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L’incerta datazione della Venere di Macomer ed i pochi reperti a noi pervenuti del Mesolitico


In questa pagina proseguiremo la descrizione della preistoria in Sardegna. Descriveremo la prima statuetta della Dea madre, la cosiddetta Venere di Macomer, con la sua incerta datazione. Vedremo, quindi, il Mesolitico con i diversi reperti che sono stati rinvenuti, relativi alla presenza ed all’evoluzione dell’uomo sull’isola.

L’incerta datazione della Venere di Macomer

Risale probabilmente al Paleolitico Superiore o al Mesolitico, ma è stata attribuita anche al Neolitico Antico, al Neolitico Medio, al Neolitico Finale o all’Eneolitico, una statuetta realizzata con pietra basaltica locale, alta 14 centimetri, rinvenuta, insieme ad un ricco corredo di oggetti litici di trachite, basalto, selce e ossidiana, e altrettanto numerosi frammenti di ceramica, in un riparo sotto una roccia chiamato Grotta Marras, che si apre nelle rocce basaltiche sulle sponde del rio S’Adde, praticamente dentro l’abitato di Macomer, in Provincia di Nuoro. La grotta prende il nome dall’artigiano del legno che, per ingrandire il suo laboratorio, ha cominciato a scavare, nel 1949, dentro la grotta dai due ingressi, ed ha rinvenuto la statuetta e molti degli altri reperti. È nota con il nome di Venere di Macomer ed è attualmente conservata al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, mentre gli altri reperti, descritti in grandi linee dall’archeologo Giovanni Lilliu nel 1999, sono, purtroppo, ancora oggi conservati all’interno dei magazzini del Museo.

Descrizione della Venere

La Venere di MacomerIl corpo della statuetta si può vedere come diviso in tre parti. La parte superiore è minuta, con la testa che sembra quasi un muso di lepre, con le spalle curve e le braccia appena accennate, ed ha un unico seno piccolo e appuntito. In quella centrale, sono evidenziate particolarmente le natiche e il pube. Quella inferiore è caratterizzata dalle gambe unite e atletiche. La Venere di Macomer è caratterizzata da un forte erotismo, visibile nel plasticismo dei glutei e del seno, e la marcata evidenza degli attributi femminili la fa ritenere un oggetto di culto. Come scrive l’archeologo Giovanni Lilliu, le sue principali peculiarità sono quella del non finito che la distingue da quella cura del finito che contraddisitngue una ricca serie di belle statuine presenti soprattutto nell’area tessalica, e la persistenza di alcuni stilismi paleolitici e di evocazioni ancestrali. Ciò si rileva non tanto dal travestimento animalesco della testa, con la negazione del viso umano, quasi a segnare una animalità perduta, quanto dalla struttura delle regioni pelvica e ventrale, simile a quella affusolata e appuntita alle due estremità delle statuine muliebri di stile Paleolitico, pur mancando della loro voluminosità. Si tratta quindi, come dice Lilliu, di una Immagine della Dea dell’amore appartenente al mondo degli archetipi, a cui una comunità dell’interno della Sardegna rendeva culto, nel sacro anfratto.

La sua prima datazione la posiziona tra il Neolitico Finale ed il Mesolitico

Poco dopo la sua scoperta, per le analogie con le statuette della cultura rumena di Cucuteni, in base alla cronologia proposta da Meluta Marin e Dumitru Berciu si è pensato di datarla nell’Eneolitico. Ma Christian Zervos, confrontandola con statuine di Creta e delle isole egee, ha proposto una sua datazione nel Neolitico Finale o all’inizio dell’Eneolitico.

Una seguente datazione la posiziona tra il Neolitico Antico e quello Medio

In seguito, la sua datazione è stata ancora anticipata, ed infatti tra la fine del Neolitico Antico e l’inizio di quello Medio la ha datata Paolo Graziosi, che ha notato alcune analogie con la Venere di Chiozza, che ha datato a quest ’epoca.

La successiva datazione la posiziona nel Neolitico Antico

Per la sua somiglianza con molte Veneri mediterranee del tempo, è stata, invece, attribuita prima da Enrico Atzeni e successivamente da Giovanni Lilliu, al Neolitico Antico. Lilliu trae questa convinzione dal fatto che lo strato nel riparo sotto la roccia in cui è stata rinvenuta, è caratterizato da materiali simili a quelli della cultura Su Carroppu, che si è sviluppata appunto in quel periodo. Ma lo stesso Lilliu le riconosce una concezione arcaica, compatibile con le tradizioni del Paleolitico. Egli afferma, infatti, che Altra singolarità è costituita dalla persistenza di stilismi paleolitici, di evocazioni ancestrali nell’idolo di Macomer. Ciò si rileva non tanto dal travestimento animalesco della testa con autonegazione del viso umano, impianto di una animalità perduta, (...) mascheramento visibile nelle statuine più o meno coeve romene, morave e macedoni. Invero, non si può rimuovere il richiamo, per la struttura delle regioni pelvica e ventrale, a quella affusolata e appuntita alle due estremità delle statuine muliebri di stile Paleolitico, pur mancando la voluminosità di queste.

L’attuale datazione la posiziona tra la fine del Paleolitico ed il Mesolitico

E proprio in base a questa concezione arcaica, viene oggi più probabilmente datata tra la fine del Paleolitico ed il Mesolitico, ritenedo che i materiali rinvenuti nel riparo sotto la roccia in cui è stata trovata possano essere posti lì in epoca successiva. Questa ipotesi di datazione viene proposta, tra gli altri, da Alba Foschi Nieddu, della Soprintendenza Beni Archeologici delle province di Sassari e Nuoro, secondo la quale Può essere attribuita al Paleolitico Superiore o al Mesolitico, perché le rappresentazioni muliebri del Neolitico sardo sono più raffinate e studiate, quasi standardizzate. Nelle sculture paleo-Mesolitiche inoltre sono evidenziate le natiche e il seno, mentre la testa è generalmente un cono o una sfera, le braccia sono raccolte e le gambe unite. L’illustre studioso Giovanni Lilliu attribuisce la statuetta al Neolitico Antico, ma le riconosce una concezione arcaica e tradizioni paleolitiche. Tra l’altro si è imposto immediatamente il nome di Veneretta, perché lo stile della scultura è certamente più affine alle Veneri del Paleolitico Superiore, diffuse in tutta l’Europa, che alle Dee Madri neolitiche. Nel Neolitico la testa delle statuette presenta i lineamenti ben distinti e talvolta eleganti copricapi, i corpi sono modellati più finemente e le natiche generalmente perdono interesse, anzi le figure appaiono talvolta sedute.

Nella seconda parte del Neozoico o era Quaternaria, dal 10 ed al 6mila avanti Cristo, si sviluppa il Mesolitico o età della pietra intermedia

Datazioni del MesoliticoIl Mesolitico si sviluppa nella seconda parte dell’era geologica denominata Neozoico o Era Quaternaria ossia nel periodo chiamato Oligocene iniziato al termine delle Glaciazione del Würm, ossia dell’ultima era glaciale, ed ancora in corso, che è stato caratterizzato dal sollevamento delle catene montuose. Dal Paleolitico, che viene considerata l’età della pietra antica, al Neolitico, ossia all’età della pietra recente, il passaggio è lento e progressivo. E le ricerche archeologiche che sono state condotte nel corso del ventesimo secolo, hanno collocato appunto, tra il Paleolitico ed il Neolitico, l’età denominata del Mesolitico, ossia l’età della pietra intermedia.

Le due fasi del Mesolitico

Il termine Mesolitico nasce dall’unione delle parole greche Mesos, ossia di mezzo, e Lithos, ossia pietra, e che designa l’Età della pietra intermedia, che si sviluppa secondo la cronologia calibrata tra il 10mila ed il 6mila avanti Cristo. É il periodo in cui si verifica l’adattamento degli ultimi gruppi di cacciatori-Raccoglitori, ai cambiamenti ambientali verificatisi a partire dalil 10mila avanti Cristo, segnati dalla fine delle ere glaciali, da un clima più caldo, e dalla conseguente scomparsa delle grandi faune dell’era glaciale.

Secondo alcuni studiosi, il Mesolitico si può distinguere in due fasi:

freccia3L’Epipaleolitico che si sviluppa secondo la cronologia calibrata tra il 10mila e l’8mila avanti Cristo e che designa la fase più antica, in più forte continuità con il Paleolitico Superiore, basata ancora sull’attività di cacciatori e raccoglitori;

freccia3Il vero e proprio Mesolitico detto anche Epipaleolitico recente che si sviluppa secondo la cronologia calibrata tra l’8mila ed il 6mila avanti Cristo e che fa riferimento ad una fase cronologica più recente, in cui più evidenti appaiono i segni della transizione verso i sistemi economici e sociali del successivo Neolitico, che saranno basati su agricoltura e allevamento.

Caratteristiche dell’uomo del Mesolitico

Gli uomini del Mesolitico affinano l’arte della lavorazione della pietra, che viene ancora caratterizzato dalla scheggiatura della pietra, per farne uno strumento utile alla caccia, ma scheggiandola in modo molto più perfezionato, fino ad ottenere manufatti più rifiniti, soprattutto di dimensione ridotta. È, quest’ultimo, un fenomeno che prende il nome di Microlitismo. L’economia del Mesolitico è, ancora, basata sulla caccia e sulla pesca. Viene modificata anche la tecnica della caccia, con l’affermarsi dell’uso dell’arco, che richiede delle frecce con punte di piccole dimensioni. E, contemporaneamente, si accentua lo sfruttamento a scopo alimentae di frutti e vegetali spontanei, la cui crescita viene favorita dal miglioramento climatico.

I ritrovamenti scheletrici preistorici nel territorio di Arbus

Arbus-Rinvenimento dello scheletro di AmsicoraDurante una campagna di scavi avvenuta nell’ottobre del 2011, in località Su Pistoccu, nella Marina di Arbus a pochi metri dalla battigia della Costa Verde, è stato rinvenuto il più antico scheletro umano completo trovato sull’Isola. Gli esperti hanno datato lo scheletro in un periodo di transizione compreso tra i 10mila e gli 8mila anni fa, ovvero tra il Mesolitico ed il Neolitico Antico, ed il nome di Amsicora che ad esso è stato assegnato, è stato scelto in onore del noto condottiero che ha guidato i Sardi in una rivolta contro i Romani durante il terzo secolo avanti Cristo, dato che si tratta di un messaggero del passato che rivelerà la storia delle popolazioni più antiche della Sardegna.

Arbus: lo scheletro di Beniamino ed in basso a sinsitra la conchiglia restaurataIl sito nel quale è stato rinvenuto Amsicora era già noto agli archeologi perché nel 1985 alcuni ragazzi che giocavano sulla spiaggia avevano trovato, in località S’Omu e S’Orku vicino a Portu Maga, in una parete di arenaria franata dopo un temporale, dei resti umani, e da allora è stato recuperato lo scheletro di un uomo di circa 40 anni, che è stato battezzato Beniamino interamente ricoperto di ocra rossa, accompagnato da frammenti di ossa di Prolagus sardus, un piccolo mammifero a metà fra un criceto e una lepre molto apprezzato come cibo dai Sardi dell’epoca ed estinto con ogni probabilità solo nel tardo Medioevo, e da una grande conchiglia di Charonia lampas con le prime spire tagliate, per consentirne l’uso come strumento a fiato, che è stata in seguito restaurata. Non è stato possibile datarlo con certezza al C14 perché privo di collagene. Lo scheletro è stato preso in custodia da un gruppo archeologico di Guspini, fino al trasferimento alla Soprintendenza di Cagliari. In seguito, una successiva campagna di scavo nel 2007, ha permesso il recupero, vicino a dove era stato trovato Beniamino, di altri resti umani, ossia dello scheletro di una donna a cui è stato dato il nome di Amanda che sono stati datati con il C14 dal laboratorio del National Science Foundation dell’Università di Tucson, in Arizona, a circa 8400 anni fa, durante il Neolitico Antico.

Frammenti ossei umani ed altri reperti, rinvenuti nella grotta Corbeddu presso Oliena

Altri resti relativi al Mesolitico, ossia all’Età della pietra intermedia, rinvenuti in Sardegna provengono dalla stessa Grotta Corbeddu, nella valle di Lanaitto, presso Oliena, vicino a Nuoro, che abbiamo già descritta. La datazione di questi reperti oscilla, infatti, tra i 25mila e gli 8mila anni fa, partendo dal Paleolitico e sconfinando, quindi, anche nel Mesolitico. Nella grotta, come abbiamo detto, sono state ritrovate tracce inconfutabili della presenza umana, costituite dal cranio di cervo e del canide ed alle ossa umane, dei quali abbiamo già parlato. Sono stati rinvenuti anche, in strati superiori all’interno della grotta e quindi più recenti, resti di un roditore endemico delle dimensioni di una lepre ma senza la coda, il Prolagus Sardus, che costituiva una importante risorsa alimentare ed è ormai estinto. Sono state rinvenute anche ossa ammucchiate al centro della grotta, oltre a resti di focolari ed altro notevole materiale ancora in fase di studio.

resti animali rinvenuti nella grotta Corbeddu di Oliena resti animali rinvenuti nella grotta Corbeddu di Oliena Il Prolagus Sardus che viveva nella zona era simile alla lepre senza coda attuale

La prossima pagina

Nella prossima pagina proseguiremo la descrizione della preistoria in Sardegna. Descriveremo il Neolitico, e parleremo del Neolitico Antico, cominciando con la descrizione del Neolitico Antico Iniziale del quale si sono trovate tracce che hanno portato alla definizione della facies culturale di Su Carroppu, che rappresenta la prima fase della ceramica impressa.


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