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Dalla Mesopotamia gli Shardana portano in Sardegna la metallurgia del Bronzo e danno origine all’epopea shardana


In questa pagina descriveremo l’arrivo della metallurgia del bronzo, portata dai Navigatori Shardana che occupano la Sardegna e diffondono le loro conoscenze, fino all’Età del Ferro, che ha inizio nell’850 avanti Cristo. Significative sono le conseguenze dell’introduzione del bronzo sul piano economico, dato che la difficoltà di reperimento dello stagno, localizzato in poche aree geografiche, ha determinato lo sviluppo di una rete di traffici a lunga distanza, che hanno messo in contatto tra loro regioni molto lontane.

Diverse ipotesi sull’origine del popolo shardana

Nell’Età del Bronzo Antico in Sardegna arriva, dal vicino Oriente, una popolazione di origine semitica o indo-europea, che porta nell’isola la nuova tecnologia. I reperti del periodo mostrano come alla precedente popolazione dai tratti somatici negroidi si venga ad affiancare una popolazione dai tratti spiccatamente semitici o indo-europei. Diverse sono le ipotesi avanzate sull’origine delle popolazioni che hanno portato in Sardegna la conoscenza della tecnologia connessa alla lavorazione del bronzo.

Ipotesi che vedegli Shardana originari di sardi in Anatolia

Per molto tempo si era sostenuto chegli Shardana fossero originari della città di Sardi in Anatolia, che fu capitale della lidia al tempo di re Creso, che ha regnato tra il 560 ed il 546 avanti Cristo. Per questo fanno riferimento a Erodoto, che racconta che i primi uomini di lingua straniera insediatisi in quel paese furono i mercenari Cari e Joni, inviati da Cige, re di sardi, ed impiegati dal faraone Psammetrico I, che ha regnato dal 663 al 609 avanti Cristo, contro Assurbanipal. E, di fronte all’obiezione che mercenari Shardana erano al soldo del faraone Seti I il Grande, che ha regnato tra il 1292 ed il 1279 avanti Cristo, per continuare ad attribuire la provenienza degli Shardana da sardi, sostengono che Erodoto avrebbe confuso Cari e Joni, che erano Greci, congli Shardana, e Psammetico con Seti. Ma noi abbiamo la certezza che è impossibile la provenienza degli Shardana dalla città di sardi, dato che, secondo una recente indagine archeologica effettuata in Turchia, questa città risulta fondata solo nel 1000 avanti Cristo. Ed inoltre, se anche fosse stata fondata in epoca precedente, sarebbe stata distrutta, insieme alla capitale Hattusa e a tutto l’impero Ittita di cui faceva parte, durante l’invasione dei Popoli del Mare del 1200 avanti Cristo.

La più verosimile ipotesi di una migrazione di popolazioni mesopotamiche

La migrazione delle popolazioni semiteSecondo la ricostruzione fatta dallo storico, editore ed intellettuale oristanese Raimondo Carta Raspi, nato nel 1893 che nel 1946 ha iniziato la pubblicazione della rivista Il shardana, dopo Sargon I il Grande, re dell’impero Accadico dal 2334 al 2279 avanti Cristo e fondatore della Dinastia Sargonide di Akkad, si sarebbe avuta una sollevazione dei paesi settentrionali ed, in seguito ad un sacrilegio che re Sargon avrebbe commesso, una grave carestia durata più di 300 anni avrebbe distrutto il suo popolo e la sua tomba sarebbe stata profanata. Quindi verso il 2200 si sarebbero verificati eventi eccezionali, e probabilmente la carestia avrebbe provocato l’esodo delle popolazioni mesopotamiche verso occidente, è quella che viene definita l’emigrazione dei Popoli del Mare. Queste ipotesi, dopo la primaria interpretazione di Raimondo Carta Raspi, hanno avuto successivi riconoscimenti e rivalutazioni, tra l’altro la principale è quella di Leonardo Melis, uno dei principali studiosi della storia degli Shardana e dei Popoli del Mare.

Verso il 2200 avanti Cristo arriva in Sardegna la metallurgia del bronzo

Datazioni dell’Età del BronzoIl bronzo è una lega di stagno e rame, più resistente del rame e molto malleabile, che consente di produrre armi più efficaci e utensili più vari. L’Età del Bronzo è la fase cronologica che si sviluppa secondo la datazione tradizionale tra il 1900 e l’850 avanti Cristo, e secondo la più recente cronologia calibrata tra il 2200 e l’850 avanti Cristo. La denominazione Età del Bronzo è stata introdotta nel 1816 dal ricercatore danese Christian Jürgensen Thomsen, che per primo intuì l’importanza avuta, nelle vicende delle varie popolazioni, l’utilizzo da parte degli uomini, di oggetti in pietra, in bronzo, e successivamente in ferro.

L’Età del Bronzo si distingue in:

freccia3Età del Bronzo Antico tra il 2200 ed il 1900 avanti Cristo;

freccia3Età del Bronzo Medio della quale la Prima fase si sviluppa tra il 1900 ed il 1600, e la Seconda fase tra il 1600 ed il 1300 avanti Cristo;

freccia3Età del Bronzo recente tra il 1300 ed il 1150 avanti Cristo;

freccia3Età del Bronzo Finale tra il 1150 e l’850 avanti Cristo.

Secondo una ricostruzione cronologica tradizionale, basata su considerazioni strettamente tecnologiche o etnologiche, in base ai reperti trovati al loro interno nella seconda parte dell’Età del Bronzo Medio sarebbero stati edificati i proto Nuraghi ed i Nuraghi semplici, con le prime Tombe di giganti, e nell’Età del Bronzo Medio e recente sarebbero state costruite altre Tombe di giganti, ed eretti molti altri Nuraghi, mentre altri edifici più antichi sarebbero stati trasformati da Nuraghi monotorre in Nuraghi polilobati, cioè a più torri. Ma, come abbiamo già spiegato, questa datazione appare ormai completamente superata, ed i Nuraghi con le Tombe di giganti vengono, attualmente, fatti risalire al periodo del Megalitismo, ossia alla Cultura di Ozieri.

L’arrivo degli Shardana in Sardegna nell’Età del Bronzo Antico

Nella loro migrazione verso occidente, gli Shardana, una popolazione appartenente ai Popoli del Mare, arrivano in Sardegna. Il loro arrivo coincide con l’importazione della tecnologia connessa con la lavorazione del bronzo, nel periodo del Bronzo Antico secondo la cronologia calibrata tra il 2200 ed il 1900 avanti Cristo, e secondo la datazione tradizionale, basata su considerazioni strettamente tecnologiche o etnologiche, tra il 1900 ed il 1600 avanti Cristo, in concomitanza con la cultura del Vaso Campaniforme Finale e del Bonnanaro Iniziale. Sono quasi sicuramente queste le popolazioni che portano la conoscenza della tecnologia della lavorazione del bronzo, oltre ad una approfondita conoscenza della navigazione e al culto delle acque. Il primo contatto, questa nuova popolazione lo ha avuto con gli uomini della cultura del Vaso Campaniforme, che si era installata nella parte occidentale dell’Isola, particolarmente sul litorale, alla quale ha trasferito le prime conoscenze della lavorazione del nuovo metallo. Ma la popolazione del Vaso Campaniforme viene fortemente contrastata ed in seguito sconfitta dalla popolazione di Bonnanaro, costituita dai nativi dell’Isola, che viene considerata una derivazione della cultura Sub-Ozieri, e che entra anch’essa in contatto con i nuovi arrivati.

La convivenza con il Bonnanaro Finale nella prima parte dell’Età del Bronzo Medio

Nella Prima parte dell’Età del Bronzo Medio secondo la cronologia calibrata tra il 1900 ed il 1600 avanti Cristo, i nuovi arrivati arrivano a convivere con gli esponenti della cultura del Bonnanaro Finale. In seguito, la fine della Cultura di Bonnanaro viene a coincidere con l’affermarsi delle popolazioni che hanno portato in Sardegna la tecnologia della lavorazione del bronzo, ma non si ritiene che sia avvenuto un vero scontro tra le due culture. Siamo più propensi a ritenere che tra le due popolazioni si sia instaurato un rapporto di collaborazione, che ha consentito il riutilizzo, da parte dei nuovi venuti, delle strutture megalitiche presenti sul territorio. Probabilmente si determina una spartizione dell’Isola: la popolazione nativa si ritira all’interno, mentre sulle coste si installano i nuovo arrivati.

Ciò è attestato dall’analisi di circa Duecento scheletri del periodo di Bonnanaro, tra il 2200 ed il 1600 avanti Cristo, che ci mostrano una coesistenza delle due popolazioni, la popolazione originaria dell’isola con caratteristiche Dolicomorfe, ossia con il cranio stretto e allungato, rispetto ai nuovi venuti dalle caratteristiche Brachimorfe, ossia con il cranio corto e largo. Ed anche nei resti umani rinvenuti nella necropoli di Anghelu Ruju, che hanno rilevato la presenza di due tipi umani principali, uno maggioritario Dolicomorfo indigeno, al quale appartiene l’84% degli individui, ed uno minoritario Brachimorfo, tipico dei portatori del vaso campaniforme, al quale appartiene il 16% di essi. I due crani della grotta di Genna e ludalbuEd è attestato, anche, dal rinvenimento, in una delle numerose grotte dell’altopiano del Golgo utilizzate come sepolture, la Grotta di Genna e ludalbu, degli scheletri di due inumati di media statura, di media statura in buono stato di conservazione ma calcinati dalla lunga permanenza in ambiente calcareo, uno Dolicomorfo, ossia con il cranio stretto e allungato, e l’altro Brachimorfo, ossia con il cranio corto e largo. Si tratta dei tratti somatici di due popolazioni diverse, la prima di tipo negroide e la seconda con le caratteristiche tipiche delle popolazioni indo-europee e semitiche. E le analisi di Simona Sanna sul DNA mitocondriale antico di età nuragica, effettuate sui loro resti fossili, individuano caratteristiche comuni e quindi una forte omogeneità in tutta l’isola, senza però alcuna analogia con quella dei Sardi attuali. Il Cromosoma Y, che viene ereditato per via paterna e permette di seguire le migrazioni maschili, ci dice che i Sardi attuali lo condividono con le altre popolazioni mediterranee, e si ritiene lo abbiano ereditato da migrazioni dal vicino Oriente. Tracce però di una popolazione precedente si conservano comunque, dato che solo i Sardi hanno nei rami principali del DNA gli aplogruppi M26 e HG2.2, assenti in tutte le altre popolazioni europee e del bacino del Mediterraneo. La conclusione è che tra la popolazione antica e quella moderna si erge una barriera genetica simile a quella che separa i Sardi oggi da tutte le altre popolazioni mediterranee ed europee.

Nella seconda parte dell’Età del Bronzo Medio l’insediamento nell’isola e la loro influenza sulla storia dell’Egitto

Gli Shardana si stabilizzano, quindi, nell’isola, nella Seconda parte dell’Età del Bronzo Medio nel periodo che va dal 1600 al 1300 avanti Cristo, quando iniziano il loro insediamento ed i loro commerci, che li portano ad esportare manufatti in bronzo in tutto il Mediterraneo. Iniziano con il commercio, passano poi a combattere come mercenari, per divenire, in seguito, un popolo di guerrieri e pirati che, spesso alla guida dei Popoli del Mare, tenterà di occupare le diverse aree del Mediterraneo. Gli Shardana non ci hanno lasciato che pochissimi scritti, di questi solo alcune frasi sono state tradotte, la loro storia si può ricostruire comunque da quanto ci raccontano di loro altri popoli che ne sono venuti in contatto. E degli Shardana alla guida dei Popoli del Mare, delle loro invasioni, ci parlano sia gli Egizi che gli antichi Greci.

Guerriero shardana (elmo con le corna e uno strano vessillo che ricorda la bandiera sarda con i quattro Mori) e guerriero Phelets (elmo con le piume)L’affresco qui riprodotto, una pittura funeraria del quarto secolo avanti Cristo Rinvenuta in una tomba di Paestum e conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, rappresenta un guerriero shardana, che porta l’elmo con le corna e uno strano vessillo che ricorda la bandiera sarda con i quattro Mori, ed un guerriero Phelets, ossia Filisteo, che porta l’elmo con le piume. La stele, che veniva denominata Sannita, risale sicuramente al tempo dei Popoli del Mare, ossia tra il 1350 ed il 1200 avanti Cristo. In diversi documenti di fonte egizia si parla degli Shardana e dei Popoli del Mare già nell’Età del Bronzo Medio, ai tempi del faraone Amenofi I, regnante dal 1526 al 1505; e poi di Tuthmosi I, dal 1505 al 1501, che sconfigge i Mitanni e la Siria, per la quale combattono anche contingenti Shardana. Se ne parla anche al tempo di Tuthmosi III, dal 1479 al 1425; e di Amenofi III dal 1394 al 1356, che fa edificare i Colossi di Memnon, statue alte più di venti metri.

Amenhotep o Amenofi IV, che regna dal 1356 al 1339 avanti Cristo, sposo della bellissima regina Nefertiti, è un faraone della diciottesimo dinastia, che cambia il proprio nome in Akhenaten ed introduce in tutto l’Egitto il monoteismo. Il dio per eccellenza è Aton, che corrisponde al disco solare e, grande novità per l’Egitto, non ha bisogno ne di statue ne di templi. Il suo culto si svolge all’aria aperta, rivolgendosi direttamente al dio che splende nel cielo. Si tende oggi a collegare questo profondo cambiamento a quando, nel 1351 o nel 1355, ambasciatori dei Popoli del Mare si recano in Egitto portando i loro doni al faraone ed alla regina Nefertiti, per invitarli a tornare all’originario culto dell’unica Grande Madre. RiChiesta da loro accolta, anche se, invece della dea Madre, istituiscono il culto del dio Padre Aton. Akhenaten fonda una nuova capitale che chiama Akhetaten, oggi nota come Tell-el: amarna, ed interrompe tutte le spedizioni militari. Avendo soltanto figlie femmine, associa al trono Semenkhara, marito della figlia maggiore, che alla sua morte riporterà la capitale a Waset, ossia Tebe, e restaurerà il vecchio sistema teologico con il culto di Amon, mentre la regina Nefertiti, rimasta a Akhetaten, resterà per sempre fedele al culto di Aton. Dopo la morte, quando verrà restaurato il culto di Amon, Akhenaten verrà chiamato il faraone eretico, o anche il faraone iconoclasta per aver fatto eliminare tutte le statue.

Il faraone Seti I il Grande è il secondo faraone della diciannovesimo dinastia e regna dal 1318 al 1304 avanti Cristo. Figlio di Ramesse I, sale al trono non giovanissimo intorno ai trentasette anni, dopo aver ricoperto la carica di grande sacerdote di Seth. Il ristabilimento dell’influenza estera dell’Egitto richiede una serie di campagne militari che culminano con la sconfitta di un esercito ittita sul fiume Oronte, ed al successivo effimero trattato di pace stilato con Muwatalli, re di Hatti. Seti I sicuramente utilizza mercenari Shardana nella guerra contro gli invasori Ittiti.

 

L’epopea shardana nell’Età del Bronzo recente

Gli Shardana proseguono la loro espansione in tutta la Sardegna durante l’età del Bronzo recente tra il 1300 ed il 1150 avanti Cristo. Ma già dal 1350, alla guida dei Popoli del Mare, tentano a più riprese l’invasione delle terre del Mediterraneo. Le cronache dell’antico Egitto parlano dei Popoli del Mare, una coalizione di popolazioni guerriere che tentano l’invasione del paese provenendo dal mare. Nel periodo del Bronzo Medio e soprattutto in quello del Bronzo recente, viene realizzata gran parte dei bronzetti votivi che sono stati rinvenuti nell’isola. Sono i bronzetti realizzati in Stile aulico, chiamato anche lo stile di Uta, dei quali parleremo più avanti. Sono, senza ombra di dubbio, di molto antecedente alle più antiche sculture bronzee greche fino ad ora conosciute.

Il faraone Ramesse II il Grande, che regna dal 1279 al 1212 avanti Cristo, figlio di Seti I, è il terzo e il più importante faraone della diciannovesimo dinastia. Come il padre cerca di ridurre l’eccessivo potere del clero di Amon, che ha la sua principale sede a Tebe. Per questo sposta da Tebe la sua residenza nella regione del delta, dove fà edificare, nei pressi di Avaris che era stata capitale dei sovrani Hyksos, la sua nuova residenza che chiama Per-Ramesse, ossia Casa di Ramesse. Già durante il secondo anno di regno deve affrontare la minaccia dei pirati Shardana e delle loro incursioni nella delta del Nilo. Riesce a sconfiggerli, quindi inserisce i prigionieri nel suo esercito utilizzandoli come Guardia del corpo personale. Nel 1274 affronta gli invasori Ittiti nella battaglia di Qadesh, roccaforte del loro impero. È una delle più importanti battaglie dell’antichità, nella quale li sconfigge con l’aiuto della Guardia personale costituita da 520 mercenari Shardana, mentre altri Shardana, che lui chiamerà Shardana del mare dal cuore ribelle, combattono al fianco degli Ittiti stessi. Ramesse II fa edificare il tempio rupestre di Abu Simbel, con all’ingresso quattro colossali statue alte venti metri e interamente scolpite nella roccia che raffigurano il faraone seduto, che fa decorare con la rievocazione delle sue vittorie, e vi fa rappresentare i guerrieri Shardana. Anche nell’immenso tempio di Amon Ra, a Karnak, alla periferia di Tebe, dove sorge una imponente statua del faraone di fronte all’ingresso della sala ipostila, da lui completata con 134 gigantesche colonne e un grande lago sacro, fa decorare i muri con la rappresentazione dei guerrieri Shardana.

Il quarto faraone della diciannovesimo dinastia è Merenptah o Amenofi, che regna dal 1212 avanti Cristo per forse 12 anni. L’evento militare di maggior importanza del regno di Merenptah è la difesa del Basso Egitto di fronte al tentativo di invasione di una forte coalizione di tribù libiche e dei Popoli del Mare. Gli invasori superano la linea difensiva di Ramesse II e pongono sotto assedio la stessa capitale Menfi. La battaglia decisiva vede la vittoria dell’esercito egizio, ma è probabile che Merenptah, a causa dell’età già avanzata, non abbia partecipato direttamente alla battaglia. Questa fase si conclude verso il 1200, quando un grande sisma provoca il maremoto e l’inondazione, che sicuramente ha colpito tutta la costa meridionale della Sardegna, allagando completamente il Campidano e distruggendo la maggior parte dei Nuraghi presenti in questa zona.

La grande catastrofe del 1200 avanti Cristo

Verso il 1200 avanti Cristo un grande sisma distrugge Pilo, il Menelaion, Micene, Tirinto, Midea e Troia. Deve essere stato un evento di straordinaria gravità, perché dopo il cataclisma si perdono tutte le precedenti tradizioni e si dovrà arrivare alle scritture di Omero tra il 750 e il 650 avanti Cristo per avere qualche ricordo di quanto è avvenuto in questi cinquecentoanni di black-out.

Anche in Sardegna, alla fine dell’Età del Bronzo recente, questo evento ha provocato il maremoto e l’inondazione che sicuramente in quell’epoca ha colpito tutta la costa meridionale allagando completamente il Campidano, e distruggendo la maggior parte dei Nuraghi presenti in questa zona, soprattuto nella parte rivolta verso il mare. Ancora oggi, se li andiamo a visitare, li troviamo tutti abbattuti in direzione sud e rimasti parzialmente in piedi solo nel lato nord. Una inondazione della quale abbiamo le prove, che ha lasciato solo acquitrini al posto dei terreni fertili ed ha trasformato la Sardegna in una immensa palude. L’isola ormai invivibile viene abbandonata da parte della popolazione, che si trova nella necessità di cercare altre terre e si spinge verso sud fino alle soglie della terra degli Egizi, verso oriente in direzione della Grecia, e, forse, tornando in Mesopotamia da dovegli Shardana erano arrivati molto secoli prima.

Quindi, a seguito della grande inondazione che verso il 1200 avanti Cristo sommerge gran parte della Sardegna e causa l’allontanamento della popolazione verso altre terre, inizia tra il 1220 e il 1180 l’ultima e più grande invasione dei Popoli del Mare che sconvolgerà tutto il Mediterraneo orientale ed il territorio asiatico. Nel 1184 una lega di Achei e loro alleati invade e distrugge Troia, è questa la guerra che Omero racconterà in Iliade e Odissea. Il poeta menziona nella sua opera Akawasa, ossia Achei, Denen o Danuna o shardana, ossia i Danai omerici, e Sakssar, ossia Sassoni, sul fronte greco; Tjeker, ossia i Teucri che vengono identificati con i Troiani, e Liku, ossia lici, sul fronte troiano. I Popoli del Mare, avanzando verso est, distruggono Ugaritàe Micene, Biblos e Corinto, cancellano l’impero Miceneo risparmiando stranamente solo Atene, passano gli abitanti a fil di spada e tutto distruggono al loro passaggio, invadono la Laconia, proseguono verso est distruggendo l’impero Ittita insieme alla sua capitale Hattusa, ed arrivano fino in Asia Minore. Si assiste in seguito all’insediamento dei Phelets, ossia dei Filistei, e dei Tjeker, ossia dei Teucri, in Palestina.

Una parte della flotta, con a capo gli stessi Shardana e Akawasa, attacca di nuovo l’Egitto durante il regno del faraone Ramesse III, che regna dal 1197 al 1165 avanti Cristo ed è il secondo ed il principale faraone della ventesimo dinastia. Ramesse III fa edificare il tempio di Medinet Habu, a Luxor, nel quale fa decorare graffiti che rappresentano i mercenari Shardana. Le principali notizie su Ramesse III provengono dal Papiro Harris, dal Papiro della Congiura dell’Harem e dalle iscrizioni e dalle decorazioni nel suo tempio funerario a Medinet Habu.

Medinet Habu: carri con a bordo guerrieri dei Popoli del Mare con il caratteristico disco solare Medinet Habu: guerrieri egizi e mercenari Shardana col caratteristico elmo munito di corna e col disco solare

Egli nel 1180 a C. Deve fronteggiare vari tentativi di invasione a tenaglia da parte dei Libu e dei Popoli del Mare, provenienti dall’Asia Minore e dall’Egeo. Nel quinto anno del suo regno alcune popolazioni provenienti dal deserto libico, costituite dai Libu, Mashuash e Seped, arrivano a minacciare Menfi, ma egli riesce a sconfiggerle e le ricacciate nel deserto. Nel 1183 una parte della flotta dei Popoli del Mare con a capogli Shardana, dopo aver dopo aver abbattuto le civiltà Micenea e Ittita, devastato la Palestina ed occupato Cipro, giunge alle porte dell’Egitto. Ramesse III sconfigge gli invasori provenienti dall’asia Minore e dall’Egeo, che vengono ritratti nel tempio di Medinet Habu, a Luxor, e racconterà di aver sconfitto I più terribili guerrieri dell’epoca. Non sappiamo se si sia trattato di una vera sconfitta, dato che più probabilmente ha raggiunto con loro un accordo, grazie alla mediazione dei mercenari Shardana che militano nelle sue fila.

Medinet Habu: battaglia nel Delta 1.180 avanti Cristo con la nave a destra shardana Medinet Habu: battaglia contro i Popoli del Mare

DeGli Shardana ci parla anche il Papiro di Harris, conservato al British Museum e lungo oltre 40 metri, quasi sicuramente ritrovato vicino al grande tempio di Medinet Habu di cui con altri papiri ne costituiva l’archivio, risalente alla ventesimo dinastia, presenta carattere religioso storico e fu redatto in ieratico dal sovrano Ramesse IV, che fa parlare in prima persona il padre Ramesse III, che si vanta di aver combattuto i Danai nelle loro isole, di aver preso prigionieri i Libici egli Shardana e di aver distrutto i Pelasgi e i Teucri. In realtà, dopo le due vittorie, a Djahy e sul Delta, Ramses dovrebbe aver concesso ai suoi avversari di stabilirsi nella terra di Canaan, come vassalli.

L’ultima fase della società shardana, nell’Età del Bronzo Finale

Verso il 1200, quando un grande sisma provoca il maremoto e l’inondazione, che sicuramente ha colpito tutta la costa meridionale dell’Isola, allagando completamente il Campidano e distruggendo la maggior parte dei Nuraghi presenti in questa zona, l’isola, ormai invivibile, viene abbandonata da gran parte della popolazione, che si trova nella necessità di cercare altre terre. Quelli che rimangono, sopravvivono nell’età del Bronzo Finale tra il 1150 e l’850 avanti Cristo, fino a che l’avvento della metallurgia del ferro, quando inizia il declino di quello che era rimasto della civiltà shardana, sovrastata da quella Etrusca, che ne era stata precedentemente succube. In questo periodo, la produzione di armi in bronzo subisce un incremento, come pure quella dei bronzetti. Le statuine in bronzo, create con funzione di ex voto, raffigurano varie figure di personaggi, animali ed oggetti legati alla vita quotidiana, modellini di Nuraghe, navicelle e altro. La realizzazione di modellini di Nuraghe, rappresenta uno dei segni più significativi dei mutamenti di questo periodo nel sistema culturale sardo, soprattutto se viene messo in relazione con un altro fenomeno di grande rilievo. Alcuni Nuraghi vengono abbandonati, altri vengono parzialmente distrutti, e ad altri ancora vengono sovrapposte nuove capanne. I bronzetti votivi sono quelli realizzati in stile più popolaresco, definito anche lo Stile mediterraneo, chiamato anche di Abini, vicino a Teti, e di Santa Vittoria, vicino a Serri, e vengono realizzate le colossali statue rinvenute in località Mont ’e Prama, che verranno descritti più avanti. Si tratta, in ogni caso, di simboli ai quali viene affidato il compito di arginare il rischio di una deriva identitaria, che qualsiasi mutamento culturale porta, inevitabilmente, con se.

Gli Shardana in Sardegna

Nel periodo del Bronzo Anticogli Shardana arrivano nell’isola; poi nell’Età del Bronzo Medio cominciano a diffondersi. Ma è con l’Età del Bronzo recente, che la civiltà shardana raggiunge l’apogeo, arrivando ad occupare ed a controllare ogni parte di territorio, dal quale si muove per invadere le altre terre del Mediterraneo. É in questa fase, che avviene lo sviluppo delle potenzialità sociali, politiche ed economiche, di cuigli Shardana erano stati i portatori.

L’organizzazione della società shardana

Gli storici ritengono che la popolazione shardana avesse un’organizzazione di tipo cantonale, ossia che i diversi gruppi della popolazione arrivassero ad occupare le zone del territorio, coesistendo l’uno con l’altro. É probabile che abbiano anche riutilizzato le costruzioni megalitiche presenti nel territorio, dato che in esse sono stati rinvenuti gran parte dei bronzetti che caratterizzano questa società. Durante l’Età del Bronzo si arriva, inoltre, al completamento di quel processo di differenziazione sociale e di suddivisione dei ruoli professionali all’interno della comunità, che era già iniziato nell’età del Rame, e che porta alla formazione di una società più complessa. Avvengono, infatti, grandi cambiamenti sociali, con la differenziazione in classi, ed il sorgere di nuove figure professionali altamente specializzate, ossia cercatori di metalli e fonditori, e di una classe che deteneva il possesso delle armi in metallo considerate beni di prestigio, e quella dei suoi mezzi di produzione. Quella shardana è una società organizzata in famiglie o clan, che obbediscono ad un capo, e vivono in villaggi composti da capanne circolari con il tetto in paglia, del tutto simili alle attuali Pinnettas dei pastori barbaricini. Siamo portati a ritenere che la società fosse strutturata affermando l’egemonia di alcune famiglie all’interno della comunità, una egemonia ben consolidata. Ed il potere, forse all’inizio attribuito con un sistema elettivo, probabilmente diviene stabile ed ereditario. Tantissime statuette in bronzo raffigurano personaggi che alzano la mano, solitamente la destra, in segno di saluto, invocazione o preghiera. La società shardana è una società percorsa da una spiritualità nuova, caratterizzata anche dal culto delle acque, con la realizzazione di fonti sacre e di templi a pozzo. In questa struttura sociale di tipo teocratico, fortemente improntata su caratteri militari e religiosi, assume grande importanza la figura degli eroi fondatori, quali Sardos, Iolaos e Norax, eroe fondatore di Nora, probabilmente la città più antica della Sardegna, il cui nome può essere collegato con i Nuraghi. Si tratta di mitici condottieri considerati come vere e proprie divinità.

L’economia

L’economia del periodo shardana si basa ancora con attività preminenti sull’agricoltura, sull’allevamento, nonche sulla pesca, originando probabilmente un’economia inizialmente di tipo agropastorale, ed anche sulla lavorazione dei metalli. Sono allevatori, ma anche abili lavoratori del bronzo del quale ci viene tramandato abbiano il monopolio nel Mediterraneo, e sono soprattutto un popolo di militari e grandi navigatori. Le figurine dei bronzetti ritrovati evidenziano abbastanza chiaramente una specializzazione nelle arti e nei mestieri.

I villaggi preistorici, i villaggi santuari, le fortezze difensive ed i villaggi fortificati

Nell’Età del Bronzo Antico, le comunità conservano ancora caratteristiche analoghe a quelle che presentavano durante l’età del Rame, come ad esempio la limitata consistenza demografica dei villaggi, che non è molto differente da quella dell’epoca precedente, anche se si nota un lento aumento del numero degli abitati. Nei villaggi, che hanno ancora dimensioni limitate, anche la struttura sociale è ancora poco articolata. Dorgali-Villaggio nuragico di Serra OrriosIl passaggio dal Bronzo Antico al Bronzo Medio, segna l’inizio vero e proprio della fase culturale che denominiamo civiltà shardana. Intorno a numerosi Nuraghi vengono edificati villaggi di capanne in pietra, con copertura in frasche o lastrine litiche. I villaggi continuano a svilupparsi ed a crescere nel tempo, per tutta la durata della civiltà del Bronzo e pure in quella del Ferro. Molti dei villaggi nati nella fase precedente, specie quelli sorti intorno ai Nuraghi, subiscono una significativa crescita dimensionale. Si sviluppano grandi villaggi, mentre altri di ancora maggiori dimensioni nascono autonomamente, non nascono, cioè, in prossimità di un Nuraghe. Questi villaggi autonomi nascono, solitamente, attorno a un pozzo sacro e prendono il nome di Villaggi santuari. Anche questo dato può essere interpretato come segno eloquente dell’intensificarsi del controllo del territorio. Oltre ai villaggi ed ai santuari, vengono poi realizzati i Villaggi fortificati, con muraglie di tipo megalitico a difesa del territorio. Tali recinzioni murarie indicano l’esigenza di difendersi da popolazioni avverse.

Le ceramiche

Per quanto riguarda le ceramiche del periodo della civiltà shardana, l’abilità ed il gusto degli artigiani sardi si manifestano essenzialmente nel realizzare olle a orlo ingrossato e ceramiche con decorazione geometrica, che sono presenti soprattutto sulle superfici esterne di vasi. Questi dovevano essere destinati a un uso rituale, ossia ad essere utilizzati nel corso di complesse cerimoni. Ittireddu: il Nuraghe Funtana: brocca askoide riccamente decorata con decorazione geometrica, datato tra il 1000 ed il 900 avanti CristoSi è propensi a ritenere che a volte venissero frantumati al termine della cerimonia, come dimostrerebbero i vasi frantumati rinvenuti nel fondo dei pozzi sacri. Sono stati rinvenuti anche lampade decorate geometricamente, e vasi piriformi, che si sono trovati esclusivamente in Sardegna, con decorazioni anch’esse di tipo geometrico. Decorazioni che si trovano anche sugli Askoi, nome col quale si indicano antichi vasi greci in ceramica usato per versare piccole quantità di liquidi come l’olio, riconoscibili dalla sua forma piatta e per il collo con manici a una o a entrambe le estremità. Ceramiche di questo periodo sono state trovate a Barumini, a Santu Antine, a Cuccuru Nuraxi, a Santa Anastasia, a Villanovaforru, a Furtei, a Suelli e ad Ittireddu. Ne sono stare rinvenute anche nella penisola italiana, in Sicilia, in Spagna e a Creta, tutto fa pensare ad una Sardegna molto ben inserita nei commerci del Mediterraneo.

La metallurgia

Lo sfruttamento delle miniere è una delle risorse principali di questo periodo: accanto ai bronzi figurati, è presente la produzione di armi, utensili ed oggetti vari in bronzo che ha pochi eguali nel resto del Mediterraneo. La metallurgia shardana realizza tutto il ciclo di lavorazione del Bronzo sul posto. Ben presto nella Sardegna, terra ricca di miniere, si costruiscono fornaci per la fusione del nuovo metallo, che vengono lavorate in maniera molto abile, dando vita ad un fiorente commercio verso tutta l’area mediterranea ed in particolare verso le regioni più povere di metalli. Ciò spiega l’analogia della cultura della Sardegna con quella delle civiltà presenti nell’area egea, ossia micenea, cretese e cipriota, e con l’area iberica. Stupisce l’alto livello tecnico raggiunto dagli artigiani, ed anche il notevole livello di consumo. Sono stati rinvenuti, infatti, anche grandi quantità di oggetti in bronzo rotti, destinati ad una successiva fusione. La maestria dimostrata dagli artigiani lascia capire fino a che punto siano divenuti abili nella lavorazione dei metalli, ed anche nella costruzione di armi, dato che nei musei sardi si possono ammirare veri e propri arsenali di armi di ogni specie. Oltre ad oggetti di uso militare, vengono prodotti in bronzo attrezzi agricoli d’uso comune, oggetti per la casa, monili, vasi di bronzo laminato, cofanetti, specchi, spille, fibbie, candelabri, manici per mobili, vasi di tipo askoide, e soprattutto i famosi bronzetti votivi che descriveremo nei dettagli più avanti.

Daghe in bronzo Puntali di lance in bronzo Antiquarium Arborense: bronzi nuragici rinvenuti sul Sinis

Le mura del Grande Shimbabwe le cui torri ricordano i Nuraghi sardiPer produrre il bronzo, di cui hanno il monopolio nel Mediterraneo, gli Shardana usano il rame, che abbonda in Sardegna, ma non possono trovare lo stagno, che è presente solo in un piccolo giacimento di cassiterite, in località Perdu Cara, presso Fluminimaggiore. Possono, allora, trovare lo stagno solo in terre lontane. Impossibile che vadano a cercarlo in Cina, molto improbabile che arrivino alle isole Scilly in Cornovaglia dove lo stagno verrà scoperto solo nel 900 avanti Cristo, o in Nigeria percorrendo 800 chilometri in un entroterra sconosciuto. Bronzetti che rappresentano animali africani ed un uomo con i tratti negroidiPiù probabilmente, dopo aver circumnavigato l’Africa, arrivano in Zimbawe o Shimbabwe, dove si racconta fossero le leggendarie miniere di re Salomone. E dove ancora oggi vediamo, vicino alla zona mineraria, le grandi fortificazioni in pietra con mura e torri tronco: coniche, simili ai Nuraghi, che hanno dato nome alla località e poi all’intero paese dato che Zimbawe, in lingua sarda Shona, vuol dire grandi case di pietra. Ma come arrivano così lontano? Sono certo grandi navigatori. Delle navi di questo periodo vediamo la riproduzione in alcuni oggetti votivi, realizzati di sicuro da navigatori, che avevano molto Viaggiato nel Mediterraneo e probabilmente anche fuori. Ciò è dimostrato, tra l’altro, dal fatto che le prore sono ornate con la riproduzione di animali come l’antilope, allora sconosciuta, e in altri bronzetti si trova la riproduzione di un gorilla, e quella di un uomo con i tipici tratti somatici di un negro.

La scrittura shardana sulle tavolette in bronzo di Tzricotu

Cabras-Tavoletta in bronzo di TzricotuL’appassionate storia della Tavoletta in bronzo del Sinis con la scrittura shardana nasce nel 1996, quando due studiosi oristanesi, Gianni Atzori e Gigi Sanna, mettono, nella prima pagina del loro storia della letteratura sarda chiamata Sardegna, lingua Comunicazione e letteratura, la foto di una misteriosa tavoletta che rappresenta il calco di un ritrovamento avvenuto a Tzricotu nel Sinis. Succesivamente Atzori e Sanna pubblicano un secondo libro, Omines dal Neolitico all’età Nuragica, interamente dedicato alla tavoletta in bronzo, che vengono accuratamente studiate e comparate con gli analoghi più noti ritrovamenti del mediterraneo. Conclusione dello studio comparato: la tavoletta è un sigillo reale di tipo funerario, databile tra il quattordicesimo e il dodicesimo secolo avanti Cristo. Ma il tutto deriva da una foto, dell’originale non c’è traccia. Però il 19 giugno 1998 un giovane agricoltore di Cabras, Andrea Porcu, consegna al professor Raimondo Zucca, curatore del Museo di Oristano, in originale la famosa tavoletta bronzea. Si tratta di una tavoletta in bronzo di ottima fattura e in ottimo stato di conservazione. La tavoletta è di 6,4 centimetri di altezza,3,5 di larghezza e 0,9 di spessore. Il peso è di 118 grammi. Il ritrovamento è avvenuto in località Tzricottu, non lontano dal sito archeologico denominato Mont ’e Prama. La sua eccezionalità è data dal fatto che si tratta del primo ritrovamento in Sardegna, che connota una scrittura cuneiforme. Invece che salutare con entusiasmo la consegna alla Soprintendenza di un reperto che rischiava di essere venduto nel mercato clandestino, si preferisce minimizzare la portata del ritrovamento o addirittura arrivare ad insinuare che sia stato artefatto. Ha, infatti, dichiarato Raimondo Zucca, Curatore dell’Antiquarium Arborense di Oristano, che «deve formularsi ogni dubbio sull’origine e sulla cronologia dell’oggetto costituente un’mostrum’ tipologico e caratterizzato da una differenza di patina tra il diritto (recante i segni) e il rovescio, così da autorizzare l’ipotesi di un intervento secondario per la realizzazione dei segni stessi». E così, le tavolette, come era avvenuto per i giganti di Mont ’e Prama, vengono tenute nascoste agli studiosi internazionali, per non compromettere la ricostruzione storica ufficiale di una Sardegna incapace di leggere e di scrivere.

Scavi di Nora: la famosa stele di NoraA Nora è stata rinvenuta la celebre Stele di Nora, ritenuta di origine fenicia, sulla quale si trova un’iscrizione nella quale, per la prima volta, è riportato in caratteri Fenici oltre alla parola SHRDN che indicagli Shardana. Comunque uno dei Due cocci decorati rinvenuto a Orani reca una sequenza di lettere già presente nella Stele di Nora, ma di apparenza più arcaica, e che sono presenti dei segni tipo Tanitsu una ceramica di gran lunga antecedente, la sua lettura fatta dall’epigrafista Gigi Sanna dimostra che anche la stele di Nora non è opera di scribi Fenici ma di scribi Shardana. I caratteri sono di tipologia cosiddetta fenicia arcaica, alfabeto adoperato anche in Sardegna ma il contenuto linguistico si deve ritenere completamente sardo.

L’epigrafista Gigi Sanna, nato ad Abbasanta nel 1939, che ha insegnato lingua e letteratura Greca e latina ed è stato docente presso l’Istituto di Scienze religiose dell’Arcidiocesi di Oristano, a partire dal 1995 aveva analizzato diversi reperti in ceramica, in bronzo e in pietra rinvenuti in Sardegna, che mostrano delle incisioni a sua opinione considerabili come scritte nuragiche risalenti alla seconda metà del secondo millennio avanti Cristo. I testi studiati appartengono a svariate tipologie alfabetiche, protosinaitica, ugaritica, gublitica, protocananaica e fenicia. Lo studioso, che identifica gli autori con l’antico popolo degli Shardana, sostiene che essi parlassero una lingua indoeuropea simile al latino, e che utilizzassero codici di scrittura semitici, esibendo a sostegno delle sue tesi svariati documenti come, oltre alla celebre Stele di Nora ed alle Tavolette di Tzricottu di Cabras, anche il Sigillo di Sant’Imbenia rinvenuto vicino ad Alghero, l’Anello sigillo di su Pallosu rinvenuto a San Vero Milis, l’iscrizione rinvenuta su un’anfora nel sito di S’Arcu e Is Forros presso Villagrande Strisaili, e da ultimo il Coccio di Pozzomaggiore.

Alghero: il sigillo di Sant’Imbenia San Vero Milis--L’anello sigillo di su Pallosu Villagrande Strisaili-L’anfora rinvenuta nel sito di S’Arcu e Is Forros Pozzomaggiore: il coccio di Pozzomaggiore

La religiosità

Dalle testimonianze documentarie derivanti dagli studi dell’epigrafista Gigi Sanna sui reperti nei quali sono state trovate tracce della scrittura degli Shardana, si è portati a ritenere chegli Shardana adorassero un dio chiamato Yah, o Yahh, o Yahwhe, ossia il Dio della Bibbia, ipotesi che ha un precedente nell’opera dell’antropologo Raffaele Pettazzoni, il quale, ai primi del Novecento, aveva ipotizzato che una divinità nazionale simile a quella ebraica fosse venerata dai popoli preistorici della Sardegna.

Probabilmente questa religiosità è andata ad innestarsisu un’altra derivante da quella delle popolazioni pre-esistenti in Sardegna, secondo la quale la religione collegava la fertilità dei campi, ossia il ciclo delle stagioni ed il ciclo dell’acqua e della vita, con la forza maschile del Toro, identificato con il dio Sole, e la fertilità femminile dell’Acqua, identificata con la luna. Il toro, come tutti gli animali muniti di corna, ha una valenza sacra anche per questa cultura, e viene frequentemente riprodotto nelle imbarcazioni, nei grandi vasi in bronzo per il culto, e negli elmi dei soldati. Si riconosceva probabilmente l’esistenza di una Dea Madre mediterranea, con un dio padre detto Babai, che in lingua sarda significa padre, e che verrà chiamato, in epoca punica, Sid Addir Babai, ed in epoca romana, Sardus Pater. Sono stati rinvenuti, infatti, bronzetti rappresentanti figure metà toro e metà uomo; personaggi identificati con shardana, il demone con quattro braccia e quattro occhi cervi con due teste; ed altri aventi carattere mitologico, simbolico o religioso. Superata la fase durante la quale la religiosità si esprimeva con la realizzazione dei menhir, la religiosità si esprime con la costruzione di edifici sacri, templi e tempietti, ed edifici sacri legati al culto delle acque.

L’architettura religiosa, con i templi e tempietti a tholos ed a megaron

In Sardegna esistono templi e tempietti, con funzione di luoghi rituali e sacrificali. Esistono tempietti a tholos, ossia a pianta e volta circolare detta anche falsa cupola, e templi A megaron, ossia a pianta rettangolare, che traggono il nome dalla somiglianza strutturale con il megaron greco, strutture con uno spazio sacro interno che potrebbe essere stato destinato ad un fuoco sacro, forse mantenuto acceso da una casta sacerdotale. La specifica valenza religiosa e cultuale di questi templi e tempietti, non è ancora del tutto chiara. Non sono molti i tempetti a tholos finora portati finora alla luce, tra essi va citato il tempietto di Malchittu, situato vicino ad Arzachena, in Gallura, in Provincia di Sassari. Va citato anche un tempietto a tholos, nel villaggio nuragico di Serra Orrios, vicino a Dorgali, in Provincia di Nuoro. Tra i templi ed i tempietti a megaron, molto importante è il tempio Domu de Orgia, il più grande tempio a megaron finora conosciuto, situato in località Cuccureddì, sul monte Santa Vittoria, vicino a Esterzili, nella Barbagia di Seulo, in Provincia di Cagliari. Vanno citati, anche, il tempio di S’Arcu ’e Is Forros, a Villagrande Strisaili, in Ogliastra; quello del villaggio nuragico di Gremanu, a Fonni, in Provincia di Nuoro; ed i due templi a megaron del villaggio di Serra Orrios, vicino a Dorgali, in Provincia di Nuoro.

Arzachena-tempietto a tholos di Malchittu Dorgali-Villaggio nuragico di>Serra Orrios

Il culto delle acque, con le fonti ed i pozzi sacri, ed i templi a pozzo

Siamo propensi a ritenere chegli Shardana, popolo di navigatori, abbiano portato in Sardegna il culto animistico collegato all’acqua, e forse a ritualità astronomiche di tipo solare, lunare o di osservazione dei solstizi. In questa fase cronologica, si concentra, infatti, la realizzazione di edifici sacri legati al culto delle acque.

Per questo culto, vengono dapprima utilizzate le fonti ed i pozzi sacri, e successivamente vengono realizzati, in corrispondenza delle fonti, i templi a pozzo. Le fonti ed i pozzi sacri pescano la falda acquifera direttamente al livello del piano di calpestio. Il tipo più semplice prevede il pozzo circolare, costruito con blocchi di pietra squadrati, a cui si accede da un vano di ingresso al livello del suolo, che, o direttamente o tramite gradini, porta sino al livello dell’acqua. Tra i più singolari e meglio conservati, citiamo la fonte sacra di Su lumarzu, situata in località rebeccu, vicino a Bonorva, in Provincia di Sassari. Molto importante è anche la fonte sacra di Su Tempiesu, nei dintorni di Orune, in Provincia di Nuoro.

Bonorva-fonte sacra di su lumarzu Orune: la fonte sacra Su Tempiesu

I templi a pozzo sono strutture ipogeiche riservate al culto delle acque, solitamente con copertura a tholos. I più complessi hanno solitamente una struttura composta di tre parti. All’esterno si trova un vano di ingresso, al livello del suolo, attorniato da piccoli altari in pietra sui quali si depositavano le offerte e sui quali si celebravano i riti legati al culto dell’acqua sacra. Da qui, una scala scende nel terreno, ed il vano interrato, con il soffitto il più delle volte a falsa cupola, ossia a tholos, come quello delle camere interne dei Nuraghi. Sul fondo del vano interrato, ai piedi della scala c’è la fonte sacra, nella quale veniva raccolta l’acqua sorgiva. Lo spazio antistante è spesso costituito da un ampio cortile esterno con funzione di esedra, dotato di sedili in pietra per accogliere i fedeli. Nell’esedra, o comunque nei pressi di essa, di trovano a volte dei betili. Tra essi, importante è il bel Tempio a pozzo Predio Canopoli, situato all’interno dell’abitato di Perfugas, in Provincia di Sassari, che è stato scoperto all’interno dei giardini di una Chiesa, il che sta ad indicare come le funzioni religiose di certi templi si sia perpetuato fino all’arrivo del Cristianesimo. Citiamo anche il Tempio a pozzo di Sant’Anastasia, a Sardara, nel Medio Campidano. Il più bello è senz'altro l’affascinante Tempio a pozzo di Santa Cristina, nell’omonimo villaggio situato a Paulilatino, in Provincia di Oristano. Importante è anche il Tempio a pozzo di Santa Vittoria, nell’omonimo villaggio situato a Serri, in Provincia di Cagliari.

Perfugas-Il pozzo sacro Predio Canopoli Paulilatino-Il pozzo sacro di Santa Cristina

Oliena-La fonte sacra del villaggio Sa Sedda e Sos CarrosEsistono anche strutture molto più complesse da un punto di vista idraulico, con canalette piombate, vasche di raccolta e protomi taurine per l’uscita dell’acqua calda verso un bacile centrale, che è circondato da una seduta rituale, come ad esempio il tempio a pozzo situato nel complesso di Sa Sedda e Sos Carros, ad Oliena, non lontano da Nuoro. Le fonti sacre, e soprattutto i templi a pozzo, sono costruzioni che richiamano la capacità di edificare edifici di tipo megalitico, ma la perfezione e la precisione con la quale sono tagliati i blocchi di pietra calcarea o lavica con i quali sono realizzate, è tale che, inizialmente, erano stati datati tra l’ottavo ed il sesto secolo avanti Cristo, confrondoli con l’architettura religiosa etrusca. Ma le più recenti scoperte archeologiche hanno portato ad anticipare la loro datazione, portando la costruzione di questi templi all’Età del Bronzo, e cioè molti secoli prima delle precedenti valutazioni.

I villaggi Santuario

I templi a pozzo sono un luogo di pellegrinaggio, ed intorno ad essi si sviluppa, generalmente, un villaggio, con alloggi e strutture di tipo aggregativo, a volte con gradonate. Nei villaggi, soprattutto in quelli caratterizzati dalla presenza di un pozzo sacro, presumibilmente nell’Età del Bronzo e del Ferro, oltre alle abitazioni ed ai templi sacri, vengono realizzate costruzioni destinate a scopi diversi: grandi rotonde per le riunioni, spazi recintati utilizzati presumibilmente per affari e contrattazioni, piccole dimore per il pernottamento degli ospiti venuti da fuori. Tutto questo fa pensare che in questi villaggi, spesso chiamati Santuari, si svolgessero grandi adunate nelle quali diverse tribù si ritrovavano insieme in occasione di particolari eventi religiosi. In prossimità di alcuni edifici sacri particolarmente importanti, come ad esempio nel caso di quello di Santa Vittoria a Serri, nascono i Santuari federali, vasti villaggi interpretati come aree in cui dovevano aver luogo periodici incontri tra fedeli provenienti da zone diverse, in occasione di ricorrenze annuali e di festività particolarmente importanti per la religiosità isolana. I giochi e gli affari si svolgevano in una ampia zona, solitamente di forma ellittica, con porticati e vani rotondi per il soggiorno dei partecipanti, e con i posti riservati ai rivenditori di merci, ai pastori e ai contadini. Nelle vicinanze vi era un ambiente circolare con alcune capanne. Il primo serviva per le assemblee, nelle seconde abitavano gli addetti alla custodia, alla manutenzione dei luoghi e gli amministratori dei beni del tempio. All’interno delle capanne più significative, che vengono solitamente indicate come Capanna delle riunioni o Capanna del consiglio, sono stati rinvenuti numerosi oggetti di bronzo e lingotti di piombo, sui quali sono incise tacche e marchi, forse ad indicare il loro valore temporale. Si pensa che tali oggetti costituissero la riserva della comunità, o il tesoro del tempio. In tali occasioni si tenevano probabilmente incontri intercantonali, giochi sportivi simili alla lotta greco romana e al pugilato, e si stringevano alleanze familiari e rapporti commerciali. L’archeologo Giovanni Lilliu, ritiene che il Santuario federale di Santa Vittoria di Serri, costituisse un vero pantheon delle divinità, suponendo che nell’edificio principale si riunissero, in assemblee federali, i clan più potenti degli abitanti la Sardegna centrale, per consacrare alleanze o per decidere guerre. Presso i villaggi santuari, spesso, sono state successivamente edificate piccole Chiese campestri, nei pressi delle quali, in occasione di feste religiose, si svolgono fiere. Accanto ai pellegrini, arrivano mercanti, artigiani e venditori di dolci. Questo che accade oggi, non sembra azzardato immaginare che dovessero accadere anche nelle grandi adunate nei villaggi preistorici.

Serri-resti del villaggio nuragico Serri-Santuario federale di Santa Vittoria: alloggi per i partecipanti alle riunioni

Il culto dei morti

Nell’Età del Bronzo Antico e Medio, si producono, all’interno della società, forti differenziazioni dal punto di vista sociale ed economico, con la differenziazione in classie con l’emergere di ceti dominanti. Tali aspetti si riscontrano soprattutto dall’esame delle necropoli, nelle quali si evidenziano e sepolture dei personaggi di alto rango, il che sta a testimoniare l’esistenza di ceti dominanti. Andando verso il Bronzo recente, inoltre, incomincia a manifestarsi un nuovo rito funerario, che prevede la cremazione del defunto, e la conservazione delle sue ceneri in urne di ceramica.

Gli scambi economici e politici

Lingotti di rame di tipo ox-hideIn questa fase si intensificano inoltre i contatti economici e politici con le altre popolazioni del Mediterraneo, in particolare con Micene e Cipro, i cui abitanti erano interessati alle risorse minerarie della Sardegna. Significativi in proposito i rinvenimenti di lingotti di rame di origine sarda A pelle di bue, chiamati anche lingotti Ox-hide, in queste due isole. La navigazione, come si è detto, riveste un ruolo molto importante nell’economia della società Sahrdana. Sono state, infatti, rinvenute ben 156 navicelle di bronzo, che richiamano la loro tradizione marinaresca. Il ritrovamento poi di ancore lungo le coste dell’Isola, alcune del peso di 100 chili, attestano che le imbarcazioni sono molto robuste, tanto che, probabilmente, gli scafi raggiungono una lunghezza di oltre i quindici metri. Sono, come dicevamo prima, grandi navigatori e, probabilmente, anche abili commercianti, che Viaggiavano con le loro navi sulle rotte dei traffici internazionali, intessendo legami con la civiltà Micenea, con Cipro, con l’Italia, con la Spagna, ed anche con il Vicino Oriente e con la Bulgaria. Ceramiche sarde di tipo askoide, anfore, tripodi e spade, sono state trovate in Spagna, a Huelva, Tarragona, Malaga, Teruel e Cadice, ed anche oltre lo stretto di Gibilterra. Negli ultimi anni avvengono notevoli scambi con l’Etruria, principalmente con Vetulonia, Vulci e Populonia. A tal proposito, l’archeologo Mario Torelli scrive: La grande oscurità di questo periodo è illuminata a tratti da alcuni isolati, folgoranti ritrovamenti. Tra questi il più notevole è quello costituito da tre bronzetti nuragici, una statuetta di capo in atto di saluto, uno sgabello ed un cesto, tutti di grande significato ideologico, in quanto simboli del potere (la statuetta e lo sgabello) e dello stato femminile (il cesto), rinvenuti in una tomba villanoviana di Vulci degli inizi dell’ottavo secolo avanti Cristo. La tomba (...) forse racchiudeva le ceneri di una donna sarda di alto rango, che possiamo immaginare venuta dall’isola in sposa ad un esponente di rango di quella società villanoviana che proprio in quegli anni si andava espandendo in maniera sensibile. Nel 1982 a Uluburun, sulle coste turche, è stato rinvenuto il relitto di una nave inizialmente ritenuto degli inizi dell’Età del Bronzo. Leonardo Melis e Giangiacomo Pisu, che dagli studi sul relitto lo hanno identificato come nave dei Popoli del Mare, avanzano l’affascinante ipotesi che possa trattarsi della nave con la qualegli Shardana si erano recati in Egitto per invitare Amenofi IV a ritornare al culto dell’unica Dea Madre.

I bronzetti votivi e le sculture di Mont ’e Prama

I reperti più significativi della presenza shardana in Sardegna sono i bronzetti votivi, che ci presentano diverse scene delle vita quotidiana, e che venivano utilizzati, probabilmente, come ex voto, o come riferimento a un mondo eroico che veniva tramandato di generazione in generazione. I bronzetti rappresentano figure di uomini, imbarcazioni, Nuraghi e animali, e risultano molto utili per ricostruire scene di vita quotidiana. I personaggi raffigurati nei bronzetti, ci indicano chiaramente la presenza di capi o re, riconoscibili perché spesso portano un bastone borchiato ed un mantello, interpretati come simbolo di comando. Ma nei bronzetti vengono rappresentate tutte le diverse categorie sociali, compresi gli artigiani e i minatori. Il gran numero di bronzetti reffiguranti soldati, porta ad interpretare che si trattasse una società votata alla guerra. Una società oligarchica, strutturata in modo gerarchico, e ben organizzata militarmente, espressione di una classe militare costituita da corpi con diversi gradi. Sono rappresentati, infatti, arcieri, soldati di fanteria, guerrieri con spada e con la con daga, con uniformi diverse, che portano a pensare a milizie appartenenti a corpi o a cantoni differenti. In base alla loro produzione, si possono notare diversi stili e gradi perfezione. Nel periodo del Bronzo Medio e del Bronzo recente, lo stile aulico, chiamato anche di Uta, senza ombra di dubbio di molto antecedente alle più antiche sculture bronzee greche fino ad ora conosciute. E successivamente, nel periodo del Bronzo Finale, uno più popolaresco, definito anche Mediterraneo, chiamato anche di Santa Vittoria a Serri.

I bronzetti in stile aulico rinvenuti a Uta

Nell’area nei dintorni di Uta, in località monte Arcosu, è stata rinvenuta casualmente nel 1849 sotto terra una grande quantità di bronzetti probabilmente relativi ad un grande edificio culturale pubblico, che sono oggi conservati oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. I bronzetti in Stile aulico, quello che viene chiamato anche lo Stile di Uta, raffigurano capotribù e guerrieri Shardana, simili come rappresentazione e come abbigliamento a quelli raffigurati in Egitto nel tempio rupestre di Abu Simbel, nel tempio di Amon Ra a Karnak ed in quello di Medinet Habu a Luxor, ritenuti per questo tra i più antichi. Molto significativi, il bronzetto del capotribù con un ampio mantello e un bastone nodoso, due guerrieri uno con spada ed arco e l’altro con spada e scudo rotondo, un fromboliere e due lottatori. Sono state rinvenute anche otto spade delle quali una riproduce un cervo infilzato nella lama. Le armi hanno una foggia ed una fattura di tipo orientale, giustificata dall’origine degli Shardana.

Uta: bronzetti: capotribù con l’ampio mantello e un nodoso bastone Uta: bronzetti: un guerriero con spada e arco Uta: bronzetti: un guerriero con spada e scudo rotondo Uta: bronzetti: il persona con una corda in mano, forse un fromboliere Uta: bronzetti: i lottatori Uta: bronzetti: una spada con un cervo infilzato sulla sommità della lama

Queste statuette ci mostrano come il bronzo, in quest ’età, sia lavorato in Sardegna con tecniche di irraggiungibile bellezza e perfezione.

I bronzetti in stile Mediterraneo rinvenuti ad Abini vicino a Teti ed a Santa Vittoria vicino a Serri

All’interno del villaggio preistorici di Abini, vicino a Teti, nella Barbagia in Provincia di Nuoro, sono stati rinvenuti numerosi bronzetti conservati oggi nel Museo Archeologico di Teti. Ed anche all’interno del Santuario federale nuragico di Santa Vittoria, vicino a Serri, nel Sarcidano in Provincia di Cagliari, sono stati rinvenuti numerosi bronzetti conservati oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Sono bronzetti diversi da quelli rinvenuti a Uta, e vengono indicati come bronzetti in Stile popolaresco o Stile Mediterraneo, quello che viene chiamato anche lo Stile di Abini-Serri. Rappresentano guerrieri con abbigliamento ed acconciature evolute, i capelli non sono corti ma raccolti in lunghe trecce, l’elmo ha corna più lunghe, gli scudi sono più elaborati e non compaiono più alcune armi come il boomerang. Tra i più significativi rinvanuti ad Abini, diversi rappresentano shardana, il demone con quattro occhi e due scudi un guerriero su un’imbarcazione; ed altri guerrieri. Tra quelli rinvenuti nel Santuario di Santa Vittoria, citiamo il capotribù con l’ampio mantello e un bastone; altri capo tribù; un personaggio seduto; e, non ultimo, uno strano animale con arco.

Bronzetti di Abini: shardana, il demone con quattro occhi e due scudi Bronzetti di Abini: guerriero su imbarcazione Bronzetti di Abini: guerrieri Serri: bronzetti: capotribù con l’ampio mantello e un bastone Serri: bronzetti: un altro capotribù Serri: bronzetti: il personaggio seduto Serri: bronzetti: animale con arco Serri: bronzetti: madre che chiede alla divinità di guarire il figlio

Le spade, in questi bronzetti, hanno una fattura di tipo egeo, il che lascia intendere l’esistenza di ampi scambi culturali e commerciali. Vengono quindi ritenuti più recenti, presumibilmente realizzati alla fine dell’Età del Bronzo, o più probabilmente nell’Età del Ferro, dopo l’emigrazione degli Shardana seguita alla grande catastrofe del 1200 avanti Cristo, forse da parte della popolazione locale o degli Shardana rimasti sull’isola. Oppure, secondo un’ardita ipotesi di Leonardo Melis, da quei loro eredi che vi tornarono in seguito, e che i Greci chiamarono i Fenici.

Altri bronzetti votivi

In diverse località della Sardegna sono stati rinvenuti numerosi altri bronzetti votivi, raffiguranti guerrieri, oranti, animali reali come il toro, ed anche animali mitologici. Anche questi possono essere stati rinvenuti nell’Età del Bronzo o nella succesiva Età del Ferro. A Sorso, in localtà Serra Niedda, è stato trovato un bronzetto che rappresenta un capo tribù munito di lancia con un ariete o muflone al guinzaglio e spada. A Illorai è stato rinvenuto un vitello in bronzo, e a Nule, all’interno del Nuraghe Voes, un centauro androcefalo a corpo taurino. A Urzulei, nella grotta di Sa Domu ’e S’Orcu, è stata rinvenuta intorno alla metà degli anni venti una statuetta raffigurante una madre col figlio in grembo, denominata La madre dell’ucciso. E ad Ittiri è stato rinvenuto un bronzetto che rappresenta un suonatore di launeddas, il famoso strumento a fiato caratteristico della Sardegna, con un significativo fallo in erezione.

Località sconosciuta: Bronzetto di orante con corna Località sconosciuta: Bronzetto di orante con goliera Sorso Serra Niedda: capo tribù munito di lancia con un ariete o muflone al guinzaglio e spada Illorai: vitello in bronzo Nule Santu Lesei: centauro androcefalo a corpo taurino Ittiri: bronzetto di suonatore di launeddas con un significativo fallo in erezione Urzulei: bronzetto denominato la Madre dell’Ucciso

Le famose navicelle

Nelle navi di questo periodo, delle quali vediamo la riproduzione in alcuni oggetti votivi, mancano i remi o di fori per gli stessi, ed hanno sull’albero un misterioso Anello rotante sormontato da due corna o una mezzaluna, sul quale sono state fatte varie ipotesi. Diversi studi sono in corso sulle navi e sui porti shardana, ad opera soprattutto di Leonardo Melis e di Giangiacomo Pisu, come vedremo nelle prossime pagine. Tra le navicelle più significative, citiamo la famosa navicella con protome cervina, rinvenuta a Bultei in località Is Argiolas; la altrettanto famosa navicella con protome cervina, rinvenuta ad Erula nel Nuraghe Ispiene; e quella nota come Navicella del re Sole, rinvenuta a Mara all’interno del Nuraghe Badde Rupida. Altre navicelle delle quali riportiamo la riproduzione, sono quella con protome animale, rinvenuta a Laerru in località monte Ultana; la navicella con protome taurina, rinvenuta a Tula; la navicella, anch’essa con con protome taurina, rinvenuta ad Ardara in località Scala de Boes; e la già citata navicella con protome di antilope, rinvenuta in Ogliastra. Comunque, oltre a queste, ne sono state rinvenute molte altre.

Bultei: la famosa navicella con protome cervina rinvenuta in località Is Argiolas Erula: la famosa navicella con protome cervina rinvenuta nel Nuraghe Ispiene Padria Nuraghe Badde Rupida: navicella del re Sole Laerru monte Ultana: navicella con protome animale Tula-Navicella con protome a forma di testa di toro Ardara Scala de Boes: navicella con protome taurina Ogliastra-Navicella con protome di antilope

Le sculture di Mont ’e Prama

Nel 1974, in località Mont ’e Prama, ossia sul monte delle palme nane, nel comune di Cabras, al contadino Sissinio Poddi finisce sotto la lama dell’aratro la testa di pietra gigantesca di un arciere. Nel 1979 iniziano gli scavi. Racconta Giovanni Lilliu: C’è un episodio che mi mette ancora i brividi. Fu quando con Enrico Atzeni scoprimmo a Mont ’e Prama le grandiose statue nuragiche in arenaria ai bordi dello stagno di Cabras. C ’era un sole bellissimo, poi il cielo improvvisamente si oscurò, venne la tempesta mentre le statue tornavano alla luce. Dio mio, gli dei nuragici si stanno risvegliando, pensai. Non lo dimenticherò mai. La loro scoperta non è mai stata molto pubblicizzata, forse perché mette in dubbio tante presunte certezze archeologiche; non esistono infatti altri esempi di statuaria del periodo shardana o fenicio. Le statue per trent’anni rimangono nascoste nei magazzini del Museo Archeologico di Cagliari. In questi oltre trent’anni dal ritrovamento pare siano stati pubblicati alcuni saggi, ma solo nel 2005 lo studioso Leonardo Melis nel volume Shardana. I principi di Dan documenta l’esistenza di circa 30 statue gigantesche alte due metri dimenticate nel Museo Archeologico di Cagliari, notizia che verrà ripresa nel Giornale di Sardegna il 22 giugno da Giandomenico Mele con un articolo nel quale parla del contadino che trovò le prime statue e riporta all’attenzione del grande pubblico il loro ritrovamento. Scoppia uno scandalo, il governatore della Sardegna renato Soru le fà togliere dallo scantinato e le manda a restaurare nel laboratorio di Li Punti, presso Sassari.

I giganti di Mont ’e PramaL’arco di tempo nel quale si colloca la creazione di queste statue, alte tra i due metri ed i due e mezzo e che probabilmente erano dipinte, oscilla presumibilmente tra il decimo ed il settimo secolo avanti Cristo, che ne fanno, in ogni caso, Le più antiche statue a tutto tondo del bacino mediterraneo occidentale antecedenti anche rispetto alla statuaria greca. Le statue, in arenaria gessosa, stavano dentro un recinto sacro, ritte sopra basi che segnavano delle tombe a pozzetto. Sono arcieri e pugilatori, hanno occhi come dischi solari, la bocca è inesistente, il piede è taglia 52. Riprendono in dimensioni sovrumane i modelli di alcuni bronzetti dell’ultimo periodo; come nota Leonardo Melis sono identiche nell’abbigliamento, nei lineamenti e nell’acconciatura ai bronzetti di Serri e pongono tutti gli stessi problemi di datazione. Un ritrovamento importante, quanto quello dei Bronzi di Riace, una scoperta unica nel Mediterraneo, è stato questo il commento del Sovrintendente dei Beni Culturali di Sassari, Francesco Nicosia, dove è in corso il restauro. Nicosia aveva diretto l’Istituto che si era occupato del restauro dei Bronzi ritrovati al largo della Calabria, è dunque un esperto, ed intende far conoscere a tutti le statue dai Volti fissi. Si tratta di uno dei più grandi ritrovamenti dell’intero Mediterraneo, che ne riscrive la storia archeologica: vuol dire che le città finora ritenute fenicio: il puniche erano abitate precedentemente dalla stessa popolazione che aveva realizzato i bronzetti, quella che noi chiamiamogli Shardana. Che avevano realizzato in un primo tempo i bronzetti di Uta, poi sono partiti dopo la grande catastrofe del 1200 avanti Cristo, ma i loro eredi che sono rimasti nell’isola e vi hanno realizzato, da soli o con la popolazione locale, i bronzetti di Serri e queste gigantesche statue.

La mostra <em>La pietra e gli Eroi - le sculture restaurate di Mont ’e Prama</em>I resti delle statue sono stati restaurati a Li Punti, presso Sassari. Dal 23 novembre al 30 dicembre 2011 è stata aperta al pubblico la mostra La pietra e gli Eroi - le sculture restaurate di Mont ’e Prama, nella quale sono state presentate al pubblico per la prima volta le sculture restaurate. Le sculture ricomposte sono risultate in totale trentotto, suddivise in cinque arcieri, quattro guerrieri, sedici pugilatori, tredici modelli di Nuraghe. Sono destinate al Museo Archeologico Comunale Giovanni Marongiu di Cabras, dove è stato esposto il complesso scultoreo originale di Mont ’e Prama, ad eccezione di un reperto per ogni tipologia scultorea rinvenuta; ed al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, nel quale è stato esposto un esemplare per ogni tipologia scultorea, ossia diverse statue e un modello di Nuraghe, al fine di descrivere in successione cronologica, dalle dee madri di età neolitica, alle figure geometriche del periodo Eneolitico, ai bronzetti nuragici ed a queste statue, la rappresentazione della figura umana nelle diverse culture preistoriche sarde.

Cagliari-Museo Archeologico: statue di giganti di Mont ’e Prama Cagliari-Museo Archeologico: statue di giganti di Mont ’e Prama Cagliari-Museo Archeologico: statua di un gigante di Mont ’e Prama Cagliari-Museo Archeologico: statua di un gigante di Mont ’e Prama Cagliari-Museo Archeologico: statue di giganti di Mont ’e Prama Cagliari-Museo Archeologico: statua di un gigante di Mont ’e Prama Cagliari-Museo Archeologico: statua di un gigante di Mont ’e Prama Cagliari-Museo Archeologico: statua di un gigante di Mont ’e Prama Cagliari-Museo Archeologico: riproduzione di un Nuraghe rinvenuta a Mont ’e Prama

L’Età del Ferro ed il declino della società shardana

Il Ferro compare verso il 900 avanti Cristo e per molto tempo è stato ritenuto un’evoluzione delle conoscenze metallurgiche. A un’analisi più attenta invece si deve riconoscere che è molto più difficilmente lavorabile del bronzo, fonde a temperature molto più alte, la sua durezza non è maggiore rispetto a quella del bronzo ben lavorato, mentre invece la durata è molto inferiore. Si è arrivati quindi alla certezza che il passaggio dalla lavorazione del bronzo a quella del ferro non sia stata un’evoluzione bensì un ripiego, quando ha cominciato a scarseggiare lo stagno, per le difficoltà sopravvenute nel Mediterraneo per la partenza dei grandi navigatori che avevano la conoscenza di quelle rotte. La carenza di stagno, come risultato della distruzione del commercio di questo tempo, ha costretto i popoli a cercare un’alternativa al bronzo. Un ’evidenza di questo è il fatto che molti oggetti in bronzo, durante questo periodo, vengono riciclati per farne armi.

Con l’Età del Ferro inizia il declino della civiltà shardana

Con l’Età del Ferro inizia il declino di quello che era rimasto della civiltà shardana, che viene sovrastata da quella Etrusca che ne era stata precedentemente succube ed ora, grazie alla acquisita padronanza nella lavorazione del nuovo metallo, si impone in tutto il bacino del Mediterraneo.

Il ritiro all’interno della popolazione sopravvissuta

All’interno dell’Isola, nella parte montagnosa, si era ritirata quella parte della popolazione che non aveva voluto abbandonarla, e qui la civiltà si prolunga iniziando la ricostruzione del complesso su Nuraxi di Barumini. A questo periodo risale il maggior utilizzo del villaggio di Serra Orrios, vicino a Dorgali, il meglio conservato dell’Isola, ed è successivo il villaggio di Tiscali, sul Supramonte di Oliena, costruito dentro un’ampia cavità in un punto suggestivo e di difficile accesso che costituirà l’estremo baluardo difensivo nel periodo dell’occupazione romana.

L’arrivo in Sardegna dei Fenici

Ma tra i diversi fattori che determinano i profondi mutamenti che segnano il passaggio dall’Età del Bronzo a quella del Ferro, va certamente preso in considezione soprattutto l’insediamento stabile in Sardegna dei Fenici. Attirati dalla posizione geografica dell’Isola, le cui coste erano una ottima base di transito verso l’occidente, dalla fertilità della terra e dalla ricchezza delle miniere, da quello che oggi è il libano nell’ottavo secolo avanti Cristo arriveranno sulla costa della Sardegna le imbarcazioni fenicie.

La prossima pagina

Per approfondire questo periodo storico è possibile visitare la pagina La storia degli Shardana dal cuore ribelle che nessuno può contrastare che prende spunto dagli studi condotti da Leonardo Melis, e la pagina Le navi shardana e i porti nuragici e shardana che prende spunto da quelli condotti da Giangiacomo Pisu.

Nella prossima pagina apriremo una parentesi di ambientazione storica e vedremo come nel periodo di Ozieri si sviluppano in Mesopotamia, in Egitto e nelle isole dell’Egeo Tre grandi civiltà con le quali la Sardegna avrà a che fare. Avendo attinto a fonti diverse, le datazioni sono relativamente approssimative.


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