si batte strenuamente, benché ferito, fino a quando i barbareschi non sono piegati. Tanto che la relazione del comandante Matton de Benevel riferisce di un combattimento fatto di assalti e speronamenti reciproci, e la fuga del legno nemico nelle acque della Corsica per sottrarsi alla preda dei Sardi, abbandonando la lancia di servizio. Per quel che riguarda l’apporto di Agostino nella circostanza, il comandante relaziona che Del suo ferimento e dei segni più evidenti del suo valore, intrepidezza e sangue freddo chiedo per lui un brevetto reale di Piloto degli armamenti leggeri. E quindi nel 1794, oltre alla medaglia d’oro, viene promosso pilota di fregata. Nel 1816 ha l’onore di essere nominato comandante dell’arcipelago di la Maddalena, col grado di Maggiore di Fanteria dato che la Marina faceva allora parte di questo corpo. Nello stesso anno, Vittorio Amedeo III permuta la sua medaglia d’oro in croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, il massimo riconoscimento dell’epoca. Giò Agostino Millelire muore nella sua isola in quello stesso 1816.

Il primo tentativo di sbarco dei Francesi fino alla battaglia del Margine Rosso

Successivamente il 21 dicembre 1792, la flotta francese comandata dall’ammiraglio la Touche-Trèville, si presenta nel golfo di Cagliari. L’8 gennaio 1793 le truppe francesi sbarcano nell’isola di San Pietro, che ribattezzano Isola della Libertà, dove occupano Carloforte. Gli abitanti decidono di nascondere la statua che era stata edificata in onore di Carlo Emanuele III per proteggerla in caso di invasione, sotterrandola in un luogo sicuro, ed al suo posto viene piantato il cosiddetto Albero della Libertà. A crisi rientrata la statua viene riesumata, ma purtroppo un braccio si rompe, e da allora è rimasta così, monca. Il 14 gennaio 1793 i Francesi occupano l’isola di Sant’Antioco. Il 13 febbraio c'è lo sbarco al Margine Rosso, sul litorale di Quartu, di circa duemila Francesi, a cui si uniscono il giorno dopo altri duemila o tremila uomini, ed in seguito c'è il tentativo non riuscito di un secondo sbarco all’altezza del colle di Sant’Elia per effettuare l’attacco al porto di Cagliari. Vincenzo Balbiano nominato vicerè di Sardegna nel 1790Sino alla notte decisiva, tra il 13 e il 15 febbraio, nel corso della quale si svolge la cosiddetta Battaglia del Margine Rosso nel corso della quale si verifica la tumultuosa ritirata delle truppe francesi. Secondo il piemontese ufficiale della marina sarda Vincenzo Balbiano nato a Chieri il 15 marzo 1729 come primogenito di Ludovico Alberico Marchese di Colcavagno e governatore di Susa, nominato vicerè di Sardegna nel 1790, i Francesi marciando lungo la spiaggia del Poetto si erano portati a bandiere spiegate sino alle pendici del monte Urpino, distante poche centinaia di metri dalle mura della città, dove erano stati affrontati da 500 miliziani. Le truppe miliziane avevano vacillato, poi era arrivato in loro soccorso un contingente di mille uomini sotto la guida di Girolamo Pitzolo e Vincenzo Sulis dei quali parleremo anche più avanti, ed anche truppe regolari come un distaccamento di Dragoni ed altri reggimenti. Comunque fosse, era bastato qualche colpo di un cannone di campagna per spingere i Francesi a una fuga disordinata. Più articolata la versione del sacerdote Tommaso Napoli che aveva seguito gli scontri dalle finestre del Collegio di San Giuseppe, il quale enfatizzando l’entità dello scontro mette sopratutto in luce il valore dei Sardi. Una terza versione di parte francese sostiene si sia verificato un ammutinamento nel campo degli occupanti, infatti il comandante francese generale Casabianca afferma che Verso la metà della notte, questa brigata che la paura di essere sorpresa ha tenuto sveglia, pensa di rientrare al campo senza por tempo in mezzo. Cadesu una compagnia che, presa alla sprovvista, crede di avere a che fare con dei nemici e spara un colpo di cannone per dare l’allarme. Nella battaglia del Margine Rosso la difesa di Cagliari dei Miliziani contro la fanteria franceseA questo punto si genera un panico spaventoso. I soldati si gettano sulle loro armi e fanno fuoco. La terza brigata risponde; tre ufficiali e numerosi soldati sono uccisi; tutti sono spaventati, e dei vili, come se ne trovano sempre in casi simili, gridano al tradimento e si salvano di corsa verso il mare, dove qualcuno di loro si getta. L’idea che, a sentire Vincenzo Balbiano, la rotta dei francesi fosse dovuta al Favore del Cielo, prende comunque forma dando vita a una lunga tradizione poi confluita nella celebrazione della Festa di Sant’Efisio, quando i Cagliaritani avrebbero sciolto un doppio voto al Santo, quello originario risalente alla pestilenza del 1656, e quello del 1793, quando la città aveva implorato il suo Santo di salvarla dalla peste rivoluzionaria.

Il nuovo tentativo di sbarco dei Francesi guidati da Napoleone Bonaparte

Il giovane tenente di artiglieria Napoleone BonaparteComunque, mentre Cagliari subisce il bombardamento delle truppe francesi, attacca il nord della Sardegna l’allora sconosciuto tenente di artiglieria Napoleone Bonaparte. Il 22 febbraio 1793 una flotta di 23 unità salpa da Bonifacio in Corsica ed assalta l’isola la Maddalena, difesa da Agostino Millelire. Nella prima giornata di assedio vengono sparate cinquemila cannonate e cinquecento bombe di mortaio. Nella notte del 24 febbraio il luogotenente di vascello Domenico Millelire fratello minore di Agostino nato a la Maddalena nel 1761, sbarca con un lancione, sei uomini e due cannoni nei pressi di Palau ed inizia a sparare sulla flotta francese. La flotta si sposta, e Millelire sposta, con l’aiuto dei pastori, i cannoni continuando l’attacco, finche La flotta francese deve battere in ritirata. Si ricorda ancora oggi la sua vittoriosa resistenza alla flotta napoleonica. Con un’abile campagna di propaganda, aristocratici ed ecclesiastici convincono la popolazione della pericolosità dei Francesi, che indicano come nemici della religione, violenti e schiavisti. Il luogotenente Domenico MillelireLa flotta francese costretta alla ritirata da la MaddalenaLa propaganda ottiene l’effetto voluto, ed i volontari sardi respingono le truppe francesi. La paura di essere rigettati in mare, spingono, il 28 febbraio, i Francesi a reimbarcarsi frettolosamente, e ad abbandonare l’Isola, lasciando solo una guarnigione di 700 soldati nelle isole sulcitane. E mentre, nelle acque di Cagliari, secondo la tradizione protetta da Sant’Efisio, le mire francesi naufragano, vengono liberate anche Carloforte e Sant’Antioco. Questi episodi resistenza all’attacco francese, proprio mente le truppe piemontesi incontrano serie difficoltà sulla terraferma, creano l’illusione che il governo piemontese possa concedere alle classi dirigenti sarde una gestione più autonoma dell’Isola.

I delegati inviati a Torino dagli Stamenti con le cinque domande

Le classi dirigenti, in gran parte ancora di mentalità feudale e con costumi spagnoli, chiedono garanzie di autonomia a Vittorio Amedeo III, ed in particolare, chiedono il riconoscimento dei privilegi da sempre accordati alle istituzioni sarde, in particolare al Parlamento degli Stamenti, ove sedono i rappresentanti della nobiltà, del clero e delle città. Gli Stamenti decisero di inviare le cinque domande non attraverso il vicerè in Sardegna ma direttamente al sovrano, approntando una delegazione che parte il 17 agosto 1793. La delegazione è composta da sei persone provenienti da tutti e tre gli Stamenti, per lo Stamento ecclesiastico monsignor Aymerich ed il canonico Piero Maria Sisternes, per lo Stamento militare gli avvocati Girolamo Pitzolo e Domenico Simon, e per lo Stamento reale gli avvocati Maria Ramasso e Antonio Sircana. In particolare l’avvocato Girolamo Pitzolo, nato a Cagliari il 2 gennaio 1748, aveva guidato l’esercito Sardo nella difesa di Cagliari al tempo della battaglia del Margine Rosso. La delegazione si reca a Torino per avanzare a Vittorio Amedeo III riChieste precise, sintetizzate nelle cosiddette Cinque domande che costituivano una piattaforma di stampo autonomistico che gli Stamenti sardi, autoconvocatisi dopo la vittoria contro i Francesi, avevano elaborato mediando le rivendicazioni provenienti dalla nobiltà e dall’emergente borghesia professionale sarda. In esse si richiedevano la concessione di un vero programma costituzionale, la convocazione del Parlamento mai più convocato dall’arrivo dei Piemontesi, la riconferma degli antichi privilegi dei quali aveva sempre goduto la popolazione sarda, la nomina negli impieghi civili e militari e nelle cariche ecclesiastiche esclusivamente di Sardi, l’istituzione a Torino di un Ministero per la Sardegna ed a Cagliari di un Consiglio di Stato per i controlli di legittimità. I delegati vengono tenuti a Torino in attesa per mesi, senza ottenere risposte, mentre in Sardegna cresce la tensione. Al rifiuto di Vittorio Amedeo III di prendere in considerazione le proposte del Parlamento sardo, scoppia una rivolta a Cagliari.

I tumulti popolari a seguito della sanguinosa repressione

La scintilla che fa esplodere la contestazione è l’arresto, ordinato dal vicere Vincenzo Balbiano, di due capi del partito patriottico, gli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. L’arresto di sembra l’inizio di un’azione repressiva su larga scala del governo piemontese. Matura la decisione di cacciare i Piemontesi dalla Sardegna. Siamo al 28 aprile del 1794 la popolazione insorge in quelli che verranno ricordati come i cosiddetti Vespri Sardi, con l’insurrezione popolare nei quartieri di Stampace, Marina e Villanova. Questa data è ricordata come Sa dì de S’acciappa, ossia il giorno della cattura. Gli insorti conquistano Castello e il Palazzo viceregio. Il 7 maggio 1794 si verifica lo Scommiato, ossia la cacciata dalla città da parte della popolazione inferocita tutti i 514 funzionari continentali, compreso il viceré Vincenzo Balbiano, che nel mese di maggio di quell’anno vengono imbarcati con la forza e cacciati via dall’Isola, ma esclusi l’arcivescovo di Cagliari e gli altri prelati. Nel mese di luglio 1794 l’iniziativa della reazione passa ai Sardi. Vengono designati alle maggiori cariche del regno quattro alti funzionari sardi, fedeli ai Savoia e decisi a restaurare l’ordine, e sono il magistrato Gavino Cocco reggente la reale Cancelleria, l’avvocato Girolamo Pitzolo intendente generale, Antioco Santuccio governatore del capo di Sassari e del Logudoro, ed il Marchese della Planargia Gavino Paliaccio generale delle armi.

Gavino Cocco reggente della reale Cancelleria Girolamo Pitzolo intendente generale Antioco Santuccio governatore di Sassari Gavino Paliaccio generale delle armi

Filippo Vivalda nominato vicerè di Sardegna nel 1794Passato un paio di mesi, il 6 settembre, bene accolto dalla popolazione, giunge a Cagliari il nuovo vicerché Filippo Vivalda. Nei primi mesi del 1795, in sintonia con il nuovo incaricato degli affari di Sardegna, Girolamo Pitzolo e Gavino Paliaccio progettano una sanguinosa repressione, inviano a Torino liste di proscrizione dei membri del partito patriottico, adottano provvedimenti polizieschi e intimidatori nei confronti dei deputati agli Stamenti. Poco dopo, nel mese di luglio, gli esponenti del partito patriottico iniziano una campagna di denuncia contro il progettato colpo di stato dei realisti, a capo dei quali stanno Girolamo Pitzolo e Gavino Paliaccio. Gli Stamenti, in seduta congiunta, chiedono senza esito al vicerché la loro rimozione, ed in seguito, durante i tumulti popolari di reazione ai progetti di restaurazione, Girolamo Pitzolo viene ucciso dalla folla davanti a Palazzo vicerègio il 6 luglio, e Gavino Paliaccio il 22 luglio.

I moti antifeudali ed antipiemontesi guidati dal giudice Giovanni Maria Angioy

Giovanni Maria AngioyCon la rivolta urbana si intrecciano i moti antifeudali delle campagne. Ne nasce un vero e proprio movimento rivoluzionario di stampo repubblicano. In questa situazione emerge la personalità di Giovanni Maria Angioy nato a Bono il 21 ottobre 1751, giudice della reale Udienza, il supremo organo giurisdizionale del regno. La sua azione in difesa della sua terra, iniziata già nel 1793, durante le operazioni che hanno portato alla cacciata dall’isola delle squadre navali francesi, emerge dopo la rivolta del 1794, quando diviene l’anima del Governo Autonomo sardo. Tra il 1795 e il 1796 la nobiltà conservatrice di Sassari ed i feudatari del Logudoro tentano di rendersi autonomi da Cagliari, per dipendere direttamente da Torino. Allora Filippo Vivalda nominato nel 1794 nuovo vicerè dopo Vincenzo Balbiano, invia Giovanni Maria Angioy a Sassari come suo vicario per riportare gli insorti all’obbedienza. Giovanni Maria Angioy viene accolto dalle popolazioni ovunque come un liberatore e si trova presto in contrasto con lo steso vicerè, quando invece di rappresentare gli interessi piemontesi fomenta e dirige la Grande sollevazione popolare del 1796. Sassari, palazzo della provincia: affresco dell’entrata di Giovanni Maria Angioy in cittàSi tratta di un moto giacobino e antifeudale che lo vede da Sassari guidare la marcia su Cagliari. La marcia, che inizialmente sembra vittoriosa, viene fermata nel giugno del 1796 ad Oristano, dove viene sconfitto e deve abbandonare l’isola rifugiandosi, l’anno successivo, a Parigi, dove morirà esule nel 1808. Le rivolte, comunque, proseguono, seguite da una Sanguinosa repressione che causa molti morti e moltissimi arresti. E ritornano, in Sardegna, il potere feudale, le carestie e la forte pressione fiscale. Giovanni Maria Angioy rimane uno dei principali personaggi della storia sarda, non c’è città in Sardegna che non abbia intestata a lui, come a Eleonora d’Arborea, una strada o una piazza.

Francesco Ignazio Mannu scrive la Marsigliese Sarda

Francesco Ignazio MannuTesto di <em>S’Innu de su Patriottu sardu a sos Feudatarios</em>, noto anche con il suo primo verso 'Procurade ’e moderare'A seguito dei fatti del 28 aprile 1794, giorno in cui inizia la rivolta che sarà poi guidata da Giovanni Maria Angioy, il poeta Francesco Ignazio Mannu nato a Ozieri nel 1758, scriverà qualche anno dopo l’Innu de su Patriottu sardu a sos Feudatarios, più noto con il suo primo verso Procurad ’e moderare, il principale e più appassionato canto contro la prepotenza feudale dei proprietari terrieri, stampato clandestinamente in Corsica e diffuso successivamente anche in Sardegna, che è diventato il canto di guerra degli oppositori sardi, passando alla storia come la Marsigliese Sarda. A ricordo di questi eventi, il 28 aprile di ogni anno si festeggia Sa die de Sa Sardigna, ossia Il giorno della Sardegna. Si tratta di una Festa istituita dal Consiglio regionale il 14 settembre 1993 come Festa del popolo sardo, a ricordo dell’insurrezione popolare del 28 aprile 1794, con il quale si allontanarono da Cagliari i Piemontesi e il vicere Balbiano.

Gli ultimi anni di Vittorio Amedeo III

Nelle campagne piemontesi i contadini, protestando per le pessime condizioni delle campagne soggette alle devastazioni della guerra ed alle tasse sempre maggiori, danno vita a vere e proprie bande armate che saccheggiano a più riprese il territorio sabaudo, proclamando effimere repubbliche e venendo respinti con ferocia dai soldati ormai incapace di gestire una situazione del tutto sfuggita di mano. Vittorio Amedeo III, isolato e condannato da tutti, anche dai suoi più fedeli sostenitori di un tempo, colpito da apoplessia, Muore settantenne lasciando un regno allo sfascio economico, con le casse completamente svuotate, privato di due province fondamentali ossia la Savoia e Nizza, e devastato dalle correnti rivoluzionarie.

Carlo Emanuele IV di Savoia detto l’Esiliato che viene nominato re di Sardegna

Carlo Emanuele IV duca di SavoiaAlla morte di Vittorio Amedeo III il 16 ottobre 1796 gli succede il figlio primogenito Carlo Emanuele IV di Savoia detto L’Esiliato, nato a Torino il 24 maggio 1751 e che regna fino all’abdicazione nel 1802, per poi morire nello Stato Pontificio a Roma il 6 ottobre 1819. Dopo due anni di negoziati con il regno di Francia, il 21 agosto 1775 Carlo Emanuele sposa per procura Maria Clotilde sorella di re Luigi decimosesto, mentre il matrimonio vero e proprio viene celebrato il 6 settembre 1775 a Chambèry. Avendo un fisico malaticcio ed essendo epilettico e psicologicamente fragile, Carlo Emanuele viene profondamente provato dagli effetti della Rivoluzione Francese. Nel 1793 viene condannato a morte il cognato re Luigi decimosesto, nel 1793 subisce la stessa sorte la cognata la regina Maria Antonietta, dopo di che le truppe della Repubblica francese fanno irruzione nei domini che erano stati di suo padre Vittorio Amedeo III.

Le aggressioni dei pirati tunisini

Durante il regno di Carlo Emanuele IV il sud della Sardegna deve affrontare le incursioni di pirati tunisini e l’aggressione dell’esercito francese di Napoleone Bonaparte. Nel settembre del 1798, circa cinquecento corsari, capeggiati dal Rais Mohamed Rumeli assaltano l’isola di San Pietro mettendo a ferro e fuoco Carloforte e riducono in schiavitù 933 abitanti che vengono portati a Tunisi, mentre a Cagliari non c’è neppure una nave piemontese da inviare in soccorso, dato che la flotta staziona a la Maddalena. Solo nel 1803, dopo lunghe trattative in cui intervengono grandi personalità politiche dell’epoca, con il pagamento di un cospicuo riscatto i superstiti possono tornare nella loro terra. Con loro portano il simulacro della Madonna dello Schiavo che il viceparroco Nicolò Segni, detto U previn cioè il piccolo prete, anch’egli schiavo ma volontario per assistere la sua gente, vuole portare con sé, dopo che è avvenuto il suo ritrovamento da parte di Nicola Moretto anch’egli schiavo. Successivamente, l’anno successivo, un’altra spedizione tunisina assalta la Maddalena mentre le navi sarde sono in missione, ma l’isola viene salvata dall’eroismo dei suoi abitanti comandati da Agostino Millelire che è diventato capitano del porto, il quale organizza con successo la difesa dell’abitato, guidando la popolazione civile e la piccola guarnigione contro una flottiglia barbaresca, che aveva cercato di sbarcare nell’isola con il solito intento di saccheggiare e catturare schiavi.

A seguito dell’invasione francese Carlo Emanuele IV lascia Torino e trasferisce a capitale a Cagliari

Cagliari: il Palazzo regio cha ha ospitato la corte sabaudaNel 1798, attaccato da Austria, Inghilterra e Russia, il generale del corpo d’armata Napoleone Bonaparte propone la costituzione di un’alleanza con il Regno di Sardegna, che Carlo Emanuele IV però rifiuta. Allora Napoleone, dopo aver conquistata la Lombardia e creato le repubbliche Cispadana, Cisalpina, ligure e Romana, fa invadere il Piemonte dal generale Joubert, e il 10 dicembre 1798 costituisce la repubblica Piemontese. A seguito dell’invasione francese, Carlo Emanuele IV con la famiglia reale lascia Torino e parte per Livorno, da dove, il 24 febbraio 1799 Salpa per Cagliari dove giunto il re pubblica una protesta contro l’abdicazione strappatagli con la violenza e si installa nel palazzo regio, che diventa a tutti gli effetti la capitale del regno. Ciò comporta un ulteriore aumento delle tasse per sostenere economicamente la corte, la quale resterà nell’isola fino alla definitiva restituzione degli stati di terraferma. Non mancarono tuttavia, durante il soggiorno della famiglia reale a Cagliari e nel quadro di una più generale pacificazione, alcune sollevazioni popolari, isolati strascichi della Sarda rivoluzione di Giovanni Maria Angioy. Nell’isola si verificano quindi timidi tentativi di insurrezione, ad opera di fra Gerolamo Podda, Francesco Cilocco e del parroco di Torralba Francesco Corda. Sono tentativi che tentano di proclamare la repubblica Sarda, ma gli insorti vengono uccisi in conflitto, o condannati al carcere a vita o a morte.

Il tentativo di insurrezione di Vincenzo Sulis e la sua condanna

Lo scrittore Vincenzo Sulis che aveva guidato l’esercito Sardo nella difesa di Cagliari'Vincenzo Sulis ritrattato negli ultimi anni di sua vita nell’isola della Maddalena per commissione di Pasq. Tola'Significativo è il tentativo dello scrittore Vincenzo Sulis che aveva guidato l’esercito Sardo nella difesa di Cagliari al tempo della battaglia del Margine Rosso ed era divenuto uno dei più stretti collaboratori del re. Egli è un Tribuno popolare amato e seguito da quello che egli avrebbe definito il Popolaccio indomito. Una tale somma di potere nelle mani di un singolo che, in virtù del proprio ascendente, comanda armati, guida le folle, prende decisioni politiche, stabilisce se e come i Savoia possano sbarcare in Sardegna, indubbiamente non torna gradita ala corte sabauda. Nel giro di soli sei mesi un accorto lavorio priva Vincenzo Sulis del sostegno fornitogli dai suoi seguaci. Il 9 settembre 1799 venne accusato di avere organizzato una congiura antimonarchica. Carlo Emanuele IV si allontana dall’isola il 18 settembre 1799, lasciando come vicerè il fratello Carlo Felice, il quale offre per la cattura di Vincenzo Sulis una taglia di 500 scudi. L’arresto, con l’accusa di Voler uccidere i principi reali in una progettata visita alla tonnara di Portoscuso, avviene il 14 settembre, quando dopo aver tentato una rocambolesca fuga notturna via mare a bordo di una feluca sulla quale egli sperava di allontanarsi da Cagliari per trovare la salvezza in Corsica, viene tradito per danaro da un suo cognato. Viene quindi arrestato, rinchiuso a Cagliari nella Torre dell’Aquila, e gli si organizza un processo farsa per il quale è prevista la pena capitale. Però Sulis, anche se prigioniero, è pur sempre un capopopolo, e quindi, per paura delle eventuali conseguenze di una pena capitale, alla fine gli viene inflitto il carcere perpetuo da scontarsi ad Alghero, dentro la Torre dello Sperone, che per questo prenderà il nome di Torre di Sulis. Dopo un viaggio per mare di due settimane, scortato da un mezzo esercito, arriva ad Alghero il 5 maggio del 1800. Sulis rimane rinchiuso li, in condizioni disumane, ma tenterà di scappare due volte. La prima volta nel giugno del 1801 taglia le sbarre nel foro del soffitto, a otto metri di altezza, ma viene tradito dalle guardie che hanno fatto finta di assecondarlo solo per prendergli dei soldi, e gli viene applicata una ulteriore restrizione con la catena ai piedi. Alghero: la Torre dello Sperone cha ha preso il nome di Torre di SulisLa seconda volta, dimostrando una forza di volontà fuori dal comune, nel gennaio del 1811 finge di essere paralizzato. Sopporta senza fiatare ogni tentativo dei medici di verificare l’assenza di reazione con spilloni nelle carni e candele accese. E quando viene trasferito a Sassari nel mese di marzo, complice un fratello, fugge verso la Corsica nella notte tra il 26 e il 27 dicembre. Ma, dopo che hanno minacciato di arrestare e decapitare tutti i suoi parenti, si riconsegna spontaneamente. Uscirà dalla Torre dello Sperone, in un tripudio di folla algherese, il 24 luglio del 1820, giorno del compleanno del successivo re Vittorio Emanuele I, che finalmente gli concede la grazia.

La fine della Repubblica Piemontese e l’instaurazione della Repubblica Subalpina

Mentre Napoleone è in Egitto, tra l’aprile e il settembre 1799 si era svolta la campagna italiana del generale Aleksandr Vasil’evič Suvorov, che alla guida dell’esercito russo-austriaco aveva l’obiettivo di liberare dai Francesi la Svizzera e l’Italia del nord. In pochi mesi, Suvorov arriva alle porte di Torino, mentre parallelamente si verifica una insurrezione della popolazione delle campagne piemontesi che passerà alla storia come l’Ordinata massa cristiana guidata da Branda lucioni, maggiore dell’esercito imperiale austriaco, che partecipa alla presa di Torino ponendo fine alla repubblica Piemontese ed ha un ruolo decisivo nella liberazione della città, la quale il 26 maggio 1799 accoglie Suvorov con una vera Festa di popolo. Le vittorie del Suvarov danno a Carlo Emanuele la speranza di ricuperare il regno. Ma, dopo essere rientrato in Francia, nel 1800 Napoleone scende nuovamente nella pianura padana valicando le Alpi, annette gli Stati di terraferma dei Savoia alla Francia, e pertanto il Regno di Sardegna si riduce alla sola Isola. Lo scontro decisivo avviene a Marengo, il 14 giugno 1800, e in questa battaglia le truppe francesi riescono a prevalere. Occupano nuovamente Torino, destituendo nuovamente il re ed instaurando la repubblica Subalpina.

Gli ulrimi anni di Carlo Emanuele

Carlo Emanuele IV si era allontanato dall’isola già il 18 settembre 1799, lasciando come vicerè il fratello Carlo Felice. Lascia Cagliari e ritorna a Firenze, quindi deluso si reca a Roma e poi a Napoli, dove la moglie Maria Clotilde si ammala di febbre tifoidea e muore in odore di Santità il 7 marzo 1802. Carlo Emanuele è distrutto dal dolore e tornato a Roma, colpito da crisi mistica, il 4 giugno 1802, a Palazzo Colonna Abdica a favore di suo fratello Vittorio Emanuele che è privo di discendenza diretta in quanto il suo figlio maschio Carlo Emanuele era morto a Cagliari l’8 agosto 1799, e si ritira a vita privata, pur conservando il titolo regio e un assegno annuo. Carlo Emanuele IV in abito da GesuitaIl re Carlo Emanuele, tuttavia, dopo un soggiorno a Roma torna in Sardegna solo nel 1806. Nel 1804 il vicerè Carlo Felice istituisce a Cagliari la reale società agraria ed economica, che continua la tradizionale politica di sostegno all’agricoltura avviata dai Savoia. Durante quegli anni viene fondata Santa Teresa di Gallura, viene creato un esercito e una flotta, impiantate industrie cartiere e laniere, potenziato il servizio postale. Durante tutta la sua vita, Carlo Emanuele IV si è interessato molto alla restaurazione della Compagnia di Gesù, che era stata soppressa nel 1773. Nel 1814, l’Ordine viene ripristinato e dopo sei mesi, l’11 febbraio del 1815, Carlo Emanuele IV intraprende il noviziato da Gesuita, a Roma. Vive nel noviziato fino alla morte, il 6 ottobre 1819, pochi mesi dopo la visita di Carlo Alberto che sarà il futuro re, e viene sepolto nella chiesa di Sant’Andrea al Quirinale.

Vittorio Emanuele I di Savoia detto il Tenacissimo che viene nominato re di Sardegna

Vittorio Emanuele I duca di SavoiaDopo l’abdicazione di Carlo Emanuele IV il 4 giugno 1802, sale sul trono il fratello Vittorio Emanuele I di Savoia detto Il Tenacissimo, che è il terzo figlio maschio di Vittorio Amedeo III di Savoia e Maria Antonietta di Spagna. Nato a Torino il 24 luglio 1759, regna fino all’abdicazione nel 1821, per poi morire a Moncalieri il 10 gennaio 1824. Il 21 aprile 1789 l’allora duca Vittorio Emanuele aveva sposato nel duomo di Novara l’arciduchessa Maria Teresa d’Asburgo-Este, figlia di Ferdinando d’Asburgo-Este duca di Bresgovia, dalla quale nascono cinque figli che sono Maria Beatrice, Carlo Emanuele, Maria Teresa, Maria Anna, Maria Cristina, di cui però solo le quattro femmine sopravvivono fino all’età adulta. Alla sua salita al trono, Vittorio Emanuele però non prende possesso dei domini in Sardegna e preferisce affidarli al fratello Carlo Felice, in qualità di vicerè. Nello stesso anno della sua ascesa al trono, l’11 settembre 1802 il Piemonte viene annesso alla Francia, ponendo fine alla repubblica Subalpina. Durante l’occupazione francese, gravissimi sono i danni recati al patrimonio artistico. Le truppe francesi, mal equipaggiate e mal nutrite, durante l’occupazione si danno spesso al saccheggio delle campagne e dei villaggi, depredando chiede e città, da dove rubano inestimabili opere d’arte, che vengono inviate a Parigi, e dove requisiscono oggetti sacri d’oro e d’argento, che verranno, in seguito, fusi e utilizzati a finanziare la guerra d’invasione. Dopo quasi ottant’anni, Il Regno di Sardegna è rientrato nuovamente nei confini dell’Isola dato che il regno di Piemonte e Sardegna rimane formato solo dall’Isola, e ne è la capitale Cagliari. Vittorio Emanuele si trasferisce a Cagliari nel 1806, ed il 4 maggio 1807, con regio Decreto, istituisce nell’isola quindici prefetture, che sono Sassari, Alghero, Tempio, Ozieri, Bono, Nuoro, Bosa, Laconi, Oristano, Tortolì, Sorgono, Mandas, Villacidro, Iglesias e Cagliari. L’attività di governo di Vittorio Emanuele durante la sua permanenza a Cagliari è minima, e gli Stamenti non si oppogono a nessuna sua decisione accettando anche l’imposizione di nuove imposte.

La congiura di Palabanda

Cagliari: il portico dei Patrioti sardi dedicato ai martiri di Palabanda visto dalla via Vittorio EmanueleMa la presenza del sovrano nell’isola non calma il malcontento generale che sfocia nel 1812, in un anno ricordato ancora oggi come Su Famini de S’Annu Doxi, ossia la fame dell’anno dodici, quando Cagliari e la Sardegna sono colpiti da una grande siccità, che provoca una carestia con una epidemia di vaiolo. Il popolo esasperato decide di ribellarsi, i congiurati si riuniscono in un podere di proprietà dell’avvocato Salvatore Cadeddu segretario dell’Università, situato nella località di Palabanda, nella zona in cui oggi sorge l’Orto Botanico. Giacomo Pes di Villamarina comandante militare della cittàL’insurrezione chiamata la Congiura di Palabanda fissata per il 30 ottobre, prevede l’assalto alla caserma della real Marina, per entrare in Castello occupando i luoghi più strategici, arrestare Giacomo Pes di Villamarina comandante militare della città, ed espellere i cortigiani e i funzionari pubblici proteggendo il re e la sua famiglia. Ma la notizia della cospirazione arriva al re, ed il colonnello allerta i militari che arrestano quasi tutti i congiurati. Cagliari: lapide commemorativa dei martiri di Palabanda all’interno dell’Orto BotanicoUna lapide commemorativa della congiura è conservata nella piazzetta centrale dell’Orto Botanico, e ricorda che dei congiurati Raimondo Sorgia e Giovanni Putzolo vengono arrestati e impiccati; Gaetano Cadeddu, Giuseppe Zedda, Francesco Garau e Ignazio Fanni, Giudicati in contumacia, subiscono la stessa condanna; a Giovanni Cardeddu e ad Antonio Massa viene comminato l’ergastolo; Giacomo Floris e Pasquale Fanni vengono condannati al remo a vita; gli altri congiurati vengono banditi dall’isola o esiliati all’interno; ed infine Salvatore Cadeddu, catturato nell’iglesiente, viene impiccato il 2 settembre 1813 nella vicina Piazza d’Armi. A Cagliari è stato realizzato il Portico dei Patrioti sardi dedicato ai martiri di Palabanda, dove nel 1992 è stata posta dal Rotary Club di Cagliari una lapide in marmo in ricordo degli undici eroi sardi.

Il ritorno di Vittorio Emanuele a Torino

Frattanto, Napoleone, dopo le folgoranti vittorie in Europa, e dopo la disastrosa ritirata dalla Russia, nel 1813 viene sconfitto dalla sesta coalizione ed esiliato, il 6 aprile 1814, all’isola d’Elba. Il mese dopo, il 2 maggio 1814, Vittorio Emanuele I Lascia Cagliari e parte per tornare a Torino dove il 19 maggio entra, accolto trionfalmente dalla popolazione. Il fratello Carlo Felice lo segue a Torino per un breve periodo, per poi ritornare l’anno seguente in Sardegna con la moglie, mantenendo formalmente la carica di vicerè sino al 1821, pur facendo rientro alla corte di Torino dopo breve tempo. Con il trattato di Parigi il 30 maggio viene ripristinato il potere dei Savoia, e con il congresso di Vienna, il 4 gennaio 1815, vengono annesse al Regno di Sardegna la città di Genova e tutta la liguria, assumendo la funzione di Stato cuscinetto nei confronti della Francia. A Torino, Vittorio Emanuele I cerca di riportare il regno agli antichi principi della monarchia assoluta, senza tenere conto dei nuovi valori affermati dalla Rivoluzione Francese. Durante il suo regno, crea, nel 1814, su modello della Gendarmeria francese, l’Arma dei Carabinieri. Il 16 agosto 1815, anche la regina Maria Teresa raggiunge Torino, e a Cagliari il fratello minore del re, Carlo Felice, assume la carica viceregia.

L’editto delle Chiudende, con il quale vengono scardinati gli ultimi valori culturali del popolo sardo

Lettura di 'Le Chiudende nel territorio di Nuoro prima e dopo la pubblicazione del regio Editto 6 ottobre 1820'I Piemontesi sono interessati al più completo controllo del territorio ed allo sfruttamento delle sue ricchezze. A tale scopo, il 6 ottobre 1820 Vittorio Emanuele promulga il Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna. Con questo editto egli autorizza la chiusura con siepi o muri delle terre comuni, consentendo quindi per la prima volta nella storia della Sardegna la creazione della proprietà privata, e viene del tutto cancellato il regime della Proprietà collettiva dei terrenI che era stata una delle principali caratteristiche della cultura e dell’economia sarda fino dal periodo nuragico ed era stato successivamente sempre confermato nella legislazione dell’Isola. A ciò si aggiunga che le operazioni di chiusura avvengono in modo spesso illegale, da parte di latifondisti o degli stessi Piemontesi, a danno della popolazione locale che non ha i mezzi per costruire siepi o muri di divisione e deve subire quindi gli abusi dei proprietari più grossi. Anche i pastori vengono fortemente danneggiati venendo notevolmente limitati gli spazi aperti e destinati al pascolo. Questa imposizione di valori culturali estranei alla cultura dell’Isola, da parte di quelli che vengono considerati invasori, con le evidenti conseguenze anche di tipo economico, Per una popolazione che faceva dell’agricoltura comune e della pastorizia su terreni comuni la sua fonte di vita contribuisce in modo determinante a un ulteriore aggravarsi del fenomeno della ribellione e di conseguenza del cosiddetto banditismo sardo.

Per non concedere la costituzione Vittorio Emanuele viene costretto ad abdicare

Atto di abdicazione di Vittorio Emanuele IGli ultimi anni del regno di Vittorio Emanuele sono sconvolto dai Moti rivoluzionari che segnano l’inizio della stagione risorgimentale italiana. I primi subbugli sono difficili da controllare, anche perché le rivolte sono segretamente appoggiate da un lontano cugino del re, Carlo Alberto principe di Carignano, che in futuro salirà sul trono. Il capo dei ribelli, Santorre Annibale Derossi detto SanTorre di Santa Rosa, si incontra con il principe di nascosto ottenendo il suo appoggio, ma l’aiuto promesso viene meno proprio quando la rivolta sta per scoppiare. Nel marzo del 1821, esplode pienamente la rivoluzione liberale, in larga parte opera dei Carbonari, che reclamano una costituzione che faccia del Regno di Sardegna un regno liberale e moderno. Vittorio Emanuele, con il suo modo di regnare, ha creato ovunque malcontento, non solo in Sardegna con l’editto delle Chiudende, ma anche in Piemonte. Egli, da sempre molto lontano dalle riChieste liberali, non è mai stato propenso ad accondiscendere ad esse. Per non concedere la costituzione, il 13 marzo 1821 abdica, e non avendo che figlie femmine lo fa in favore del fratello minore Carlo Felice. Ma, poiché Carlo Felice si trova in quel momento a Modena, Vittorio Emanuele affida temporaneamente la reggenza a Carlo Alberto, che si dimostra estremamente liberale e segretamente favorevole ai moti che stanno cambiando il volto del vecchio Regno di Sardegna, e quindi Concede la costituzione senza attendere l’approvazione del re, il quale comunque la revocherà subito dopo. Come reggente, Carlo Alberto riduce le quindici prefetture della Sardegna a Undici province ossia Cagliari, Oristano, Iglesias, Isili, Sassari, Alghero, Ozieri, Tempio, Nuoro, Cuglieri e Lanusei.

Carlo Felice di Savoia detto Carlo Feroce che viene nominato re di Sardegna

Carlo Felice duca di SavoiaDopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele I il 13 marzo 1821, sale sul trono il fratello Carlo Felice di Savoia soprannominato dai torinesi Carlo Feroce, che è il quinto figlio maschio di Vittorio Amedeo III di Savoia e Maria Antonietta di Spagna. Nato a Torino il 6 aprile 1765, regna fino alla morte a Torino il 27 aprile 1831. Quale fratello minore di Carlo Emanuele e Vittorio Emanuele, non era destinato alla successione al trono, e trascorse la sua infanzia nella residenza paterna di Moncalieri senza alcuna formale istruzione negli affari di Stato. A questo fatto possono, in certa misura, essere ricollegati alcuni suoi atteggiamenti nel concepire e nell’esercitare il potere: il dommatismo della sua fede nell’origine divina dell’autorità regia, il carattere ossessivo del suo atteggiamento risolutamente e indiscriminatamente avverso a qualsiasi innovazione, il moralismo di tipo paternalistico come metro di giudizio dei fatti politici, la proterva intolleranza di divergenze e di opposizioni. Il 6 aprile 1807 sposa a Palermo Maria Cristina di Borbone-Napoli, ma dal loro matrimonio non nascono figli. In seguito, invoca l’aiuto della Santa Alleanza, fondata nel 1815 da quasi tutte le potenze europee per garantire gli assetti politici usciti dal congresso di Vienna. Le forze costituzionali cercano egualmente di tenere testa a quelle austriache, alle quali si è alleato Carlo Felice, ma vengono sconfitte a Novara.

Carlo Felice impone la monarchia assoluta

Possedendo una concezione quasi sacrale della monarchia, appena salito al trono come prima iniziativa, da Modena dove si trova, ingiunge al reggente Carlo Alberto la Revoca della costituzione e lo destituisce. Carlo Felice soffoca l’insurrezione liberale, con l’aiuto dell’esercito austriaco, fa incarcerare molti patrioti, e la rivolta, quindi, sembra placata. Sgominati i costituzionalisti, governa attenendosi inflessibilmente ai Principi della monarchia assoluta. Nei seguenti dieci anni di regno, porta lo stato a diventare una potenza marittima. Nel 1827 fa pubblicare il nuovo Codice Civile e Penale degli stati sabaudi, che va a riformare quello in vigore, a suo avviso troppo impregnato di valori rivoluzionari. Ed adorna Genova e Torino di suntuosi palazzi.

I suoi incarichi in Sardegna

Dal 18 settembre 1799 Carlo Felice assume la carica di Vicerè di Sardegna per conto di re Carlo Emanuele IV ma, privo non soltanto di esperienza politica ed amministrativa, ma anche di vera attrazione per l’esercizio del governo, egli assume l’incarico come un dovere non derogabile, ma decide di esercitarlo come un diritto non delegabile nè condizionabile. Sostenuto dalla feudalità isolana, egli si oppene all’autonomia della burocrazia e perfino della magistratura, che vuole docili strumenti della sua autorità, e di quella dei suoi collaboratori, che vuoe umili esecutori della sua volontà. La burocrazia della quale frena però la piemontesizzazione gli fornisce sostegno, la magistratura invece, gelosa della sua indipendenza, si mostra incapace di affrancarsi dalla soggezione ai vincoli e alle pressioni ambientali. Stefano Manca di Thiesi dei duchi dell’Asinara poi Marchese di VillahermosaCon due Sardi, Giacomo Pes di Villamarina che abbiamo già incontrato come governatore della città al tempo della congiura di Palabanda, e soprattutto Stefano Manca di Thiesi dei duchi dell’Asinara poi Marchese di Villahermosa, intransigenti difensori dello status quo e fervidi sostenitori di casa Savoia in Sardegna, crea un rapporto non solo di collaborazione, ma di amicizia e di confidenza. Carlo Felice si reca in Sardegna con la moglie dopo che il 16 agosto 1815 ha assuto la carica di Viceré per conto del fratello Vittorio Emanuele I carica che mantiene formalmente sino al 1821, data della sua salita al trono, pur facendo rientro alla corte di Torino dopo breve tempo. Il governo di quando Carlo Felice assume la carica di Re di Sardegna è ricordato nell’isola come alquanto rigido ed autoritario, infatti la Sardegna, dopo i moti rivoluzionari sardi, aveva conosciuto un periodo di disordine, acuito dalla forte povertà, che aveva generato come conseguenza un aumento della delinquenza.

I processi politici e la repressione

Instaurando un vero e proprio regime militare, Carlo Felice crea una magistratura speciale, la Vice-Regia Delegazione per l’istruttoria dei processi politici, ed il primo ad essere celebrato è nel 1799 quello a carico del capopolo Vincenzo Sulis. Nel perseguire i reati di stato, egli legittima l’adozione di procedure militari ed ogni arbitrio di polizia, dallo spionaggio alla censura epistolare e alle taglie sugli indiziati. Ossessionato dal pericolo dei giacobini, nel biennnio 1800 e 1801 scopre e schiaccia alcune loro macchinazioni. La più grave prende il nome dal frate minimo Gerolamo Podda che aveva fatto della sua cella la sede di una specie di club giacobino, e che viene processato nel 1801, ma muore in carcere prima della sentenza. L’ex parroco di Terralba Francesco Sanna CordaIl 13 giugno 1802 vi è un tentativo rivoluzionario dei fuorusciti sardi in Gallura, preparata alla rivolta dall’ex parroco di Terralba Francesco Sanna Corda e dal notaio cagliaritano Francesco Cilocco, eroe nazionale sardo, martire e patriota. I ribelli proclamano la repubblica sarda, catturano un bastimento postale e si impadroniscono delle torri di longosardo, Vignola e Isola Rossa. Il tentativo di rivolta viene subito represso con l’uccisione del prete Sanna Corda, sepolto ai piedi della Torre di longon Sardo. Santa Teresa di Gallura: la Torre di longonsardo sotto la quale è stato sepolto il prete Sanna CordaIl Cilocco, l’altro capo della spedizione, riesce a fuggire. Braccato in tutta l’isola, il 25 luglio viene catturato, sottoposto alla tortura della corda e poi decapitato all’età di 33 anni, il corpo di Francesco Cillocco, riferisce Sebastiano Pola, Pendette, spettacolo macabro e nauseante, per due giorni, dal patibolo, fuori le mura, viene poi bruciato vicino alle forche, salvo il capo che è affisso a una trave del patibolo, e successivamente le sue cenerisono sparse al vento. La repressione spietata accentua la feroce severità dell’immagine pubblica di Carlo Felice, ma fa sorgere la convinzione che nell’isola Spirasse un’aura per nulla benigna alle avventure. La repressione che caratterizza Carlo Felice, sia come vicerè che in seguito come sovrano, ha fatto numerosissime altre vittime tra cui si possono ricordare anche i seguaci di Giovanni Maria Angioy, oltre ai numerosi ecclesiastici democratici, preti e frati, che lottavano contro il feudalesimo.

La realizzazione dell’arteria viaria più importante della Sardegna

Cagliari: in piazza Yenne si trova la pietra miliare che segna il punto di inizio della principale arteria sarda, la SS131 di Carlo FeliceCagliari: in piazza Yenne la statua di Carlo Felice il re di Piemonte e Sardegna che ha fatto realizzare la SS131 di Carlo FelicePur afflitto da difficoltà economiche e finanziarie edessendo caratterizzato da un rigido protezionismo, il regno di Carlo Felice non è privo di iniziative nel campo dei servizi e delle opere pubbliche. Egli aveva riservato un’attenzione nuova al territorio, potenziando la rete delle infrastrutture facendo progettare nel 1820 l’Arteria viaria più importante della Sardegna che unisce Cagliari a Porto Torres ed oggi è nota con il nome di SS131 di Carlo Felice, la cui realizzazione è iniziata durante il suo regno, e che verrà inaugurata nel 1829. Dai tempi dell’impero Romano non erano più state realizzate infrastruttura viarie in Sardegna.

La conclusione della dinastia degli Amedei alla quale succede la dinastia dei Savoia-Carignano

Vittorio Emanuele I ed il suo successore Carlo Felice, erano entrambi figli di Carlo Emanuele IV duca di Savoia. Vittorio Emanuele I aveva avuto solo figlie femmine, per cui gli era succeduto il fratello minore Carlo Felice, che muore senza figli. La successione al regno dei Savoia, dunque, diviene un affare in cui l’Austria vede la possibilità di impone il proprio potere anche su queste terre. Per questo, spinge affinche, alla morte di Carlo Felice, il fratello Vittorio Emanuele I, che è ancora in vita, scelga come successore il principe Francesco IV d’Este, imparentato con gli Asburgo. Ma non avviene così, egli infatti sceglie come successore Carlo Alberto, appartenente a un ramo cadetto della famiglia. Con la morte di Carlo Felice, il 27 aprile 1831, si estingue la Dinastia degli Amedei, che prende il nome dal primo Duca d’Aosta che era stato Amedeo VIII, e ad essa subentra la Dinastia dei Savoia-Carignano con la successione di Carlo Alberto, settimo principe di Carignano.

Carlo Alberto di Savoia-Carignano detto il Magnanimo che viene nominato re di Sardegna

Carlo Alberto di Savoia-CarignanoNel 1831 gli succede Carlo Alberto di Savoia-Carignano detto Il Magnanimo, nato nel Palazzo Carignano a Torino il 2 ottobre 1798, figlio di Carlo Emanuele di Savoia-Carignano e di Maria Cristina Albertina di Sassonia, suoi padrini di battesimo sono Carlo Emanuele IV di Savoia re di Sardegna e la sua consorte al regina Maria Clotilde di Borbone. Egli regna fino all’abdicazione il 23 marzo 1849, e che morirà a Oporto il 28 luglio 1849. I principi di Carignano sono lontani parenti dei Savoia, ed appartengono a un ramo cadetto che si è staccato dal ramo principale, originato quando Carlo Emanuele I aveva sposato Caterina Michela di Spagna il cui penultimo figlio era stato Tommaso Francesco, divenuto nel 1620 per disposizione del padre principe di Carignano, e si sono riavvicinati nel 1714 con il matrimonio fra Vittorio Amedeo e Vittoria Francesca figlia quintogenita di Vittorio Amedeo II di Savoia. Nonostante la sua posizione antiaustriaca, il 30 settembre 1817 sposa Maria Teresa d’Asburgo: lorena di Toscana, figlia di Ferdinando III di Asburgo: lorena. Dal matrimonio nascernno tre figli, Vittorio Emanuele che gli succedrà sul trono, Ferdinando che sarà capostipite del ramo cadetto dei Savoia-Genova, e Maria Cristina.

All’inizio le sue posizioni antirivoluzionarie e la condanna a morte di Efisio Tola

Il viaggio in Toscana per incontrare la futura moglie, porta Carlo Alberto fino a Roma, dove conosce il vecchio sovrano Carlo Emanuele IV ancora in vita, seppure cieco, e rinchiuso in Convento per prendere i voti. L’esperienza lo tocca al punto da farlo divenire un cattolico devoto. Per cercare di riabilitarsi agli occhi di Carlo Felice egli partecipa alla spedizione francese, effettuata in accordo con il cancelliere Metternich e con la Santa Alleanza, per ripristinare l’ordine in Spagna, dove sono scoppiati moti rivoluzionari. In questa occasione, combatte proprio contro quei liberali che solo qualche anno prima aveva favorito e aiutato, durante i moti del 1821. Ciò gli dà una legittimazione alla successione sul trono, con il favore austriaco, anche a seguito di un impegno firmato da Carlo Alberto nell’ambasciata del regno sardo a Parigi, in cui promette a Carlo Felice di non modificare le istituzioni politiche vigenti una volta salito al trono. Diviene un uomo di grande cultura soprattutto in campo economico, e cerca di capire la situazione dei territori che avrebbe ereditato, compiendo, anche, un viaggio in Sardegna nel 1829. Divenuto re di Sardegna alla morte di Carlo Felice, il 27 aprile 1831, vengono vanificate le speranze di quanti auspicano un periodo di riforme, e si dimostra un vero antirivoluzionario. Non appena salito al trono, forte di una solida tradizione di alleanze dinastiche, firma un patto militare con gli Asburgo, chiedendo l’appoggio dell’impero austriaco per difendere il trono dalla rivoluzione.

La condanna a morte di Efisio Tola

Il patriota Efisio TolaE per questo procede contro il patriota Efisio Tola nato a Sassari il 15 giugno 1803, luogotenente della Brigata Pinerolo, che in Savoia ha contatti con la Giovine Italia, costituita nel luglio 1831 da Giuseppe Mazzini e diffusa inizialmente fra i militari del Regno di Sardegna. I primi militari appartenenti alla società mazziniana vengono scoperti per caso a Genova, e i componenti dell’intera struttura vengono identificati dopo le confessioni di un aderente. Il primo processo si svolge a Chambchéry nel maggio 1833 e il comportamento di Tola è esemplare, dato che negli interrogatori respinge qualsiasi addebito e si rifiuta di fare qualsiasi rivelazione. Quindi il 10 giugno 1833 viene condannato alla Pena della morte ignominiosa per aver letto la Giovane Italia di Giuseppe Mazzini, e la condanna viene eseguita il giorno successivo quando, di fronte al plotone di esecuzione, egli si denuda sereno da solo il petto dicendo Voi versate un sangue innocente, ma io vi insegnerò come si debba e come si sappia morire.

L’abolizione del feudalesimo attraverso il riscatto dei diritti feudali

Emanuele Pes di Villamarina nominato primo segretario di Stato per gli affari di SardegnaLe idee liberali, le speranze suscitate dall’illuminismo e le idee della Rivoluzione francese, alimentano, comunque, nel regno diverse aspettative. Si va dalle idee repubblicane professate da Giuseppe Mazzini, agli ideali laici e socialisti di Giuseppe Garibaldi, mentre alcuni, come Camillo Benso Conte di Cavour e Massimo D’Azeglio, hanno ideali monarchici favorevoli ai Savoia, ed altri ancora, come Vincenzo Gioberti, pensano ad una confederazione italiana presieduta dal papa. Durante il suo viaggio in Sardegna nel 1829, Carlo Alberto, dietro suggerimento dell’amico Emanuele Pes di Villamarina nato a Cagliari il 15 novembre 1777, aveva pensato all’abolizione del feudalesimo, considerato causa di molti se non proprio di tutti i mali dell’isola. Il 30 marzo 1833 nomina Emanuele Pes di Villamarina come primo segretario di Stato per gli affari di Sardegna, che in questa veste ottiene l’Abolizione del feudalesimo introdotto in Sardegna nel 1323 durante l’occupazione catalano-aragonese, e, successivamente con il trattato di londra del 1718 imposto ai Savoia, i quali con Vittorio Amedeo II avevano giurato di non abrogarlo. Ma il sovrano non vuole troppo scontentare la nobiltà feudale, e decide che i nobili vengano ripagati dalla perdita delle rendite feudali con il Riscatto dei diritti feudali. Su come arrivare all’abolizione del feudalesimo si decide di procedere, feudo per feudo, al riscatto attraverso un accordo con ogni singolo feudatario. Nel 1836 viene abolita la giurisdizione feudale, nel 1837 viene nominata una commissione per accertare la situazione esistente in ogni singolo feudo e per valutare le prestazioni feudali, ed infine nel 1838 viene deciso come determinare l’entità dei compensi. A decidere sull’entità del riscatto è il Supremo Consiglio di Sardegna composto da sette membri, e le valutazioni sono tutte estremamente favorevoli per i feudatari che accettano le somme proposte. Le forme con cui viene attuato il riscatto sono però particolarmente inique, adto che in primo luogo la somma del riscatto nel suo complesso è molto superiore alle prestazioni feudali corrisposte ai feudatari, in secondo luogo la somma ripartita tra i comuni infeudati viene distribuita tra tutta la popolazione compresi i nullatenenti, in terzo luogo l’esazione delle imposte non avviene più per mezzo dei messi Baronali cui si poteva pagare in natura nel periodo del raccolto, ma l’imposizione deve essere corrisposta in denaro a una struttura burocratica alla quale risulta impossibile opporsi. Con l’abolizione del feudalesimo viene dato l’ultimo e decisivo colpo alle basi materiali del Regnum Sardiniae e come conseguenza collaterale si ha, da un punto di vista pratico, anche il venir meno del Parlamento poichché lo Stamento militare cessa di esistere. Il riscatto concesso ai feudatari è perciò un Compenso che viene addebitato alla popolazione la quale deve quindi pagare a caro prezzo la sua Libertà.

La fusione perfetta della Sardegna col Piemonte

Il giornalista e magistrato Giovanni Siotto PintorNegli anni quaranta del Trecento il giornalista e magistrato Giovanni Siotto Pintor nato a Cagliari il 29 novembre 1805, aderisce pubblicamente alle idee e ai programmi giobertiani, ed assume un ruolo importante di direzione nel movimento promosso dalle classi dirigenti isolane da cui prendono impulso le manifestazioni che portano alla riChiesta della fusione del Regno di Sardegna con gli Stati di Terraferma. Si tratta di vicende che segnano la fine di un regime vecchio che è ormai assolutamente fuori dal tempo. Carlo Alberto accetta la fusione perfetta dela Sardegna con gli stati di terrafermaE quindi il 29 novembre 1847 l’Autonomo Parlamento sardo rinuncia spontaneamente alla sua autonomia statuale, e con un atto giuridico del 3 dicembre 1847 viene sancita la Fusione perfetta con gli Stati di Terraferma e l’estensione anche all’isola della legislazione piemontese. Carlo Alberto ricompensa i Sardi per la loro fedeltà al re e promette che, in contropartita della rinuncia alla loro autonomia, potranno esportare senza pagare dogana olio e vino in Piemonte. La fusione perfetta è un atto che viene visto dai Piemontesi come l’ottenimento da parte della Sardegna di parità di diritti col Piemonte, mentre i diretti interessati, ossia i Sardi, non possono che vederlo come La definitiva cancellazione dei loro valori storici e culturali. Lo scrittore e politico Giovanni Battista TuveriNon mancano in merito voci contrarie seppure in netta minoranza, quali quella di Federico Fenu e dello scrittore e politico Giovanni Battista Tuveri che sostiene che dopo la fusione La Sardegna è diventata una fattoria del Piemonte, misera e affamata di un governo senza cuore e senza cervello. Non tardano neanche a presentarsi i pentiti di tale opera, fra cui lo stesso propositore Giovanni Siotto Pintor, che parla in merito di Follia collettiva e dirà a posteriori Errammo tutti. Con la fusione, vengono aboliti il Parlamento sardo, costituito dagli antichi Stamenti, e la carica viceregia. Ne deriva l’istituzione del servizio di leva obbligatorio, che sottrae alle famiglie l’aiuto dei figli maschi, ed aumentano i già pesanti tributi fiscali.

La concessioni di uno statuto costituzionale

Carlo Alberto firma lo statuto albertinoTesto dello 'Statuto fondamentale della Monarchia di Savoia' del 4 marzo 1848Il 4 marzo 1848, a seguito dei moti scoppiati in tutta la penisola con la concessione della costituzione a Napoli, Carlo Alberto, dal palazzo regio di Torino, promulga lo Statuto fondamentale della Monarchia di Savoia, elaborato sulla base di quelli belga e francese. É il cosiddetto Statuto Albertino, E rende il Regno di Sardegna prima e l’Italia poi, una monarchia costituzionale. Attraverso esso, il potere legislativo viene esercitato dal re e da due camere, quella del senato composta da persone nominate a vita dal sovrano, e quella elettiva, formata da deputati eletti nei collegi elettorali. Con la concessione di questo statuto costituzionale, viene abrogata la Carta de logu del Giudicato di Arborea, rimasta sino a quel momento come legge generale del regno. Lo Statuto rimarrà, fino all’adozione della Costituzione repubblicana, la legge fondamentale e fondativa dello stato italiano.

La Prima Guerra d’Indipendenza e gli ultimi anni di Carlo Alberto

Durante la Prima Guerra d’Indipendenza l’esercito sardo ottiene una grande vittoria a GoitoIl 23 marzo 1848, Carlo Alberto, sollecitato dai liberali milanesi, dichiara guerra all’Austria, dando inizio alla Prima Guerra d’Indipendenza combattuta dal Regno di Sardegna e da volontari italiani contro l’Impero austriaco e altre nazioni conservatrici dal 23 marzo 1848 al 22 agosto 1849. La bandiera rivoluzionaria tricolore verde-bianco-rosso, nata a reggio Emilia il 7 gennaio 1797, compare per la prima volta tra le truppe sarde, che con essa combattono vittoriosamente a Pastrengo e a Goito. La fase iniziale del conflitto vede alcuni importanti successi, soprattutto nella battaglia di Pastrengo, ed una colonna riesce ad entrare a Milano. Carlo Alberto assedia peschiera, e l’attacco del maresciallo Radetsky si risolve con la sua disfatta nella battaglia di Goito, il 30 maggio, e lo stesso giorno si arrende anche peschiera. Ma, successivamente, il maresciallo Radetsky riesce a riconquistare le piazzeforti venete, e la guerra volge favorevolmente agli Austriaci. Il 9 agosto 1848, l’esercito sardo viene battuto a Custoza. Dopo l’armistizio di Salasco, riprendono le ostilità, e, sette mesi dopo, il 22 marzo 1849, Carlo Alberto giunge a Novara, il giorno dopo Radetzky attacca la città da sud in superiorità numerica presso il borgo della Bicocca e, nonostante il valore dei piemontesi e dello stesso Carlo Alberto che si batte in prima linea con il figlio Ferdinando, la sconfitta nella Battaglia di Novara è disastrosa. Il 23 marzo 1849 Carlo Alberto abdica in favore del figlio Vittorio EmanueleAlle 21,30 dello stesso 23 marzo, Carlo Alberto riunisce l’ultimo consiglio di guerra, dichiara che non può che abdicare e, ai tentativi di dissuasione, nella speranza che l’erede possa ottenere condizioni migliori, conclude dicendo La mia decisione è frutto di matura riflessione; da questo momento io non sono più il re; il re è Vittorio, mio figlio. Carlo Alberto si ritira in esilio ad Oporto, in Portogallo, dove muore di lì a poco, il 28 luglio 1849. Il suo corpo viene imbarcato, ed il 13 ottobre arriva a Torino, dove si svolge il funerale. Oggi, riposa nella Cripta della basilica di Superga, ultimo fra i sovrani regnanti ad essere sepolto lì. I sovrani successivi diventeranno re d’Italia, e saranno tumulati nel Pantheon di Roma.

I suoi interventi nell’aministrazione della Sardegna

Carlo Alberto ha proseguito l’intervento sulle Infrastrutture viarie della Sardegna, e, dal 1829 al 1849, anno in cui muore, la rete stradale sarda raddoppia come chilometraggio, tanto che alla fine dell’ottocento la Sardegna potrà contare su cinquemila chilometri di strade. Significativi gli interventi di Emanuele Pes di Villamarina presso il sovrano riguardo allo Sviluppo delle ferrovie al commercio di Genova, agli affari ecclesiastici e alla pubblica istruzione. Il generale Alessandro Ferrero della MarmoraNel 1831, su proposta del generale Alessandro Ferrero della Marmora che è l’ottavo nato e terzo dei figli maschi del Marchese Celestino Ferrero della Marmora, fratello di Alberto ed Alfonso, dà una maggiore flessibilità tattica all’armata approvando la costituzione del corpo dei Bersaglieri. Ed infine il 12 agosto 1848, il luogotenente del re Carlo Alberto, Eugenio di Savoia-Carignano, promulga un decreto che abolisce le province e divide la Sardegna in Tre divisioni amministrative fissate nelle città di Cagliari, nella quale convergono le province di Cagliari, Oristano, Iglesias e Isili; in quella di Sassari con le province di Sassari, Alghero, Ozieri e Tempio; ed in quella di Nuoro con le Provincie di Nuoro, Cuglieri e Lanusei.

Vittorio Emanuele II detto il re Galantuomo nominato re di Sardegna dal 1849 e re d’Italia dal 1861

Il duca di Savoia e re di Sardegna Vittorio Emanuele II che diventerà re d’ItaliaIl 23 marzo 1848 a Carlo Alberto succede il figlio Vittorio Emanuele II di Savoia-Carignano, nato a Torino il 14 marzo 1820. È stato l’ultimo re di Sardegna dal 1849 al 1861, per poi diventare il primo re d’Italia dal 1861 fino alla morte a Roma il 9 gennaio 1878. Sposa a Stupinigi il 12 aprile 1842 la cugina Maria Adelaide d’Austria e dal matrimonio nascono i figli Maria Clotilde, Umberto che gli succedrà sul trono di re d’Italia, Amedeo, Oddone Eugenio Maria, Maria Pia, Carlo Alberto e Vittorio Emanuele. In seguito sposa Rosa Vercellana, meglio nota in piemontese come La Bela Rosin, che era stata dapprima la sua amante e in seguito diviena la moglie morganatica, e dalla quale nascono i figli Vittoria ed Emanuele Alberto. Il giovane re si dichiara inizialmente amico degli Austriaci, rimproverando al padre la debolezza di non aver saputo opporsi ai democratici, tanto che, in una lettera inviata al nunzio apostolico nel novembre del 1849, dichiara di Non vedere alcuna utilità nel governo costituzionale, anzi di non attendere altro che il momento opportuno per disfarsene. Gli storici piemontesi hanno poi cominciato a presentarlo come Il re Galantuomo, animato da sentimenti patriottici e per la difesa delle Libertà costituzionali, che si oppone alle riChieste di Radetzky di abolire lo Statuto Albertino. Una giustificazione di questo comportamento ambiguo viene attribuita, da Massimo d’Azeglio, al suo Liberalismo malcerto, che lo porta ad affermare che è Meglio essere re in casa propria, sia pure con le limitazioni costituzionali, che essere un protetto di Vienna. Quindi Vittorio Emanuele, pur di sentimenti assolutisti, mantiene le istituzioni liberali per lungimiranza politica, riconoscendo la loro importanza nell’amministrazione dello stato. Il che è dimostrato dalla lunga collaborazione instaurata fra il re e Camillo Benso Conte di Cavour, pur essendo fortemente divisi dalle diverse posizioni politiche, assolutiste quelle del sovrano, e liberali quelle di Cavour.

L’approvazione da parte di Massimo d’Azeglio delle leggi Siccardi che aboliscono i privilegi di cui il clero aveva sempre goduto

Massimo d’AzeglioIn seguito alla disfatta del 23 marzo 1849 nella battaglia di Novara, il Regno di Sardegna cerca di riequilibrare la sua economia. Il 7 maggio 1849 viene nominato presidente del Consiglio dei Ministri Massimo d’Azeglio il quale approva il 9 aprile ed il 5 giugno del 1850 le leggi Siccardi, in seguito alle quali vengono aboliti tre grandi privilegi di cui il clero aveva sempre goduto, allineando la legislazione piemontese a quella di altri stati europei. Vengono aboliti il foro ecclesiastico, un tribunale che sottraeva alla giustizia dello Stato gli uomini di chiesa oltre che per le cause civili anche per i reati comuni compresi quelli di sangue; il diritto di asilo, ovvero l’impunità giuridica di chi si fosse macchiato di qualsiasi delitto e fosse poi andato a chiedere rifugio nelle Chiese, nei conventi e nei monasteri; e la manomorta, ovvero la non assoggettabilità a tassazione delle proprietà immobiliari degli enti ecclesiastici. Sono leggi che attirano sul Gabinetto le pronte risposte della chiesa, incarnatesi nell’intransigenza dell’arcivescovo di Torino Luigi Fransoni, che arriva a negare in punto di morte i sacramenti al ministro dell’agricoltura e commercio SanTorre di Santarosa, che aveva votato le leggi lesive dei diritti della chiesa. In sostituzione del Santarosa, d’Azeglio fa il nome di Cavour, a cui è legato da amicizia.

Camillo Benso Conte di Cavour che si allinea con la Francia nella guerra di Crimea

Camillo Benso Conte  di CavourL’11 ottobre 1850, viene chiamato al governo come Ministro dell’agricoltura e commercio Camillo Benso Conte di Cavour il quale nel 1852 stipula un patto con la sinistra di Urbano Rattazzi, che gli consente di diventare il 4 novembre 1852 presidente del Consiglio dei Ministri. Egli inizia una serie di riforme, e, nel 1855, si allea con la Francia contro la Russia, nella cosiddetta Guerra di Crimea ed invia un corpo di bersaglieri a combattere a fianco degli alleati, partecipando, poi, al Congresso di Parigi tra le nazioni vincitrici. Il 20 luglio 1858, a Plombières, stringe un accordo segreto con Napoleone III, che prevede, in caso di attacco austriaco, l’intervento dei Francesi a fianco dei Sardi, per tentare la conquista della Lombardia, e per proseguire eventualmente fino all’Adriatico.

Inizio dell’Seconda Guerra d’Indipendenza

Seconda Guerra d’IndipendenzaE nel 1859 inizia la Seconda Guerra d’Indipendenza combattuta dalla Francia e dal Regno di Sardegna contro l’Austria dal 27 aprile 1859 al 12 luglio 1859. L’esercito francese e sardo invade la Lombardia, travolge quello austriaco a montebello, palestro e Magenta, mentre sulle alture di Solferino e di San Martino si combatte la violenta battaglia decisiva, che costa la vita a 22 mila soldati austriaci e 17 mila soldati alleati. Ma Napoleone III non rispetta gli accordi Plombieres, e propone la pace agli Austriaci. Cavour, sdegnato contro l’Imperatore e contro il re che ha firmato l’armistizio, si dimette da presidente del Consiglio dei Ministri, e si ritira sfiduciato in Savoia. L’8 luglio 1859, a seguito dei trattati di Villafranca e Zurigo, la Lombardia tranne Mantova venne ceduta dal regno lombardo Veneto al Regno di Sardegna, ma il Veneto e Venezia rimangono completamente in mano austriaca.

Il primo governo della Marmora con Dabormida e Rattazzi

Alfonso Ferrero della MarmoraGiuseppe DabormidaUrbano RattazziDopo questi avvenimenti il 19 luglio 1859 viene formato un nuovo governo, il primo con presidente Alfonso Ferrero della Marmora che è il penultimo di tredici figli del Marchese Celestino Ferrero della Marmora fratello di Alberto ed Alessandro, Ministro degli affari esteri Giuseppe Dabormida e Ministro degli interni Urbano Rattazzi mentre gli alleati che mantengono varie guarnigioni in Lombardia. Il decreto emesso il 23 ottobre 1859 dal Ministro dell’Interno Urbano Rattazzi, ridisegna radicalmente la geografia amministrativa dell’intero stato sabaudo, grazie ai poteri concessi temporaneamente al governo a causa dello stato di guerra, e, tra l’altro, suddivide l’isola in Due sole province la Provincia di Cagliari, ove si trova anche un vicerè per la Sardegna, formata da Cagliari, Iglesias, Isili, Lanusei, Nuoro e Busachi; e la Provincia di Sassari, formata da Sassari, Alghero, Cuglieri, Ozieri e Tempio.

I plebisciti risorgimentali e l’annessione dell’Italia centrale

Nel gennaio 1860, Camillo Benso Conte di Cavour viene richiamato a costituire il suo terzo governo, ma Napoleone III rimane ancora con il suo esercito nell’Italia centrale e in Lombardia, preoccupato dalle domande di annessione al Regno di Sardegna fatte dall’Italia centrale. Fa sapere che può accettare questa annessione, ma solo in cambio di concessioni territoriali sulla frontiera alpina. Cavour si rende conto che non può sfidare contemporaneamente i due imperatori, ed il 12 marzo 1860 firma un nuovo trattato nel quale vengono riportate in vita le clausole del 1859. Ma, prima che il documento venga firmato, l’Annessione dell’Italia centrale è già un fatto compiuto. Lettura di 'I Plebisciti nell’Italia del Risorgimento dal 1848 al 1870' a cura di Sebastiano PorcuIl 5 marzo 1860 infatti, Parma, la Toscana, Modena e la Romagna votano un referendum per l’unione al Regno di Sardegna, mentre le cessioni territoriali nei confronti della Francia determinano la perdita della Savoia e di Nizza. E nel dicembre 1860 il Regno di Sardegna conferisce al governo sabaudo la facoltà di accettare per regi decreti l’annessione di quelle Province dell’Italia centrale e meridionale che hanno espresso autonomamente, per suffragio diretto universale, la volontà delle popolazioni a far parte del regno. Infatti nei diversi territori italiani si sono svolti tra il 1848 ed il 1870 i cosiddetti Plebisciti risorgimentali. Comunque aspre critiche vengono mosse a questi accordi da perte di Urbano Rattazzi, di Giuseppe Garibaldi, e di tutti i patrioti italiani.

La spedizione dei Mille che conclude la Seconda Guerra d’Indipendenza

Il patriota italiano Giuseppe GaribaldiIl patriota italiano Nino BixioLa spedizone alla conquista del regno delle Due SicilieNello stesso anno, Giuseppe Garibaldi inizia la spedizione per la conquista del regno delle Due Sicilie, arrivando nel giro di pochi mesi a Napoli. Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860 da Quarto presso Genova, nel territorio del Regno di Sardegna, un migliaio di volontari al comando di Giuseppe Garibaldi, parte coordinato da Nino Bixio alla volta della Sicilia, controllata dal regno borbonico delle Due Sicilie. Lo scopo della spedizione è quello di appoggiare le rivolte scoppiate nell’isola e rovesciare il governo borbonico. I volontari sbarcano l’11 maggio presso Marsala e, grazie al contributo di volontari meridionali, aumentano di numero creando il cosiddetto esercito meridionale, il quale dopo gli scontri a Calatafimi, Palermo e Milazzo, si muove verso nord alla volta di Napoli. Lo scontro di CalatafimiL’incontro a Teano di Giuseppe Garibaldi con Vittorio Emanuele IIDopo una serie di battaglie vittoriose contro l’esercito borbonico, i volontari garibaldini riescono a conquistare tutto il regno delle Due Sicilie, permettendone l’annessione al nascente Regno d’Italia. In seguito, dopo la battaglia del Volturno tra il 26 settembre e il 2 ottobre 1860, i garibaldini vengono inseriti nell’esercito sardo, che assedia Capua, la quale capitola dopo i bombardamenti iniziali. Il 26 ottobre del 1860 nelle campagne vicino A Teano avviene l’incontro tra Giuseppe Garibaldi proveniente da sud con i suoi volontari e Vittorio Emanuele II proveniente da nord con l’esercito sabaudo. Garibaldi assiste al passaggio delle truppe piemontesi, quando ad un certo momento si sente suonare la marcia reale e gridare le parole Il re! Viene il re!. Garibaldi ed il suo seguito montano a cavallo avanzando sul fianco della strada, e alla loro vista Vittorio Emanuele II si slancia per incontrarli, quindi Garibaldi si scopre la testa gridando Saluto il primo re d’Italia!. Il re allunga la mano e Garibaldi fa altrettanto stringendola. Poi i due gruppi procedono assieme per un certo tratto dialogando in fredda cortesia, quando Garibaldi ed i suoi svoltano a sinistra ritornando a Calvi, mentre il re prosegue verso Teano. Formalmente le Due Sicilie vengono annesse a larga maggioranza al Regno di Sardegna dopo l’esito dei due plebisciti d’annessione tenutisi nelle province napoletane e nelle province siciliane il 21 ottobre 1860, i cui risultati sono formalizzati con i regi decreti 17 dicembre 1860. Francesco II di Borbone ultimo re delle Due SicilieIl Regno di Sardegna prima della proclamazione del Regno d’ItaliaLa decisione di annessione immediata è fortemente voluta dal primo ministro Conte di Cavour, che, spaventato dalla prospettiva di un’affermazione democratica e repubblicana nei territori meridionali conquistati da Garibaldi, fa di tutto affinchché la spedizione di Garibaldi non possa scivolare verso una soluzione di sinistra. Quattro mesi dura l’assedio di Gaeta, che viene presa il 17 febbraio 1861. La guerra contro le forze dei Borbone termina con la conclusione dell’assedio di Gaeta e la resa del re Francesco II di Borbone la cittadella di Messina si arrende solo il 12 marzo e il 20 marzo la resa della fortezza di Civitella del Tronto che è l’ultima roccaforte borbonica. Il 17 marzo 1861, con il compimento della prima unità d’Italia, alla quale mancano ancora Roma e Venezia.

La creazione del Regno d’Italia

Con una legge del 17 marzo 1861, il re Vittorio Emanuele II Proclama il Regno d’Italia assumendo per se e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia. La capitale del regno viene trasferita da Torino a Firenze. Secondo i costituzionalisti, non si tratta della costituzione di una nuova entità politica statale, e l’appellativo di Regno d’Italia diviene solo il nuovo nome assunto dallo stato sardo, per adeguarsi alla nuova situazione creata con le annessioni del 1859 e del 1860. In altre parole, l’attuale stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna. Il Regno d’Italia verrà completato il 20 settembre 1870, con la breccia di porta Pia che comporta la definitiva Presa di Roma.

La vita culturale nel periodo del Regno di Sardegna

Nel periodo del Regno di Sardegna, si assiste a un grande risveglio culturale nell’isola.

Lingue parlate nel Regno di Sardegna

Durante il periodo medioevale, tutti i documenti ufficiali che uscivano dalle cancellerie dei regni giudicali erano scritti in lingua sarda, ossia in Limba. Successivamente, i Catalano Aragonesi prima, e poi gli Spagnoli, obbligano i Sardi ad utilizzare la loro lingua solo nei rapporti locali e familiari, imponendo lo Spagnolo negli atti ufficiali del Regno di Sardegna. Dopo il 1815, come in tante altri corti europee, anche i Savoia utilizzano il Francese nella lorocorte, e questo nonostante che gli abitanti le valli alpine parlino prevalentemente il francoprovenzale, detto anche arpitano. Quando ricevono il regno, sono combattuti fra la possibilità di lasciare che sull’isola si continui ad utilizzare lo Spagnolo, oppure ad insediare nell’isola i loro funzionali, che parlano Italiano. Per quasi cinquant’anni lasciano la situazione inalterata, poi decigono di impone l’Italiano grazie anche alla riorganizzazione delle due Università, quella di Cagliari e quella di Sassari, che diventano i centri di diffusione della lingua italiana tra i Sardi.

Una forte ripresa dell’attività estrattiva

Nel periodo del governo dei Savoia, viene dato un nuovo impulso all’Attività mineraria e l’esercizio dell’attività estrattiva viene, ancora, legato all’assegnazione di concessioni generali per l’effettuazione di ricerche e lo sfruttamento su tutto il tenitorio isolano. I primi ad ottenere questo tipo di concessione, della durata di vent’anni, sono i cagliaritani Pietro Nieddu e Stefano Durante. In seguito, nel 1740, la concessione generale viene assegnata a Carlo Gustavo Mandell console svedese a Cagliari, al’inglese Carlo Brander ed al Barone tedesco Carlo di Holtzendorff. In base al contratto, i concessionari debbono versare alle regie gabelle il 12 per cento della galena, ossia del piombo argentifero, estratta. Devono, inoltre, versare il 2 per cento dell’argento per i primi quattro anni, il 5 per cento per i successivi sei anni, e il 10 per cento per i restanti venti anni. La nuova società costituita a questo scopo tra i tre uomini d’affari, ha vita difficile sin dall’inizio. Dopo poco tempo, Carlo Gustavo Mandell, rimasto solo, addossa su di sé l’impresa, ed acquista di terreni a sud di Villacidro, per impiantarvi una fonderia. Nel 1743 inizia in essa della produzione del piombo, ma la fonderia lavora solamente per alcuni mesi l’anno, quelli in cui può utilizzare le acque del piccolo torrente leni, e non rende secondo le aspettative. Egli introduce diverse innovazioni tecnologiche, tra le quali l’impiego dell’esplosivo durante i lavori di estrazione, innovazioni che vengono portate in Sardegna da maestranze soprattutto tedesche. Il rapporto tra i costi e il piombo ricavato è, però, sfavorevole. Nel 1745 riceve la concessione per lo sfruttamento della miniera di Montevecchio, vicino a Guspini. In seguito, egli viene accusato di trascurare la ricerca di nuove miniere, limitandosi allo sfruttamento di quelle già esistenti, e viene aperta un’inChiesta per esportazioni clandestine d’argento, che porta, nel 1758, alla revoca della concessione. La morte lo coglie nel 1759, prima che il Supremo reale Consiglio di Torino si pronunci sul suo ricorso. Alla morte di Mandel, il sottotenente d’artiglieria Pietro Belly di origini piemontesi, riceve la concessione della miniera di Montevecchio, di cui fa scavare oltre cinquecento metri di pozzetti e gallerie. Nel 1762 diviene direttore delle miniere di Sardegna, ed inizia ad ostacolare l’estrazione mineraria privata, ritenendo più redditizio che lo stato sfrutti direttamente le ricchezze del sottosuolo sardo. E cerca, anche, di reintrodurre il lavoro forzato nelle miniere, e per questo si merita, nel 1771, aspre critiche da parte di Quintino Sella. Al Belly va attribuito il mancato sfruttamento del ricco filone d’argento del Sarrabus, di cui già il Mandel aveva intuito le potenzialità, ma che il Belly ritiene troppo costoso, dato il terreno impervio e la difficoltà delle comunicazioni della zona. Solo nel secolo successivo verrà scoperto il valore minerario della Regione sud orientale dell’Isola. Gli ultimi anni del diciottesimo secolo sono importanti per l’industria mineraria sarda. Vengono, infatti, scoperte tracce di ferro presso Arzana, e di antimonio nelle vicinanze di Ballao. Comunque, all’inizio dell’ottocento esistono in Sardegna cinquantanove miniere, prevalentemente di piombo, ferro, rame e argento. Ed in questo rinnovato fervore minerario, trovano posto anche alcuni avventurieri, tra i quali anche il romanziere francese Honorè de Balzac, che, nel 1838, dà vita ad una fallimentare iniziativa volta allo sfruttamento di antiche scorie piombifere nella Nurra.

La riforma mineraria

Nel 1840 viene approvata una Nuova legge mineraria che prevede la separazione della proprietà del suolo da quella del sottosuolo. Secondo questa legge, chiunque può richiedere l’autorizzazione ad effettuare ricerche minerarie, per la quale è riChiesta l’autorizzazione dei proprietari dei fondi, ma, se i proprietari si oppongono, il prefetto può procedere d’ufficio alla concessione dell’autorizzazione. L’unico obbligo che compete al concessionario è quello di versare all’erario il 3 per cento del valore dei minerali estratti, e di risarcire i proprietari dei fondi per i danni arrecati. La concessione generale viene formalmente vietata dalla nuova legge, al fine di impedire il costituirsi di monopoli nell’attività estrattiva. Questa disciplina entra pienamente in vigore in Sardegna solo nel 1848, dopo che si è realizzata la fusione perfetta tra la Sardegna e gli stati di terraferma dei Savoia, e richiama nell’isola numerosi imprenditori, in particolare liguri e piemontesi, e nascono le prime società con lo scopo di sfruttare i giacimenti sardi. La legge mineraria viene, successivamente, modificata nel 1859, in senso più favorevole agli industriali minerari. Giovanni Antonio SannaLa maggior parte di queste società è costituita con capitale non sardo, ed una significativa eccezione è rappresentata dall’imprenditore sardo Giovanni Antonio Sanna che nel 1848 ottiene una concessione perpetua su circa 1200 ettari situati nella zona di Montevecchio. Nato a Sassari nel 1819, nel 1871 fonda la Banca Agricola Sarda, che viene poi coinvolta nel fallimento delle banche sarde degli anni Ottanta del secolo. Di simpatie democratiche e progressiste, fa parte del Parlamento del Regno di Sardegna e del neonato Regno d’Italia, e si schiera a difesa degli interessi isolani nella battaglia sui Terreni ademprivi. Raccoglie una vasta collezione di reperti archeologici e di oltre 250 opere artistiche di ogni epoca, la cui donazione andrà a costituire il nucleo del futuro Museo Nazionale Archeologico ed Etnografico Giovanni Antonio Sanna e del Museo Sassari Arte o MU S’A. Muore a Roma nel 1875, ed i suoi resti vengono trasferiti da Roma al Cimitero di Sassari, in un bello ed imponente mausoleo di stile neorinascimentale fatto costruire dalle sue figlie. Enrico SerpieriNel 1858 l’esule romagnolo Enrico Serpieri nato nel 1809 a Rimini, che nel 1831 aveva partecipato ai moti rivoluzionari anti papalini, sbarca con i figli in Sardegna, dove si occupa della miniera di Gibas, presso Porto Corallo, di proprietà della genovese Società dell’Unione Miniere Sulcis Sarrabus in Sardegna, la quale però nel 1855, a seguito di un alluvione, si allaga, ed il Serpieri finisce sul lastrico. Entrato in contatto con alcuni fonditori di Marsiglia che acquistavano in Sardegna piombo e carbone, propone all’officina Bouquet di associarsi per riutilizzare quelle scorie, e viene, pertanto, costruita, nel 1858, una fonderia a Domusnovas, in località Pardu Siddu, sopra i ruderi della fonderia fatta erigere nel 1822. Poco tempo dopo ne costruisce una seconda a Fluminimaggiore, e, nel 1862, le due fonderie producono il 56 per cento di tutto il piombo d’opera sardo ricavato da vecchie scorie.

Giuristi e magistrati

Il giurista Domenico Alberto AzuniDomenico Alberto Azuni è un giurista e politico del Regno di Sardegna, nato a Sassari nel 1749. Laureatosi in legge, si trasferisce a Torino, poi a Nizza dove da alle stampe il Dizionario universale ragionato di giurisprudenza mercantile. Vittorio Emanuele I lo nomina senatore e nel 1791 lo incarica di predisporre il codice della marina mercantile del Regno di Sardegna, ma il progetto non si attua per l’occupazione di Nizza da parte dei francesi. Nel 1796 pubblica il Sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa, poi Napoleone lo fa partecipare alla stesura del codice marittimo e commerciale francese e, tra il 1799 e il 1802, da alle stampe il libro Essai sur l’histoire geographique, politique et naturelle du royaume de Sardaigne. Con la caduta di Napoleone cade in disgrazia, si ritira a Genova, viene poi nominato giudice a Cagliari e in seguito presidente della Biblioteca dell’Università. Il magistrato Pasquale TolaPasquale Tola è un magistrato, storico e politico italiano nato a Sassari nel 1801, fratello del patriota Efisio Tola condannato a morte il 10 giugno 1833 per aver letto la Giovane Italia di Giuseppe Mazzini e fucilato il giorno successivo. Studia a Sassari dove consegue la laurea in teologia e giurisprudenza, e segue anche corsi di filosofia e belle arti. Nel 1848 fa parte del gruppo di lavoro che prepara l’estensione dei codici albertini alla Sardegna. Favorevole all’abolizione del feudalesimo in Sardegna, scrive numerose opere di carattere storico politico, e diviene rettore dell’Università di Sassari. Diventa, in seguito, rettore dell’Università di Sassari, e successivamente lavora in magistratura, presso le corti d’appello di Nizza e di Genova. Fà parte del Parlamento sardo, dal 1848, e poi di quello nazionale.

La scultura

A Senorbì nasce nel 1720 lo scultore Giuseppe Antonio Lonis il più importante esponente della scultura lignea nell’isola, considerato il principale scultore del settecento sardo. Dotato di talento artistico sino dalla giovane età, dopo un periodo di apprendistato presso la bottega di uno zio, intorno al 1740 si reca a Napoli per affinare la tecnica scultorea. Entra in contatto con artisti quali Gennaro Frances e Giuseppe Picano. Rientra in Sardegna nel 1750 e apre la sua bottega a Cagliari, nel quartiere di Stampace, dove lavora per tutti i restanti 55 anni della sua vita trasmettendo le sue conoscenze a numerosi apprendisti, fino alla morte nel 1805. L’artista, famoso per le bizzarrie del carattere, si dedica alla realizzazione di statue in legno policromo a soggetto religioso. Il suo stile evolve dal barocco napoletano, attraverso il realismo, fino al neoclassicismo, e le sue opere si possono ammirare in diverse Chiese soprattutto del meridione dell’Isola.

SCultura di Giuseppe Antonio Lonis Guamaggiore: chiesa parrocchiale di San Sebastiano Martire: statua di San Sebastiano Sinnai: chiesa parrocchiale di Santa Barbara Vergine e Martire: simulacro della Santa di Giuseppe Antonio Lonis Villacidro-Museo parrocchiale di Santa Barbara: statua di San Raffaele Arcangelo Guspini: chiesa parrocchiale di San Nicola di Mira: San Nicola di Bari

L’architettura

L’architetto Gaetano CimaA Cagliari nasce nel 1805 Gaetano Cima che morirà nella sua città natale nel 1878. Viene considerato uno degli architetti più importanti del diciannovesimo secolo, e probabilmente il più importante della Sardegna. Le sue opere, in stile neoclassico, sono presenti in ogni parte dell’Isola. realizza o interviene su numerose Chiese, come San Giacomo di Cagliari, la chiesa parrocchiale di Guasila, la chiesa di San Francesco a Oristano, la cattedrale dell’Immacolata di Ozieri. Ed inoltre su palazzi e ville nobiliari, come villa Aymerich a Laconi, e su teatri come il Teatro Civico di Cagliari, che verrà distrutto nei bombardamenti del 1943. La sua opera più importante è, comunque, l’Ospedale Civile di Cagliari, del 1842.

Burcei: chiesa parrocchiale di Nostra Signora di Monserrat Oristano: chiesa di San Francesco Guasila: chiesa parrocchiale della Beata Vergine Assunta Tuili: la villa Pitzalis Villacidro: il Cimitero Monumentale

La battaglia degli intellettuali per la difesa dei valori culturali sardi

Testo dell’Itinerario dell’isola di Sardegna - Volume primo di Alberto della MarmoraTesto dell’Itinerario dell’isola di Sardegna - Volume secondo di Alberto della MarmoraTesto dell’Itinerario dell’isola di Sardegna - Volume terzo di Alberto della MarmoraIl politico e studioso Alberto Ferrero della Marmora

Lo studioso e politico piemontese Alberto Ferrero della Marmora che è il terzogenito e secondo tra i figli maschi del Marchese Celestino Ferrero della Marmora, fratello di Alessandro ed Alfonso, nato a Torino nel 1789. Egli giunge in Sardegna la prima volta nel 1819 per cacciare e studiare uccelli, e vi torna l’anno dopo. Sospettato di liberalismo per l’amicizia con Carlo Alberto, viene sospeso dal servizio da Carlo Felice e confinato in Sardegna nel 1822 e vi resta tredici anni per viverci e studiarla. In questo periodo, annoiato dalla monotona vita di guarnigione, accetta di buon grado di redigere per il vicerè sabaudo una carta 1:250.000 dell’isola. Il lavoro si dimostra presto come estenuante, tuttavia gli permette di studiare con attenzione i monumenti archeologici locali e di descriverli nel suo famoso Voyage en Sardaigne, apparso in una prima edizione nel 1826 e poi successivamente nel 1840 con l’aggiunta di una seconda parte, che diventerà una pietra miliare dell’archeologia sarda. Tornato in servizio con l’ascesa al trono di Carlo Alberto, viene nominato generale nel 1840 e nel 1849 viene inviato in Sardegna come commissario straordinario per sedare i disordini e gli atti di criminalità sempre più frequenti che si verificano soprattutto nelle zone più interne dell’Isola, cosa che gli costa l’inimicizia degli intellettuali sardi. Alberto Ferrero della Marmora muore a Torino nel 1863.

Lettura di 'Nou dizionariu universali sardu-italianu: A: c' di Vincenzo PorruLettura di 'Nou dizionariu universali sardu-italianu: D-O' di Vincenzo PorruLettura di 'Nou dizionariu universali sardu-italianu: P-Z' di Vincenzo PorruLo studioso Vincenzo Raimondo PorruA Villanovafranca nasce nel 1773 Vincenzo Raimondo Porru che cresce nel suo paese natale e lo lascia al raggiungimento dell’età adulta, quando viene mandato a Cagliari dal padre, il notaio Sisinnio Porru, per sostenere gli studi presso le scuole pubbliche, dove dimostra una particolare inclinazione per le materie umanistiche e per la lingua latina. Dopo aver seguito il corso filosofico intraprende studi teologici e viene ordinato prete nel 1796. Insegnante fortemente impegnato nella difesa e nella valorizzazione delle tradizioni e delle specificità culturali sarde, Porru è anche assistente nella Biblioteca Universitaria di Cagliari e prefetto del Collegio di Filosofia e Belle Arti dell’ateneo. Muore a Cagliari nel 1836. Porru aderisce alla grande battaglia degli intellettuali sardi in difesa della verità sulla realtà sarda. Tra le sue opere più importanti citiamo il Saggio di grammatica sul dialetto sardo meridionale del 1810, ed il Nou dizionariu sardu italianu del 1832-34.

Lettura di 'Vocabolario sardo-italiano e italiano-Sardo' di Giovanni Spano: A: c Lettura di 'Vocabolario sardo-italiano e italiano-Sardo' di Giovanni Spano: D: l Lettura di 'Vocabolario sardo-italiano e italiano-Sardo' di Giovanni Spano: M-ZLo studioso Giovanni SpanoA Ploaghe nasce nel 1803 da famiglia agiata Giovanni Spano ricordato fra i più grandi studiosi sardi archeologia, storia, linguistica e tradizioni popolari. Lascia Ploaghe nel 1812 alla volta di Sassari dove si iscrive alla Scuola degli Scolopi, nel 1820 riceve il titolo di Magister artium liberalium e nel 1825 si laurea in Teologia. Nel 1827 riceve gli ordini sacri. Ha appena 31 anni quando, nel 1834, viene nominato docente universitario di Sacra Scrittura e lingue Orientali all’Università di Cagliari, e direttore del Museo Archeologico. Nel 1854 diviene rettore dell’ateneo, e nel 1871 diviene senatore del Regno d’Italia. Tra le sue opere principali citiamo Ortografia sarda e nazionale, ossia grammatica della lingua logudorese paragonata all’italiana del 1840, e soprattutto il Vocabolario sardo-italiano e italiano-Sardo scritto tra il 1851 ed il 1852.

La prossima pagina

Nella prossima vedremo come, con la legge 4671 del 17 marzo 1861, il re Vittorio Emanuele II Proclama il Regno d’Italia anche se mancano ancora Roma e Venezia, regno che successivamente vivrà tutto il periodo della Dittatura fascista.


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