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Nel 232 avanti Cristo arrivano i Romani ed iniziano oltre sette secoli di Romanizzazione della Sardegna


In questa pagina vedremo come, al termine delle guerre puniche, sconfitti i Cartaginesi, nel 232 avanti Cristo arrivano in Sardegna i Romani. Inizia una occupazione che durerà oltre sette secoli, producendo la romanizzazione della Sardegna.

L’arrivo dei Romani in Sardegna

Abbiamo già visto come, nel 509 avanti Cristo, Cartagine abbia stipulato il primo trattato con Roma, che riconosce a Cartagine il possesso della Sardegna, ed in base al quale ai Romani viene vietato ogni commercio con l’isola. Nel 378 avanti Cristo Risulta che i Romani costituiscano una loro colonia a Sardonia, di cui si ignora la localizzazione, ma che potrebbe indicare proprio a Sardegna; e nella metà del quarto secolo avanti Cristo i Romani inviano una flotta in Corsica per fondarvi una città. Tanto che, attorno al 360 avanti Cristo, Cartagine decide la ristrutturazione, l’ampliamento e la fortificazione di alcune tra le città più importanti della Sardegna. Nel 348 avanti Cristo, Cartagine stipula il secondo trattato con Roma, che evita ulteriori scontri tra le due potenze, almeno fino alla Prima Guerra punica. Ma il loro equilibrio viene messo duramente alla prova, quando Roma e Cartagine entrano in conflitto, per garantirsi il controllo del Mediterraneo occidentale.

La Prima Guerra punica

Situazione prima della prima guerra punicaLa Prima Guerra punica combattuta tra il 264 ed il 241 avanti Cristo, scoppia per la crescente rivalità politica ed economica tra Roma e Cartagine. Dopo le guerre tarantine, infatti, Roma occupa numerose città della Magna Grecia, minacciando in questo modo la supremazia cartaginese nel Mediterraneo meridionale. Il controllo del mare è fondamentale per l’economia cartaginese, la cui agricoltura e la cui attività manifatturiera trovano nel commercio d’oltremare il loro sbocco naturale. Fino alla Prima Guerra punica i Romani non hanno che triremi da commercio e da sbarco, mentre i Cartaginesi possiedono poderose quinqueremi da guerra. Alcuni storici latini ci informano che, nel 264 avanti Cristo, una nave cartaginese viene gettata dalla tempesta sulle coste calabresi. I Cartaginesi, nel 262 avanti Cristo, mirano a fare della Sardegna una base per le loro operazione contro Roma; ed allora Roma riesce a costruire, nel 261 avanti Cristo, in soli 60 giorni, una intera flotta composta da 100 quinqueremi e venti triremi, sul modello della nave cartaginese. Ricordiamo che nella Roma repubblicana i consoli, in numero di due, vengono eletti ogni anno dal popolo, ed hanno il supremo potere politico, militare e giudiziario, ma sono privi di prerogative religiose. Nel corso della Prima Guerra punica, nel 259 avanti Cristo una flotta romana, comandata dal console Luciò Cornelio Scipione conquista Aleria, in Corsica, e, partendo dalla Corsica, tenta di sbarcare ad Olbia, se ne impadronisce, ma è costertto a ritirarsi. E nel 258 avanti Cristo una seconda flotta romana, comandata dal console Gaio Sulpiciò Patercolo tenta di sbarcare a Sulki, ma viene sconfitta nelle acque del Sulcis. In entrambi i casi, i Romani vengono respinti dai Cartaginesi e dalla Resistenza della popolazione locale. La guerra si sposta in Sicilia e sulle coste nordafricane, e per molti anni la Sardegna non viene coinvolta nel conflitto. La Prima Guerra punica viene decisa il 10 marzo 241 avanti Cristo, nella battaglia delle isole Egadi, vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio lutazio Catulo. Cartagine perde la maggior parte delle navi, e non si trova nelle condizioni di varare un’altra flotta in tempi brevi. Trovandosi in Sicilia, snza navi che gli consentano il collegamento con la madrepatria, il generale cartaginese Amilcare soprannominato Barak romanizzato in Barca, il cui significato italiano corrisponde a Fulmine, è costretto ad arrendersi. Così Roma vince, dopo 23 anni di combattimenti, la Prima Guerra punica. Le condizioni poste da Roma sono molto pesanti per Cartagine che, non essendo in posizione da poter trattare, deve accettarle. Tra queste, l’abbandono della Sicilia, con la conseguente sostituzione di Roma a Cartagine come maggiore potenza del Mediterraneo. La pace stipulata con Roma lascia, comunque, la Sardegna sotto il controllo cartaginese. Nel dopoguerra, a Cartagine non restano fondi tanto che non è in grado di pagare le truppe mercenarie smobilitate. Lo storico Polibio racconta che, alla fine della Prima Guerra punica, i mercenari Cartaginesi di stanza in Sardegna, seguendo l’esempio dei commilitoni dell’Africa, si ribellano per ottenere emolumenti arretrati, e imperversano nel territorio compiendo ogni sorta di misfatto. fra il 241 e il 238 avanti Cristo assalgono i Cartaginesi che governano l’isola uccidendone i capi. Cartagine invia allora in Sardegna il generale Annone con altre forze, che però si uniscono ai ribelli e, catturato il generale, lo crocifiggono a Sulki. La popolazione locale che, se in precedenza aveva accettato la presenza dei Cartaginesi collaborando parzialmente con essi, ora non è più disposte a subire il dominio dei mercenari e dei nuovo invasori, ed intraprende un’accanita resistenza con una forte guerriglia. Riesce, quindi, a scacciare i ribelli, che fuggono a Roma dove chiedono al Senato l’invio di nuove legioni per riconquistare quell’isola ricca di frumento, legname, sale e miniere, che è rimasta momentaneamente indifesa.

Nel 238 avanti Cristo avviene il primo sbarco in Sardegna dei Romani

Situazione alla fine della prima guerra punicaL’invito viene accolto, e Roma, cogliendo l’occasione dei preparativi punici per la rioccupazione dell’Isola, accusa Cartagine di preparare l’invasione del lazio e, nel 238 avanti Cristo, invia in Sardegna le sue legioni comandate dal console Tiberio Sempronio Gracco. Cartagine, che non è in condizioni di intraprendere una nuova guerra contro Roma, è costretta ad accettare la sconfitta. Le truppe romane iniziano l’occupazione dell’isola sbarcando a Olbia e Karalis, ma incontrano una forte resistenza della popolazione locale. Ed, iniziata la conquista della parte costiera dell’Isola, impiegheranno ben quattro anni ad espugnare Sulki. Comunque, per avere ragione della Resistenza della popolazione, usano mezzi di repressione durissimi, e Tiberio Sempronio Gracco, ritornato in patria, verrà aspramente criticato, poiché non porta a Roma prigionieri di valore. i Romani vengono bloccati nel tentativo di penetrare all’interno, controllato da quelli che chiameranno i Sardi Pelliti, ossia i Sardi vestiti di pelli. Già nel 236 avanti Cristo, due anni dopo l’inizio dell’occupazione dell’Isola, i Romani conducono altre operazioni militari guidate dal console Gaio licinio Varo contro i Corsi, ma il corpo di spedizione guidato dal suo legato, l’ex console Marco Claudio Clinea viene sconfitto e Clinea stipula una pace da molti Giudicata ignominiosa. Nel 235 avanti Cristo, sobillati dai Cartaginesi che agiscono segretamente, i Sardi si ribellano e vengono sconfitti nel sangue da Tito Manlio Torquato il futuro vincitore di Ampsicora, che celebra il suo trionfo nel 234. Nel 234 avanti Cristo altre rivolte dei Sardi e dei Corsi sono sanguinosamente represse dal console Spurio Carvilio Massimo il cui trionfo viene celebrato nello stesso anno; e che, nel 233 avanti Cristo, obbliga le navi Cartaginesi a lasciare la Sardegna e Corsica. Nel 232 avanti Cristo Sono i consoli Marco Emilio lepido e Marco Publicio Malleolo a distinguersi nella repressione contro sardi ma tornando con un ricco bottino approdano sulle coste della Corsica, dove vengono attaccati dalla popolazione locale, che si impossessa del loro ricco bottino. La resistenza della popolazione sarda, però, è lontana dall’essere sedata, ed anzi il clima si fa sempre più rovente. Nel 231 avanti Cristo, data la situazione di grave pericolo, vengono inviati in Corsica ed in Sardegna ben due eserciti consolari. Uno contro i Corsi, comandato da Gaio Papirio Masone ed uno contro i Sardi, guidato da Marco Pomponio Matone. Il primo ottiene dei successi sui Corsi, e ringrazia il dio fonte per averlo aiutato, dedicandogli un tempio. Il secondo si avvale di cani segugi per scovare i Sardi. I consoli non ottengono, però, il trionfo, a conferma della scarsità del loro risultati.

La costituzione della provincia

Già nel 227 avanti Cristo, comunque, i Romani costituiscono la Provincia di Sardegna e Corsica senza averne però ancora il controllo completo. Così l’isola ottiene la forma giuridica ed il rango di provincia, e vi viene inviato un pretore con l’incarico di governarla. Nel 226 e nel 225 avanti Cristo Si verifica una recrudescenza dei moti, ma ormai Roma è fortemente intenzionata ad assicurarsi il dominio del Mediterraneo, e dunque il possesso della Sardegna, che continua ad essere di grande importanza. Per domare gli ultimi focolai di ribellione, nel maggio del 225 avanti Cristo viene inviato in Sardegna il console Gaio Atilio regolo a capo di due legioni, ma è successivamente richiamato per combattere contro i Galli a Talamone.

La popolazione locale si ritira all’interno dell’isola da dove contrasta l’occupazione romana

Le principali entità etniche presenti in SardegnaFino dall’occupazione cartaginese, ed ancora di più durante l’uccipazione romana, la popolazione locale si ritira nei territori montani, all’interno dell’Isola. Secondo l’archeologo Giovanni Lilliu, queste sono le entità etniche più rilevanti che si fonderanno tra loro, creando quel tessuto di sardità che si ritrova ancora oggi nelle popolazioni barbaricine. I Bàlari costituiscono il gruppo etnico che aveva prodotto la Cultura di Bonnanaro, e che derivava probabilmente dai portatori della cultura del Vaso Campaniforme. Inizialmente presenti in gran parte della Sardegna, riescono ad imporsi essenzialmente nell’area nord-occidentale dell’Isola, nei territori della Nurra, dell’alto e basso Coghinas, e del Monte limbara. Il loro eroe mitico è Norace, che, secondo il geografe greco Pausania, sarebbe arrivato in Sardegna alla guida degli Iberi, i quali fondano la città di Nora, che da lui prende il nome. Negli Iolèi chiamati anche Iliesi o Iliensi, viene individuato un gruppo etnico proveniente dal Mediterraneo orientale, forse identificabile congli Shardana. Occupano un vasto territorio che va dalle montagne del Goceano di Bortigali, all’altopiano di Buddusò e di Alà, per arrivare al Campidano, attraverso la parte centrale dell’Isola, fino alle sue coste meridionali. Il loro eroe mitico è Iolao, ma lo è probabilmente anche Sardo, rinominato durante l’epoca romana Sardus Pater, dal quale la Sardegna prende il nome. I Corsi stabiliti in Gallura sin dai tempi più antichi, appartengono all’etnia, forse di origine ligure, che ha prodotto la cosiddetta Cultura di Arzachena, e che si estendono, poi, anche alla vicina Corsica, che da loro prende il nome. Occupano la parte nord orientale della Sardegna e la Corsica. Sono, inoltre, presenti molte altre etnie minori, che vengono descritti nei testi Romani.

L’inizio della Seconda Guerra punica

La Seconda Guerra punica comincia per iniziativa dei Cartaginesi, che tentano in questo modo di riscattarsi dalla sconfitta subita nella Prima Guerra punica. Cartagine si affida ad Da tempobale figlio di Amilcare, il generale cartaginese che si era distinto in Sicilia durante la Prima Guerra punica. Nel 218 Annibale, affrontando grandi difficoltà e perdendo molti soldati, supera le Alpi con 1cinquemila uomini e 21 elefanti, appoggiato da 57 navi da guerra. Scende nella pianura padana e sconfigge due eserciti Romani, poi in Italia centrale distrugge un terzo esercito consolare. Frattanto il Sardegna i Romani rinforzano le loro guarnigioni e, mentre settanta navi Cartaginesi pattugliano le coste sarde, il console Gneo Servilio Gemino a capo di una flotta di 120 navi, partendo da lilibeo, nell’estremo ovest della Sicilia, prende in Sardegna numerosi ostaggi. Negli anni della Seconda Guerra punica i Romani, per far fronte alle spese del conflitto, attuano in Sardegna una durissima politica fiscale imponendo forti tributi e significative requisizioni granarie.Annibale, nella sua discesa lungo tutta l’Italia, cerca l’appoggio della popolazione locale, che però non lo segue. Allora devasta le loro campagne e prosegue la sua marcia. Nel 216 travolge l’esercito romano nella pianura di Canne, villaggio della Puglia a 15 chilometri da Barletta. Dopo questa battaglia anche i Sardi si ribellano, mentre restano fedeli ai Romani solo le antiche colonie fenicie.

Annibale Annibale supera il Rodano e scende nella pianura padana La seconda guerra punica

La ribellione di Ampsicora

Dopo la battaglia di Canne, aspettandosi la sconfitta romana, in Sardegna si sviluppa la ribellione dei Sardi, guidati da due ricchi esponenti dell’aristocrazia terriera sardo: il punica, Ampsicora di Cornus e Annone di Tharros. Di Ampsicora, Tito livio dice Qui tum auctoritate atque opibus longe primus erat, ossia che era il primo di gran lunga per prestigio e per ricchezze. Sapendo che Annibale sta sconfiggendo in diverse battaglie i Romani, nel 215 avanti Cristo Ampsicora ed Annone mettono in campo un esercito sardo abbastanza consistente e chiedono aiuto a Cartagine, che invia in Sardegna il generale Asdrubale soprannominato Il Calvo, con 10.000 uomini. Secondo i piani di Ampsicora, la flotta cartaginese dovrebbe sbarcare a Capo Mannu per unirsi alle sue truppe, ma per evitare lo scontro con la flotta romana presente a Karalis il comandante cartaginese preferisce costeggiare il nord Africa, viene però colto da una tempesta che lo fa dirottare sulla Baleari. Ritarda quindi l’arrivo delle truppe Cartaginesi. Il governatore della Sardegna, il pretore Quinto Muzio Scevola si è ammalato; viene inviato, quindi, nell’isola Tito Manlio Torquato che era stato console nel 235 e nel 224 avanti Cristo i Romani marciano con 23.000 uomini su Cornus, mentre Ampsicora si trova all’interno dell’Isola, in Barbagia, a chiedere rinforzi alle tribù dei Balari e degli Iliensi, i cosiddetti sardi Pelliti, che però indugiano troppo prima di unirsi al suo gruppo. Ha lasciato il comando al figlio Josto ma Tito Manlio Torquato si trova in una situazione di vantaggio numerico, e, sfruttando l’irruente inesperienza del giovane Josto, lo attacca rapidamente. Josto viene sconfitto ed ucciso nella Battaglia di Cornus del 215 avanti Cristo, nella quale 3.000 sardi muoiono e 1.300 vengono fatti prigionieri. Secondo la tradizione, sarebbe stato, forse, ucciso dal poeta romano Quinto Ennio. Pur essendo a capo di quattro legioni, comunque, Manlio non si fida di proseguire verso l’interno e rientra a Karalis, verso la quale marciano anche i Cartaginesi, finalmente arrivati e unitisi alle truppe di Ampsicora. Lo scontro finale avviene nella piana di Sanluri, in quella che viene ricordata come la Battaglia di Sanluri dove, dopo una lunghissima ed acerrima battaglia, i Romani ottengono la vittoria su Ampsicora e Annone e sul generale cartaginese Magone Barca il terzo dei figli di Amilcare Barca, uccidendo 22.000 tra sardi e Cartaginesi, e catturandone 3.700. Ampsicora, affranto per la morte del figlio e per non cadere nelle mani nemiche, si uccide. Lo fa durante la notte perché nessuno possa impedirgli di compiere l’estremo gesto. Le sue truppe superstiti si ritirano dentro la città di Cornus, dove oppongono una strenua resistenza alle truppe romane, che terminerà, però, con la completa distruzione della città stessa, e con la fuga della sua popolazione verso le zone all’interno dell’Isola.

Ampsicora di Cornus Ampsicora e la morte di Josto Ampsicora e la morte di Josto Il suicidio di Ampsicora

La fine della Seconda Guerra punica

Tra il 215 ed il 206 avanti Cristo Restano a presidiare la Sardegna, contro le minacce Cartaginesi, due legioni romane. Anche dopo la battaglia di Sanluri, proseguono i tentativi dei Cartaginesi di contrastare la conquista romana dell’Isola. Sappiamo che nel 215 si svolge una battaglia navale fra il propretore di Sicilia Tito Otacilio Crasso ed i Cartaginesi, nelle acque della Sardegna, nella quale la flotta romana sconfigge quella punica catturando sette navi. E nel 212 avanti Cristo, durante l’assedio di Capua, dove Annibale si è ritirato per ritemprare, dopo la battaglia di Canne, le forze del suo esercito in quelli che verranno in seguito definiti gli Ozi di Capua, viene ammassato nei depositi situati a pozzuoli il grano sardo, per approvvigionare l’esercito romano durante la stagione invernale. Nel 210 avanti Cristo Il pretore Publio Manlio Vulsone respinge un tentativo di sbarco dei Cartaginesi, arrivati ad Olbia con 40 navi ma i Cartaginesi, respinti, arrivano a saccheggiare Karales. Verso l’Italia si muove anche, nel 208 avanti Cristo, Asdrubale Barca figlio di Amilcare e fratello minore di Annibale, che, con un esercito di 30.000 uomini, passa le Alpi seguendo la strada tracciataanni prima dal fratello. Ma nel 207 viene sconfitto nella battaglia del Metauro, e viene decapitato dai Romani, che ne gettano come spregio la testa nell’accampamento di Annibale. Publio Cornelio Scipione detto l’AfricanoMentre Annibale trova riposo a Capua, il propretore Aulo Cornelio Mamula comunica al Senato la minaccia di una insurrezione generale in Sardegna e le difficoltà nelle quali si trova l’esercito romano, privo di rifornimenti. i Romani armano, allora, nuovi eserciti, che vengono affidati a Publio Cornelio Scipione, Detto L’Africano, eletto console nel 205 avanti Cristo, che, per allontanare Annibale dall’Italia, trasferirà la guerra in Africa. Frattanto, nel 205 avanti Cristo il pretore Gneo Ottavio sorprende una flotta punica costituita da 80 navi onerarie che trasportano uomini, armi e vettovaglie perAnnibale, diretta verso la Sardegna, la affronta e la sconfigge. Ma successivamente, nel 203, perde in un attacco dei Cartaginesi la sua flotta che si accingeva a portare dalla Sicilia in Africa. Quindi, tra il 204 ed il 203 avanti Cristo, Publio Cornelio Scipione l’Africano inizia a condurre una campagna militare nell’Africa settentrionale. Nel 204 il console Tiberio Claudio Nerone divenuto pretore per la Sardegna, invia in Africa numerosi aiuti al suo esercito, sotto forma di derrate alimentari, oltre a tuniche, toghe ad altro vestiario. Ad Utica, città costiera a pochi chilometri da Cartagine, arriva una tale quantità di grano sardo da costringere i Romani a costruire nuovi granai. Quindi il console assume il comando di un convoglio diretto da Roma a Cartagine, ma viene sorpreso da una tempesta lungo la costa orientale della Sardegna, all’altezza dei monti Insani, come venivano chiamate le montagle di Capo Monte Santo, e si rifugia a Karales per riparare le navi. Rientra, poi, a Roma, non essendogli stato prorogato l’incarico. Situazione alla fine della seconda guerra punicaPublio Cornelio Scipione affronta e sconfigge ai Cartaginesi ai Campi Magni, l’odierna Suk al-Khamis, in Tunisia.Annibale viene allora richiamato dall’Italia, e costretto a rientrare in patria per affrontare i Romani. Sappiamo, comunque, che nel 203 avanti Cristo la Sardegna continua a provvedere di grano gli eserciti Romani combattenti in Africa. Sempre nel 203 avanti Cristo, il propretore Gneo Ottavio sorprende Magone Barca, fratello di Annibale, che dalla liguria sta tornando in Africa in appoggio adAnnibale. Nello scontro Magone rimane gravemente ferito, e rientra a Cartagine dove muore. E, nello stesso anno, il pretore Publio Cornelio lentulo Caudino fornisce 2.000 uomini per la difesa delle coste della Sardegna, e manda a Scipione 100 navi onerarie, scortate da venti navi da guerra. Nel 202 avanti Cristo il propretore Publio Cornelio lentulo Caudino, con 100 navi onerarie e 50 navi da guerra, raggiunge Utica. Lo scontro decisivo tra le truppe di Scipione e quelle di Annibale avviene non lontano da Cartagine, a Zama, nell’ottobre del 202 avanti Cristo, e determina la Fine di Annibale e la Distruzione di Cartagine. Dopo la battaglia di Zama, il grano prodotto in Sardegna e non più necessario per gli eserciti Romani in Africa, viene dirottato al mercato di Roma, ma il suo prezzo è sufficiente per coprire le sole spese di trasporto.

La contrastata dominazione della Sardegna nell’età repubblicana

Datazioni dell’occupazione romanaLa storia della Sardegna romana si sviluppa dal 238 avanti Cristo, data del loro primo sbarco sull’isola, fino al 456 dopo Cristo. É questo l’arco di tempo, di circa 700 anni, che trascorre dalla conquista alla perdita della Sardegna ad opera dei Romani. Dopo la battaglia di Sanluri, Cartagine perde la Sardegna ma la Resistenza dei Sardi si protrae ancora per oltre un secolo. i Romani iniziano l’occupazione delle città costiere, senza però mai riuscire a penetrare all’interno, dove le popolazioni locali conservano le loro tradizioni e vivono soprattutto di pastorizia, praticando l’allevamento del bestiame su Pascoli comuni non essendo ammessa nella loro cultura la proprietà privata dei beni utili alla collettività.

Un secolo di rivolte dei Sardi

Nel Duecento avanti Cristo un contingente di con cinquemila soldati, scelti tra gli ultimi latini arruolati, dal propretore Marco Valerio Faltone viene inviato in Sardegna. Successivamente, nel 198 avanti Cristo, con il pretore Marco Porciò Catone soprannominato Il Censore, arriva nell’isola un altro contingente di 2.000 soldati latini. Questo pretore, in Sardegna, mostra per la prima volta la sua rigida moralità scacciando gli usurai dall’isola ed abolendo la norma detta Frumentum in cellam praetoris, imposta dai Romani alle comunità dell’Isola, secondo la quale i produttori erano obbligati a rifornire di grano il governatore ed il suo seguito a un prezzo definito dallo stato. In Sardegna, inoltre, egli conosce il poeta Quinto Ennio, qui trasferitosi per partecipare alla Seconda Guerra punica, che conduce con sè a Roma, e che, giunto nella capitale, ottiene la protezione di uomini illustri. i Sardi ed i Corsi continuano, comunque, ad opporsi ai Romani, e si sa di almeno una dozzina di ribellioni importanti avvenute nel secondo secolo avanti Cristo. Già nel 181 avanti Cristo, il pretore Marco Pinario Rusca è costretto a combattere contro la ribellione dei Corsi, che viene domata. Una nuova rivolta dei Balari e degli Iliesi si sviluppa nel 178 avanti Cristo, ed il senato, per domarla, invia in Sardegna nel 177 il console Tiberio Sempronio Gracco munito di due legioni di 5.200 fanti ciascuna, più 300 cavalieri e 10 quinqueremi. Ad essi si aggiungono altri 12.000 fanti e 600 cavalieri fra alleati e latini, per un totale di oltre 23.300 uomini. Questa rivolta viene domata, ma in essa perdono la vita oltre 12.000 sardi nel 177, e 1cinquemila nel 176. Da essa deriva la repressione più dura, a seguito della quale Gracco ottiene, nel 175, il trionfo, mentre alla comunità sarde vengono raddoppiate le tasse. Una nuova rivolta si sviluppa dal 163 al 162 avanti Cristo, della quale non si sa, però, molto, essendo andati perduti i testi di Tito livio successivi al 167 avanti Cristo. É significativo il fatto che la Sardegna contava allora 300.000 abitanti, un venti per cento dei suoi abitanti attuali ed, in particolare, la Barbagia poteva contare, allora, su appena 5cinquemila abitanti. I romani, uccidendone tra il 177 ed il 176 avanti Cristo ben 27.000, avevano dunque ucciso circa la metà della sua popolazione, per di più tutti maschi e adulti. La conseguenza è che sarebbero occorsi molti anni, prima che i Sardi potessero ricostituire un nuovo vero esercito. Le rivolte dei Sardi non si sono, comunque, concluse, ma bisogna attendere anni per vederne di nuove. Tra le ultime rivolte, si ricorda quella del 126 avanti Cristo; e successivamente quella del 122, domata da Luciò Aurelio Oreste che celebra il penultimo trionfo romano sui sardi. Divenuto questore nel 126 avanti Cristo, Gaio Sempronio Gracco fratello di Tiberio, viene inviato in Sardegna dove si ferma fino al 124, e viene dimostrata una forte benevolenza verso di lui dalla popolazione sarda. Di propria iniziativa, ritorna a Roma prima dello scadere del mandato, e nel 123 venne eletto tribuno della plebe. Attua diverse riforme favorevoli ai Populares, ovvero al proletariato che era arrivato nell’Urbe dopo le guerre puniche, composto dagli abitanti delle province conquistate. Infine, nel 111 avanti Cristo, si sviluppa l’ultima rivolta, affrontata dal console Marco Cecilio Metello che sconfigge definitivamente l’ultima resistenza dei Sardi, ed ottiene dal Senato l’onore del trionfo, l’ultimo celebrato per azioni di guerra in Sardegna. Dopo le ultime rivolte si determina una doppia situazione: nelle città e nelle comunità soprattutto costiere, nasce una società di mercanti e di latifondisti, che finisce con l’integrarsi nel mondo romano; mentre le popolazioni riparate all’interno, i Sardi Pelliti, continuano a sviluppare la pastorizia ed a compiere Periodiche scorrerie in pianura e nelle città costiere, per compiere razzie effettuando una sorta di guerriglia. Nel 104 avanti Cristo il propretore Tito Albucio affronta i responsabili delle scorreria, e grazie ad alcuni insignificanti successi ottenuti, vorrebbe celebrare il trionfo, ma viene, invece, condannato per concussione all’esilio ad Atene. In ogni caso, ad ogni ribellione dei Sardi, corrisponde una spietata vendetta dei Romani, e un gran numero di sardi, fatti prigionieri, vengono portati a Roma e venduti come schiavi. Diviene, da questo punto di vista, proverbiale la frase di Tito livio: Sardi venales, ossia Sardi a basso costo. i Romani impongono ai sardi la loro lingua ed i loro dei, traggono dalla nuova Provincia il grano e riscuotono i tributi. La loro amministrazione è però spesso in mano a funzionari corrotti. La conquista romana fa perdere alla Sardegna il suo carattere di ponte tra Civiltà diverse e la fa chiudere in se stessa, al punto da rendere marginale la sua partecipazione alle vicende che porteranno alla crisi della Repubblica.

Probabili origini del sentimento di odio che i Romani nutrono verso gli Etruschi ed i Sardi

Non dimentichiamo che i Romani, nel primo periodo della loro storia, erano governati da re Etruschi, e gli stessi Etruschi erano governati da una specie di re o sacerdoti che venivano chiamati Lucumoni. Secondo Strabone, un geografo greco del I seolo avanti Cristo, i lucumoni venivano designati fra i dignitari sardi. E lo ricorda anche il grammatico romano Sesto Pompeo Festo, vissuto nel secondo secolo dopo Cristo, il quale scrive che Reges soliti sunt esse Etruscorum, qui sardi appellantur. Quia Gens etrusca, Horta est sardibus, ossia che Sono soliti essere re degli Etruschi, coloro che si chiamano sardi. Quindi la gente etrusca, è originata dai Sardi. Forse per il peccato originale di essere stati soggetti agli Etruschi ed ai sardi, i Romani li odiano al punto che, secondo lo scrittore e filosofo Plutarco, in occasione delle vittorie, organizzano per le strade pantomime nelle quali gli Etruschi sconfitti vengono scherniti insieme a un loro re sardo, vecchio ed imbecille.

La Sardegna durante le guerre sociali

Già dal 91 avanti Cristo, a Roma si propone l’estensione dei diritti di cittadinanza anche ad altri popoli italici, che fino ad allora erano federati. Ma quando il tribuno Marco livio Druso che sta preparando una proposta di legge per concedere la cittadinanza agli alleati, viene ucciso, inizia la guerra sociale, che fino all’88 avanti Cristo vede combattersi gli eserciti Romani e quelli italici. i Romani sono capeggiati, tra gli altri, dal nobile Luciò Cornelio Silla ed alla fine della guerra, gli italici, nonostante la sconfitta, riescono a ottenere la cittadinanza romana. In Senato, comunque, viene a radicalizzarsi lo scontro politico tra due fazioni avverse, quella degli Ottimati, di luciò Cornelio Silla, e quella dei Mariani, guidata dal generale Gaio Mario. E, dopo la morte di Mario, Silla si fa eleggere dittatore a vita, ed inizia una sistematica persecuzione nei confronti della parte avversa, persecuzione dalla quale il giovane Gaio Giulio Cesare, nipote di Mario, riesce a stento a sottrarsi. Durante le guerre sociali, la Sardegna viene, prima, spinta dal pretore Quinto Antonio verso la fazione mariana; ma, poco dopo, si schiera nel campo opposto dal sopraggiungere del rappresentante di Silla Luciò Filippo. Tra il 78 ed il 77 avanti Cristo, il console Marco Emilio lepido nemico di Silla, tenta invano la conquista della Sardegna e vi trova la morte, sconfitto da Gaio Valerio Triario legato del generale silliano Luciò licinio lucullo. Nel 67 avanti Cristo, due anni dopo il suo consolato, il generale Gneo Pompeo Magno viene nominato comandante di una flotta per condurre una campagna contro i pirati che infestano il mare Mediterraneo, e li scaccia pure dal mare della Sardegna.

La Sardegna durante i due trimvirati e la dittatura a vita di Gaio Ciulio Cesare

Gaio Giulio CesareCon Gaio Giulio Cesare vissuto tra il 100 ed il 44 avanti Cristo, generale e dittatore romano considerato uno dei personaggi più importanti e influenti della storia, è avvenuta la transizione del governo dalla forma repubblicana a quella imperiale, della quale cesare viene ritenuto da molti il fondatore. Nel 60 avanti Cristo a Roma nasce il primo triumvirato, una alleanza politica non ufficiale con cui tre uomini, Marco licinio Crasso l’uomo più ricco della città, il generale Gneo Pompeo Magno e Gaio Giulio Cesare si spartiscono le aree di influenza, garantendosi il reciproco appoggio. Morto però Crasso nel 53 avanti Cristo, le ambizioni di Cesare e Pompeo si scontrano, ed il senato si schiera con quest’ultimo, che si mostra più rispettoso dei privilegi senatoriali. Nella guerra civile tra Cesare e Pompeo, in Sardegna il pretore Caio Valerio Triario mantiene l’isola fedele al partito di Pompeo, pagando a quest’ultimo nel 47 avanti Cristo un forte tributo in acciaio per le armi del suo esercito. Kalaris, però, in seguito si schiera con Cesare, imitata poco dopo da tutta l’isola. Scacciato Marco Aurelio Cotta luogotenente di Pompeo, viene accolto favorevolmente quello di Cesare, Quinto Valerio Orca. I pompeiani, comunque, tentano la riconquista delle città costiere, Sulki si arrende loro, mentre Karales resiste. Per questo motivo, Cesare, in seguito, punirà la prima con una forte repressione e premierà la seconda. Cagliari accoglie lo stesso Cesare, nel 46 avanti Cristo, di ritorno dopo la vittoria sui pompeiani a Tapso, in Cilicia. Con l’assunzione della Dittatura a vita Gaio Giulio Cesare da inizio a un processo di radicale riforma della società e del governo, riorganizzando e centralizzando la burocrazia repubblicana. Ma questo provoca la reazione dei conservatori, al punto che un gruppo di senatori, capeggiati da Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio longino, cospira contro di lui uccidendolo, alle Idi marzo del 44 avanti Cristo. L’assassinio non riporta la pace, ma provoca una nuova guerra civile. Dopo la morte di Gaio Giulio Cesare, nasce il secondo triumvirato, costituito da Cesare Ottaviano Marco Antonio e Marco Emilio lepido che intendono vendicare Cesare e sconfiggere i suoi oppositori. In Sardegna la situazione si capovolge nel 44 avanti Cristo, quando l’isola, che era stata assegnata ad Ottaviano, viene invece occupata da Sesto Pompeo Magno Pio figlio di Gneo Pompeo Magno, che la utilizza come base per la sua lotta contro i triumviri. Ma nel 38 avanti Cristo viene tradito dal suo luogotenente, e viene definitivamente sosostituito da Ottaviano, che prende possesso dell’Isola. È a questa data che termina, per la Sardegna, il periodo delle lotte violente e dei bruschi cambiamenti politici, con le loro gravi conseguenze economiche, che è durato dal 238 avanti Cristo, esattamente Duecentoanni.

L’odio di Marco Tullio Cicerone nei confronti dei Sardi e la vendetta di Tigellio Ermogene

Marco Tullio CiceronePiù o meno contemporaneo di Giulio Cesare è Marco Tullio Cicerone che nutre un forte odio per i Sardi e che bolla la Sardegna come Mala Insulla. Nella difesa del governatore corrotto Scauro, Cicerone trasforma il processo in un’accusa contro i Sardi che chiama Latrones Mastuccatos, ossia ladroni vestiti con la mastrucca. La mastrucca è una sorta di cappotto molto rudimentale lungo fino al ginocchio, in uso ancora oggi fra i pastori che devono stare a lungo al freddo delle montagne, ottenuto dalla cucitura di quattro pelli di pecora non tosate, due sul davanti e due dietro, usata in inverno con il pelo rivolto verso l’interno e al contrario d’estate. La vendetta sarda gli verrà poi da Tigellio Ermogene un cantore o meglio un poeta di origine sarda. Tigellio è un musicista e poeta particolarmente apprezzato per le sue musiche polifoniche, ottenute con gli strumenti sardi. Originario di Cagliari, dove si conservano i resti di quella che viene definita la villa di Tigellio, si trasferisce a Roma all’epoca di Giulio Cesare, di cui diviene amico e da cui viene protetto. Egli non mancherà di deridere Cicerone ad ogni occasione, tanto che Cicerone, nelle sue lettere familiari, lo definisce Hominem pestilentiorem patria sua, ossia un uomo più pestifero della sua patria.

La Sardegna nell’Età Imperiale

A Giulio Cesare seguono gli imperatori del periodo detto del principato, termine con il quale si indica la prima forma di governo dell’impero. Senza abolire, formalmente, le istituzioni repubblicane, il principe assume la guida dello stato e ne costituisce il vertice politico.

Le rivolte in Sardegna durante l’impero di Augusto, e la successiva riappacificazione

AugustoIl primo Imperatore romano è Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto figlio adottivo di Giulio Cesare, che regna dal 27 avanti Cristo al 14 dopo Cristo, durante il cui impero nasce Gesù Cristo. Con Augusto inizia la dinastia Giulio: claudia. Nel 27 avanti Cristo le province di Roma vengono divise, tra quelle affifate ad Augusto, governate da legati di rango senatorio, e quelle affidate al Senato, governate da proconsoli anch’essi di rango senatorio, ma nelle quali l’Imperatore ha i suoi rappresentanti di rango equestre, detti procuratori. La Provincia di Sardegna e Corsica viene assegnata al Senato. Ma nel 6 dopo Cristo i Sardi si ribellano, non solo quelli dell’interno ma anche nelle pianure, contrastano i Romani ed arrivano ad unire le loro forze a quelle dei pirati che infestano il Tirreno. La violenza di questa rivolta è tale da spingere Augusto a rimuovere dal comando dell’isola i proconsoli del Senato, ed a prenderne il controllo diretto. La presenza militare sull’isola, che era affidata solo ad alcune coorti ausiliarie, viene rinforzata con l’invio di un intero distaccamento di legionari. L’amministrazione della Sardegna e della Corsica viene separata, e le due isole sono affidate a due governatori di pari grado, indipendenti l’uno dall’altro; oppure, secondo un’altra ipotesi, il prefetto di Corsica sarebbe stato un subordinato del governatore della Sardegna. Svetonio scrive che Augusto si reca a visitare tutte le province di Roma, tranne la Sardegna e l’Africa, a causa della condizioni del mare che non glie lo permettono. Poi, quando il mare si viene a calmare, non la visita più dato che non c'è ne è più bisogno. Il che lasacia ingtendere che la rivolta, pur essendo stata molto violenta, viene contrastata efficacemente e non dura molto.

La situazione della Sardegna è tornata calma, tanto che nel 19 Tiberio che è succeduto ad Augusto, sostituisce il distaccamento di legionari esiliando nell’isola 4.000 liberti e figli di liberti ebrei. La situazione rimane tranquilla sotto Caligola ed anche sotto Claudio che esilia il filosofo Seneca in Corsica, dove rimarrà ottoanni, e successivamente restituisce il controllo dell’isola al Senato.

Le prime persecuzioni dei Cristiani da Nerone a Traiano ed Adriano

NeroneIl Cristianesimo arriva in Sardegna già dal primo secolo dopo Cristo, probabilmente introdotto dai molti Cristiani che, indesiderati a Roma, vengono deportati in Sardegna, e cominciano a predicare il Vangelo. Nascono le prime diocesi, che sorgono a Cagliari ed a Turris Libisonis. Le prime persecuzioni contro i Cristiani si hanno con Nerone che regna dal 54 al 68. Nel 62 il liberto Aniceto gli uccide la madre Agrippina, che trama per riconquistare il potere sul figlio, e quindi su Roma. Aniceto, in seguito, confessa di avere avuto una relazione con la moglie dell’Imperatore Claudia Ottavia, che per questo viene esiliata ed uccisa, ed apre così la strada del matrimonio all’amante dell’Imperatore Poppea; e per ricompensarlo, Nerone gli concede una grande proprietà terriera in Sardegna, dove può vivere negli agi lontano dalla corte. La notte di plenilunio tra il 18 e il 19 luglio del 64 un incendio divampa a Roma e dura per nove giorni. Nerone accorre a Roma per organizzare i soccorsi ed emette l’ordine di arresto contro alcuni Cristiani, ritenuti gli autori dell’incendio. Nel 65 Nerone fa deportare in Sardegna il celebre giurista Gaio Cassio longino, e vi fa esiliare anche Rufrio Crispino, che era stato il primo marito di Poppea. Poi, nel 67, da la Libertà ai greci, ed in cambio cede l’amministrazione della Sardegna al Senato.

A Nerone seguono gli imperatori Servo Sulpiciò Galba cui succede Marco Salvio Otone. Poi, con un colpo di stato, viene incoronato nel 69 Aulo Vitellio Germanico che, lungi dall’essere ambizioso o scaltro, è pigro, amante del mangiare e del bere, e dura in carica meno di un anno. Comunque, nello scontro tra Otone e Vitellio, la Sardegna e la Corsica parteggiano per Otone, e risulta vano il tentativo di Decumo Pacario di determinare una ribellione della Corsica a favore di Vitellio. Seguono, poi gli imperatori della dinastia Flavia, che inizia con Tito Flavio Vespasiano con il quale, nel 69, ricominciano i problemi poiché l’isola non appoggia la sua nomina ad Imperatore. Vespasiano, per ristabilire l’ordine, ne toglie il controllo al Senato. In seguito al suo intervento militare, in Gallura vengono tolte le terre da coltivare ai corsi e distribuite ad abitanti dell’interno, che ben presto si Romanizzano; e la Gallura perde quel carattere barbarico che l’aveva contraddisitinta. A Vespasiano succede Tito che riconquista Gerusalemme dopo la rivolta ebraica, e che incontra la principessa ebrea Berenice, della cui influenza su Tito beneficiano sia ebrei che Cristiani ancora non chiaramente distinti.

DomizianoTraianoA lui succede Domiziano che regna dal 81 al 96 ed intraprende una politica di austerità e di rigidità morale, con grande venerazione per l’antica religione romana che celebra con grande sfarzo. A corte hanno forte influenza il console Flavio Clemente e sua moglie Flavia Domitilla, entrambi di tendenza giudaico cristiana. Ma, nel 95, Flavio Clemente viene messo a morte e Domitilla inviata in esilio. Alla dinastia Flavia segue la dinastia degli Antonini che inizia con Nerva cui segue Traiano. In una lettera a Plinio di Traiano Imperatore dal 98 al 117 dopo Cristo, si parla di processi a carico dei Cristiani, prassi giudiziaria consueta anche se non formalizzata da leggi persecutorie. Si dice che i Cristiani non devono essere ricercati, ma condannati solo se la denuncia è firmata e se i Cristiani non sacrificano agli dei. Risulta inaccettabile l’ostilità dei Cristiani verso l’Imago imperatoris e i Deorum simulacra.

AdrianoSant’AntiocoGli succede Adriano Imperatore dal 117 al 138, che ama identificarsi ancor più di Traiano con Giove Capitolino, accanto a leggi che impediscono ai padroni di uccidere gli schiavi o di venderli per gli spettacoli gladiatori, con un decreto vieta la Circoncisione, la Pubblica lettura della legge mosaica e l’Osservanza del sabato. Adriano reprime nel Sangue la seconda guerra giudaica, ordinando che Gerusalemme venga ribattezzata col nome di Elia Capitolina e ricostruita come colonia romana. Di sicuro effettua numerose persecuzioni, soprattutto in Oriente, e la tradizione vuole che sotto di lui venga martirizzato Antioco il Santo cui è dedicata l’isola ed il paese di Sant’Antioco, nel Sulcis.

Un periodo di relativa tolleranza e limitate persecuzioni

Ad Adriano segue la dinastia degli Antonini che inizia con Antonino Pio. A lui succede Marco Aurelio l’Imperatore filosofo che regna tra il 161 ed il 180, che non risulta abbia emesso decreti contro il Cristianesimo. Il secondo secolo è, anche per la Sardegna, un momento di grande sviluppo e di prosperità. Gli abitanti iniziano a parlare latino, sostituito alla lingua dei Cartaginesi dal periodo di Marco Aurelio. Non si verificano rivolte, ed i Romani hanno la possibilità di migliorare la rete stradale punica spingendola fino all’interno, di costruire terme, anfiteatri, ponti, acquedotti e monumenti. Comunque i Romani effettuano in Sardegna uno sfruttamento agricolo e minerario senza precedenti. L’isola esporta grano sufficiente per 250.000 persone, e, grazie alle sue miniere, esporta piombo, ferro, acciaio e argento. E l’isola viene considerata come una terra lontana, utile solo per isolare prigionieri e nemici dell’impero, e, tra le varie persone che vi vengono inviate via mare, vi sono numerosi criminali. anarchici, rivoluzionari, ma anche tantissimi Cristiani.

Commodo con gli attributi di ErcoleIl papa CallistoSegue Commodo che regna tra il 180 ed il 192, la cui amante Marcia è filocristiana e partecipa alla congiura che porta alla sua morte. Callisto è uno schiavo di Carpoforo, un liberto cristiano. Gli giudei lo denunciano rivelando che è cristiano, Carpoforo per salvarlo lo nega, ma Callisto reagisce affermando la propria fede e viene condannato Ad metallas in Sardegna. Marcia, la concubina di Commodo, si fa dare da papa Vittore l’elenco dei condannati in Sardegna ed ottiene la grazia da Commodo. Zeffirino, il successore di Vittore, lo richiama a Roma e gli affida la gestione delle catacombe che vengono ancor oggi chiamate Catacombe di San Callisto. Nel 217, alla morte di Zeffirino, Callisto diviene papa con il nome di papa Callisto e verrà in seguito considerato Santo dalla chiesa cattolica.

Settimio SeveroAlessandro SeveroInizia poi la dinastia dei Severi, dinastia di origine afro: siriaca che si apre alle influenze orientali soprattutto per l’influenza della moglie siriaca di Settimio Severo. Ad eccezione di un breve periodo sotto Settimio Severo, i Cristiani vengono ampiamente tollerati. Settimio Severo promulga nel 202 un editto con cui si vieta ad ebrei e Cristiani di fare proselitismo, ma tale editto viene presto dimenticato. Segue Caracalla grazie al quale, nel 212, i Sardi, come tutti gli abitanti dell’impero, ottengono la cittadinanza romana, ma questo onore viene in concreto legato a tasse aggiuntive. A Caracalla seguono come Imperatori Macrino Eliogabalo e poi Alessandro Severo sotto il cui regno i Cristiani godono addirittura del favore dell’Imperatore. Alessandro Severo concede infatti alla chiesa cristiana di stare in giudizio e di disporre di beni.

La crisi del terzo secolo

Sappiamo con certezza che, dal 170, l’isola è tornata sotto il controllo senatoriale. Il governatore della provincia, chiamato Procurator, gestisce il territorio in modo pacifico fino al 211, ma dopo, come del resto in tutto l’impero, riprende il malcontento della popolazione, poiché le tasse crescono, il latifondo si diffonde, e gli agricoltori sono sempre più legati alla terra. Questo malcontento costringe i governatori a reprimere le rivolte con l’uso della forza. Infatti, dopo Alessandro Severo, inizia la cosiddetta crisi del terzo secolo.

Massimino TraceIl papa PonzianoDopo anni di tranquillità per la comunità cristiana, nel 235, durante l’impero di Massimino Trace inizia una nuova persecuzione contro i Cristiani. Una delle sue prime vittime è il papa Ponziano eletto papa il 21 luglio 230 che regna fino al 235, venerato come Santo dalla chiesa cattolica. Durante il suo episcopato, si verifica lo scisma del prete Ippolito il primo antipapa della chiesa cattolica, venerato successivamente anch’esso come Santo dalla chiesa cattolica e da quella ortodossa. Ma, verso la fine, c’è una riconciliazione tra la parte scismatica di Ippolito ed il papa Ponziano; e la persecuzione di Massimino Trace si dirige principalmente contro i capi della chiesa. Nel 235 papa Ponziano viene infatti deportato, insieme ad Ippolito, in Sardegna. Dall’antichità la chiesa milanese ha venerato in modo speciale Sant’Ippolito, iscrivendone il nome nel canone della messa.

Filippo l’AraboDecioDopo Giorgano III regna Marco Giulio Filippo più detto Filippo l’Arabo nato in Siria, nacque a Shahba, un piccolo centro a una ottantina di chilometri a sud est di Damasco, che, dopo la propria presa del potere, Filippo chiama Philippopolis. Filippo è favorevole al Cristianesimo, ma la notizia che si sia convertito al Cristianesimo, divenendo il primo Imperatore cristiano, non ha conferme. Gli succede Decio che, volendo riorganizzare l’impero, raccoglie intorno a se le forze del paganesimo tanto da venire chiamato Restitutor sacrorum. Nel 250 con un decreto stabilisce che tutti i cittadini debbono offrire un sacrificio agli dei o all’Imperatore, ma il decreto non sopravvive alla sua morte.

ValerianoGallienoNei primi quattro anni di governo, il suo successore Valeriano si dimostra favorevole al Cristianesimo, ma poi emette due provvedimenti contro i Cristiani. Il primo editto, del 257, prescrve ai vescovi, ai preti e ai diaconi di sacrificare agli dei ed ai Cristiani Proibisce le assemblee di culto. Il secondo editto, emesso a metà del 258, stabilisce il Sequestro dei beni dei Cristiani a favore dello Stato. Gallieno figlio di Valeriano, abolisce i decreti del padre, concede ai vescovi di rientrare dall’esilio ed ordina di riconsegnare alle Chiese i loro beni. Per più di quarantaanni nessun Imperatore prenderà provvedimenti contro il Cristianesimo.

A Gallieno seguono Claudio II il Gotico e, successivamente, Quintilio Aureliano che viene costretto a inviare in Sardegna e nelle altre province truppe dalla Gallia, per domare insurrezioni che le truppe dei governatori non erano state in grado di fermare. L’aumento del numero di monete in circolazione ad opera di questi e dei successivi imperatori, fa capire che essi cercano di risolvere la critica situazione economica attraverso una manovra inflazionistica e di svalutazione, non riuscendo però a riportare la tranquillità nelle Provincie. Seguono Marco Claudio Tacito Marcoannio Floriano Marco Aurelio Probo. Sotto il regno di quest’ultimo, nel 280 una flotta di Franchi saccheggia impunemente le città costiere di tutto il Mediterraneo. E da quel giorno i Sardi, che per secoli si erano ritenuti al sicuro da ogni pericolo esterno, tornano a spostarsi all’interno dell’Isola, e quelli che restano sulle coste chiudono i porti e cingono le città con spesse mura. A Marco Aurelio Probo seguono Marco Aurelio Caro e quindi i suoi figli che segnano pressoche congiuntamente, Marco Aurelio Carino in Occidente e Numeriano in Oriente.

L’Impero Assoluto con Diocleziano e l’era dei martiri

Con la morte, nel 284, di Numeriano, a cui il padre aveva affidato l’Oriente romano, ed il rifiuto delle truppe orientali di riconoscere in Marco Aurelio Carino, il primogenito di Marco Aurelio Caro, la naturale successione, viene elevato alla carica imperiale un validissimo generale di nome Diocleziano. Si arriva, quindi, all’Impero Assoluto ossia alla forma di governo successiva al principato. Tale forma di governo si presenta in una forma dispotica, nella quale l’Imperatore, non più contrastato dai residui delle antiche istituzioni della Repubblica romana, può disporre dell’impero da padrone, cioè nella qualità di Dominus.

DioclezianoIl primo Imperatore assoluto è Gaio Aurelio Valerio Diocleziano, detto Diocleziano Imperatore dal 284 al 305. La sua intensa attività in campo economico, politico e militare consente all’impero di risorgere dalle rovine del terzo secolo. Per ragioni amministrative, con la riforma di Diocleziano, l’impero Romano viene diviso nel 284 in due parti: di Occidente e di Oriente. Nel 297 la Sardegna viene compresa nella Prefettura d’Italia e affidata a Marco Aurelio Valerio Massimiano, detto Massimiano che pochi mesi dopo eleva al rango di Augusto. Data la crescente difficoltà per le numerose rivolte nelle Provincie, nel 293 si effettua un’ulteriore divisione territoriale, al fine di facilitare le operazioni militari. Massimiano nomina come suo Cesare per l’Occidente Flavio Valerio Costanzo, detto Costanzo Cloro mentre Diocleziano fà lo stesso con Gaio Galerio Valerio Massimiano, detto Galerio per l’Oriente. Il governo diviene viene, quindi, una tetrarchia, e l’impero viene diviso in quattro aree: Diocleziano controlla le province orientali e l’Egitto, con capitale Nicomedia insieme ad Antiochia; Galerio le province balcaniche, con capitale Sirmium insieme a Serdica-Felix Romuliana e Tessalonica; Massimiano l’Italia e l’Africa settentrionale, con capitale Mediolanum con Aquileia; ed infine Costanzo Cloro la Spagna, la Gallia e la Britannia, con capitale Augusta Treverorum.

Gli ultimi anni di Diocleziano al potere sono caratterizzati dall’ultima grande persecuzione dei Cristiani, iniziata nel 303 e condotta con estrema ferocia. Gli anni finali del terzo secolo sono tristemente noti, proprio per questo, come l’era dei martiri per suo ordine vengono uccisi i Cristiani che non accettano di abbandonare il loro credo per tornare alla religione ufficiale romana. Sembra che i giustiziati siano qualche migliaio. Tra i martiri sardi nelle persecuzioni di Diocleziano ricordiamo Simplicio di Olbia, Vescovo venerato come Santo dalla chiesa cattolica. Saturnino di Cagliari, anch’egli venerato come Santo e patrono della città di Cagliari. Gavino di Porto Torres, martirizzato con il presbitero Proto ed il diacono Gianuario, venerati tutti e tre come Santi. Lussorio di Cagliari, martirizzato con i due adolescenti Cesello e Camerino e santificati dalla chiesa cattolica. Solo in Sardegna, nel Nuorese e nel Sassarese, soprattutto a Loceri, viene festeggiato anche Bachisio santificato dalla chiesa cattolica. Incerte sono invece le vicende relative ad Efisio la cui storicità non è certa, il Santo più venerato in Sardegna, che, secondo la tradizione, sarebbe stato decapitato a Nora.

San Simplicio San Saturno San Gavino con Proto e Gianuario San Lussorio con Cesello e Camerino San Bachisio

L’affermazione del Cristianesimo con Costantino ricordato in Sardegna come Santu Antine

Alla morte di Costanzo Cloro, nel 306, al posto del successore designato Severo, nei territori precedentemente governati dal padre, ossia l’Italia e l’Africa viene proclamato Imperatore l’usurpatore Marco Aurelio Valerio Massenzio, detto Massenzio mentre in Gallia e Britannia l’esercito proclama il figlio illegittimo di Costanzo Cloro, Costantino. L’ascesa al potere in Occidente di Massenzio segna la fine dell’applicazione degli editti di Diocleziano, d’altronde mai seriamente eseguiti. E successivamente, nel 311, tra gli ultimi atti del suo regno, Galerio emana l’editto di Nicomedia con il quale decreta la fine degli editti di Diocleziano, riconosce ai Cristiani Libertà di culto e di riunione, restituisce alla chiesa i beni alienati ed ordina la ricostruzione delle Chiese.

Costantino I il GrandeNel 306 ha assunto il potere Costantino, che nel 324 diventerà l’unico Imperatore romano. Costantino I il Grande è una delle figure più importanti dell’impero Romano, dato che ne riforma largamente l’impero e ne sancisce l’inizio dell’alleanza con la chiesa cristiana, che caratterizzerà gli ultimi due secoli della sua storia. A Costantino, che impera dal 306 al 337 e che sposta la capitale a Costantinopoli, si deve con l’editto di Milano del 313 la concessione della Libertà di culto ai Cristiani. Successivamente, con la sua riforma dell’impero, l’isola continua a far parte della Prefettura d’Italia e viene governata direttamente dal vicario di Roma. Il culto di Costantino il Grande, che non è un Santo ma in Sardegna è stato santificato nella tradizione popolare con il nome di Santu Antine verrà introdotto in Sardegna dopo la conquista bizantina. Costantino viene considerato Santo per la sua opera di diffusione del Cristianesimo: a lui sono dedicate Chiese, feste, la famosa competizione equestre chiamata Ardia una sfrenata corsa a cavallo nata come rievocazione della battaglia condotta dall’Imperatore Costantino a Ponte Milvio e simbolo della vittoria del Cristianesimo sulla religione pagana. Costantino è considerato Santo non solo in Sardegna ma anche dalla chiesa cristiana ortodossa.

Sant’EusebioFra il 315 ed il 371 dopo Cristo, due vescovi sardi, Eusebio e lucifero, si dimostrano particolarmente attivi nella predicazione del Cristianesimo. Il primo, Eusebio di Vercelli nato in Sardegna e venerato come Santo dalla chiesa cattolica, si trasferisce a Roma e diviene il primo Vescovo di Vercelli. È uno dei principali esponenti della lotta contro la diffusione dell’eresia ariana. San luciferoNel 362 partecipa al concilio di Alessandria, che decide di perdonare i vescovi ariani, purche ritornino allo stato laicale. Il secondo, Lucifero è Vescovo di Cagliari ed è venerato anch’egli come Santo dalla chiesa cattolica. Le poche notizie che ci sono state trasmesse su di lui provengono in gran parte dalla Storia di Sardegna di Giuseppe Manno, che ci dice che difende l’ortodossia cristiana contro l’eresia ariana e si oppone alla condanna di Atanasio di Alessandria, al concilio di Milano del 355, e per questo viene condannato all’esilio. Una volta rientrato a Cagliari, egli si oppone alle risoluzioni del concilio di Alessandria, appoggiate da Eusebio, di reintegrare i vescovi che avevano aderito all’arianesimo. Le sue idee gli attirano molti seguaci, provocando così lo scisma luciferiano.

Con i successori di Costantino si verifica l’affermazione del Cristianesimo

A Costantino fanno seguito gli imperatori della sua dinastia. I suoi figli, Costantino II Costanzo II e Costrante I seguono la politica religiosa del padre. Concedono privilegi ai Cristiani e rendono sempre più difficile la vita dei fedeli della religione romana. TeodosioSuccede l’Imperatore Giuliano che tenta il recupero dei valori della religione romana al punto da venire chiamato dai Cristiani Giuliano l’Apostata, e da venire fermato da una lancia, forse cristiana, mentre combatte contro i Persiani. Seguono, poi, gli imperatori della dinastia di Valentiniano e Teodosio. Con Teodosio il Cristianesimo diviene religione di stato e, nel 392, la religione romana viene proibita, pena la morte. Si scatena di conseguenza la persecuzione contro i pagani. Dal 395, alla morte dell’Imperatore Teodosio, assistiamo alla separazione tra l’impero Romano d’Occidente e l’impero Romano d’Oriente. Egli infatti decide di affidare gli immensi territori, sempre più vulnerabili sotto la pressione dei barbari, ai suoi due figli: Arcadio il maggiore, cui viene assegnato il governo della parte orientale dell’impero, ed Onorio il minore, cui spetta la parte occidentale.

L’influenza della presenza romana in Sardegna

Gli oltre sette secoli di dominazione romana, dal III sec avanti Cristo al quinto secolo dopo Cristo, non cancellano però, in Sardegna, le tracce della precedente cultura punico sarda.

L’economia della Sardegna basata su agricoltura ed allevamento

La Sardegna riesce ad inserirsi nel sistema economico e commerciale romano, soprattutto per il commercio del grano, del legname e dei metalli del Sulcis, grazie ai suoi importanti porti: Olbia; Tybula, ossia Santa Teresa Gallura; Turris Libisonis, ossia Porto Torres; Cornus; Tharros; Sulci, ossia Sant’Antioco; e Carales, ossia Cagliari. Per affermare l’importanza di questi porti, sono estremamente significativi due mosaici trovati ad Ostia, nei quali sono illustrati i Navicularii Turritani ed i Naviculani Cagliaritani, ossia i mercanti marittimi di Porto Torres e Cagliari. Per quanto riguarda l’Agricoltura si sviluppano nelle aree esterne e in particolar modo nella pianura del Campidano e nelle altre zone pianeggianti grandi latifondi principalmente imperiali, assegnati ad amministratori privati, per la produzione cerealicola necessaria all’approvvigionamento di Roma e della Penisola; ma anche, in parte, di proprietà di privati che risiedono nelle città. Si dice che la quantità di Grano che arriva a Roma dalla Sardegna, basta a riempire tutti i granai della città, ma per contenerlo se ne devono costruire di nuovi, dato che il grano viene prodotto in Sardegna in quantità tale che, solo quello che si esporta a Roma, basta a sfamare 250.000 persone. È questo il motivo per il quale la Sardegna, durante la repubblica, assume il titolo di Granaio di Roma. La coltivazione di Cereali si sviluppa soprattutto nella parte settentrionale dell’Isola, mentre quella dell’Ulivo e della Vite è diffusa in tutta l’isola. Lungo la costa, sull’orientale romana, viene costituito un centro denominato Viniolae, nome che gli è stato dato per l’assai apprezzato culto della viticultura. un’altra attività economica diffusa in tutta l’isola è l’Allevamento di animali, destinati soprattutto alla vendita in grande quantità nel resto dell’impero. Tra suini, bovini e ovini, principalmente i primi vengono indirizzati al mercato di Roma. La Pastorizia è una pratica molto diffusa nella parte centrale della Sardegna. Gli ovini sono importanti per la produzione di lana, e per quella dei latticini, che i Sardi Pelliti dell’interno vendono a Roma. Sappiamo con certezza che i popoli dell’interno dell’Isola, grazie a questa pratica, sono in grado di arricchirsi, trasformando la pastorizia, da una attività di semplice sussistenza, ad un’attività desctinata all’esportazione.

L’attività estrattiva

I Romani accrescono intensamente, inoltre, l’Attività estrattiva delle miniere soprattutto per quanto riguarda i ricchi giacimenti di piombo e d’argento. La loro attività estrattiva non si limita solo al bacino dell’Iglesiente, ed essi conoscono e sicuramente sfruttano i ricchi giacimenti argentiferi del Sarrabus, alla cui importanza forse si riferisce il geografo Gaio Giulio Solino, quando scrive: India ebore, argento Sardinia, Attica melle, ossia Dall’India l’avorio, dalla Sardegna l’argento, dall’Attica il miele. Fin dal 269 avanti Cristo, infatti, la repubblica romana adotta l’argento come base monetaria, mentre il piombo viene utilizzato nei più svariati campi della vita civile, dalle stoviglie alle condutture dell’acqua. E la Sardegna costituisce, tra i domini di Roma, la terza Regione, dopo la Spagna e la Bretagna, per quantità di metalli prodotti. Il totale della produzione mineraria, durante il periodo della dominazione romana, viene valutata in circa 600.000 tonnellate di piombo e 1.000 tonnellate d’argento. Dalle miniere della Sardegna, vengono estratti i metalli in quantità tale da far scendere il loro prezzo in tutto l’impero. I sistemi di estrazione dalle miniere, consistono nello scavo di pozzi verticali profondi anche oltre cento metri. Nei lavori di estrazione vengono utilizzati solo utensili manuali, e talvolta si utilizza il fuoco per disgregare la roccia. L’estrazione viene effettuata inizialmente da minatori liberi, detti Metallari. Nell’anno 369 avanti Cristo, l’Imperatore Valentiniano I impone ad ogni nave che approda in Sardegna il pagamento di un dazio di cinque soldi per ogni metallaro trasportato. Successivamente gli imperatori Graziano, Valente e Valentiniano vietano del tutto ai metallari di trasferirsi nell’isola. Successivamente, dal 190 avanti Cristo circa, si servono soprattutto del lavoro di schiavi di guerra, di personaggi scomodi nel campo della politica o per la religione professata, o di altri condannati Ad metalla, ossia Damnati ad effodienda metalla, vale a dire all’estrazione mineraria. In tarda epoca romana la produzione mineraria sarda diminuisce considerevolmente. In pochi giacimenti l’attività continua, ma solo per soddisfare le limitate necessità del mercato isolano; mentre molti altri vengono abbandonati, ed alcuni di questi, come quelli del Sarrabus, vengono addirittura dimenticati.

L’Attività estrattiva di pietra e di granito viene, invece, effettuata in localtà dell’interno e lungo le coste. La pietra, che gli isolani avevano sempre utilizzato per la costruzione dei Nuraghi e dei loro templi megalitici, viene ora destinata a rendere più belli e più ricchi gli edifici dei Romani più abbienti. Non è, comunque, facile imbarcare sulle navi da carico i grossi blocchi di pietra, nei tratti di mare antistanti i promontori rocciosi. Le forti correnti e le avverse condizioni atmosferiche provocavano spesso naufragi, o costringono i marinai a liberarsi dei pesanti carichi per evitare l’affondamento delle imbarcazioni. E diversi carichi sono stati, in seguito, recuperati, permettendo di ricostruire la rotta delle navi da carico romane.

Influenza del latino sulla lingua delle popolazioni sarde

La Lingua delle popolazioni sarde subisce, comunque, profonde trasformazioni con l’introduzione del latino, che nelle zone interne penetra, però, molto lentamente. Infatti, nonostante la conquista romana, il latino non si diffonde subito nell’isola. É stata rinvenuta un’iscrizione risalente alla fine del secondo secolo nella lingua dei Cartaginesi. E se questa era la situazione quando si scriveva, è possibile che, nell’ambito della vita di tutti i giorni, la lingua punica fosse ancora molto diffusa. É anche significativo che, a volte, si trovino ceramiche sulle quali si trova il nome del proprietario in latino, ma scritto con caratteri punici. Solo molto tempo dopo, a seguito della conversione di Ospitone e di tutte le sue armate barbaricine, il latino si radicherà tanto profondamente che, fra le lingue neolatine, il sardo è quella che ancor oggi ne conserva più chiaramente le caratteristiche. Ed infatti, nella zona del Logudoro, ancora oggi è possibile ascoltare una lingua molto simile a quella che parlavano gli antichi Romani.

Influenza sulla geografia e sulla toponomastica

Il passaggio dei Romani lascia numerose tracce nella geografia della Sardegna, per l’importante opera di mappatura del territorio, del quale si hanno le prime serie catalogazioni. Importanti ne sono le conseguenze anche nella toponomastica, che in parte non è stata ancora soppiantata. Ad esempio, le Bocche di Bonifacio, che separano la Sardegna dalla Corsica, e che sono un tratto di mare molto temuto dai Romani a causa delle forti correnti, vengono dette Frenum Gallicum. L’isola dell’Asinara è detta Herculis; mentre le isole di San Pietro e di Sant’Antioco sono chiamate, rispettivamente, Accipitrum la prima, e Plumbaria la seconda. Capo Teulada, la punta di meridionale dell’Isola, è chiamata Chersonesum Promontorium, mentre Punta Falcone, l’opposto settentrionale di Capo Teulada, viene chiamata Gorditanum Pronlontorium. Ed il fiume Tirso viene chiamato Thyrsus.

L’esercito

I sardi entrano anche a far parte dell’esercito romano, dando il loro contributo di uomini nelle diverse guerre condotte da Roma. Ma fino al tempo di Caracalla, con la sua riforma, i suoi abitanti non hanno ancora la cittadinanza romana, il che ne riduce la partecipazione all’esercito come legionari, favorendo esclusivamente la partecipazione come ausiliari. Per quanto riguarda i legionari, non essendo l’isola molto popolata, il numero è sempre molto basso; se ne ritrovano tracce nelle enumerazioni solo nell’epoca successiva ad Adriano. Invece, per quanto riguarda gli ausiliari, i Sardi forniscono, come Provincia di Sardegna e Corsica, sei coorti, tre per ciascuna isola, con un numero maggiore dei Sardi sui Corsi. La Cohors I sardorum era, probabilmente, stanziata a Cagliari, dal terzo secoli dopo Cristo; mentre la Cohors II sardorum, fondata al tempo di Adriano, era stanziata a Sur Djuab, circa 100 chilometri a sud di Algeri. Importante è, invece, la partecipazione della Sardegna all’esercito romano con la sua flotta, dato che i Sardi costituiscono la prima fonte di reclutamento occidentale della flotta di Miseno. E, considerando non solo Roma ma tutto l’impero, l’isola viene a costituire la quarta fonte di reclutamento della stessa flotta, superata soltanto dalle province d’Egitto, d’Asia e della Tracia, che hanno una popolazione di gran lunga superiore. Si tenga presente che Miseno, presso la punta estrema della penisola flegrea, e Ravenna sono le basi delle due flotte romane, e che entrambe le città sono state fregiate da parte dell’Imperatore Domiziano del titolo di Praetoria, cioè imperiali.

La religione

Fluminimaggiore-tempio di Antas: veduta del tempioPer quanto riguarda la religiosità, i Romani permettono una certa Libertà di culto alle popolazioni delle loro province. Questo consente, nelle zone interne della Sardegna, di conservare la religiosità preistorica di ispirazione naturalistica; mentre in quelle delle coste e nelle città, accanto al culto delle divinità del periodo fenicio e punico, come Baal Hammon, Tanit, Sid, ribattezzato Sardus Pater dai Romani. Il Tempio di Antas edificato dai Cartaginesi nel sesto: v secolo avanti Cristo e dedicato alla divinità sardo punica Sir Addir Babai, venne poi distrutto e riedificato nella forma attuale in epoca romana, forse nel terzo secolo dopo Cristo quando regna Caracalla come si può leggere sul frontale. In esso viene venerata la divinità sardo romana del Sardus Pater Babai, dal cui nome si ritiene derivi quello della Sardegna. In età romana è molto diffuso nelle città portuali, come ad esempio a Carales, Sulki e Turris Libisonis, il culto di Iside, costantemente associato alla forte presenza mercantile. Sappiamo, inoltre, che alcune divinità puniche vengono associate a divinità romane. Ad esempio, un demone brutto ma benefico rappresentato come il dio Bes, una divinità egiziana entrata poi nel pantheon cartaginese, viene associato ad Esculapio, divinità della salute romana. Ma, col passare del tempo, trovano spazio anche i culti più propriamente romani, ad esempio quelli di Giove e Giunone.

Monti: chiesa campestre di San Paolo EremitaAlla religione romana, che si va a sovrapporre a quella fenicia ed a quella punica, si verrà a sostituire, successivamente, il Cristianesimo, che si imporrà con l’Imperatore Costantino I il Grande. Agli albori del Cristianesimo, secondo una tradizione priva però di fondamento storico, sarebbe sbarcato in Sardegna San Paolo per ritirarsi in eremitaggio a Monti, dove verrà edificato nel 1348 un Santuario in suo onore.

Le principali città romane

Porto Torres: mosaico dell’Orfeo nel palazzo del re BarbaroI romani, nei secoli in cui dominano l’isola, fondano molte città. Soprattutto nelle zone costiere, sulle città fenicio: il puniche fanno sviluppare, con significative opere di architettura urbana, molti centri abitati, dei quali sono stati trovati numerosi resti a Olbia; Tharros; Sulci; Nora; Carales. Fondano anche città nuove, come Turris Libisonis, oggi Porto Torres; e Fanum Carisi, oggi Orosei. Ed anche nell’interno costruiscono città come Forum Traiani, oggi Fordongianus; Forum Augustis, oggi Austis; Valentia, oggi Nuragus; Colonia Julia Uselis, oggi Usellus. Diverse città vengono elevate al rango di Municipium, con piena autonomia amministrativa, e gli abitanti hanno gli stessi diritti civili dei cittadini Romani, non però quelli politici. Nei resti delle città sono stati rinvenuti numerosi oggetti di ceramica industriale, vetro, oreficeria, statuaria e soprattutto mosaici. All’interno costruiscono anche strade e centri fortificati, senza però riuscire a vincere del tutto la Resistenza della popolazione della Barbagia.

Olbia

Durante le guerre puniche, circa nel 259 avanti Cristo Olbia viene occupata dai Romani, della cui dominazione conserva ancora oggi resti significativi. La città occupa, in età Romana, gli stessi spazi della città punica, almeno fino all’inizio dell’Età Imperiale. Infatti non pare che durante la repubblica si siano verificati sostanziali mutamenti nell’assetto urbanistico, che continua a mantenere intatto il primitivo impianto ortogonale impostato dai fondatori Cartaginesi. Successivamente la città si arricchisce di numerose opere pubbliche, vengono lastricate le strade, si edificano le terme e un acquedotto, i cui resti sono tuttora visibili a nord della citta, e si rinnovano le strutture di alcuni templi. Una concubina di Nerone di nome Atte, fà erigere ad Olbia un tempio dedicato a Cerere.

Olbia: acquedotto romano-Resti dell’acquedotto romano Olbia: acquedotto romano-Resti dell’acquedotto romano Olbia: acquedotto romano: la cisterna Olbia: acquedotto romano: la seconda grande cisterna privata Olbia: acquedotto romano: la seconda grande cisterna privata Olbia: acquedotto romano: la seconda grande cisterna privata Olbia: acquedotto romano: fori di areazione della seconda cisterna privata Olbia: acquedotto romano: la seconda cisterna privata vista dall’interno

La città diviene un importante centro commerciale e rimane a lungo, sino alla fondazione di Turris Libisonis, oggi Porto Torres, il principale centro del nord della Sardegna. Dal suo porto partono navi cariche di materie prime, soprattutto prodotti cerealicoli, verso la capitale. Per questo motivo, nel 56 avanti Cristo, vi soggiorna Quinto, fratello di Marco Tullio Cicerone, che controlla i commerci per ordine di Pompeo. A Olbia si trovano i resti del porto dove sono stati recentemente portati alla luce i cosiddetti relitti del porto, abbiamo poi resti dell’acquedotto romano e di una fattoria romana dell’età repubblicana. Diviene anche un’importante base navale militare, collegata con tre importanti arterie stradali, utilizzate dalle legioni, ma anche per il trasporto di mercanzia. La necropoli, che si estende uniformemente oltre la cinta urbana a occidente della città, ha restituito ricchi corredi funerari. In particolare, nell’area della collina oggi occupata dalla chiesa di San Simplicio, l’utilizzo per le sepolture si è protratto fino in età medioevale, ed in esse sono state rinvenute preziose oreficerie, sarcofagi istoriati, ed iscrizioni. Nei primi anni della conquista romana, la città viene minacciata dalle incursioni dei cosiddetti Corsi della Gallura e dai Balari del Montacuto. Nel 304, sotto l’impero di Diocleziano, vi viene martirizzato San Simplicio.

Museo Archeologico di Cagliari: ritratto dell’Imperatore Nerone rinvenuto a Olbia Museo Archeologico di Cagliari: un’urna cineraria rinvenuta a Olbia

Tibula, oggi forse Castelsardo o Santa Teresa di Gallura, e Porto longone

Tibula è una città portuale edificata dai Romani sull’estremità settentrionale dell’Isola, tradizionale punto di sbarco per i viaggiatori provenienti dalla Corsica, e punto di partenza di diverse strade romane. L’effettiva posizione della città non è, comunque, ad oggi conosciuta, e, non essendo nota la sua posizione, di essa non sono stati rinvenuti significativi resti. Il geografo Claudio Tolomeo la colloca presso Castelsardo, sul litorale nord, a soli 30 chilometri da Turris Libisonis, ma lo stesso Tolomeo colloca i TibulaTi, ossia la popolazione legata al nome della città, all’estremità settentrionale dell’Isola, e tutti i dati ricavati dagli itinerari da lui tracciati concordano con questa tesi. Ed in seguito, il gnerale Alberto Ferrero della Marmora la posiziona nella piccola Baia di longosardo, a Santa Teresa di Gallura, molto vicino al capo più settentrionale dell’Isola, l’Errebantium Promontorium di Tolomeo. Comunque, ovunque fosse situata Tibula, a sud del promontorio di Capo Testa, sarebbe sorta la città romana di Porto longone che era un porto di notevole importanza per i traffici commerciali, e dal quale veniva portato a Roma il granito estratto nei dintorni, come le colonne romane non ancora completate che ancora oggi possiamo vedere sulla spiaggia di Tibula, detta anche, proprio per questo, spiaggia dei Graniti.

Turris Libisonis, oggi Porto Torres

La città di Turris Libisonis oggi Porto Torres, è stata fondata nel 46 avanti Cristo da veterani dell’esercito di Giulio Cesare appartenenti in gran parte alle legioni metropolitane di Roma. Cicerone, in una sua lettera, la chiama Collina; ma dai numerosi importanti ritrovamenti archeologici in essa trovati, si può affermare con sicurezza che Turris Libisonis non è mai stata, per Roma, solo una collina. La citta è stato uno dei più importanti porti sardi in età romana. Era importante e ricca, ed, insieme ad Olbia, era uno dei più importanti centri della Sardegna settentrionale. Non è un caso che la citta ha continuato ad esistere, nei secoli successivi, tenendo inalterata la sua importanza strategica al centro del Mediterraneo. I più importanti resti Romani sono quelli delle terme, note con il nome di Palazzo del re Barbaro, perché secondo una leggenda vi sarebbe sorto il palazzo dell’Imperatore Diocleziano, responsabile delle persecuzioni ai Cristiani nel 304-305 dopo Cristo e del martirio dei Santi Gavino, Proto e Gianuario.

Porto Torres-Resti della città romana Porto Torres-Resti della città romana Porto Torres-Resti della città romana Porto Torres-Resti della città romana Porto Torres-Resti della città romana Porto Torres-Resti della città romana Porto Torres: il palazzo del re Barbaro Porto Torres: il palazzo del re Barbaro

Porto Torres: il palazzo del re Barbaro: busto in marmo Porto Torres: il palazzo del re Barbaro: statua in marmo Porto Torres: il palazzo del re Barbaro: fuso di osso Porto Torres: il palazzo del re Barbaro: simbolo maschile in terracotta

Cornus, oggi Columbaris nel comune di Cuglieri

A Columbaris, nel comune di Cuglieri, sono pochi i resti dell’abitato di Cornus nel periodo romano, ma si presume l’esistenza di un abitato nell’area pianeggiante a ridosso della Cala di S’Archittu. È significativo il ritrovamento di un torso marmoreo di Imperatore, forse Domiziano o Traiano, ed una statua di Vibia Sabina, moglie di Adriano. Non sono stati individuati i resti del Forum di Cornus, ma è stato rinvenuto, nell’ottocento, un doccione a forma di protome leonina, di un tipo diffuso nell’alto impero, presente solo nel tempio di Antas, il che suggerisce che vi fosse presente un tempio. Per quanto riguarda gli altri edifici pubblici, risulta dubbio se ad un edificio termale alimentato da un acquedotto, si riferisca la targa commemorativa del restauro delle terme e della relativa conduttura d’acqua, del tempo di Graziano, Valentiniano e Teodosio.

Tharros, oggi San Giovanni del Sinis

Tharros divenuto nell’ottavo secolo un importante centro cartaginese, diventa, poi, una importante città romana. A quanto pare i Romani, che vi si insediarono nel terzo secolo avanti Cristo, non rivoluzionano l’assetto urbano della città, ma rispettano la precedente impostazione punica, integrando i propri edifici nei preesistenti quartieri pubblici e privati, come è accaduto, ad esempio, per le terme. Tharros riceve il titolo di Municipium in epoca imperiale, un titolo importante perché le consente di essere una città autonoma con cittadinanza Romana, ma conosce anche una notevole frequentazione cristiana a partire dal sesto secolo dopo Cristo, resistendo ai saccheggi dei Vandali. La città verrà successivamente abbandonata, nel 1070, per le troppo frequenti invasioni dei pirati arabi. Molto ben conservata è la parte relativa alla città romana, gran parte della quale è ancora sepolta dalla sabbia e dal mare. A partire dal 238 avanti Cristo la città inizia ad espandersi, raggiungendo il massimo della crescita in Età Imperiale, periodo nel quale subisce i maggiori cambiamenti, oltre ad un’imponente risistemazione urbanistica, con il rifacimento del sistema viario e l’organizzazione intorno alla strada principale, il Cardo Maximus, che dall’area fortificata di Murru Mannu porta verso i luoghi di culto e verso le terme, e che interseca il Decumanus Maximus. Camminando lungo questi, che costituiscono i maggiori assi Viari della città romana, è possibile vedere tracce delle antiche botteghe e delle case che popolavano la città.

I resti della città di Tharros: il plastico che ricostruisce il porto e la città in epoca romana (reperti rinvenuti negli scavi di Tharros) I resti della città di Tharros: scavi di Tharros I resti della città di Tharros: scavi di Tharros I resti della città di Tharros-Resti di strada romana I resti della città di Tharros-Resti della città romana I resti della città di Tharros-Mare di fronte ai resti della città di Tharros

In Età Imperiale sorge l’acquedotto, che proprio all’incrocio delle due strade principali presenta un edificio definito una sorta di deposito dell’acqua. Vengono, inoltre, edificati i tre impianti termali in laterizio, ai piedi della collina, tutti dotati di spogliatoi, del Calidariom, un ambiente riscaldato, e del Frigidarium, in cui ci si potevano fare bagni freddi. Le strade vengono dotate di pavimentazione in basalto, proprio sopra lo strato di roccia, e un sistema fognario garantisce lo smaltimento delle acque bianche. All’Età Imperiale risalgono anche i più monumentali edifici pubblici, caratterizzati dall’utilizzazione di laterizi e basalto, mentre in precedenza i punici avevano fatto quasi esclusivamente ricorso all’arenaria. Tra i templi Romani, quello che colpisce il visitatore moderno è senz'altro il tempio tetrastilo, con quattro colonne, sul mare. Di esso due colonne restano ancora in piedi, ma non sono originali, essendo state costrtuite solo nel secolo scorso, intorno al 1960.

Antiquarium Arborense: statua di Ercole in bronzo di fattura umbro-Sabellica databile quarto secolo avanti Cristo Antiquarium Arborense: tabula lusoria, scacchiera per il gioco dei latruncoli del I: iI secolo dopo Cristo Antiquarium Arborense: tabula lusoria, scacchiera per il gioco dei latruncoli del I: iI secolo dopo Cristo Antiquarium Arborense: testa di Ercole con la leontè, copia a matrice del secondo secolo avanti Cristo da un più antico originale in bronzo Antiquarium Arborense: vetri Romani rinvenuti a Tharros e Cornus Antiquarium Arborense: vetri Romani rinvenuti a Tharros e Cornus

Aquae Neapolitanae o Aquae Calidae Neapolitanorum, vicino a Sardara

Secondo il geografo Claudio Tolomeo, che le cita nel suo Itinerario Antonino, a una certa distanza dall’antica città di Neapolis verso l’entroterra, lungo la strada che da Othoca, l’odierna Santa Giusta, conduceva a Carales, l’odierna Cagliari, sorgevano le Aquae Neapolitanae o Aquae Calidae Neapolitanorum sorgenti termali con un nucleo abitato continguo, così chianate dal nome della città di Neapolis, che sorgeva all’estremità sud del golfo di Oristano. Sono da identificare con le fonti termali conosciute come terme di Santa Maria de Is Aquas, nel territorio Comunale di Sardara, a pochi chilometri dalla SS 131, lungo la SP63 verso Guspini. Sono ancora attive, e sono fra le terme più attrezzate e famose dell’Isola. Si tratta di cinque stazioni termali con temperatura alla sorgente delle acque bicarbonato: sodiche tra i 50 ed i 68 C°, con il fango naturale che si presenta argilloso, di colore bruno cenere. La vasca principale di raccolta è ancora oggi quella delle Thermae Neapolitanae dei Romani. Nelle campagne di Sardara è stata portata alla luce la Necropoli di Terr ’e Cresia, costituita da oltre cento tombe con sepolture sia a incinerazione che ad inumazione, relative al periodo fenicio e punico. Sono stati rinvenuti reperti ossei umani e di animali, oltre a ricchi corredi funebri di età romana, risalenti al periodo che va dal primo secolo a.C al terzo secolo dopo Cristo.

Sulci o Sulki, oggi Sant’Antioco

Anche Sulci o Sulki è stata completamente ricostruita nel periodo romano, ma di essa non resta molto. resta soprattutto il ponte romano utilizzato fino al 1984 e le catacombe sotto la chiesa parrocchiale, considerate il più antico esempio di architettura paleocristiana di tutta la Sardegna. All’interno dell’abitato, in località Su Narboni, si trovano i resti di Sa Tribuna, che avvalorano l’ipotesi dell’esistenza di un foro romano nella zona. Dovrebbe trattarsi della parte centrale di un edificio, forse un mausoleo di forma piramidale, fatto risalire al periodo romano, anche se all’interno sono state trovate le spoglie di un cittadino sardo: il punico. Altri scavi sono tuttora in corso.

Sant’Antioco: il ponte romano Sant’Antioco-e catacombe paleocristiane Sant’Antioco-e catacombe paleocristiane Sant’Antioco: i resti di Sa Tribuna che avvalorano l’ipotesi dell’esistenza di un foro romano, dovrebbe trattarsi della parte centrale di un edificio, forse un mausoleo di forma piramidale Sant’Antioco: scavi di resti Romani Sant’Antioco: scavi di resti Romani Sant’Antioco: scavi di resti Romani Sant’Antioco: scavi di resti Romani

All’ interno della necropoli sono stati rinvenuti, oltre agli oggetti del periodo fenicio e punico, anche diversi oggetti realizzati in epoca romana.

Sant’Antioco-Oggetti del periodo romano Sant’Antioco-Oggetti del periodo romano trovati nella Sepoltura della Venere Bionda Sant’Antioco: statua muliebre del periodo romano

Nora

Molto significativi sono gli scavi di Nora ed è questo un caso nel quale il preesistente abitato punico non ha condizionato in maniera particolare l’assetto urbano di epoca romana. i Romani hanno, infatti, demolito i precedenti edifici punici, in un piano di forte rinnovamento urbanistico, effettuando pesanti interventi e modificando la città, probabilmente perché Nora è stata la prima sede del governatore della provincia. Della Nora romana si può vedere l’intero impianto stradale, che divideva l’abitato in isolati, comprendenti aree destinate ad uso privato, con numerose le ville e case dei nobili e della plebe, e spazi pubblici. Questi comprendono il Teatro, costruito in età augustea, il foro e le terme a mare, edificate tra la fine del II e gli inizi del terzo secolo dopo Cristo. Purtroppo degli edifici privati non rimane molto, poiché erano costruiti con il basamento in pietra e l’elevato in mattoni crudi mentre invece le ville e le strutture pubbliche erano costruite col cemento e rivestite di laterizi o grossi blocchi di pietra. All’ingresso degli scavi si vedono i resti delle Terme Orientali, e poco più avanti, sulla destra, si incontra su un piccolo ripiano quello che doveva essere il centro del culto cittadino in periodo punico, chiamato l’alto luogo di Tanit, dove è stato trovato un cippo piramidale con un basamento di 10x11 metri del quale si vedono le fondamenta composte da grossi blocchi irregolari con i resti di una scalinata. Più avanti si incontra il tempio romano, del quale è ben conservata solo una delle sei colonne che costituivano il Pronao. Poco distante c’è il Teatro, costruito nel primo secolo dopo Cristo, in periodo augusteo, oggi restaurato e riportato alla sua funzione originale dato che accoglie in un ambiente suggestivo spettacoli e manifestazioni.

Scavi di Nora: spazi pubblici ed aree destinate ad uso privato Scavi di Nora: spazi pubblici ed aree destinate ad uso privato Scavi di Nora: veduta del tempio romano Scavi di Nora-tempio romano con una delle sei colonne che costituivano il pronao Scavi di Nora-teatro romano in una foto di qualche anno fa quando non erano ancora presenti le sedie oggi utilizzate per assistera agli spettacoli Scavi di Nora-teatro romano con le sedie oggi utilizzate per assistera agli spettacoli che vi si svolgono Scavi di Nora-teatro romano con le sedie oggi utilizzate per assistera agli spettacoli che vi si svolgono Scavi di Nora: veduta panoramica del Teatro romano

Proseguendo lungo la strada principale che percorre il promontorio, sotto la quale sono ancora presenti le fognature, sulla sinistra si trovano i resti del Foro, la grande piazza lastricata attorno alla quale si vedono le fondamenta di edifici pubblici. Più avanti lungo la stessa strada si vedono, sulla sinistra, i resti delle Terme Centrali, con il Calidariom ed il Frigidarium, con pavimenti a mosaico. Sulla destra invece vediamo i resti di modeste abitazioni private del quartiere punico, che alcuni indicano come la Kasbah. Dopo una piazzetta con fontana pubblica, arriviamo alla zona del Macellum, ossia del mercato, e delle grandiose Terme a Mare. La via alberata ci porta alla casa dell’atrio tetrastilio, con quattro colonne, con pavimenti a mosaico di ispirazione africana dei quali il più bello raffigura Anfitridesu un centauro marino. Al termine della strada, sulla punta estrema del promontorio detta Punta ’e su Coloru, ossia punta del Serpente, arriviamo al Santuario di Esculapio, preceduto da una gradinata e con la cella principale pavimentata a mosaico, nel quale è stato rinvenuto un bellissimo architrave con scolpiti i serpenti urei, dai quali deriva il nome dato alla punta del promontorio. Sono state rinvenute anche le statue degli inservienti al tempio, e soprattutto due belle statue di dormienti, uno dei quali rappresentato con il serpente sacro attorcigliato attorno al corpo.

Scavi di Nora-Foro romano con la pavimentazione lastricata Scavi di Nora: la Terme Centrali Scavi di Nora: la Terme Centrali Scavi di Nora: la Terme Centrali Scavi di Nora: edifici abitativi Scavi di Nora: la casa dell’atrio tetrastilo Scavi di Nora: la casa dell’atrio tetrastilo con pavimento a mosaico di ispirazione africana raffigurante Anfitridesu un centauro marino Scavi di Nora: la casa dell’atrio tetrastilo con un bambino sui bei pavimenti a mosaico Scavi di Nora: edifici abitativi Scavi di Nora: il pavimenti in mosaico verso la punta ’e su Coloru, ossia punta del serpente Scavi di Nora: il pavimenti in mosaico verso la punta ’e su Coloru, ossia punta del serpente Scavi di Nora: chiesa campestre di Esculapio Scavi di Nora: statuette di devoti e inservienti del Santuario Scavi di Nora: statua di dormiente Scavi di Nora: statua di dormiente con il serpente sacro avvolto attorno al corpo

Carales o Karalis, oggi Cagliari

La città più importante della Sardegna è Carales o Karalis che sul finire del primo secolo avanti Cristo ottiene il titolo di Municipium, un titolo importante perché le consente di essere una città autonoma con cittadinanza Romana. Da essa partono ben quattro strade che attraversano l’intera isola dal sud al nord, e da est ad ovest. La popolazione della città arriva a circa 20.000 abitanti, e rende Carales una tra le più importanti città marittime della zona occidentale dell’impero Romano. La zona abitata si estende lungo tutto l’arco del golfo, per circa 3.000 ettari, ed è formato da vari agglomerati staccati tra loro. Per questa sua caratteristica, il poeta Claudiano la descrisse con le parole Tenditur in Longum, ossia estesa in lunghezza. Nel periodo imperiale raggiunge addirittura i 20.000 abitanti. Per quanto riguarda le differenze tra i vari quartieri, quelli signorili sorgono nella zona residenziale, che si trova territorio a nord di Sant’Avendrace, sulle pendici del colle dove sorgerà in seguito il Castello di San Michele. Gli edifici e gli spazi pubblici sono situati dove ora sorge piazza del Carmine e nell’area di San lucifero, ed al loro interno sorgono le terme, i templi ed alcuni teatri. Al centro della citta si trova il foro, vicino al quale sorgono numerosi edifici come la curia municipale, l’archivio provinciale, la sede del governatore, la basilica, il tempio dedicato a Giove Capitolino. I quartieri mercantili si trovano nella zona della Marina. La zona popolare, ossia la suburra, si sviluppa nella zona del porto, nell’attuale quartiere Marina, fra l’odierna via Roma e il corso Vittorio Emanuele. La citta viene anche interessata da una serie di interventi di pubblica utilità, come la realizzazione di una complessa rete fognaria, e la pavimentazione delle strade e delle piazze. Viene anche realizzato, nell’anno 140, un acquedotto che molto probabilmente prendeva l’acqua dalla sorgente di Villamassargia, e, passando attraverso Siliqua, Decimo, Assemini ed Elmas. arrivava nella citta attraverso il quartiere di Stampace. Dal primo secolo dopo Cristo, la citta viene dotata di eleganti passeggiate coperte da portici. Nel secondo secolo viene costruito l’anfiteatro, semiscavato nella roccia, che è ancora oggi utilizzato per gli spettacoli, e che poteva ospitare fino a 10.000 persone. Di questo periodo restano, oltre all’anfiteatro, la casa del poeta Tigellio e la grotta della Vipera. Numerosi resti sono, inoltre, conservati all’interno del Museo Archeologico Nazionale.

Cagliari-Anfiteatro romano: allestimento per uno spettacolo teatrale Cagliari-Villa di Tigellio Cagliari-Villa di Tigellio Cagliari-Villa di Tigellio Cagliari-Museo Archeologico: statua di Bacco giovane Cagliari-Museo Archeologico: statua romana Cagliari-Museo Archeologico: statua di magistrato acefala Cagliari-Museo Archeologico: mosaico romano Cagliari-Museo Archeologico: mosaico romano

Il suo porto costituisce un centro strategico molto importante per le rotte commerciali del Mediterraneo occidentale ed è il porto dal quale parte il grano per l’approvvigionamento di Roma; inoltre, ospita un distaccamento della flotta di Miseno. E nei dintorni della città si trovano le relative necropoli, situate sul colle di Tuvixeddu, sul colle di Bonaria e nella zona dove ora sorge la basilica di San Saturno.

Ad Quartum, oggi Quartu Sant’Elena

Il termine Quartum, ai tempi dei Romani, stava a indicare la distanza in miglia romane, che separava l’antico insediamento di Ad Quartum oggi Quartu Sant’Elena, da Carales. É stata da sempre una meta ambita, viste le possibilità che offriva, grazie ad una economia agricola integrata con la pesca e la caccia.

Fanum Carisi, oggi Santa Lucia di Orosei

Ai primi secoli dopo Cristo le fonti riportano che nel golfo di Orosei vi fosse una stazione romana denominata Fanum Carisi poi divenuta Urisè e successivamente Orosei. Si ritiene fosse situata circa un chilometro a nord del paese chiamato Orosei, vicino a dove ora sorge il Santuario di Santa Lucia, nelle vicinanze della foce del fiume Cedrino, dove, in un approdo naturale, viene edificato un piccolo porto. Probabilmente non si tratta di un vero e proprio centro portuale, ma la mitezza del mare in quel punto del golfo, rende l’approdo molto conosciuto, e frequentato dalle navi che commerciano con le popolazioni dell’interno, per le quali costituisce la porta di ingresso in direzione della Barbagia. D’altra parte anche le spedizioni militari, che i Romani fanno contro le popolazioni ribelli della Barbagia, partono da Orosei, lungo la vallata del fiume Cedrino, in direzione di Lula, Bitti, Orune, Oliena, Nuoro, Orgosolo, ed altre località dell’interno.

Forum Augusti, oggi Austis

Dove ora sorge Austis, un borgo pastorale situato tra le montagne del Mandrolisai, nella zona più alta del massiccio del Gennargentu, sorgeva l’antica stazione militare romana di Forum Augusti. Questa stazione ha costituito la punta più avanzata dei Romani verso l’interno della Sardegna, nel loro tentativo di debellare le continue ribellioni e le scorrerie, che le popolazioni della Barbagia facevano contro il dominio romano a danno delle zone romanizzate delle pianure. Non restano molte tracce di questa stazione romana, se si escludono alcune lapidi in granito con iscrizioni latine che sono state rinvenute alla periferia del paese.

Forum Traiani, oggi Fordongianus

L’ex Forum Traiani oggi Fordongianus, si trova in Provincia di Oristano. La città viene menzionata per la prima volta dal geografo Tolomeo nel primo secolo avanti Cristo. Il suo nome più antico, Aquae Ypsitanae, faceva riferimento alle sorgenti naturali di acqua calda. Grazie a questa particolarità, la città è sin dalle origini un importante centro termale; ma, essendo situata al confine tra le popolazioni Romanizzare e quelle dell’interno, non ancora sottomesse a Roma, è anche un importante baluardo fortificato durante l’occupazione romana, sorta dopo Forum Augusti a difesa della parte centrale dell’Isola, per proteggerla dalle incursioni della popolazione locale che si era ritirata sulle montagne della Barbagia. Con l’Imperatore Traiano, tra il 98 ed il 117 dopo Cristo, prende il nome di Forum Traiani, e diventa un grande un punto di incontro ed un importante centro di scambio commerciale. Ciò viene favorito dalla sua posizione, essendo situata quasi al centro del grande asse viario dell’epoca che collegava Karalis a Turris Libisonis, ed essendo relativamente vicina a Tharros. Sfruttando la sorgente naturale, sorge proprio presso il fiume un ampio edificio termale, caratterizzato da una grande piscina, in origine coperta, in cui giungono le acque calde temperate con un’aggiunta di acqua fredda. L’aspetto curativo delle terme è sottolineato dal rinvenimento di due statue del dio Bes, la divinità egiziana entrata nel pantheon cartaginese, associata ad Esculapio, divinità della salute romana. Il complesso delle terme, interamente costruito in trachite, pietra molto abbondante nella zona, si compone di due diverse parti appartenenti a periodi diversi. L’acqua, dotata di grandi proprietà terapeutiche, sgorga ancora oggi alla temperatura di 54°. Lo stabilimento termale più antico, del primo secolo dopo Cristo ed utilizzato anche in seguito, è caratterizzato dalla Natatio, la grande piscina che veniva utilizzata per bagni terapeutici. La vasca è di forma rettangolare, in origine coperta da una volta a botte, con intorno vasche secondarie. L’acqua proviene da una canaletta che termina con una protome a forma di testa di pantera, dalla cui bocca esce tuttora l’acqua per riempire la vasca. Sul lato est si trova il Ninfeo, un piccolo spazio sacro scoperto recentemente, dedicato alle ninfe, divinità delle acque. Si tratta di un’ampia vasca di forma quadrata dedicata al culto delle ninfe, divinità delle acque, come attesta anche il ritrovamento di un’iscrizione a loro dedicata. Alle spalle dello stabilimento più antico trova, quello più recente, con il quale comunica attraverso una piccola scalinata. Datato terzo secolo dopo Cristo, è di tipo classico, utilizzato per l’igiene e il benessere personale. Esso si compone di Frigidarium, Tepidarium e Calidarium, ambienti differenziati nei quali si potevano fare bagni freddi, tiepidi e caldi. Le terme si affacciano su una grande piazza lastricata circondata da numerosi ambienti di piccole dimensioni, forse locali per il ristoro e lo svago. Tra questi possiamo ammirare un locale con resti di intonaco affrescato con pitture risalenti al quarto secolo dopo Cristo, che rappresentano due cavalli in corsa. Al di sopra del piazzale si trovano i resti di un sofisticato sistema di pozzi e cisterne per l’immagazzinamento delle acque, ed in tutta l’area si nota una vasta rete di canalette che distribuivano l’acqua alle varie strutture.

Fordongianus-e Terme romane Fordongianus-e Terme romane Fordongianus-e Terme romane Fordongianus-e Terme romane Fordongianus-e Terme romane Fordongianus-e Terme romane Fordongianus-e Terme romane

In un’area vicina all’attuale centro abitato, è stato rinvenuto l’anfiteatro, vicino ai resti della necropoli, sulla quale è stata in seguito edificata, nell’undicesimo secolo, la chiesa di San Lussorio.

Colonia Julia Uselis, oggi Santa Reparata vicina a Usellus

Nel secondo secolo avanti Cristo viene fondato un baluardo militare per contrastare le continue incursioni delle popolazioni dell’interno, il cui centro si trova non lontano da Usellus, molto probabilmente sul colle di donigala, dove sorge la chiesa di Santa Reparata, che si trova all’interno dell’area archeologica nella quale si trovano i resti di un abitato romano del primo secolo avanti Cristo. Roma la innalza prima a Municipium, e poi, sotto l’Imperatore Augusto, la nomina Colonia Julia Augusta in onore della propria figlia Julia, eleggendo nel contempo i suoi abitanti a Civis Romanus. Quest’ultimo stato giuridico è accertato nella Geografia di Tolomeo, oltre che in una preziosa tavola di bronzo del 158 dopo Cristo, dalla quale si desume che Quinto Cicerone, fratello di Marco Tullio, ne è per un certo tempo Pretore. La città si estende per circa sette ettari, ed i suoi fertili terreni vengono assegnati a veterani di guerra. Nel suo territorio sono ancora oggi presenti due ponti Romani, di cui uno in ottimo stato di conservazione, ed i resti della imponente cinta muraria. La colonia, sfruttando la sua favorevole posizione geografica, subisce un’importante evoluzione divenendo centro di un’intensa attività economica. É, inoltre, un importante crocevia della rete Viaria, che la mette in comunicazione a sud con Aquae Neapolitanae, ossia con le terme di Sardara, a nord con Forum Traiani, e una terza via la unisce a Neapolis, che si trova sulla costa occidentale.

Valentia, vicino a Nuragus

Il comune chiamato Nuragus viene costituito dai superstiti della città di Valentia capoluogo dei Valentini, un’antica piazzaforte durante l’epoca romana, importante punto di riferimento per il commercio tra Cagliari e Olbia, distrutta dai Vandali nell’ottavo secolo. Di Valenza abbiamo riferimenti storici importanti da scrittori Romani, come Plinio il Vecchio, che cita Valentia nella sua opera Naturalis Historia, e Tolomeo, che nell’Itinerario, ricorda la Statio di Valentia. Comunque dell’0epoca romana non rimangono particolari resti.

Altre città romane

Dai Romani vengono fondati anche molti altri centri in tutta l’isola, di alcuni dei quali restano alcune rovine o altre tracce a testimoniarne la vitalità. Il generale Alessandro la Marmora, aveva trovato a Bonorva presso San Simeone di Bonorva, i resti di un forte romano, che era stato del tutto ignorato. Secondo altri storici, realtà si tratterebbe di una fortificazione punica, successivamente occupata dai Romani, ma nulla dimostra una presenza militare in questo luogo per i primi secoli dell’impero. Mamoiada era probabilmente uno stanziamento militare romano. Infatti diversi studiosi sono propensi a far derivare il suo nome da Mansio Manubiata ossia stazione vigilata o stazione sorvegliata. Ed il nome del quartiere più antico della città, oggi chiamato Su Qastru, potrebbe derivare dal latino Castrum, che indica un campo fortificato o un accampamento militare. La posizione strategica di Mamoiada, al centro della cerchia dei villaggi di Orgosolo, Fonni, Gavoi, lodine, Ollolai, Saru1e, Orani ed Oniferi, non poteva non essere sfruttata dalle truppe romane nelle loro azioni di sorveglianza e di repressione. Fondata tra il sesto e il quinto secolo avanti Cristo dai Cartaginesi, Macopsissa oggi Macomer, costituiva un altro importante centro per il controllo del territorio. La sua importanza aumenta, durante il periodo roman, facendola diventare un importante snodo della rete Viaria creata dai Romani sull’isola, essendo situata lungo la strada che portava da Calares a Turris Libisonis. Un presidio romano è anche Mansio Mediana ossia stazione mediana o intermedia, oggi Meana Sardo, che ostituiva una stazione intermedia, a metà strada di una tra le più importanti arterie stradali romane nell’isola, quella che da Carales porta ad Olbia, ed anche a metà strada tra la costa orientale e quella occidentale della Sardegna. In località Sorabile, in una piccola valle poco lontano dall’attuale Fonni, in direzione di Nuoro, è stata una Mansio romana, ossia una stazione di cambio dei cavalli, denominata Nemus Sorabense che si trova sulla strada che collega collega Calares, ossia Cagliari, con Olbia. Qui si trovano ancora i resti di edifici Romani appartenenti ad un luogo di culto dedicato a qualche divinità salutare, e quindi utilizzato anche per bagni termali. Si ritiene appartengano al periodo tardo-Romano anche le tombe ad ortostati scambiate inizialmente per una necropoli di Dolmen e presenti nell’area archeologica di Padru. Sono stati, poi, rinvenuti resti o trovati accenni ad altre località, nelle quali erano stati edificati insediamenti Romani, tra i quali ricordiamo: Ad Herculem identificato con Osilo, o forse con Stintino; Ad Medias Vias oggi Abbasanta; Ad Sextum oggi Sestu; Aquae lesitanae identificate con le fonti di San Saturno, in territorio di Benetutti Bithia oggi Chia, in territorio di Domus de Maria, con il Bithiae Portus che si tende a localizzare nel golfo di Teulada; Bosa; Caracodes Portus localizzato a S’Archittu, in territorio di Cuglieri Carbia oggi Santa Maria di Carvia, vicino ad Aghero; Cochlearia oggi Santa Maria Coghinas; Erycinum oggi Sedini Gemellae oggi Tempio Pausania; Hafa Mansio oggi Giave; Herculis Portus oggi Stintino; Lesa oggi Benetutti Luguidonis Castrum insediamento situato vicino a Oschiri, dove oggi sorge la chiesa della Madonna di Castro; Luguidonis Portus o Portus liguidonis identificato con la località San Giovanni, vicino a Posada; Macomades oggi Magomadas; Metalla centro di estrazione mineraria vicino al tempio di Antas, in territorio di Fluminimaggiore; Othoca oggi Santa Giusta; Porticaenae oggi Tertenia; Sarrapos oggi San Vito; Turobolae o Turublo Minor sito incerto che oggi si tende a far corrispondere a Torralba.

La rete stradale

Quando i Romani iniziano la conquista della Sardegna, trovano che nell’isola è già presente una rete stradale punica, che però collega tra loro solo alcuni centri costieri, tralasciando completamente l’intern. Inoltre, d’inverno la rete stradale punica non era praticabile, a causa delle piogge che ne impedivano la percorribilità. i Romani sono, quindi, costretti a costruirne una nuova, che parzialmente si sovrappone a quella precedente. Viene, quindi, realizzata una vasta rete di strade che percorrono l’isola in tutta la sua lunghezza. La rete stradale, inizialmente costruita per collegare le principali città e, soprattutto, per motivi militari, viene poi mantenuta e continuamente restaurata per motivi economici. É grazie ad essa, infatti, che i Sardi dell’interno vendono i loro prodotti ai commercianti Romani, che provvedono poi a spedirli nei più grandi porti del Mediterraneo occidentale. E favorisce i contatti, creando condizioni favorevoli alla penetrazione culturale romana presso le popolazioni locali. i Romani costruiscono quattro grandi arterie stradali, due lungo le coste e due interne. Una importante arteria interna collega Calares, ossia Cagliari, con Olbia, passando per Nemus Sorabense, ossia Sorabile di Fonni. La seconda importante arteria interna collega Calares, ossia Cagliari, con Turris Libisonis, ossia Porto Torres, passando per Macopsissa, ossia Macomer. La prima delle due strade che seguono le coste, invece, collega Calares, ossia Cagliari, con Olbia, seguendo la costa orientale. E la seconda collega Calares, ossia Cagliari, con Turris Libisonis, seguendo la costa occidentale. A questa struttura Viaria principale, si congiungono molte altre strade più modeste, che collegano i piccoli centri dell’interno tra loro e con le città costiere più grandi. Le strade dell’interno vengono protette da una serie di Castra, ossia di presidi fortificati, edificati per sorvegliare l’attività delle popolazioni dell’interno. Sono ancora oggi visibili i resti dei ponti, realizzati, tra l’altro, a Fertilia, Porto Torres, Sant’Antioco.

Porto Torres-Resti del ponte romano sul rio Mannu, nel quale vanno notate le arcate diseguali Arrivo a Sant’Antioco: il ponte romano Il ponte romano di Fertilia

La rete stradale romana è stata talmente efficace e costruita in zone strategiche, che alcune delle strade da loro costruite vengono utilizzate ancora oggi. Ne sono significativi esempi, la statale SS131 di Carlo Felice, la SS125 Orientale Sarda e la SS126 Sud Occidentale Sarda.

La prossima pagina

Nella prossima pagina vedremo come, dopo la fine dell’impero Romano d’Occidente, nel 456 inizia l’occupazione dei Vandali che dura fino al 534, quando I Bizantini occupano la Sardegna, che entra a far parte dell’impero bizantino.


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